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LA TRATTATIVA: "STABILITA' FINANZIARIA E RISULTATI SPROPORZIONATI" TRA CORTE UE E LA DISCREZIONALITA' DELLA VESTAGER

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ARI-FATE PRESTO: HABEMUS ITAL-TACCHINO DA SPENNARE!

 

1. Vale la pena di riportare, fresco di giornata, il sunto, finora disponibile, della decisione della Corte di giustizia UE su presupposti e limiti del bail-in, con riguardo alla regola del preventivo burden-sharing (cioè condivisione delle perdite) a carico dei risparmiatori, prima della possibilità di un intervento pubblico che, in tal modo, non sia vietato dalle regole UE sugli aiuti di Stato (in ogni modo, estremamente problematici da autorizzare nei confronti dell'Italia: v. qui p. 7-9). 

I risparmiatori, com'è noto, sono coinvolti nel meccanismo unico di risoluzione, dopo la "escussione" in prima battuta degli azionisti, in una graduazione che coinvolge obbligazionisti subordinati, obbligazionisti senior e correntisti per l'ammontare oltre i 100.000 euro
Quest'ultima soglia di garanzia, allo stato delle possibilità di intervento dei fondi "privati" di garanzia, è in concreto, molto teorica (v.qui, p.4), non solo in assenza di un fondo di garanzia €uropeo, che dovrebbe essere attivato solo dal 2024, non solo perché la Germania è fieramente contraria (v. qui, p.6) anche a questa lontana (e quindi tardiva) misura, ma anche perché le dimensioni comunque raggiungibili da tale fondo di garanzia "comune", non sarebbero sufficienti a fronteggiare un contagio sistemico di insolvenze bancarie a catena, in un settore di mercato che presenta complessivamente il volume di capitalizzazioni e attivi strutturalmente presenti nell'eurozona (sempre rammentando che la c.d. unione bancaria si applica solo ai paesi della stessa eurozona).

2. La decisione della CGUE, occasionata da un proto-bail-in avvenuto in Slovenia, era stata preceduta da "grandi aspettative", dovute alla posizione assunta, in sede di conclusioni, dall'avvocato generale presso la stessa Corte, che aveva eccitato gli animi, nel senso di una maggior elasticità di intervento statale, preventivo rispetto al burden-sharing. 
Infatti, "L'avvocato generale, nelle conclusioni rassegnate a febbraio, ha sostenuto che la Commissione non ha poteri inderogabilmente vincolati (binding) in tale questione, e le perdite imposte agli investitori privati, non sono una precondizione necessaria per accordare l'aiuto pubblico alle banche (in difficoltà)"
Sostanzialmente, l'avvocato generale ha ipotizzato una "Broad discretion" della Commissione, fondabile sulla regola di "eccezione" emergenziale, contenuta nella direttiva sulla "Bank Recovery and Resolution Directive (BRRD)", per cui il bail-in preventivo può essere evitato, per adire direttamente gli aiuti di Stato, quando la sua imposizione "porrebbe in pericolo la stabilità finanziaria o condurre a risultati sproporzionati".

3. Com'è accaduto anche in passato (sulla diversa questione dell'OMT), la Corte ha grosso modo accolto tali conclusioni - con perfetto tempismo rispetto agli esiti degli stress test bancari che, per quanto riguarda l'Italia, erano tetramente incombenti (per il prossimo 29 luglio) sulla situazione del Monte dei Paschi- ma lo ha fatto seguendo un percorso che risulta più sfumato e indiretto nelle affermazioni compiute.
La Corte, infatti, ha ribadito principalmente l'assunto della centralità della "ampia discrezionalità" della Commissione e, significativamente, ha anzitutto riaffermato il principio del burden-sharing preventivo:  
“Il burden-sharing da parte degli azionisti e dei creditori subordinati, come prerequisito per l'autorizzazione, da parte della Commissione, degli aiuti di Stato a una banca in stato di insolvenza, non è contrario alla legge UE".
Ha poi temperato questa affermazione di principio rinviando alle"banking communications" (anticipatorie e poi specificativedella direttiva BRRD, v.p.45, da parte della stessa Commissione), in quanto l'ultima di esse,stabilisce i casi in cui il burden-sharing "debba" essere applicato ad azionisti e creditori subordinati, e quando, invece, possa essere evitato. L'ipotesi, appunto, è quella per cui, in esito alle perdite imposte ai risparmiatori, il bail-in potrebbeporre "in pericolo la stabilità finanziaria o condurre a risultati sproporzionati".

4. Va anche detto che la Competition Commissioner Margrethe Vestager, preposta alla direzione antitrust che vigila anche sugli aiuti di Stato, aveva preannunziato, il 14 luglio, una posizione alquanto problematica  e poco incline a eccessive concessioni all'Italia:
“Le regole sono tali che, se c'è rischio di instabilità finanziaria, allora sono contemplate eccezioni al burden-sharing e al bail-in.  Ciò è certamente chiaro. Ne consegue che la cosa importante è comprendere cosa sia la instabilità finanziaria e finora, nel corso di circostanze molto serie in Spagna, Grecia e Slovenia, le eccezioni non sono state applicate."
Come, appunto, sul caso insorto in Slovenia, conferma la pedissequa decisione appena emessa dalla CGUE, che ha escluso la illegittimità della mancata applicazione della regola di eccezione, trincerandosi dietro una vasta, e quindi insindacabile, discrezionalità della Commissione, nonchè sulla inconfigurabilità di una retroattività delle norme sul burden-sharing, rispetto al momento di sottoscrizione dei titoli, quando vigevano, pro-Germania e Francia, diverse "comunicazioni"ampiamente derogatorie del divieto di aiuti di Stato(v.qui, p.4).

5. In sostanza, la palla è rimessa nel campo di Margrethe Vestager che, però, ha già anticipato un certo restrittivo scetticismo. 
La trattativa, dunque, continua in vista della data fatidica del 29 luglio: ciò che è certo è che la Commissione dispone di un'ampia discrezionalità e tergiversa sulla riconoscibilità della "instabilità finanziaria" (e dei "risultati sproporzionati"), non mostrandosi eccessivamente sensibile sulla difficoltà politica in cui incorrerebbe il governo italiano, come ci dice lo stesso Bloomberg, dovendo conciliare un bail-in su MPS (e, in prospettiva, non solo), con effetti devastanti sul consenso, con le esigenze di raccogliere una maggioranza favorevole al referendum sulla riforma costituzionale.

Da oggi, in più, abbiamo che la Corte europea ha riconosciuto in modo praticamente incondizionato questa grandissima discrezionalità e non sarà certo propensa a sindacare nel merito un'eventuale negatoria dell'autorizzazione, all'Italia, ad applicare la clausola di eccezione sugli "aiuti di Stato" preventivi al sistema bancario. 


I DUE EPICENTRI DEL CONFLITTO GLOBALE: SIRIA E...ITALIA

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http://www.informarexresistere.fr/wp-content/uploads/2015/02/606x341_255170-1-2-4-680x365.jpg
1. Per completezza di informazioni su alcuni temi di attualità che abbiano recentemente trattato, vi propongo, dei brani selezionati dell'ultimo bollettino, datato 21 luglio, dell'Executive Intelligence Review- EIR, "Strategic Alert" (a cura dell'associazione, fondata da Lyndon Larouche, che periodicamente mi invia tale interessante mail).
Come già in altri casi in cui abbiamo citato tale fonte, premettiamo che si tratta di annotazioni valutative che esprimono un punto di vista, nell'ambito di una visione che, inevitabilmente, muove dagli USA, pur avendo con lo Schiller Institute, radicazione anche in altri paesi, in particolare europei, ove si diffonde il pensiero di Larouche e di sua moglie Helga.
Avevamo accennato, in più occasioni, al tema del paradigma liberoscambista mondializzatore: perseguite rigide politiche deflazioniste in tutto il mondo, tramite una serie di istituzioni "sovranazionali" capaci di imporre agli Stati delle forti condizionalità, sul piano delle politiche economiche, e l'insorgere di  conflitti sezionali, quanto alle politiche interne, questa strategia mondialista nutre ora la tentazione di risolvere la crisi economico-finanziaria globale, a cui inevitabilmente avrebbe condotto, innescando una escalation di conflitti guerreggiati. 
2. Da ultimo, in relazione alla connessione tra dilagare del terrorismo islamico e apparenti svolte politiche nei principali paesi occidentali, avevamo sunteggiato la finalità di tale scenario: "...per portare a livello di stabilità istituzionalizzata lo stato di eccezione che consegue a tale guerra civile permanente, in modo che, analogamente a quanto avvenne in Italia ai tempi della strategia della tensione, sia resa incontestabile la prosecuzione delle politiche economico-sociale attuali; l'idea della "israelizzazione" delle ex-democrazie sociali sottintende di raccogliere il consenso intorno a una "Autorità" salvifica e "protettiva", che possa rivendicare la sua legittimazione in termini polizieschi e di militarizzazione, anche esterna e in funzione di spesa "keynesiana", di ogni residua funzione dello Stato. O del super-Stato €uropeo". 
3. L'EIR denomina tale strategia geo-politica come "il partito della guerra":  
Il partito della guerra è sulla difensiva ma non sconfitto. Il quadro strategico è cambiato significativamente nel corso della settimana scorsa. La strage di Nizza, il golpe fallito in Turchia, gli incontri di Kerry a Mosca e il rilascio delle 28 pagine (v. infra), hanno ridefinito lo scacchiere della guerra globale sullo sfondo del crollo progressivo del sistema finanziario internazionale.

Il tema del collasso è al centro della proposta di Lyndon ed Helga LaRouche per un intervento urgente su Deutsche Bank, da usare come leva per una svolta in Germania e in Europa. Allo stesso tempo, l'alleanza anglo-saudita e il partito della guerra USA/NATO sono stati messi sulla difensiva da tre documenti incriminanti: le ventotto pagine sull'Arabia Saudita, il rapporto Chilcot sulla guerra in Iraq e il rapporto del Congresso sulla HSBC (vedi sotto e SAS 28/16). I colloqui sulla Siria e gli sviluppi in Turchia potrebbero condurre a una svolta nel Sud-Ovest asiatico [Ndr: la situazione in realtà non consente allo stato letture eccessivamente ottimistiche]. Tuttavia, il partito della guerra non è sconfitto, come mostra la strage di Nizza e gli episodi di terrorismo razzista negli Stati Uniti. Siamo in una guerra globale e non esiste alternativa alla vittoria.

Il fianco debole del nemico è il sistema finanziario, la cui bancarotta si concentra sulla crisi dell'euro, che si avvicina a un punto di soglia attorno alle decisioni sul sistema bancario italiano. La crisi delle banche italiane è in larga parte risultato dell'austerità imposta dall'UE e le sue dimensioni sono relativamente modeste, ma la legge europea - e il governo tedesco - ammette solo la soluzione del bail-in.

Messo alle strette, il governo italiano potrebbe decidere di scaricare l'euro piuttosto che commettere un suicidio politico. Anche la Germania è di fronte a una scelta per Deutsche Bank, il cui capitale si è talmente eroso da minacciare l'insolvenza. Altre banche, come Crédit Suisse, sono in una situazione simile. Mentre è necessaria una riorganizzazione bancaria globale, basata sui principii della Legge Glass-Steagall, un intervento urgente su Deutsche Bank, se eseguito nel modo che Helga Zepp-LaRouche descrive qui sotto, potrebbe ribaltare la situazione.
4. In correlazione a tale analisi, vien poi svolta una focalizzazione sulla situazione Deutsche Bank, che fornisce una prospettiva un po' diversa, del problema delle conseguenze demenziali delle regole, a larga e insindacabile discrezionalità, imposte con l'Unione Bancaria
La Deutsche Bank va salvata, ma a certe condizioni!

La seguente dichiarazione è stata rilasciata da Helga Zepp-LaRouche, presidente del Movimento per i Diritti Civili Solidarietà tedesco (BüSo), il 12 luglio 2016.

L'imminente rischio di bancarotta di Deutsche Bank certamente non è l'unica causa potenziale di una nuova crisi sistemica del sistema bancario transatlantico, che sarebbe di diversi ordini di grandezza più letale della crisi del 2008, ma offre una leva unica per impedire che il collasso si traduca in caos.

Dietro all'SOS lanciato dall'economista capo di Deutsche Bank, David Folkerts-Landau, per un programma europeo di 150 miliardi di Euro per ricapitalizzare le banche, si intravede il pericolo, apertamente discusso nei media finanziari internazionali, di insolvenza dell'intero sistema bancario europeo, poggiato su una montagna di almeno 2000 miliardi di Euro di prestiti inesigibili ("NPL"). Deutsche Bank, con un totale di 55.000 miliardi di Euro di valore nozionale di contratti derivati e un fattore di leva di 40:1, che supera quello di Lehman Brothers ai tempi del suo collasso, rappresenta il tallone d'Achille più pericoloso del sistema. La metà del bilancio di Deutsche Bank, il cui titolo è crollato del 48% negli ultimi 12 mesi ed è ora solo all'8% del suo valore di picco, è fatto di derivati cosiddetti Level 3, quasi 800 miliardi di Euro di titoli senza una valutazione di mercato.

Forse molti sono rimasti sorpresi dalla proposta fatta da Lyndon LaRouche il 12 luglio, che Deutsche Bank sia salvata attraverso un'iniezione di capitale una tantum, in ragione delle implicazioni sistemiche della sua minacciata insolvenza. Né il governo tedesco con il suo PIL di 4 bilioni di Euro, né l'Unione Europea con un PIL di 18 bilioni di Euro, sarebbero capaci di controllare l'effetto domino di una bancarotta disordinata.

L'iniezione di capitale una tantum, ha spiegato LaRouche, è una mera misura d'emergenza che deve essere contestuale a un immediato riorientamento della banca, nel senso della sua tradizione prevalente fino al 1989, sotto la guida di Alfred Herrhausen. Per sovraintendere a questa operazione, dovrà essere istituito un comitato di gestione che verifichi la legittimità e le implicazioni delle passività, e completi il suo lavoro entro un dato periodo di tempo. Tale comitato dovrà anche redigere un nuovo business plan, basato sulla filosofia bancaria di Herrhausen, ed esclusivamente orientato agli interessi dell'economia reale della Germania.
5. Altrettanto interessante, è il chiarimento sullo status della proposta di reintroduzione del Glass-Stegall Act, cioè della "separazione bancaria", nell'ambito dell'attuale campagna per le elezioni presidenziali negli USA: 

Presidenziali USA: il ripristino della legge Glass-Steagall incluso in entrambe le piattaforme. Dalla crisi finanziaria del 2008, gli interessi di Wall Street e della City di Londra a Washington hanno fatto ricorso a misure sempre più disperate per preservare il loro sistema in bancarotta, dal salvataggio delle banche Too Big to Fail, al Quantitative Easing, per poi arrivare al "bail-in", e ora ai tassi d'interesse negativi, con l'"helicopter money" pronto a entrare in azione.

L'alternativa a questa follia è quella che fu proposta prima del crac del 2008 da Lyndon LaRouche, che l'aveva previsto in una videoconferenza del luglio 2007. Per porre fine all'implosione del sistema, LaRouche chiese il ritorno alla politica della separazione bancaria di Franklin Roosevelt e della legge Glass-Steagall, seguita da una cancellazione del debito impagabile, e la creazione di un sistema creditizio per l'infusione di credito pubblico all'attività produttiva fisica, a partire da massicci investimenti nelle infrastrutture.

