If the EU is working for Europeans why has Europe got massive youth unemployment?— Ian56 (@Ian56789) 19 giugno 2016
Caroline Lucas#marrpic.twitter.com/L3EwjookjN
1. E' difficile, per il fronte €uropeista, dare una risposta alla domanda diretta posta nei termini che vedete qui sopra formulati: i "governanti" evitano del tutto di dare questa risposta, o finiscono nella reticenza e in grottesche contraddizioni (tipo: "la colpa è della Cina", ovvero "della globalizzazione", da cui, semmai, l'UE "ci protegge").
Dopo anni di errori che non si vuole, "incomprensibilmente", correggere, le contraddizioni divengono sempre più evidenti all'opinione di massa (che ESSI si illudevano di poter controllare all'infinito).
Per non incorrere in miserevoli giri di parole, e vuote e confuse promesse di un "futuro migliore" che, appare chiaro non potrà mai arrivare, la "doppia verità" dovrebbe essere svelata integralmente.
E cioè, l'UE non si occupa affatto di "lavorare per gli "europei", intesi come comuni cittadini dei relativi popoli, ma di tutelare una ristretta oligarchia del capitalismo finanziario e di farlo secondo teorie politico-economiche che includono un ampliamento diffuso della disoccupazione, più pronunciato per le nuove generazioni che si affacciano sul mercato del lavoro, grazie a una legislazione imposta dall'UE che, in tal modo, accelera e amplifica il processo di svalutazione salariale competitiva.
Una "verità sottostante" di cui paiono consapevoli i vescovi europei, confidando, però, in un rimedio dato dall'impulso spontaneo e caritatevole degli stessi capitalisti finanziari, che costituiscono il mercato che si autoregola "eticamente".
2. Dunque non c'è Cina, globalizzazione o presunti effetti dell'innovazione tecnologica, che possano spiegare l'eccezionale "picco" di disoccupazione giovanile concentrato nei paesi dell'eurozona, in rapporto a ciò che accade in altre aree economiche omogenee, anch'esse caratterizzate da capitalismo avanzato e apertura dell'economia agli scambi internazionali.
Questo paradigma €uropeo, sebbene non coinvolto integralmente nel referendum britannico, - dato che, come abbiamo detto, (v. qui p.14.), nel bene e nel male, le riforme strutturali del lavoro, in UK, sono state compiute indipendentemente dal recepimento del diritto europeo e certamente non imposte dalla (rifiutata) appartenenza alla moneta unica-, nel suo complesso ha un diretto (ed ovvio) effetto di destabilizzazione sociale e di degrado del territorio, in ciascun comune italiano, dal più piccolo al più importante.
3. Sicchè, in questi giorni più che mai, tornano di attualità queste parole di Cesare Pozzi che sono facilmente riferibili alle problematiche coinvolte nel Brexit così come (peraltro senza alcuna chiarezza e capacità di indicare soluzioni non velleitarie) nelle elezioni comunali italiane:
In sintesi, l’Europa non ha alcun futuro se impone a delle comunità un modello che non hanno scelto.Non si risolve il problema delle migrazioni di lavoranti e di manodopera fuori del territorio se non si creano le condizioni perché questi rimangano a lavorare nella propria Nazione, nel proprio paese o nella propria città, nel proprio territorio.Né è possibile continuare ad ignorare il problema a fronte del gravissimo problema demografico.La popolazione sta invecchiando senza che si stia ponendo alcun rimedio al calo demografico e alla necessità di precostituire un ricambio generazionale.Così, tra circa 50 anni, di questo Paese non rimarrà nulla se questo sistema spinge i giovani, i lavoratori, i laureati, i soggetti altamente qualificati ad andarsene.Solo un progetto concreto che abbia come punto di riferimento il rilancio del territorio potrà spingere questi stessi soggetti a rimanere.