...Il tema è tornato alla ribalta durante la campagna presidenziale americana, soprattutto quando il Senatore Bernie Sanders ha sostenuto, anche se in ritardo, il disegno di legge per la Glass-Steagall del XXI secolo presentato dalla Sen. Elizabeth Warren. Ora la legge Glass-Steagall è entrata sia nella piattaforma democratica sia in quella repubblicana.

I democratici denunciano il "gioco d'azzardo" di Wall Street e "l'idea (tra gli speculatori) che i contribuenti continueranno a rifinanziarli". Tuttavia la probabile candidata, Hillary Clinton, ha dichiarato spesso di non sostenere il ritorno alle regole della Glass-Steagall, e la piattaforma parla anche di "difendere ed espandere la legge Dodd-Frank," benché tale legge sia stata scritta dai banchieri Too Big to Fail, e difenda lo stesso sistema speculativo che ha portato al crac del 2008.

Quanto ai repubblicani, nessuno sa per certo che cosa ne pensi Donald Trump. Resoconti dalla battaglia per la piattaforma indicano, come ci ha riferito un insider della Georgia, che i sostenitori di Trump insisterebbero sul ripristino della Glass-Steagall, anche se Trump stesso non si è pronunciato su questo.

Un'altra indicazione della rivolta popolare contro Wall Street, cui si è agganciato Sanders, e cui tenta di agganciarsi anche Trump, viene dall'Illinois, lo stato di Obama e la sua base politica. Il 30 giugno il Parlamento dello Stato ha approvato una mozione che chiede al Congresso federale di adottare un programma di "ripresa americana" ripristinando le disposizioni della legge Glass-Steagall, tornando a un sistema creditizio federale e alle banche nazionali, sul modello di Alexander Hamilton, per investire nell'economia reale e nelle infrastrutture.
6. Riprendendo il tema sempre più globale del terrorismo, sono anche valutate le rivelazioni sulla connessione tra Arabia Saudita e attentato dell'11 settembre , e la connessa implicazione di come fermare il terrorismo "alla fonte", almeno per quanto riguarda il suo attuale epicentro nella crisi siriana:
Il 15 luglio l'amministrazione Obama ha finalmente reso pubblico (anche se lievemente oscurato) il capitolo di 28 pagine del rapporto originale della Commissione d'inchiesta congiunta del Congresso sull'11 settembre, poche ore prima che Capitol Hill chiudesse per le vacanze estive. Leggendo attentamente il capitolo si comprende che il congressista Thomas Massie aveva assolutamente ragione quando dichiarò che queste informazioni avrebbero imposto un totale ripensamento su ciò che è accaduto negli ultimi 15 anni.
Contrariamente alla narrazione promossa dal Presidente Obama, dai servizi di intelligence e dai soliti media, il livello di prove sul coinvolgimento saudita negli attacchi dell'11 settembre contenute nelle ventotto pagine va ben oltre quello noto pubblicamente. Esse dimostrano infatti che funzionari sauditi e membri della famiglia reale erano coinvolti intimamente con Al Qaeda e molti di loro avevano legami diretti coi dirottatori. Benché l'FBI e la CIA avessero le prove dei finanziamenti sauditi ad Al Qaeda prima ancora del 2001, fu soppressa qualsiasi azione repressiva e gli investigatori furono licenziati o trasferiti per aver sollevato troppe domande.
Il Presidente Obama, James Clapper del DNI e il direttore della CIA John Brennan sostengono che le piste contenute nelle 28 pagine sono state successivamente smentite dall'inchiesta condotta dall'altra Commissione sull'11 settembre. Tuttavia, in realtà, il direttore di tale inchiesta, Philip Zelikow, ha espressamente bloccato qualsiasi inchiesta sui sauditi, e ha perfino licenziato il membro dello staff a cui era stato assegnato il compito di seguire la vicenda, come hanno ammesso altri membri della commissione.
Il rapporto di inchiesta congiunto sull'11 settembre fu completato e reso pubblico nel dicembre 2002, meno quelle 28 pagine che riguardavano il coinvolgimento saudita. Chiaramente, quel capitolo cruciale fu soppresso perché l'amministrazione Bush-Cheney si stava preparando per la guerra contro l'Iraq, per il cambiamento di regime contro Saddam Hussein, accusato di essere l'architetto dei mortali attacchi terroristici e di possedere un arsenale di armi di distruzione di massa. Tutte menzogne, come sappiamo ora.
È quindi urgente una nuova inchiesta dall'inizio alla fine, che indaghi su tutte le atrocità e le guerre che ne conseguirono, come la guerra in Iraq e in Libia, i tentativi di cambiamento di regime in Siria e molto di più.
La pubblicazione delle 28 pagine, che giunge pochi giorni dopo la pubblicazione del rapporto della Commissione Chilcot nel Regno Unito sulla guerra illegittima in Iraq (vedi SAS 28/16) è un colpo mortale al cuore dell'impero anglo-saudita. È prevedibile che ora aumenti al Congresso il sostegno per l'approvazione della legge JASTA, che consente di citare in giudizio i funzionari sauditi per aver sponsorizzato il terrorismo.
Il congressista Walter Jones, che ha condotto la battaglia al Congresso per desecretare le ventotto pagine, ha espresso il suo ringraziamento e le sue congratulazioni al movimento di LaRouche per il suo ruolo chiave nell'ottenerne la pubblicazione.

Dopo la strage di Nizza dove hanno perso la vita 84 persone e molte altre sono state ferite, il governo ha espresso il proprio cordoglio e rinnovato l'impegno nella lotta contro il terrorismo, senza tuttavia attaccare le vere cause di questa barbarie, denuncia Jacques Cheminade.
La causa principale è la complicità del governo "con le formazioni jihadiste usate per provocare la caduta del regime di Assad, elaborata dagli Stati Uniti, dal Regno Unito, dall'Arabia Saudita, dal Qatar e dalla Turchia", che ora si ritorce contro la Francia.
Infatti, è noto dal 2014 che Nizza è divenuta centro di reclutamento dei guerriglieri diretti in Siria. Un rapporto della Direzione Generale per la Sicurezza Interna (DGSI) notava che Nizza è divenuta una "città-laboratorio" per identificare e gestire la "radicalizzazione".
È da Nizza che Omar Osman, un franco-senegalese convertito all'islam, reclutò la sua brigata di 50-80 francesi, ora combattenti in Siria con il gruppo al-Nusra (ovvero al-Qaeda), dei quali il ministro degli Esteri Laurent Fabius affermò nel 2012, con un entusiasmo davvero improprio, che stavano "facendo un bel lavoro" contro Assad.
È a Nizza, inoltre, che sono stati identificati gli arrivi e le partenze di potenziali jihadisti, in viaggio come missione diplomatica saudita. Lo scorso 7 aprile il sindaco nizzardo Christian Estrosi, intervistato da Olivier Mazerolle per RTL, ha dichiarato che due persone nel dossier delle persone "radicalizzate" e in necessità di stretta sorveglianza, erano entrate in Francia con la copertura diplomatica saudita e che "esse hanno beneficiato di un'esenzione totale dai controlli" presso l'aeroporto internazionale di Nizza. "Sì", ha risposto il sindaco alla domanda se la polizia fosse stata costretta a proteggere i due, "e so che alcuni di loro erano sconvolti, ne parlarono e ne subirono le conseguenze".
"Il governo non può continuare a menare il can per l'aia su questo punto", dichiara Cheminade, "rischiando di trovarsi presto o tardi in un posizione simile a quella di Tony Blair", e cioè davanti a una commissione d'inchiesta o direttamente in tribunale.
"È venuto il momento di ristabilire i rapporti con Assad al fine di rifondare e ricostruire la Siria; di agire in armonia con la Russia per combattere assieme questa minaccia; di incitare con decisione gli Stati Uniti a fare altrettanto", incalza Cheminade. 

IL PATTERN: BRAINWASHING, CARITA', DISAGIO SOCIALE NELL'ERA DEI MERCATI.

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1. Dall'Huffington post traiamo questa traduzione del dialogo, ricavato da un video e diffuso da varie fonti, tra il presunto "terrorista" di Monaco e un "uomo sul balcone":
I media tedeschi continuano a diffondere le frasi pronunciate in dialetto bavarese dall'attentatore di Monaco di Baviera nel video girato dall'uomo sul balcone, che insulta più volte il 18enne chiamandolo "stronzo" e "coglione". "Sono stato in cura" e "a causa tua sono stato vittima di bullismo per 7 anni" e "ora ho dovuto comprarmi una pistola per spararti", dice l'autore della strage, secondo la Frankurter Allgemeine Zeitung, che ha pubblicato alcuni passaggi della conversazione.
Il quotidiano britannico The Guardian pubblica un link con la traduzione in inglese del dialogo fra l'attentatore e un uomo che lo filmava a distanza. Le parole "maledetti stranieri" sembrano essere pronunciate dall'uomo sul balcone, mentre il killer armato urla "maledetti turchi". Questa la traduzione del dialogo pubblicata dal giornale:
- Uomo sul balcone: "maledetto stronzo..."
- Sparatore: "grazie a te (incomprensibile)..."
- Uomo sul balcone: "sei un coglione"
- Sparatore: "...E ora ho comprato una pistola per spararvi"
- Uomo sul balcone: "una fottuta pistola, la tua testa non è a posto"
- Uomo sul balcone, apparentemente rivolto a un'altra persona che sta filmando: "ha una pistola, il ragazzo ha una pistola"
- Sparatore: "merda. Maledetti turchi!"
- Uomo sul balcone: "merda. Maledetti stranieri!"
- Uomo sul balcone rivolto a qualcun'altro: "hey! ha una pistola! l'ha caricata! chiama la polizia!"
- Sparatore: "io sono tedesco!"
- Uomo sul balcone: "sei un coglione, ecco cosa sei"
- Sparatore: "smettila di filmare!"
- Uomo sul balcone: "sei uno stronzo! ecco cosa sei"
- Sparatore: "sì, sono nato qui!"
- Uomo sul balcone: "si, e cosa c...o pensi di fare?"
- Sparatore: "sono cresciuto qui nell'area hartz 4", un riferimento al sussidio sociale
- Sparatore dice qualcosa a proposito di un "trattamento". Non è chiaro se si riferisca a un trattamento medico o a un modo di trattare le persone.
- Uomo sul balcone dice qualcosa del tipo "sì, un trattamento è ciò che ti serve".
- Sparatore: "non ho fatto nulla ancora (incomprensibile)..."
L'uomo sul balcone e lo sparatore continuano a insultarsi. Poi il giovane comincia a sparare. L'uomo sul balcone lo chiama ancora "stronzo".
L'uomo sul balcone poi si mette al riparo e gli urla qualcosa a proposito di "sparare qui".
- Sparatore risponde: "sì, hai ragione! sì, hai ragione! sì, hai ragione!". Il giovane lo minaccia.
Il video termina.

2. Aggiungiamo, sempre dall'Huffington questo commento adiacente:
Il capo della polizia ha sostenuto che al momento non vi sono elementi che indichino una matrice islamica dell'attacco o un "parallelismo" con il recente attacco a colpi di ascia e coltello sul treno a Wuerzburg, anche se una testimone ha riferito alla Cnn che il killer, prima di sparare su bambini seduti al tavolo, ha gridato Allah Akbar. Saranno comunque indagini su contatti e parenti del giovane a dare elementi più certi, ha detto Andrae che in nottata si è limitato a parlare di "sparatoria".
Se questa è una guerra...
Inutilmente, dato lo stato "culturale" dell'opinione di massa, ho cercato di segnalare come il concetto di guerra debba rispondere a precisi presupposti, sul piano del diritto internazionale - il quale, a sua volta, corrisponde a modalità consuetudinarie di intendere, razionalmente, gli accadimenti fondamentali che si verificano nella comunità internazionale degli Stati e, quindi, l'esperienza storico-sociale fondamentale dispiegatasi nel corso di secoli.

3. Piuttosto, segnalai come il terrorismo, sempre in base all'esperienza storico-sociale della comunità internazionale, corrisponda, con grande frequenza (sempre qui, p.5), alla violazione del c.d. principio di non ingerenza.
"Come chiarisce l'art3, lett. g) della dichiarazione dell'Assemblea generale della Nazioni Unite del 14-2-1974...che fa un'importante precisazione: non costituisce...aggressione armata, e quindi vero "atto di guerra", la sola assistenza data (da uno Stato determinato) a forze ribelli che agiscono sul territorio di un altro Stato, sotto forma di fornitura di armi, di assistenza logistica e simili; siffatta assistenzainfatti concreterebbe soltanto un'ipotesi di violazione del divieto di ingerirsi negli affari altrui e, sempre riportando quanto affermato dalla suddetta dichiarazione dell'Assemblea del 14-2-1974, "al contempo un'ipotesi di violazione minoris generis del divieto della minaccia o dell'uso della forza come tali non giustificanti una risposta armata"."

Tralasceremo quello che abbiamo aggiunto sulla possibile rilevanza della "reciprocità" (v. ibidem, p.7) nell'invocare il divieto di ingerirsi negli affari altrui, quale invocabile per vari eventi storico-politici da alcuni paesi mediorientali in particolare rispetto al c.d. Occidente (la controingerenza sarebbe in astratto scriminabile come ritorsione nell'ambito del controverso principio della "legittima difesa").

4. Quello che, invece, gli eventi di Monaco possono segnalare è come, di fronte ad ogni atto di follia omicida che possa presentare caratteri ricorrenti e riconducibili al terrorismo "islamico", occorra sempre un'accurata indagine, che riguardi gli antecedenti di vita e la vicenda psicologica di coloro che sono, nell'immediato, identificati come autori delle stragi.
Con riferimento alla identificazione di una matrice islamica, questi antecedenti possono, con una certa attendibilità, essere ricondotti ad un pattern, che, a sua volta, segna un percorso caratterizzato da elementi finanziari, anzitutto, organizzativi e di condizionamento religioso-psicologico, identificabili in modo alquanto costante.
Per comprendere quali siano tali elementi organizzativi e di condizionamento, andiamo ad attingere alla testimonianza di un giornalista del New York Times, Nicholas Kristof, esperto di rapporti internazionali e affari islamici.  

5. In un recente articolo, ci fornisce, attraverso dirette testimonianze, gli elementi che contraddistinguono il "pattern":
"Ogni qualvolta si ha un attacco di estremisti islamici, guardiamo ai nostri nemici come lo Stato islamico o Al Qaeda. Ma forse dovremmo anche guardare a nostri "amici", come l'Arabia Saudita.
Per decenni, l'Arabia Saudita ha spericolatamente finanziato e promosso una dura e intollerante versione dell'Islam in tutto il mondo, in un modo che, piuttosto prevedibilmente, sta producendo terroristi. E non c'è miglior esempio di questa spericolatezza saudita di quello dei Balcani.
...L'Arabia Saudita e altri paesi del Golfo hanno riversato denaro nelle nuove nazioni del Kosovo e dell'Albania durante gli ultimi 17 anni e hanno nutrito l'estremismo religioso in una terra dove, originariamente, ce n'era poco.
Il risultato è che, secondo il governo del Kosovo, 300 kosovari sono andati a combattere in Siria e in Iraq, per lo più per unirsi allo Stato islamico...il denaro saudita ha trasformato una società islamica un tempo tollerante in una pipeline di jihadisti
Nel segno dei tempi, il governo, l'anno scorso, ha dovuto sospendere temporaneamente la fornitura d'acqua nella capitale per il timore di un avvelenamento delle condotte ispirato dallo Stato islamico.
...Hajzeri (ndr. un imam moderato dell'antica moschea nella città di Peja) e altri moderati hanno risposto con un sito web, che critica la interpretazione saudita Wahabita dell'Islam. Ma dice che sono stati travolti dal flusso di denaro proveniente da Arabia Saudita, Kuweit, Qatar, Emirati Uniti e Barhain, versato in supporto delle varianti estreme dell'Islam attraverso una "bufera" (blizzard) di pubblicazioni, video e altro materiale.
"I sauditi hanno completamente cambiato l'Islam col loro denaro", dice Visar Duriqi, un ex-imam in Kosovo che è diventato giornalista che scrive delle influenze degli estremisti. 
Lo stesso Duriqi...dice di essere stato sottoposto a lavaggio del cervello e di essere passato per una fase estremista in cui esigeva l'imposizione della Shariah e scusava le violenze...
Questo non è un problema del Kosovo ma globale.
Ho dapprima incontrato l'influenza perniciosa dei sauditi in Pakistan, dove il sistema scolastico è in stato pietoso e i sauditi riempiono il vuoto finanziando madrasse estremiste che attirano gli studenti con rette gratuite, pasti gratis e borse di studio che coprono interamente studi oltremare per gli studenti migliori.
Allo stesso modo, in paesi tradizionalmente moderati, come Mali, Burkina Faso e Niger, ho visto madrasse finanziate da stranieri introdurre l'interpretazione radicale dell'Islam. Nei balcani, la Bosnia, è particolarmente influenzata dal supporto del "Golfo" agli estremisti.
Non voglio esagerare. Ho visto meno veli nel mio viaggio attraverso la Macedonia, il Kosovo e l'Albania che a New York City, e qualunque jihadista si strapperebbe i capelli nel vedere donne con teste e spalle scoperte, per non parlare degli "shorts"...Inoltre, dopo una serie di arresti di imam radicali in Kosovo e Albania, la situazione può essersi stabilizzata, e i jihadisti non paiono più recarsi da qui in Siria.
...
Ma il mondo ha bisogno di un duro confronto con l'Arabia saudita sul suo ruolo. Non è che intenzionalmente stia diffondendo la devastazione (havoc); è più che sta comportandosi in modo incauto. Ha compiuto qualche doloroso progresso nel ridurre il finanziamento degli estremisti, ma troppo lentamente.
Risulta particolarmente scoraggiante perché molta parte dei fondi paiono provenire dalla carità. 
Uno degli aspetti ammirevoli dell'Islam è la sua enfasi sulla carità; tuttavia nei paesi come l'Arabia Saudita, questo denaro è diretto non a combattere la malnutrizione o la mortalità infantile, ma a compiere il lavaggio del cervello dei bambini e a seminare il conflitto in paesi poveri e instabili."

6. Di molti di questi aspetti, così sconsolatamente testimoniati, abbiamo parlato, anche indicando l'analogia con quanto sta accadendo in Bangladesh
Abbiamo pure visto come il ruolo della carità, quale che ne sia la direzione dei relativi benefici, possa essere ben visto in un mondo che si pretende debba essere governato dall'ordine sovranazionale dei mercati, assunto a regola morale incontestabile. 
Carità che tempera la spinta al profitto (punto 7), conciliando entrambi in una "teoria del tutto", quindi totalitaria, che nega implicitamente, e in modo molto pratico, il ruolo degli Stati sociali e democratici, la loro sovranità: e ciò si sposa perfettamente con l'idea neo-liberista del welfare come mera azione compassionevole.

7. Da questo intreccio di tendenze e idee dominanti, discende prevedibilmente una grossa difficoltà non solo a determinare il pattern che caratterizza i precedenti identificativi del terrorista, per di più "dopo" che questi abbia agito, ma anche a comprendere le cause prime della capacità dell'estremismo islamico, e dei suoi seminatori finanziari, di attecchire in ogni parte del mondo globalizzato.
Tanto più che, se il riferimento alla "area Hartz 4" fosse confermato - e quindi, nel caso di Monaco, non ci si trovasse di fronte a un estremista islamizzato- sarebbe egualmente difficile, se non impossibile, per gli inquirenti, data la cornice di responsabilità dei governi €uropei nella distruzione ostinata del welfare inclusivo delle ex-democrazie sociali, cogliere il collegamento tra carità finanziaria e disagio sociale generato dalla restaurazione del modello neo-liberista di economia "competitiva".
La depressione nei giovani, date certe circostanze in altri tempi considerate prevedibili, è una ben precisa malattia sociale.

PERCHE' HILLARY HA GIA' PERSO

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Hillary Clinton Campaigns With Tim Kaine In Virginia 
Feel the Kaine. Photo: Alex Wong/Getty Images

1. Il tassametro del terrore e dell'infusione di paura corre sempre e facciamo fatica a stare aggiornati: si va dall'iniziale frame del disastro della svalutazione in caso di uscita dall'euro (salvo poi registrare, tra secondo semestre 2014 e primavera 2015, un svalutazione del 25% della moneta unica verso il dollaro e definirla un vantaggio; tanto più che del quasi 20% di svalutazione euro/dollaro subito dopo l'introduzione del primo, nessuno pare ricordarsi più), si passa (vado per sommi capi) per il terrorismo di ogni tipo sulla Brexit, e si finisce con l'emergenza terrorismo islamico, sulla quale non ha neppure senso insistere (specie per chi non comprende l'importanza della tecnica di controllo dei, vari e variegati, "confitti sezionali", ex multis v. qui p.4, sulla teorizzazione di Rodrik al riguardo).
E non ha senso, perché date le "risorse culturali" lasciate in campo da 30 anni almeno - a seconda di quando si individua il "punto zero"- di propaganda mediatica a sostegno del neo-ordo-liberismo a trazione federalista-€uropea, gli eventi avranno il loro corso incanalato, per molti versi deja-vù, con l'unica variabile fuori controllo dell'errore di calcolo (a carattere psicotico).

2. Ma sempre in tema di infusione di paura, cioè terrorismo mediatico, e errori di calcolo, non possiamo trascurare il tema "Trump"
Il rubicondo tycoon non è certamente un modello di democrazia sostanziale (d'altra parte nessuno statunitense potrebbe veramente esserlo) e neppure di politically correctness (e questo non è necessariamente un difetto); ma la sua irruzione sulla scena politica, ha creato un certo panico nelle fila di Wall Street e dei suoi fedeli mandatari.
L'opera di neutralizzazione dello "spettro" Trump, l'aveva cominciata Wolf, anticipando il mood, sprezzante verso le scelte dell'elettorato laddove si rivelino idraulicamente non controllabili, che avrebbe poi caratterizzato la valutazione dell'esito del referendum Brexit da parte dell'establishment mediatico-oligarchico.

3. Più di recente, a primarie vinte da Trump, (tralasciando le fonti italo-€uropee del "panico da prestazione"...di Hillary, non di Bill), persino Michale Moore si esibisce sconsolato in una lunga analisi sul perché vincerà Trump - o perderebbe la Clinton-, rifacendosi ad un'analisti sbilanciata sul sovrastrutturale (dando per scontato che il melting-pot, visto come epopea positiva, abbia prodotto una maggioranza benpensante di poveri&gggiovani-ma buoni, multirazziale e culturalmente ricca di consapevole buon senso progressista) e toccando solo tangenzialmente l'aspetto strutturale (quando parla degli effetti del NAFTA su Michigan, Ohio, Pennsylvania e Wisconsin: naturalmente le famiglie operaie bombardate a zero dalla globalizzazione forzata sono grette e irriconoscenti).
Ora l'errore di calcolo deriva da un atteggiamento di eccessiva confidenza nel "metodo" che caratterizza questa eccezionale, per forza e durata, concentrazione di potere oligarchico-finanziario.

4. Nel caso della Clinton, l'errore che forse può rivelarsi decisivo è la designazione come vice-presidente, in ticket di candidatura. di Tim Kaine; e proprio nel marasma che si preannuncia essere la Convention democratica di proclamazione della sua candidatura, caratterizzata, da subito, dallo scontento dei sostenitori di Sanders ("aiutato" dall'ennesimo mailing-leak) per la "strana conduzione" del voto delle primarie nonché per l'intransigenza della Clinton nell'accettare, nella sua piattaforma programmatica elementi diversi da quelli della cosmesi instillata dai suoi ricchi sponsor.

Diciamo subito che sarei stato stupito - e, in un certo senso, anche deluso- se la Clinton avesse scelto come candidata-vice Elizabeth Warren, una delle più illuminate figure politiche prodotte, quasi a sorpresa, dal sistema USA: la senatrice Warren, ph.d in law e insegnante di diritto, ma versata in studi economico-finanziari, è forse la più efficace avversatrice dell'establishment politico prostrato dinnanzi al potere di finanziamento politico-elettorale di Wall-Street e dintorni, ma anche dello stesso Trump (v.qui, infine), che con lei, attenta ai fatti e con una limpida conduzione politica e professionale, non ha vita facile. 

5. Elizabeth, presenta un generale profilo del tutto opposto alla Clinton:ha avversato con solide argomentazioni(applicabili in toto al TTIP), il TTP, evidenziandone in un epico discorso al Senato, il carattere di "privilegio speciale" per le multinazionali, dannoso per lavoratori, consumatori e diritti umani, e, soprattutto, è la più eminente e autorevole sostenitrice del Glass-Steagall Act del 21° secolo(questione spiegata in una sintesi di esemplare chiarezza).
Ce n'è abbastanza per spiegare la sua mancata candidatura a vice della Clinton, nonostante la sua tiepida apertura in tal senso in occasione delle (chiacchierate) primarie in California.
Di tutt'altra pasta è Kaine: come emerge da una vox populi piuttosto ben informata, e attenta ad aspetti molto concreti e tecnici, dunque ben diversa da quella che immagina Moore quando dipinge il dissenziente dalla linea Clinton-progressismo cosmetico, Kaine è stato un acceso sostenitore del TTP, come pure propugna ovviamente il TTIP e, addirittura,si spende per un'ulteriore deregulation bancaria, ritenendo alcuni grossi istituti "regionali", troppo gravati da oneri di informazione, fino a entrare in polemica con la Yellen (alla faccia dell'indipendenza della BC che, quando intralcia il lavorone del capitalismo finanziario, può essere tranquillamente bypassata).

6. La linea Clinton, dunque, non soffre di tentennamento alcuno: e questo non potrebbe essere che segno o di una certezza di vittoria per motivi che ancora non risultano noti nel contesto politico, e che agli attuali comentatori, così come ai sostenitori di Sanders, paiono sfuggire, o di una miopia dettata dall'arroganza di credere che, avere i più forti dalla propria parte, garantirebbe sempre e comunque la capacità di condizionare l'elettorato.
Naturalmente, la Clinton, a questo giro, potrebbe pure prevalere: ma in prospettiva a che prezzo
Sarebbe solo un ritardare la ormai inarrestabile sollevazione della ignorata e, sostanzialmente disprezzata, ex-middle class. 
In una linea di tendenza che lascerebbe sul fronte interno, solo macerie e un futuro crescente malcontento, tale da travolgere entrambi i partiti tradizionali, passando per una recessione nel 2018, come previsto, scherzando ma non troppo, da un grande economista come Reich...

HAYEK, MONNET, ROBBINS: LE RAGIONI INCOMPRESE DI UN SUCCESSO E LA (NON) MODIFICABILIA' DEI TRATTATI**

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1. Mi è capitato di constatare, confrontandomi con interlocutori di varie appartenenze politiche, che l'approfondimento storico-economico e storico-istituzionale circa le ragioni e le finalità del federalismo europeo, pur in un momento così drammatico, che appare di "transizione" forzata verso...qualcos'altro, sia tutt'ora trascurato: e ciò in favore di una vulgata semplificata che, più o meno, si incentra sull'esigenza di "tornare alle origini", allo "spirito" iniziale, della costruzione europea che sarebbe stata caratterizzata non solo da alti ideali - la pace e la prosperità dei popoli - ma da una solidarietà e da una volontà di democrazia condivisa che oggi sarebbero andate perse. E che, perciò, andrebbero recuperate. (Ecco il più recente esempio:
«Tutti nel M5S si sentono europei, noi non siamo mai stati una forza che voleva uscire dall' Unione europea pur criticandola molto duramente». D' altra parte l' Europa ha smesso di essere comunità, in nome dell' austerità ha penalizzato i più deboli. Questa Europa della moneta unica, del centralismo burocratico ha tradito i suoi valori fondativi e deve cambiare». Tante citazioni di Jean Monnet, di don Sturzo. Nessuna dell' euroscettico Nigel Farage con cui i 5Stelle hanno avuto un certo feeling.)

In realtà ci siamo già occupati di questa presunta precedente presenza di alti ideali democratici e di solidarietà, mostrando come, nel corso del processo normativo dei trattati, non ve ne sia traccia, né nella fase fondativa, né nella fase evolutiva e tantomeno in quella culminata in Maastricht e sue successive modifiche.

2. Ma sostenere una riformabilità dell'€uropa, cioè una rivedibilità dei trattati, nelle condizioni attuali, per ovviare ad una sua "crisi" (cioè alla radicale avversione e diffusissima impopolarità), significa ignorarne la coerenza costante, solo mitigata dalla progressiva gradualità di cui parlano esponenti eccellenti della costruzione europea come Jean Monnet e, più tardi con parole quasi identiche,Giuliano Amato.


Questa coerenza risale alle stesse origini dell'idea di federalismo sovranazionale, quale concepita da von Hayek, e di cui abbiamo tentato una ricostruzione, a suo tempo, che è stata poi trasposta in "Euro e(o?) democrazia costituzionale".
Al tempo di tale prima ricostruzione, nata da una curiosa polemica, generata a sua volta da un approccio alle teorie economiche avulso da una prospettiva storica e istituzionalistica estesa oltre gli ultimi 20 anni, avevo prescelto un metodo confutativo diretto, al fine di evidenziare la contrarietà, alla Costituzione italiana, della visione restaurativa del capitalismo anteriore alla crisi del 1929, sostenuta in nome del federalismo neo-liberista europeo e, possibilmente, mondiale.
Con la "Costituzione nella palude", ho preferito abbandonare questa dialettica immediata, lasciando spazio a fonti che riflettano una diretta espressione di questa visione che ha caratterizzato, appunto in modo totalmente coerente e dall'inizio, la costruzione europea. In ogni ricostruzione fattuale, la migliore fedeltà si ottiene acquisendo la "ammissione" dei fatti da parte di chi ne è protagonista mediante intenzioni enunciate, e conseguenti azioni ed omissioni...

3. Per una ricostruzione del pensiero di Hayek in tema di federazione europea, con le sue connessioni antecedenti alla visione del "maestro" Mises, del "funzionalista" Monnet, consiglio quindi di andare a questa ulteriore fonte diretta, cioè proveniente dalla stessa corrente di pensiero che ha costantemente alimentato, con successo - è importantissimo capire che, aderendo a questo punto di vista ideologico, si tratti di un successo da difendere, non certo di un fallimento che richieda radicali aggiustamenti-, il disegno che ha condotto all'attuale assetto dei trattati.  
Di quest'ultima fonte - significativamente intitolata "La riflessione federalista in Friedrich von Hayek"- non farò un commento per brani selezionati, semplicemente perchè tutta l'esposizione risulta integralmente significativa e riassuntiva dei momenti e dei concetti salienti della visione hayekiana, che tanto hanno influenzato la costruzione europea, direttamente nella sua fase fondativa, indirettamente attraverso l'alimentazione di un pensiero che ha sempre trovato chi lo evolvesse e lo adattasse ai vari svolgimenti storici (specialmente alla situazione del venir meno della contrapposizione, in Europa, del blocco Nato al blocco "sovietico", nelle forme durate all'incirca fino agli anni '80). 
E questa esauriente significatività della fonte citata, include anche la questione della moneta così come già esposta in questa sede, in tutte le sue varie e tormentate articolazioni, sia parlando dell'influenza di Hayek in generale, sia ricostruendo come, attraverso l'Unione bancaria, questi abbia avuto, in definitiva, una sua rivincita rispetto alle ragioni per cui considerava troppo "compromissoria" (e quindi moderata rispetto alle esigenze dell'ordine sovranazionale dei mercati), la stessa moneta unica.

4. Senza pretesa di aver esaurito un argomento così diramato e profondamente penetrato nella "cultura" delle classi di governo oggi, e da almeno 30 anni, al potere in €uropa,al riassunto tratteggiato finora dobbiamo aggiungere altre due fonti.
La prima, come spesso capita, ci viene fornita da Arturo in questa citazione di un passaggio tratto da un libro di Streeck, coevo a "Euro e(o') democrazia costituzionale":  
“Dato che i problemi di legittimazione del capitalismo democratico presso il capitale divennero problemi di accumulazione, fu necessaria la liberazione dell'economia capitalistica dall'intervento democratico quale condizione per la loro risoluzione. In questo modo si trasferì dalla politica al mercato il luogo dove assicurare una base di massa a sostegno del moderno capitalismo nelle sue motivazioni più profonde, generate dall'avidità e dalla paura (greed and fear), nel contesto del processo di immunizzazione avanzata dell'economia rispetto alla democrazia di massa. Descriverò questo sviluppo come il passaggio da un sistema di istituzioni politiche ed economiche di orientamento keynesiano, tipico della fase fondativa del capitalismo postbellico, a un regime economico neo-hayekiano.”
A "greed and fear" c’è una nota: ”Greed and fear, avidità e paura sono, secondo l'autodescrizione del capitalismo finanziario fornita dall’economia finanziaria, spinte decisive al funzionamento dei mercati azionari e dell'economia capitalistica in generale (Shefrin 2002).” (W. Streeck, Tempo guadagnato, Feltrinelli, Milano, 2013, pagg. 25 e 221).
La seconda fonte aggiuntiva, riguarda invece un recente libro scritto da uno storico dell'economia americano, Angus Burgin, che ci piace citare sia perché, fin dal titolo, preannuncia il carattere di rigido controllo dell'informazione e della cultura che ha assunto l'opera restaurativa dell'ordine dei mercati (neo-liberista), come forma di governo oligarchica e sovranazionale, predicata da Hayek; sempre nell'ottica della restaurazione del paradigma economico anteriore alla crisi del 1929. 
Infatti, il libro di Burgin  si intitola proprio"The Great Persuasion - Reinventing Free Markets since the Depression" (da leggere le recensioni sintetiche riportate nel link, che confermano come ben presenti, all'interno della cultura statunitense, le acquisizioni che tre anni fa avevamo anticipato in questa sede).

5. A chiosa finale di questa rassegna di fonti, consideriamo importante ri-citare due passi che possono apparire in contrasto con l'idea "libertaria" di Hayek (sempre da assumere nei suoi termini istituzionali effettivi, cioè di concreta gerarchia delle fonti normative che egli propugna, una volta che si guardi alle soluzioni che discendono dal senso concreto delle sue enunciazioni di principio). 
Tuttavia, nel primo passo che citiamo, questo contrasto è in realtà apparente, dato che il suo autore, Lionel Robbins, non solo ebbe un'influenza non minore di Hayek sul federalismo "reale" attuato in €uropa, in particolare sulla stessa redazione del "Manifesto di Ventotene", ma la sua visione, notoriamente, è caratterizzata da una pragmatica esplicitazione che discende dall'appartenenza alla cultura britannica, ove la indicazione di soluzioni "nette", non postula la complessità della serie di antecedenti teorici e di giustificazioni "tradizionaliste" che caratterizza Hayek: 
«La scelta – scriveva Robbins non è fra un piano o l’assenza di piano, ma fra differenti tipi di piano». Correttamente si deve parlare dell’esistenza di un piano liberale, così come si parla di un piano socialista o nazionale. «La ‘pianificazione’, nel suo significato moderno, comporta il controllo pubblico della produzione in una forma o in un’altra. L’intento del piano liberale era quello di creare un insieme di istituzioni in cui i piani dei privati potessero armonizzarsi. Lo scopo della moderna (pianificazione) è quello di sostituire i piani privati con quello pubblico – o in ogni caso di relegarli in una posizione di subordinazione».
Su questa base, Robbins fu allora in grado di denunciare il difetto della posizione liberale (e socialista) al livello internazionale. 
I liberali classici avevano sostenuto la necessità di introdurre una serie di istituzioni, come la moneta, la regolamentazione degli scambi e della proprietà, ecc. al fine di consentire il funzionamento del mercato: la mano invisibile è in verità, scriveva Robbins, la mano del legislatoreMa gli economisti classici, mentre ritenevano indispensabili queste misure di governo all’interno dello Stato, avevano ingenuamente creduto che potesse spontaneamente crearsi un mercato ben ordinato e funzionante anche al livello internazionale, in una situazione di anarchia politica."
5.1. La seconda citazione di "chiosa", invece, riguarda il maestro von Mises, e segna non tanto un (inconscio) maggior pragmatismo di quest'ultimo (dato che, pur paludata da altisonanti enunciazioni "filosofiche", la vena pragmatica di Hayek fu non minore, nei tempi successivi alla seconda guerra mondiale e, segnatamente, riguardo alla dittatura cilena), quanto una maggior "intransigenza" ed esplicitazione delle enunciazioni di Mises, rispetto a un contesto storico, quello dell'era dei fascismi, in cui i protagonisti del "Colloque Lippmann", e poi dell'associazione di "Mont Pelerin" (di cui abbiamo parlato estesamente ne "La Costituzione della palude", e secondo un tracciato ben ricostruito nel libro di Burgin), mantennero invece un atteggiamento molto più cauto e neutrale. Ecco la citazione di Mises:
«Non si può negare che fascismo e movimenti simili, finalizzati ad imporre delle dittature, siano pieni delle migliori intenzioni e che il loro intervento abbia, per il momento, salvato la civiltà europea. Il merito che il fascismo ha così ottenuto per sé, continuerà a vivere in eterno nella storia. Ma se la sua politica ha portato la salvezza, per il momento, non è della specie che potrebbe promettere di continuare ad avere successo. Il fascismo è stato un ripiego d'emergenza. Vederlo come qualcosa di più sarebbe un errore fatale.»

SANITA' PUBBLICA: IL PUNTO DI NON RITORNO NON E' COSI' LONTANO...

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Riceviamo e pubblichiamo questo post di Sofia che è la cronaca drammatica del...non-paradossale verificare sul "campo", in prima persona, ciò che si è evidenziato sul piano dell'analisi istituzionale ed economica.

1. Ho scritto in merito agli effetti dell’austerity sulla sanità e al costo (effettivo) della sanità privatizzata, analizzando norme, riportando dati, facendo analisi e traendo conclusioni, forse prevedibili e scontate e forse lontane mille miglia dalla realtà.
Ma avere la necessità (e quindi la sfortuna) di dover varcare la soglia di una struttura ospedaliera per assistere un parente, dover affrontare certi percorsi burocratici, vedere coi propri occhi, toccare con mano è cosa ben diversa, difficile da fotografare e riportare con obiettiva lucidità e freddezza, troppo forte il disgusto, l'amarezza, il senso di sconforto. 
Troppo sconvolgente l’impatto con una realtà che più di tutte costringe ad una presa di coscienza: che il punto di non ritorno (del pareggio di bilancio) non è così lontano come si immagina, aleggia già sulle nostre teste, fa tremare sotto i nostri piedi una delle poche certezze rimaste, che ci si era illusi di poter conservare, ossia l'inviolabilità ed intoccabilità del diritto alla salute e di un sistema sanitario nazionale gratuito ed accessibile a tutti, la certezza delle cure soprattutto per eventi sanitari gravi. 

2. I tagli alle strutture ospedaliere in un’ottica di concentrazione e accorpamento ha fatto scomparire gli ospedali più piccoli e facilitato l’espandersi di strutture immense, equiparabili a Ministeri quanto all’applicazione di impietose regole, ma con l’ulteriore svantaggio che pur trattandosi di un luogo in cui devono muoversi e spostarsi infermi ed inabilitati, nessuno si preoccupa di come siano percorribili centinaia di metri del percorso blu e dieci piani per raggiungere il reparto in cui sarai ricoverato. Solo se chiedi allo sportello informazioni si vantano di avere un utilissimo servizio di noleggio carrozzine (percorrere almeno 200 metri, prendere l’ascensore, scendere al piano -3, lasciare un documento di riconoscimento, salire in reparto e poi, ovviamente, riconsegnare la carrozzina da dove è stata prelevata!).
Entrare in un ospedale è come entrare in un manicomio dove medici e infermieri sotto organico, dopo essere costretti a turni massacranti, ti rivolgono sguardi pieni di odio, finiscono per rendersi immuni alle richieste di rassicurazioni e cure dei malati, scaricano le loro isterie o la loro stanchezza sui parenti accompagnatori dei malati, che pure sacrificano famiglia e lavoro per assistere, per sostenere e spesso per sopperire a un sistema che non è in grado di accudire come dovrebbe. 
Medici e infermiere sempre reticenti a rilasciare informazioni perché il SSN risente troppo delle cause di risarcimento del danno per la mala-sanità, addetti alle pulizie che all’occorrenza stanno all’accettazione o cambiano la flebo, così come infermiere che all’occorrenza servono anche i pasti.

3. Un sorriso è raro, un po' di comprensione è un miraggio.  Eppure a volte arriva; da medici o infermieri che lottano come guerrieri senz'armi, nonostante tutto, ancora carichi di senso di appartenenza ad un ordine speciale e senso di responsabilità, per difendere il loro ideale di professione, l'unica che salva vite umane, nel vero senso della parola.
Eppure, di fronte ai loro visi bui e impassibili, tra lettighe che sfrecciano senza sosta in pronto soccorso, tra codici rossi e gialli, tra gente che arriva in continuazione (da quello in fin di vita per un incidente stradale, all'anziano che nei vuoti di memoria ha preso le pillole una volta di troppo), come criticarli?
Stipendi bloccati, straordinari non pagati, concorsi inesistenti, anni di studio e specializzazione per un perfetto precariato a tempo indeterminato e forse una sola possibilità di uscirne: andare all'estero dove la preparazione dei medici italiani è ritenuta tra le più qualificate, e sempre che alle spalle ci sia stata una famiglia con abbastanza soldi per sostenere lo studio aggiuntivo delle lingue o uno stage in America. 

4. Ore infinite passate in sala di attesa, impossibile non osservare i dettagli.
Sul tabellone alle 10 del mattino, servono il numero 596, non per servire un cappuccino, ma per somministrare flebo, misurare la pressione, spedire pazienti in radiologia per una TAC nei casi più gravi.
Se i letti in reparto non ci sono, il pronto soccorso accoglie su barelle stipate ovunque, anche davanti all’ingresso del gabinetto, pazienti più disparati, casi clinici più vari, senzatetto compresi se hanno alzato il gomito, per diverse ore, ma anche per un paio di giorni, nella speranza che un posto si liberi.
Ed è sfortunato chi è costretto a tale ignobile attesa massacrante, piena di speranza che almeno ti facciano un emocromo perché i tagli impongono che l’assistenza d’emergenza sia ridotta ai minimi termini.
Molto più fortunato, invece, è chi arriva con un bell’infarto, che ottiene subito (si spera) tutte le attenzioni dell’equipe medica e un letto pressoché certo.
Sale d'attesa piene di indistinti sguardi persi e una varietà di corpi vaganti, rassegnati, idrofobi, isterici, punk tatuati, prostitute, pensionati, sedie a rotelle parcheggiate agli angoli con sopra corpi rassegnati all'inquietudine; il pazzo che si dondola a scandire il tempo, la barbona che gira nei corridoi con la valigia (sempre la stessa valigia, vuota, esattamente come lo sguardo, alla ricerca di certezze, di punti di riferimento inesistenti se non per il fatto che quelle quattro mura, almeno, sono sempre là).
E poi ancora, il bambino cinese che ha ingoiato l’ago, il romeno caduto dall'impalcatura, neri, indiani, pakistani, il turista tedesco, l’anoressica depressa, il reduce ubriaco, e poi predicatori, lestofanti, commercianti, tutti diversi e tutti uguali di fronte all'attesa che quei corpi e i loro fardelli siano passati ai raggi x o che i loro parenti escano indenni dai loro mali (nonostante possano aver bisogno dello psicologo per dimenticare una giornata passata al pronto soccorso). 
“Infermiera ho freddo!” – “Mi spiace non abbiamo più coperte”. 
“E lei! Tenga quel piede sollevato!!” -  Ok ma allora datemi dei cuscini! Mi spiace siamo a corto di cuscini”. 
Medici che escono dalle sale operatorie con sacchetti di plastica legati alle caviglie perché non hanno calzari.
Che non hanno il forcipe per far nascere i bambini.
Che non hanno il filo giusto per le suture in camera operatoria.
Infermerie che non hanno i farmaci, sale operatorie che non hanno la rianimazione, camerate con i letti rotti, comodini che cadono a pezzi, pulsanti di chiamata che non funzionano, sedie a rotelle con le ruote rotte e piene di ruggine. Spazi che vengono lavati e puliti una volta al mese. 

5. Fine luglio, le ferie. Personale ulteriormente ridotto, interi reparti che all'improvviso scompaiono negli accorpamenti momentanei (ortopedia in uno con cardiologia) e infermieri che devono saper fronteggiare qualunque malato alla faccia di qualunque sia la propria specializzazione o la propria esperienza.
Ma si sa. 
I tagli, gli sprechi, la corruzione, le raccomandazioni. Abbiamo vissuto al di sopra delle nostre possibilità ed ora si paga un prezzo: che sia la costante del disservizio che diventa normalità, che sia rassegnazione di fronte a una lista di otto mesi per una ecografia, che sia impazienza, che sia consapevolezza che occorre mettere mani al portafogli per pagare l'assicurazione privata, l'ambulanza privata, il medico privato, il fisioterapista privato, l'infermiera privata. 
Che sia vuoto di memoria per cui l'art. 32 della Cost. appare come uno sconosciuto
Che sia speranza, quella di non aver mai bisogno del SSN, di quelli che pensano che "tanto non toccherà mai a me" e invece si ritrovano su una barella a imprecare o a pregare di potersi rialzare sulle proprie gambe. E scappare.

CONFESSIONI DI MENTI RAFFINATISSIME- Parte 1

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https://grahamhancock.com/wp-content/uploads/2014/12/DMisraB6-3.jpg

Questo post di Bazaar doveva inizialmente essere il "semplice" commento ad un articolo particolarmente disturbante e "esagerato", quello di Irwin che trovate indicato nel prologo.
Invece, è poi divenuto un post sperimentale, nella struttura e nell'uso delle fonti anche multimediali, grazie a uno di quei momenti di grazia che consentono di trascendere, per un felice momento, le strutture sintattiche e logico-concettuali che normalmente rinchiudono il discorso entro l'orizzonte costrittivo della cronaca, dell'inseguire eventi parziali. 
Questo ordinario orizzonte, infatti, pur quando (come nel caso dell'articolo di Irwin), tenta di dare un'interpretazione "epocale", rimane costretto dai limiti implacabili di un presente che appare ingannevolmente proiettabile nel tempo, in tutte le direzioni.
Il post di Bazaar risulta suddiviso in due parti, come il primo e il secondo tempo di un film, e, in effetti, assomiglia dichiaratamente a una sceneggiatura.

L'assurdità delle menti raffinatissime, giunte ormai ad un inconsapevole delirio, può essere compresa con una serie di flashback. 
Perché quello che ci sta accadendo - si sia o meno desiderosi di comprenderlo e, comprendendolo, di "porre fine ad esso"-, equivale agli effetti di uno schema di cui sono omogeneamente intrise varie generazioni recenti, che giungono al culmine di "alterazione" che coinvolge la nostra. Uno schema probabilmente "finale", che segna il rabbioso tramonto di un modo di essere "umani", talmente aberrante, che occorreranno secoli per relativizzarlo e per vederlo come quella rozza follia che è stato: e lo è stato per un periodo molto più lungo, purtroppo, di quello che la reductio ad hitlerum, e la connessa retorica sedativa e sempre più vuota, ci vogliono dare ad intendere.

PROLOGO

Il primo luglio – una settimana dopo l'esito del referendum britannico sull'Unione Europea – viene pubblicato nella sezione economica del New York Times un articolo di Neil Irwin: “How a Quest by Elites Is Driving ‘Brexit’and Trump.

Sul prestigioso quotidiano, il giornalista economico argomenta come mai la volontà unica dell'élite di ricercare la globalizzazione “a tutti i costi” – dove i costi sono esclusivamente sociali e la ricchezza globale sempre più concentrata – sarebbe il motore del dissenso verso la UE e del consenso verso Trump.

Un articolo surreale e per certi versi indisponente, in cui,  per quanto si faccia finta – as usual –  di non conoscere i dati a disposizione della comunità scientifica, con toni colloquiali e trasparenza viene ammessa la realtà dell'ordine sociale attuale.

L'autore, quasi fosse un vescovo, si rivolge ad un'élite globale senza mai nominare la parola "democrazia", dando per scontato che viviamo in una società medievale in cui è solo "per carità" che l'élite dovrebbe pensare ai propri connazionali.
Il messaggio pare essere: “non è il caso di ammorbidire la stretta con cui stiamo strangolando l'umanità? Non ci sta sfuggendo di mano la situazione?”

È difficile comprendere fino in fondo quanto lo facciano e quanto lo siano: ma costoro [ESSI] – se effettivamente non siamo in democrazia - influenzano gli apparati polizieschi e le strutture militari.

Considerando che gli USA importano cultura dall'Europa (e non solo) da secoli, e vantano i più prestigiosi atenei (non più, RIP, soltanto “università”) del mondo, ecco il profondo quesito che Neil Irwin pone alle élite concludendo la riflessione:
« Che cosa dovrebbe fare un'élite politica? Sicuramente l'unico modo in cui una società può diventare più ricca nel corso del tempo è aumentare il reddito nazionale. E se una rigorosa analisi su come la politica X finirà con lo svantaggiare poche migliaia di persone, generalmente non è una ragione per abbandonare l'idea.

Ma è d'obbligo riflettere sulle singole vite. La vita non riguarda solo il denaro, e i posti di lavoro non riguardano solamente il reddito. Un senso di stabilità, di finalità, di posizione sociale – tutte queste cose hanno importanza in un modo che i modelli economici non fanno un buon lavoro nel tenerne conto. Se c'è una lezione fondamentale dal successo di Trump e della Brexit, è che il dinamismo e l'efficienza suonano molto meglio alle persone sicure che alla fine risulteranno vincenti. »  Pensa un po', chi l'avrebbe mai detto... Anno 2016!
L'articolo pone a noi ben altra qualità di riflessioni; ma, a parte qualche nota in calce, si lascerà parlare i protagonisti stessi, archetipi presenti e passati, in una scenografia kubrickiana.

Ricordando che il Superuomo efficiente trova qua la sua essenziale teorizzazione.

Gustiamoci questa sensazione « di vivere in un mondo nel quale il cittadino è divenuto un mero spettatore o un attore forzato » [C.W. Mills]

Popcorn, e proviamo a rilassarci come “meri spettatori”...


Confessioni di menti raffinatissime: economia, assiologia e religione.  

« Io biasimo i compassionevoli perché perdono facilmente il pudore, il rispetto, la sottile sensibilità per le distanze, perché da un momento all'altro la compassione inizia a puzzare di plebaglia e somiglia moltissimo alle cattive maniere.[…]
Annovero il superamento della compassione tra le virtù più nobili: io ho narrato, come “tentazione di Zarathustra”, l'episodio in cui gli arriva un grande grido di aiuto: la compassione, come ultimo peccato, cerca di coglierlo di sorpresa, di estraniarlo da lui stesso. Rimanere padrone di sé, mantenere l'altezza della sua missione incontaminata dalle tante motivazioni più basse e più miopi che agiscono nelle cosiddette azioni altruistiche: è questa la prova, l'ultima prova che uno Zarathustra deve affrontare – la sua vera e propria dimostrazione di forza...  » Friedrich W. Nietzsche, “Ecce HomoAutunno 1888, “Perché sono così saggio




Intro: giornali globali per élite globali. Allucinati al funerale di gloriose rivoluzioni. [Tempo di lettura: 2m e 6s - clicca per tenere  il passo coi tempi...][1]

« Vi sono certi fenomeni ai quali nelle nostre società si dà il nome di ETICI o MORALI, che tutti credono conoscere perfettamente, e che nessuno ha mai saputo rigorosamente definire. Non sono mai stati studiati da un punto di vista interamente oggettivo. Chi se ne occupa ha una qualche norma che vorrebbe imporre altrui, e da lui stimata superiore ad ogni altra. » (Vilfredo Pareto, Manuale di Economia Politica con un'introduzione alla Scienza Sociale”, II, 18)
***

« Notiamo che l'incivilimento europeo è frutto di infinite guerre e della larghissima distruzione dei deboli compiuta dai forti; con quelle sofferenze si è comprata la prosperità presente[2]ciò è bene o è male? » (II, 35, Ibid. Pareto)




« È notevole come in tale materia il sentimento[3] ha tanto impero sugli uomini, da far perdere ai più l'uso della retta ragione. Per esempio ora, in Francia, molti uomini, che del resto paiono ragionevoli, ammirano le parole vuote di senso della celebre Déclaration des Droits de l'homme.
[...]
[F]ermiamoci solo sulla proposizione che le distinzioni sociali non possono essere fondate che sull'utilità comune. Ciò ci giova ben poco per risolvere i quesiti dell'ordinamento sociale, e rimuove solo la difficoltà, che ora sta nel determinare quell'utilità comune. Basta leggere Aristotile per vedere come la schiavitù si possa difendere sostenendo che è d'utilità comune; ed analoga difesa si può fare della feudalità, tanto odiata dai rivoluzionari che composero quella bella Déclaration.[...]
In sostanza, tutti quei ragionamenti pseudo-scientifici sono meno chiari ed hanno minor valore della massima cristiana che dice: ama il prossimo tuo come te stesso. [...]
E massime più o meno simili si trovano presso molti popoli. Esse risultano da sentimenti di benevolenza verso altrui, e dal bisogno che prova l'uomo debole, per difendersi, di chiedere aiuti ai sentimenti di eguaglianza.»  (V. Pareto, Ibid. II, 39 e segue qui) 



« L'origine di quegli errori sta nel non volere intendere che la sensazione piacevole, o spiacevole, è fatto primitivo, che non può essere dedotto col ragionamento. Quando un uomo prova una sensazione, è assurdo volergli dimostrare che ne prova un'altra. Se un uomo si sente infelice, è cosa sommamente ridicola volergli dimostrare che è felice, o viceversa.[4] [...]
Un uomo è solo ed unico giudice in ciò che a lui piace, o non piace.» (V. Pareto, Ibid. II, 29)
***
« Per sapere se il furto è, o non è, morale, dobbiamo noi paragonare i sentimenti spiacevoli del derubato, ai sentimenti piacevoli del ladro, e ricercare quali hanno maggiore intensità? »[5] (V. Pareto, Ibid. II, 37)  [Pareto che applica il criterio di efficienza alla morale...]





1 – Молоко плюс. Clero e omelie al tempo del totalitarismo liberale. [Tempo di lettura: 3m e 41s - clicca per tenere il passo coi tempi...][6]






Il liberal &democrat New York Times si rivela spesso una preziosa fonte d'informazione per vagliare il mood – il sentiment – delle élite.

Ecco, appunto, iniziamo da qui: le élite.

Quel gruppo sociale appartenente alla  classe dominante che, secondo il grande sociologo americano Charles Wright Mills, influenzerebbe l'indirizzo di governo della comunità sociale di riferimento al di là di qualsiasi effettivo processo democratico.

Giova ricordare che tra i più grandi reazionari teorici dell'elitismo si distinguono proprio gli Italiani, che, essendo pure storicamente campioni di liberismo, possono vantare i padri stessi dell'elitismo moderno: Gaetano Mosca e Vilfredo Pareto[7].

Italici liberismo ed elitismo che – data la posizione subalterna nelle relazioni internazionali della nostra Patria nella modernità – rimarranno mistero della fede per i futuri filologi: una nazione che esprime teoreticamente il più antiumano[8] elitismo e che, al contempo, si autodisprezza in quanto – stando con i giornaloni nostrani –  “razzialmente” inferiore.

(Citofonare Freud... oppure analizzare le sovrastrutture ideologiche e coscienziali delle aree economiche periferiche in rapporto al controllo della propaganda da parte delle élite del centro imperialista)

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Ci viene rivelato ciò che una volta erano il tenebroso governo ombra, lo Stato profondo, lo Stato parallelo (che – moroteo – “convergeva” allo Stato di diritto ben prima dell'infinito), i misteriosi poteri forti,  l'inarrivabile terzo livello: le spaventevoli menti raffinatissime.

Ecco: un altro punto fondamentale: le menti raffinatissime.

Abbiamo scoperto, insomma, che questo misterioso super-potere, super-statuale e super-nazionale, è emanazione di questa cosmopolita élite che, ora, pretende apertamente di avocare a sé la sovranità democratica degli Stati-nazione, in quanto, giustamente, costituita da individui dotati di menti “raffinatissime” (e, tendenzialmente, “illuminate”).

Qualche riflessione sulle menti di questi duci dell'umanità proveremo a farla.







2 – Se le élite hanno edificato un panglossiano mondo migliore tra tutti quelli possibili –  paretianamente efficiente – com'è che la plebaglia vota populista? [Tempo di lettura 3m e 46s: clicca per tenere il passo coi tempi...][9]



« La verità circa la natura e il potere delle élite non è qualcosa di segreto che gli uomini d'affari conoscono ma non vogliono raccontare. [...] Non importa quanto grande sia il loro effettivo potere, costoro tendono ad essere meno acutamente consapevoli di questo che della resistenza degli altri al suo utilizzo »[10]  (Charles Wright Mills, “The Power Elite”, p.4)
***
« Una volta JM Keynes definì il capitalismo come “la sorprendente convinzione per cui gli impulsi più ripugnanti degli uomini più ripugnanti, in un modo o nell'altro,  possano concorrere per i migliori risultati nel migliore dei mondi possibili”. » (Sir George Schuster, “Christianity and Human Relations in Industry”, 1951)


A quanto pare, ciò che prima fu dietrologia, ciò che dopo è stato cospirazionismo, ora rimbalza su tutti i media e può occupare delle belle mezze paginonone su quotidiani con influenza globale; per l'occasione con penna e talare di Neil Irwin[11]dal pulpito del New York Times.

Il nostro giornalista, con un MBA alla Columbia University in cui è proprio specializzato in giornalismo economico, si chiede – di fronte ad una platea di lettori “non casuali” –
 « quale lezione dovrebbe trarre un membro tesserato dell'élite economica dal successo di Donald J. Trump? E dalla decisione degli elettori britannici di lasciare l'Unione Europea? »

E ce lo vediamo, di fronte a una vista mozzafiato su Manhattan, il lettore tipo: in abito leggero, con le gambe accavallate, di fronte ad una spremuta d'arancia fresca e un dolcetto, che, serenamente, si gusta, come un bimbo, un  bicchiere di latte più biscotti; il giornale chiuso a fianco e il dito che scorre sul tablet.

La fronte si corruga e il dubbio lo assale.

***
« Non è tipico dei dirigenti americani leggere libri, ad eccezione dei libri sul “management” e sui misteri. [...] Coloro che si avventurano in questi campo [...] sono visti dai loro colleghi con stupore misto a incredulità. »  (C.W. Mills, Ibid.)
***

In realtà, la risposta all'oscuro quesito si trova già nel titolo, che, eloquente, spiega che è stato « un obiettivo estremamente difficile da raggiungere ricercato [“quest”, ndt] dall'élite, a guidare alla “Brexit” e al successo di Trump ».

Questo “difficile obiettivo”, come chiunque abbia avuto la disgrazia di frequentare qualsiasi corso universitario dopo gli anni Novanta, di economia o di diritto, di lingua inglese o lingua spagnola, consiste ne “la globalizzazione”, visto che, l'attesa domanda « cosa è la globalizzazione? », « what is globalization? », « ¿qué es la globalización? »,  se l'è sentita porre ad ogni sessione d'esame per tutta la durata del corso di laurea.

(La risposta all'esame, però, non consisteva ne « la distruzione delle nazioni, delle democrazie e dei popoli, per costruire un governo mondiale tecnomedievale dove tutto è “fluido” come la diarrea »)

***
« In Europa, dal medio evo sino verso il secolo XVIII, non era lecito di discorrere delle religioni che non fossero la cristiana, se non come di funesti errori; ora è sorta una religione umanitaria-democratica, e questa sola è vera e buona; le altre, compresa la cristiana, sono false e perniciose. » (V. Pareto, Ibid. II, 20)  [Paragona la cultura democratica al fanatismo religioso]
***

Il nostro lettore-tipo prosegue nel difficile compito di comprendere qualcosa che non sia un foglio excelIrwin informa che gli elettori (alias, “la plebaglia che vorrebbe partecipare alla vita economica e politica come da superstizione democratica”) « rigettano le logiche che sottostanno alle dinamiche dell'economia globalizzata che, sulla carta, sembrano costruire un mondo molto più ricco ».

Sulla carta?

Certo, quella di giornale, quella di alcuni testi universitari d'ultima generazione e, notoriamente, sulla carta igienica.

(Che non è molto differente dalle precedenti, ma è sicuramente più utile)

Il nostro Neil prosegue: « Per i banchieri, i trader, gli uomini d'affari internazionali e altri che compongono l'élite economica (compresi i giornalisti come me che ne sono membri periferici), questo è motivo di introspezione, o almeno lo è tra coloro che non sono troppo narcisisti per curarsi di ciò che pensano i propri concittadini. »

Il nostro lettore-tipo ha un fremito: il sacerdote dell'informazione confessa di essere – in quanto tale – “membro tesserato” dell'élite , e che, come conviene dato il ruolo morale e religioso, umilmente si colloca nella “periferia”, ai margini del governo della classe dominante.

È un momento di introspezione: ne sarà capace? Il lettore-tipo, ticchettando i polpastrelli sullo schermo del dispositivo, rapidamente rotea gli occhi cercando di fare un esame per trovare la coscienza.

(L'emozione lo spinge a pensare all'opzione “find” del tablet)

Istintivamente si guarda allo specchio della parete a fianco:  « non sono così narcisista. Non sono un egomaniaco » – Si dice – « Prima dell'MBA avevo anche degli amici un po' sfigati, e davo loro attenzione... qualche volta...  »



Bene, don Neil, nella sua confessione sacramentale di fronte al Mercato, esorta alla riconciliazione – chiaramente senza pentimento –  con la ragione. Per step. Con calma.

***
« Per chi è abbastanza ricco da potere permetterselo, avere torto è addirittura una fortuna. Un dio che venisse sulla terra non potrebbe fare altro che torti – addossarsi la colpanon la pena: questo solo sarebbe divino »  (F.W. Nietzsche, Ibid.)
***

Il sermone: « [Fratelli,] ecco una spiegazione generale di ciò che potrebbe essere mancato nella marcia verso un'economia globale iper-efficiente: l'efficienza economica non è quella libidine che abbiamo supposto essere. ».

Un mancamento coglie d'improvviso il lettore-tipo: una scarica di adrenalina gli stringe gola e petto.

Un dubbio esistenziale – per la prima volta dopo la scoperta che i bambini non li porta la cicogna – preme in fondo al suo stomaco. No, non è il plumcake.

Lui: che aveva superato qualsiasi budget gonfiando ricavi e stritolando i costi.

Lui: che poteva contemporaneamente fare un pranzo di lavoro nel New Jersey ed assistere ad una cena di lavoro a Londra nascondendo il tablet in confcall sotto il tovagliolo.

Lui: che aveva raggiunto quasi la perfezione raggiungendo il bagno dalla scrivania dell'ufficio in soli trentanove passi.

Lui: « Îö »

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D'altronde, come insiste don Neil – « “Efficienza” suona bene in teoria. Quale razza di mostro non vuole ottimizzare le possibilità? Minimizzare gli sprechi e  sfruttare al meglio le risorse limitate? »

Quale MOSTRO potrebbe mai non pensare di organizzare il pianeta secondo efficienza paretiana? Quale ripugnante creatura può non venerare la Weltanschauung di Vilfredo Pareto? Quale psicopatico potrebbe desiderare qualcosa di diverso? « Giusto, è assolutamente scandaloso » pensa il lettore-tipo. 

L'atroce dubbio trova possibilità in una più mite conclusione; segue l'omelia: « L'élite economica e politica potrebbe amare l'efficienza molto più di quanto fanno gli umani normali »

L'umano “normale” è la solita corda sottesa tra lo scimmione e l'animale domestico.

« Giusto: evidentemente il “lavoro di Dio” non può neanche essere apprezzato da quella paccottiglia di Üntermenschen » Il lettore-tipo è indignato. Per qualche secondo desidera intensamente di rimuover loro quel diaframma che ha allontanato i “normali” dalla durezza del vivere.

La luce, per un momento, sembra sorridere.

***
«  La maggior parte degli uomini d'affari americani ha talmente imparato bene la retorica delle relazioni pubbliche che, in alcuni casi, arriva ad usarla anche quando sono soli, iniziando quindi a crederci. » (C.W. Mills, Ibid. p.5)
***

Torna a rilassarsi.

Qui il peyote ingerito prima della liturgia comincia a fare effetto:

« Probabilmente [probabilmente...]  le persone che guidano il mondo [!!!], in altre parole, hanno passato decenni a perseguire obiettivi che non fanno leccare i baffi  ad una grande parte dell'umanità. Forse [forse...] che a perseguire un PIL sempre più alto [!?] manchi di una fondamentale comprensione di ciò che muove la maggior parte delle persone? » 

Questa esplosione di PIL pare sia arrivata solo alle teenager americane a forza di mangiar carne agli ormoni (o almeno così mormorano ai centri estetici): senza citare in merito le evidenze quantitative del prof. Ha-Joon Chang armonizzate in una prospettiva storica, l'efficientissima globalizzazione ha portato ad una contrazione della crescita della ricchezza mondiale e ad una polarizzazione della distribuzione del reddito proprio come da trickle-down theory; di seguito il grafico:












[1]      Henry PurcellMusica per il funerale della regina Maria, 1695
[2]      La distruzione creatrice!
[3]      Pareto intuisce che è il pathos a dare sostegno ai Principi universali, ma, chiaramente, non lo riconosce come “intelligenza emotiva” in grado di dare un supporto epistemologico sulle orme di un'analisi fenomenologica dell'etica dei valori: il pathos è visto sempre e solo come animalesca istintualità ed irrazionalità. Possiamo facilmente dedurre che l'elitismo tipico del totalitarismo liberale desidera l'apatia delle masse, in modo molto diverso dall'espediente totalitario del nazifascismo.
[4]      Un buon Pareto in versione fenomenologica che, come tutti i filosofi liberali, si dimentica di definire cosa sia la “felicità” stessa: dà per scontato il relativismo assiologico, ma non dubita del valore assoluto del sentimento di felicità. Almeno che la definisca come appagamento di un piacere. Ma, a questo punto, bisognerebbe categorizzare il “piacere”: fisico, psicologico... spirituale? C'è differenza tra ebbrezza, gioa o estasi?
[5]      Quindi, se non sai di essere turlupinato, occhio non vede cuore non duole: l'atto è morale. Il problema diventa morale se – e solo se – gli oppressi hanno coscienza di essere tali. Quando lo schiavo accetta la sua mercificazione e il suo totale asservimento con un sorriso come un Pariah, bene, il problema etico è risolto.
[6]      Georg Friedrich HändelSarabanda (1685-1759), Organo.
[7]      Un approfondimento su Mosca e Pareto arruolati per castigar la décadénce, è visionabile qui.
[8]      “Antiumano” in quanto, secondo Pareto, “La Dichiarazione dei Diritti dell'Uomo” non è che « parole vuote ». Certo, se dovesse dare una risposta alla Nietzsche, replicherebbe che sarebbe scorretto appellarlo “antiumano”: sarebbe più-che-umano, super-umano, oltre-umano: insomma “diversamente umano”.
[9]      Dmitri Dmitriyevich ShostakovichValzer N°2, 1956 circa.
[10]     Ossia: il potere oligarchico viene strutturalmente abusato senza che venga avvertito un congruo senso di responsabilità.
[11]     Interessante questo commento di un lettore che, oltre a evidenziare che nel libro sulla crisi finanziaria il giornalista espone la connessione tra deregolamentazione finanziaria e la distruzione materiale del futuro di intere generazioni, evidenzia che nel mondo della finanza, simboleggiato dal governo delle banche centrali, esiste un certo “abuso di matematica”. 

CONFESSIONI... - Parte 2 - SULL'EFFICIENZA DELL'AVIDITA'

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In questa seconda parte delle "Confessioni...", Bazaar ci descrive il meccanismo di coinvolgimento mediatico-emotivo che sorregge la instaurazione della Grande Società, con la sua morale granitica e autodefinitasi scientifica, a cui non sono di ostacolo le contraddizioni che emergono dalla realtà. 
Sempre prendendo spunto dall'articolo di Neil Irwin sul NYT.
Per dire, il Brexit è "brutto", i sondaggi avrebbero dovuto essere accettati come verdetti definitivi, e la propaganda deve rimanere incontestabile. Altrimenti la matematizzazione deduttiva e a priori della realtà sociale ne viene intollerabilmente contraddetta: per chi non lo sapesse la gematriaè un sistema di interpretazione numerologico, che deriva dall'assegnazione all'alfabeto ebraico di una funzione aggiuntiva di numerazione.
Il test sulla "avidità" come comportamento inevitabilmente "efficiente", che trovate commentato, dà risultati contraddittori: poco male, si sa che gli uomini non sono tutti eguali. Questa bizzarra idea è la conseguenza nefasta della troppa pace.  E la massa della non elite, in definitiva, è troppo stupida per vivere.
Delusa dalla massa degli insignificanti peones che preferiscono l'equità all'efficienza (sempre sul presupposto, inventato, che dare via libera all'avidità di pochi, porti a fantasmagorici aumenti aumenti del PIL), l'elite naturale comincerà a strepitare degli effetti del populismo e a teorizzare una qualche massima morale che consenta di delegittimare scientificamente ogni espressione di dissenso, per ripristinare così l'assoluto controllo sociale...Efficientemente scientifico.

Il bipensiero del lettore-tipo permette, invece, di proseguire come se nulla fosse; si sforza di pensare a ciò che sa essere un'inutile perdita di tempo. Ma non è così narcisista da non farlo, e commenta: « Chi è così mostro da non voler diventare sempre più ricco? Ai mostri ci dovrebbero pensare l'FMI , la World Bank o l'OCSE... »

Ma non è finita; don Neil dà la stoccata finale: « In tale contesto, il sostegno per Trump e per la svolta britannica conosciuta come Brexit sono solo imperfetti veicoli attraverso i quali qualcuno può urlare: "Stop" »

Il lettore-tipo scatta in piedi e, sbalordito, mormora: « Come si permette 'sta plebaglia?!  »

« Stop! »

A lui: un rullo compressore.

A lui: che gli ostacoli non li scavalcava. Li abbatteva.


La liturgia si concentra sulle Sacre Scritture; è tempo di Cabala e di raffinata gematria: « In un sondaggio di 639 economisti britannici condotti a maggio, l'88 per cento prevedeva che un voto per lasciare l'Unione europea avrebbe depresso la crescita economica britannica, ma il 52 per cento degli elettori ha approvato comunque. Solo due dei 40 economisti intervistati dalla Initiative on Global Markets  dell'Università di Chicago, erano d'accordo con l'affermazione per cui un paese può migliorare il benessere dei cittadini, aumentando il suo surplus commerciale o tagliando il suo deficit commerciale, un'idea che è una caratteristica della retorica populista. »

Che il sondaggino fosse becera propaganda non è semplicemente verificabile dal fatto che basterebbe aprire un manuale del primo anno di economia politica per sapere che, avere strutturalmente un deficit commerciale in un'area di libero scambio, non è solo un problemino per la maggior parte degli operatori economici di un Paese, ma è tendenzialmente il motivo principale per cui i disoccupati reclutati nell'esercito industriale di riserva scendono in campo.




(Se non lo sanno i britannici che, pur di continuare a bere il tè alle cinque, riequilibrare le partite correnti, e difendere i sacri valori del libero mercato, hanno sterminato a colpi di cannoni ed overdose da oppiacei milioni di cinesi! )

***
« L'élite americana non ha alcuna vera idea di pace – se non come un ansioso intermezzo che esistente precariamente in virtù del bilanciamento di paura reciproca. L'unico piano seriamente accettato per la pace è la pistola col caricatore pieno. In breve, la guerra o un'elevata tensione da stato di guerra, è avvertito come normale e condizione apparentemente permanente degli Stati Uniti. » (C.W. Mills, Ibid.)
***

Soprattutto, che fosse propaganda particolarmente “becera”, si è visto dalle reali conseguenze della Brexit: il mercato è tornato subito a fare il suo corso con le prospettive economiche in crescita. Proprio come da manuale.

Ma l'elettore-tipo – che la sa lunga, e per le colonne di Jachin Boaz ci è passato – si stizzisce per tanta insipienza: « Maledetti populisti ignoranti che non capite una beneamata di numerologia! Fate il gioco di quei pazzi sanguinari della superloggia Skull & Bones! » D'altronde, il lettore-tipo è liberal & democrat: è nel suo imprinting avere Batman come role model.

Il sacerdote del NYT, a quel punto, pone un interrogativo dal retrogusto di sovversivismo intellettuale: « Ma cosa succede se questa distanza tra l'élite economica e il grande pubblico non è stata creata da differenze di competenza, ma da differenze di priorità? »

Il lettore-tipo quasi si soffoca e sputa il plumcake sul tablet: i bocconi masticati per qualche momento coprono i caratteri dell'articolo. Ciò gli procura sollievo; ma la mattinata pare ormai definitivamente rovinata.

« Priorità! » – sibila digrignando i denti, e ripulendo lo schermo lcd – « maledetto prete che si mette a ragliare di valori e moralità: questi sono solo subumani inefficienti! È necessario selezionare la specie... l'eugenetica... chiaramente non come quella dei nazisti... io sono liberal... ma come quella degli inglesi in Bengala... proprio come dicevano Darwin e quello dei cereali... come si chiama... Malthus! »

Stava provando emozioni per qualcosa che non era un grafico o un'analisi di bilancio.


Si stupì.


2 - Vilfredo Pareto; ovvero come la matematizzazione delle scienze sociali non è altro che pura filosofia morale; rigorosamente etilista. Pardon!, “elitista”  [Tempo di lettura: 3m e 40s - clicca per tenere il passo con i tempi...]




« La morale tipo è stata considerata come alcunché di assoluto; rivelata od imposta da Dio, secondo il maggior numero; sorgente dall'indole dell'uomo, secondo alcuni filosofi. Se ci sono popoli i quali non la seguono ed usano, è perché la ignorano, e i missionari hanno l'ufficio di insegnarla ad essi e di aprire gli occhi di quei miseri alla luce del vero; oppure i filosofi si daranno briga di togliere i densi veli che impediscono ai deboli mortali di conoscere il Vero, il Bello, il Bene, assoluti; i quali vocaboli sono spesso usati sebbene nessuno abbia mai saputo cosa significassero[12], né a quali cose reali corrispondessero. » (V. Pareto, Ibid. II, 18)
***
« Eppure gli uomini in ogni tempo hanno ragionato come se morale e giustizia avessero esistenza propria, a ciò tratti dalla tendenza, che in essi è fortissima, di dare carattere oggettivo ai fatti soggettivi, e dal bisogno prepotente di ricoprire con una vernice logica le relazioni dei loro sentimenti. Simile origine hanno la maggior parte delle dispute teologiche, nonché il concetto veramente mostruoso di una religione scientifica.[13] » (V. Pareto, Ibid. II, 19)
***
« I precetti morali sono spesso volti ad assodare il potere della classe dominante, spessissimo a temperarlo.[14] » (V. Pareto, Ibid. II, 80)
***
« Si suole ragionare come se le massime morali avessero origine esclusivamente da coloro a cui impongono certe norme di fare, o di non fare, ma in realtà esse hanno altresì origine da coloro che ne ritraggono qualche vantaggio. Chi desidera che altri faccia cosa alcuna in suo pro, ben di rado esprime schiettamente tale desiderio; egli stima miglior consiglio di dargli forma di un concetto generale o di una massima morale. » (V. Pareto, Ibid. II, 81)
***
« Nelle società ove più crudele è l'usura, si hanno massime morali maggiormente ad essa contrarie. » (V. Pareto, Ibid. II, 82)
***

L'esegesi gematrica dell'economia volta all'etica dei valori, prosegue con rigorosità clericale; Irwin insiste: «Consideriamo un esperimento pubblicato l'anno scorso sulla rivista Science. Quattro economisti hanno messo alla prova persone con una simulazione al computer in cui potevano essere sia avide, e tenere dei gettoni che avevano valore in denaro reale, o condividerli con gli altri.
Il punto: se li condividevano, il numero totale di gettoni sarebbe diminuito. In altre parole, più equamente la torta veniva divisa, meno torta c'era da sbaffarsi. C'era una proporzione inversa tra equità e massimizzazione del reddito, un caso di efficienza economica. 
»

Cos'è l'Etica se non la ricerca di un ottimo paretiano!

Il lettore-tipo – con un moto di commozione e slancio mistico – si raffigura Gesù tra i discepoli, in riva al lago di Tiberiade, tracciare nella sabbia una scatola di Edgeworth e spiegare come allocare in modo pareto-efficiente pani e pesci.

(Poi, come si sa, barò)


***
« La solidarietà è sempre ottima per ricevere, non è mai buona per dare. L'operaio che guadagna dieci lire al giorno stima che, in nome della solidarietà, il ricco a lui deve far parte delle sue sostanze; ma troverebbe ridicolo che a lui si chiedesse, in nome di quella stessa solidarietà, di far parte del suo guadagno a chi ha di salario una lira o poco più al giorno. »[15] (V. Pareto, Ibid. II, 91)
***

Il sacerdote digitalizzato, però, lo colpì con un'improvvisa biblica rivelazione: « Tra il pubblico americano, circa la metà di quelli che avevano partecipato all'esperimento, aveva preferito l'equità all'efficienza ».

Stupore.

Uno shock. Il lettore-tipo: « Ecco perché c'è gente che muore di fame! Proletari! Subumani! Sudici individui da eliminare! » Con una sberla spappola una mosca sul tavolino.

Don Neil, prontamente, ricorda qual è la differenza tra un ceto dominante ed uno subalterno: chi si può permettere di studiare a Yale – quindi già darwinianamente selezionato – se ne batte dell'equità nell'ottanta per cento dei casi e si pappa la torta. E con gran gusto.

Per questo costoro diventano classe dirigente.

La classe dirigente è geneticamente orientata all'efficienza.

Ma c'è un problema: la globalizzazione è trent'anni che lascia vittime sul campo; non tutti sono disposti a emigrare come dei pezzenti perché la libera circolazione delle persone è “efficiente”. Non tutti vogliono pagare affitti stellari perché l'equo canone distorce il mercato immobiliare.

Cos'è la perdita di qualche posto di lavoro se, nel complesso, la ricchezza totale aumenta?


(Anche se in realtà i dati dicono tutt'altro sulla relazione tra liberoscambismo, disuguaglianze e crescita globale... ma, come ricorda sempre Ha-Joon Chang, oltre a troppa matematica inutile, si studiano troppo poco i dati storici)




Irwin ricorda quanto è moralmente deplorevole questo atteggiamento della plebe.

Il problema però, spiega, è che chi ha avuto la vita distrutta perché il padre tre decenni fa ha perso il lavoro a causa della globalizzazione, è ancora incazzato; e vota Trump.

Il lettore-tipo capisce che il chierico lo sta invitando a trovare l'ottimo paretiano nell'allocare la sua fetta di plumcake ed i “costi da revanscismo populista”.

***
« La famiglia fornisce all'esercito e alla marina i migliori uomini e ragazzi che possiede. E, come abbiamo visto, l'istruzione e anche la scienza stanno diventando mezzi funzionali agli scopi perseguiti dai militari. » (C.W. Mills, Ibid.)
***

Dopo questo barocco viaggio nella psicosi e nella sociopatia, noi ci chiediamo: quindi, se il prezzo della globalizzazione dovrà essere una immane guerra mondiale – piuttosto che dividere la torta –  che le trombe d'assalto squillino? Le nostre vite sono forse grottescamente in mano ad una gigantesca scatola di Edgeworth?





Si comprende la qualità di una élite – nel profondo – dal gusto estetico.


3 – Spirituali conversazioni: Charles Wright Mills, Vilfredo Pareto e Friedrich Nietzsche. [ Tempo di lettura 9m e 55s: clicca per tenere il passo con i tempi...]

« Tutti gli uomini sono stati creati uguali », Filippo Mazzei, 1776
« L'unica scusante di Dio è che non esiste », Stendhal
« Se esiste la Trinità di Rublëv, allora Dio esiste »Pavel Florenskij, “Iconostasis”




Andrei Rublëv: Trinità, 1422 circa

Michail Vasil'evič Nestorov:  Filosofi (Ritratto di Pavel Florenkij e Sergej Bulgakov), 1917, Olio su tela,  Galleria Tretjakov, Mosca, Russia 

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« [Secondo i liberisti, i]l mercato è sovrano, e nella magica economia delle piccole imprese non esiste un un'autorità centrale [...] nella sfera politica [...] l'equilibrio dei poteri prevale, e quindi non vi è nessuna possibilità di dispotismo. » (C.W. Mills, Ibid. p.242)
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« La “democrazia” degli Stati Uniti d'America ha per principio l'eguaglianza degli uomini; ed è perciò che in quel paese civile si linciano negri ed italianisi vieta l'immigrazione cinese, e si muoverebbe guerra alla Cina, se a loro americani fosse vietato di andarci. »[16] (V. Pareto, Ibid. II, 91)
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« L'economia – una volta formata da una grande quantità di piccole unità produttive disperse ed autonomamente in equilibrio, è ora dominata da due o trecento aziende giganti, amministrativamente e politicamente interdipendenti [...] L'ordine politico, una volta che un insieme decentrato di diverse decine di Stati con un debole midollo spinale, è diventato una struttura esecutiva centrale che ha avocato a sé molti poteri in precedenza sparsi [...] L'ordine militare, che una volta era una struttura snella in un contesto di diffidenza alimentata dalle milizie di stato, è diventato l'apparato più grande e costoso del governo. » (C.W. Mills, Ibid. p.7)
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« [I]l pathos aggressivo è un elemento necessario della forza, così come il sentimento di vendetta e di rancore lo è della debolezza. La donna per esempio è vendicativa: ciò è intrinseco nella sua debolezza, così come la sua sensibilità per la miseria altrui»  (F.W. Nietzsche, Ibid.)
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« Il crescere della democrazia ha dato vigore al sentimento di eguaglianza tra i due sessi; ma è probabile che maggiormente ha operato il non esservi più state guerre; poiché è in queste che principalmente appare la superiorità dell'uomo» (V. Pareto, Ibid. II, 87)
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« L'asserzione che gli uomini sono oggettivamente eguali è talmente assurda, che non merita neppure di essere confutata. Invece, il concetto soggettivo dell'eguaglianza degli uomini è un fatto di gran momento, e che opera potentemente per determinare i mutamenti che subisce la società. » (V. Pareto, Ibid. II, 102)
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« L'idea che l'élite sia composta di uomini e donne caratterizzate da una più raffinata moralità è un'ideologia dell'élite. » (C.W. Mills, Ibid. p.14)
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« L'eguaglianza dei cittadini dinanzi alla legge per molti è un dogma; ed in tal caso sfugge alla critica sperimentale. Ma, se ne vogliamo discorrere scientificamente, vedremo tosto che non è punto evidente a priori che tale eguaglianza debba essere di vantaggio alla società; anzi, considerando l'eterogeneità della società stessa, il contrario pare più probabile. » (V. Pareto, Ibid. II, 109)
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« Si vede ora quanto sia grande soggettivamente il valore del concetto dell'uguaglianza degli uomini, che oggettivamente è nullo. Esso è il mezzo comunemente usato, specialmente ai tempi nostri, per torre di mezzo un'aristocrazia e sostituirla con un'altra. » (V. Pareto, Ibid. II, 107)
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« Le persone con dei vantaggi sono restie a credere che gli è semplicemente capitato di essere persone con dei vantaggi. Arrivano facilmente a definirsi come intrinsecamente degni di ciò che possiedono; arrivano a credersi élite “naturale”, e, in effetti, ad immaginare i loro beni e i loro privilegi come naturali estensioni di se stesse in quanto élite » (C.W. Mills, Ibid. p.14)
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« Gli uomini, quando a loro giovi, possono prestare fede a una teoria di cui conoscono poco più che il nome; il che del rimanente è fenomeno generale in tutte le religioni. La maggior parte dei socialisti marxisti non hanno lette le opere del Marx. » (V. Pareto, Ibid. II, 108)
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Ma lasciamo l'ultima parola all'esimio “nobile polacco”:

« Per tutto ciò che oggi viene chiamato nobiltà io nutro un sentimento di superiorità e di distinzione – non concederei mai al giovane imperatore tedesco l'onore di farmi da cocchiere.  […] Tutte le idee dominanti sui gradi di parentela non sono che un controsenso fisiologico senza pari. Il papa lavora ancora con questo controsenso. Ai propri genitori si è affini meno che a chiunque altro: sarebbe un segno di estrema volgarità essere affini ai propri genitori.Tutte le idee dominanti sui gradi di parentela non sono che un controsenso » Friedrich W. NietzscheEcce Homo, Autunno 1888, “Perché sono così saggio”.













( Agli ottimati paretiani e ai Fognatori spinelliani, che non distinguete un sogno dalla psicotropia finanziaria: quando vi sveglierete sarà troppo tardi )






[12]     Si noti la forte discrepanza con Nietzsche, che, comunque, fa della morale una questione estetica.
[13]     Husserl proponeva, ad esempio, un approccio scientifico – fenomenologico – alla religione in contrapposizione – appunto – alla teologia.
[14]     Su questa considerazione si apre un mondo: come Nietzsche sottolinea che la “morale degli schiavi” non è tanto qualcosa che inibisca  lo schiavo nell'emanciparsi dal padrone, ma è qualcosa che psicologicamente limita la libertà – si parla infatti di norma morale – alimentando scrupoli nell'agire del padrone contro lo schiavo e producendo decadenza. [Per Nietzsche la morale dello schiavo nasce dalla dialettica tra la casta sacerdotale e quella guerriera] Quindi: la “perfetta” società in caste si realizza nel momento in cui “la morale degli schiavi” e la coscienza sociale vengono sbriciolate. [Si ricorda a proposito che Benito Mussolini seguì in Svizzera le lezioni di Pareto e approfondì – sempre in tal soggiorno – aspetti del pensiero nicciano].
[15]     Quel furto della progressività delle imposte!
[16]     Psicosi, liberalismo e dissociazione cognitiva.

MPS, NPL E RICAPITALIZZAZIONI SISTEMICHE: L'ECONOMIA REALE SENZA VIA D'USCITA IN NOME DELL'EURO.

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1. Nella confusione iperbolica che, come di prammatica, regna nell'informazione ("ufficiale") italiana, la crisi bancaria sistemica nazionale, avente attualmente il suo epicentro in MPS, può riassumersi in due proposizioni tra loro complementari:
a) l'adesione, in preda alla follia filo-€uropeista, all'Unione bancaria, avendo previamente ignorato gli effetti sull'economia reale, e quindi, in termini di disoccupazione, deindustrializzazione e insolvenze diffuse, del fiscal compact (qui p.7).Da ciò una "policy-induced crisis" (che è poi, in soldoni, un ital-tacchino da spennare prima di infornarlo): che equivale a dire che, in assenza dell'adesione alle regole del fiscal compact e dell'Unione bancaria non staremmo a parlare di crisi;
b) l'impossibilità giuridica, in base ai trattati, di adottare tutte quelle misure che sarebbero logiche e, ancor più, costituzionalmente obbligate, per i massimi organi di governo della Repubblica, ai sensi dell'art.47 Cost - da considerare, in base ai lavori preparatori dell'Assemblea Costituente, norma fondamentale, di tutela del risparmio, inderogabile da qualsivoglia trattato ai sensi degli artt. 11 e 138 Cost..

2. In modo più empirico e sensibile alla logica dei mercati, aveva espresso un concetto simile a quanto ora detto al punto b), l'amico Paolo Cardena, qualche settimana fa:
"Dicevamo in apertura della violenza con la quale, da  settimane (se non da mesi), i mercati stanno colpendo il settore bancario, a mio avviso, in alcuni casi, anche in maniera troppo severa.
L'idea che sto considerando è quella secondo la quale i mercati, proprio perché indotti dal dilettantismo con il quale il governo e i regolatori hanno affrontato fino questo momento la questione bancaria, diffidando della credibilità degli interlocutori,  stiano spingendo il governo (e la Ue) ad adottare misure di sistema decisamente ampie e robuste, tali da demolire ogni possibile dubbio sulle condizioni di alcune banche e, più in generale, dell'intero sistema bancario italiano".

3. Riassumiamo i termini del cul de sac in cui è finito il governo, in quanto preso nella rete delle soluzioni demenziali €uropee, a cui non pare poter rinunciare, in assenza del minimum di risorse culturali, desertificate da decenni di €-ordoliberismo, distruttivo del senso della legalità costituzionale e del buon senso economico.
Gli stress tests EBA-vigilanza BCE hanno evidenziato la situazione di enorme difficoltà di MPS, lasciando peraltro, è bene rammentarlo, una finestra temporale di durata residua dell'operatività dell'istituto, - prima di considerare lo stato di dissesto ai sensi dell'art.32 della direttiva UE sulle "risoluzioni bancarie"-, fino al 31 dicembre 2016.
Tenuto conto di tale scadenza, si è stabilito, tra governo e vigilanza UE, di percorrere una strada "di mercato" che prevenga lo stato di dissesto eliminandone le (presunte) cause: in sostanza "qualcuno" dovrebbe rilevare i non performing loans accumulati dal Monte, che ammonterebbero a 27,7 miliardi. L'operazione, secondo la vigilanza, dovrebbe essere completata al più tardi entro il 2018
Il prezzo di dismissione di questi crediti in sofferenza (previa loro cessione a una "newco" e mediante cartolarizzazione e successiva vendita di tali titoli) sarebbe fissato in un improbabile 35% del valore nominale, laddove attualmente figurano in bilancio con un valore, al netto delle immobilizzazioni a riserva già effettuate, di circa il 55%, avendo cioè contabilizzato e "ricoperto" una perdita pari al 45% del valore "facciale".
   
4. Dunque,  si consoliderebbe un'ulteriore perdita pari a circa la differenza tra il valore della cartolarizzazione e quello di attuale indicazione in bilancio: si tratta, evidentemente, di un 20% (l'esattezza delle percentuali va presa con le pinze, allo stato)  di 27.7 miliardi: il che porta, nella situazione rilevata dagli stress test, alla conseguente esigenza di un aumento di capitale, per l'appunto, di circa 5,5 miliardi e alla simultanea esigenza di piazzare, presso "investitori" vari, i NPLs a circa 9,7 miliardi.
Chi sottoscriverebbe questo aumento di capitale? 
E soprattutto, chi sarebbe disposto ad acquistare i NPLs ad un prezzo che, come abbiamo visto, non pare essere corrispondente a quello di mercato (qui p.4); e ciò anche tenendo conto della possibilità di distinguere, nelle operazioni sottostanti, (qui p.5 e 5 bis), i crediti garantiti da ipoteca o da altra efficace garanzia reale e anche scontando l'aggredibilità dei beni in garanzia mediante una (rapace) gestione del recupero e sfruttando la nuova possibilità del "patto Marciano" (qui, in relazione ai d.lgs 59 e 72/2016)? 

5. Il fondo Atlante non dispone di queste cifre (avendo, pare, un residuo di "munizioni" di soli 1,7 miliardi): né per acquistare i NPLs né per coprire l'aumento di capitale.
All'acquisto dei primi, in decisivo supporto dell'insufficiente provvista di Atlante, provvederebbe un prestito-ponte di 6 miliardi da parte di JP.Morgan e Mediobanca(che comunque andrebbe poi rimborsato...ci mancherebbe!).Ma sempre mentre le varie agenzie di rating saranno occupate, nei prossimi mesi, a valutare in tre tranches diverse il sottostante, cioè la ratio presumibile di recuperabilità dei crediti in funzione delle relative garanzie. 
La tranche "senior" cioè quella che risulterà di maggior valore di realizzo, avrà pure la garanzia pubblica pro-solvendo (cioè quel livello di realizzo sarà comunque assicurato dalle finanze statali).

Dunque, l'esigenza "finale" di ricapitalizzazione, strettamente conseguente alle perdite ulteriormente consolidatesi con l'operazione di cessione delle sofferenze, è destinata a precisarsi, si prevede, all'incirca nel mese di novembre: quel che è certo è che non saranno JP.Morgan e Mediobanca da sole ad effettuarla, esigendo il concorso di altri soggetti investitori istituzionali, interessati a scongiurare l'instabilità di sistema che ne deriverebbe.

6. Ma qui torniamo a quanto detto sub 1, b) e da Paolo Cardena, circa l'esigenza di intervento pubblico e di segnali forti ai mercati, senza cui, sarà altamente improbabile che qualcuno possa investire in capitale azionario MPS senza avere la prospettiva probabilissima di vedersi bruciare le "risorse" in un buco nero inarrestabile. 
E questo sia perché l'operazione di cessione-sofferenze, dati prezzi e attitudine del mercato, risulta altamente incerta, sia perché, nel contempo, anche altri grandi istituti bancari italiani, in testa Unicredit, potrebbero essere impegnati a rastrellare liquidità sul mercato, per proprie autonome e concomitanti esigenze.
Che, tra l'altro, sono tutte figlie della (il)logica della metodologia seguita negli stress test, che non considerano, rispetto ad altri sistemi bancari €uropei, i ben più imponenti problemi di ricapitalizzazione che si porrebbero ove i derivati e i titoli strutturati "level 3" nella pancia degli istituti tedeschi (e francesi) fossero visti per quello che sono: praticamente valori "zero" accreditati, indisturbati, a "mark to fantasy".
Più policy-induced crisis di così...

7. Ovviamente, in questa situazione, uno strisciante senso di realismo politico tende a preparare una soluzione tutta pubblica che, però, avrebbe tempi di intervento ristrettissimi, collocandosi tra novembre, - cioè quando si potrà constatare l'esito della "libera" ricapitalizzazione affidata al mercato (e della attendibilità-appetibilità effettive della prezzatura per tranches dei cedendi NPLs)-, e il 31 dicembre, quando MPS non sarà più considerata solvibile e si dovrebbe perciò provvedere alla piena applicazione del sistema di risoluzione mediante burden sharing di azionisti, obbligazionisti e correntisti. 
E questo secondo le regole €uropee che, fin da ora, si esclude possano vedere l'autorizzazione di una deroga, quale prevista dall'art.32, par. 4, lettera d) della direttiva 2014/59/UE("4.   Ai fini del paragrafo 1, lettera a), l’ente è considerato in dissesto o a rischio di dissesto in una o più delle situazioni seguenti:..d) l’ente necessita di un sostegno finanziario pubblico straordinario, ad esclusione dei casi in cui, al fine di evitare o rimediare a una grave perturbazione dell’economia di uno Stato membro e preservare la stabilità finanziaria, il sostegno finanziario pubblico straordinario si concretizza in una delle forme seguenti:..."): almeno a sentire la Vestager e la Corte di giustizia UE, come abbiamo visto in questo recente post in argomento.

8. Dunque, in un solo anno dalla entrata in vigore del d.lgs di recepimento dell'Unione bancaria, in quanto innestata sulla fiscalità €uropea distruttiva dell'economia reale per salvare l'euro (e solo per questo), l'Italia si ritrova in una scontata, quanto ostinatamente perseguita, situazione irrisolvibile: almeno secondo ragionevoli previsioni e il buon senso.
Inutile nascondere che l'effetto del bail-in, sempre più all'orizzonte, coinvolgente il MPS, sarebbe da inserire nellainterdipendenza delle molteplici situazioni di rischio intrecciato, sugli stessi debitori insolventi, tra i vari istituti di credito e gli effetti sarebbero una vera e propria "chain reaction".

8.1. Ma anche ipotizzando una disperata volontà delle autorità italiane di intervenire con soldi pubblici, entro il 2016 e "a catena" nel 2017, il volume dell'intervento finanziario pubblico progressivamente divenuto inevitabile, e la concomitante esigenza di coprirne l'onere di bilancio, mediante misure fiscali a dir poco draconiane (già immaginabili su pensioni e sanità...e ampliamento delle basi imponibili), porterebbe l'intera economia italiana in una violentissima fase depressiva, già nel corso del 2017 e, comunque, al più, inevitabilmente, negli anni seguenti
E questo innescherebbe una nuova ondata di inadempienze, fallimenti, disoccupazione e, quindi, di sofferenze bancarie per imprese e famiglie.
Il problema non è di investitori di soccorso (estero), interessati a impossessarsi del sistema bancario italiano a prezzi a dir poco stracciati: il problema è di economia reale e di sua possibilità di sopravvivere alle regole €uropee. 
E questo problema ha un solo nome: l'euro, il volto peggiore, contemporaneo, della follia totalitaria neo-liberista.


IL GRANDE INGANNO DEL TOTALITARISMO PACIFISTA NELLA COSTRUZIONE €UROPEA. **

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1. Il discorso qui svolto, ha sempre avuto di mira gli antecedenti storico-economici ed istituzionali dell'idea federalista europea: abbiamo rammentato quello che, con esattezza profetica, avevano detto, dell'idea del "federalismo interstatale", Lenin e Rosa Luxemburg, e lo stesso Gramsci (p.10), circa l'inevitabile natura di spartizione imperialista della "torta"€uropa, - ovviamente tra i paesi più forti che avrebbero promosso tale assetto per via di trattati-, che avrebbe assunto: un esito che così bene aveva teorizzato Hayek, riprendendo e, anzi, accentuando (data la mancanza di una lingua e di un'effettiva tradizione culturale comuni) l'idea di Madison espressa in "The Federalist".
Abbiamo visto, tra l'altro, come Caffè, avesse costantemente evidenziato gli inconvenienti - che dal punto di vista degli hayekiani (cioè, nella sostanza strategica, di tutti i federalisti, anche quelli tatticamente più pragmatici e meno paludati di altisonanti filosofie, come Robbins), sono tutt'ora visti come dei pregi- di un liberoscambismo ossessionato dalla competitività esterna e dall'apertura indiscriminata delle economie (v. qui, p.8), a scapito di ogni azione sovrana dei governi per tutelare la piena occupazione come mezzo di democrazia sostanziale per costruire una società del benessere pluriclasse.

2. Potremmo allungare il discorso ulteriormente, menzionando gli innumerevoli indizi di conferma di questa effettiva finalità del federalismo europeo e delle sue dissimulazioni tattiche, per contrabbandare come pace la sterilizzazione progressiva delle sovranità democratiche, definite, senza alcuna remora e con infinito cinismo, come "nazionalismo guerrafondaio" (cioè con la consapevolezza di raccontare qualcosa di non vero, ripetendolo talmente tante volte da renderlo un'iperconvinzione orwelliana di massa). 
Questa dissimulazione tattica, è stata obiettivamente indispensabile, e risulta infatti di comune e coerente trasmissione nelle generazioni dei "padri fondatori" dell'€uropa
Parliamo di quelli effettivi, tipo Monnet, Amato e, naturalmente, l'Hayek dei tempi gloriosi della fondazione della Mont Pelerin Society: molto di più dell'ingenuo, - o meglio: "per ingenui"-, Manifesto di Ventotene, il cui ruolo fondativo, debitore della dominanza ideologica liberal-restauratrice di Einaudi e Robbins, è sostanzialmente una narrazione tutta italica di un processo fondativo che si è avvalso di ben più efficaci spinte, interne alla comunità oligarchica dei capitalisti propugnatori del governo dei mercati.

3. Nel fare questo riassunto introduttivo ho inserito dei links: ovviamente affinché possano essere letti. 
Più in generale, il discorso è stato in buona sostanza illustrato nella ricostruzione operata con "La Costituzione nella palude": le acquisizioni seguite a tale libro, grazie ai successivi contributi di Bazaar, Arturo, Francesco Maimone e altri (non vorrei dimenticare qualcuno), permetterebbero, già ora, di scrivere un ulteriore libro che raccolga in modo sistematico, come più di qualcuno ci ha chiesto, questo ulteriore quadro storico e di irresistibili politiche economico-istituzionali che fanno capo alla costruzione €uropea. 
E che dipingono un quadro che sfocia in un totalitarismo neo-liberista, condito dalla versione pan-germanica dell'ordoliberismo: un totalitarismo di cui gli stessi originali federalisti (cioè lo stesso Madison), avevano individuato i presupposti di instaurazione, solo parzialmente temuti (cioè un rischio che, tutt'ora si ritiene che valga la pena di correre). 
E questo (tiepido) timore era presente ben al di là della connessa, ma più pragmatica, formulazione di Hayek sulla preferenza per una dittatura, laddove la democrazia idraulica dovesse fallire la sua cosmesi di pre-indirizzo del consenso; cosmesi che, tanto bene aveva individuato Gramsci, ironizzando sulle lamentele, relative al voto "ottuso" delle maggioranze popolari, dei sostenitori delle "democrazie liberali" (p.14.1.), oggi reimposteci come forma di governo a totale obliterazione dei principi immodificabili della Costituzione del 1948.

4. Probabilmente, tale libro si farà, sempre, come sapete, nei limiti di tempo disponibile rispetto ad un così vasto lavoro di riorganizzazione di fonti, che costituisce un quadro impressionante della cosciente pianificazione dell'ordine sovranazionale dei mercati fattosi, strumentalmente, aspirazione ideale alla "pace" tra le Nazioni_
Una pianificazione che ha incredibilmente venduto tale false flag della "pace", in un'operazione di marketing mediatico che non ha precedenti nella Storia, a centinaia di milioni di cittadini, simultaneamente deprivati dei mezzi interpretativi per decodificare il vero disegno sottostante e per arrivare, di fronte agli effetti nefasti subiti nel concreto delle proprie esistenze, ad identificare i reali meccanismi di causa/effetto

Si tratta del "famoso" (almeno tra i pochi "consapevoli" che hanno la motivazione a voler sfuggire alla grancassa mediatica orwelliana) e gigantesco disegno promozionale di autoidentificazione delle classi colpite, - essenzialmente la massa della medio-piccola borghesia in via di neo-proletarizzazione-, con gli interessi delle elites, in nome della condivisione autolesionistica dell'obiettivo di abbattere il ruolo dello stato sovrano e pluriclasse, limitandone "il perimetro" e accettando che lo Stato, privato di sovranità monetaria e fiscale, sia "come una famiglia"

5. Una cialtronata che serve, a sua volta, a dissimulare la sua vera pietra angolare, lasciandola inavvertita su uno sfondo remoto (rispetto al senso comune delle masse), come una batteria di cannoni potentissimi, posti sulla collina e di cui si subisce il bombardamento da decenni, senza minimamente pensare ad alcuna azione di autoprotezione e di neutralizzazione:la dottrina delle banche centrali indipendenti.
Questo "paradosso europeo", d'altra parte, è l'altra faccia della FORMIERTE GESELLSCHAFT, cioè della "macchina" del neo-ordo-liberismo e del lavoro-merce (contraffatto sotto la "tutela del consumatore"), che è stato così realizzato con tutti i suoi automatismi antidemocratici e antiumanitari.

6. Sul libro, se siete riusciti a seguire fino a qui il discorso con interesse, considerati i temi che sarebbero da affrontare (finalità effettive della costruzione europea, tattiche iniziali e attuali di dissimulazione, controllo sociale ed dei processi elettorali, totalitario, per via mediatica, prospettive di sua "irrinunciabile" conservazione ad ogni costo), mi trovo a chiedere a tutti i lettori più attenti un consiglio preliminare: come intitolarlo senza dover utilizzare una terminologia "respingente" che, pure sarebbe esatta dal punto di vista delle scienze sociali e della fenomenologia che dovrebbe ispirare la relativa ricerca.
Non mi troverei in totale accordo nemmeno con me stesso, dovendo intitolare un libro, rivolto a "risvegliare" coloro che sono immersi nel paradigma della proiezione identificativa autolesionista, "Totalitarismo e federalismo europeo", ovvero "Controllo sociale neo-liberista e conflitti sezionali", o altro ancora che ricomprenda tutti tali concetti complessi. 
E, d'altra parte, l'ennesimo libro "suggestivo" quanto inutile, pronto a subire l'etichettatura di bislacco e complottista, specie in un contesto accademico come quello italiano, non potrebbe fare a meno di riportare nel titolo qualcosa che ricordi questi stessi concetti.

7. Lasciandovi, per ora, con questo cortese invito "ideativo" di un titolo che concili queste contrastanti esigenze, mi pregio di riportarvi un brano tratto da un articolo di un giornalista economico irlandese, Vincent Browne, che, essendo giornalista (vantaggio non da poco), può svolgere il discorso essenziale riportato ne "La Costituzione nella palude" - e che merita appunto l'ulteriore approfondimento sistematizzato di cui abbiamo appena parlato- con questo (come si suol dire) "folgorante incipit":
"THE EUROPEAN UNION, its elites, its hyper fans had this coming to them.
They deliberately devised a supposedly idealistic project of a united Europe, founded on the subversion of democracy across the continent – the exclusion of the meddlesome masses, on an agenda that, inevitably, was going to deepen inequality.
All the bluster of a “social Europe” was just that. It was, essentially, never about anything other than the further enrichment of the rich, right from the inception of the European Coal and Steel Community in 1951.
One of the “visionary” founders of the European project, Robert Schuman said that European Coal and Steel Community was “to make war not only unthinkable but materially impossible” – and he may have believed that.
But what became of it was a huge cartel that enriched the shareholders and managers of the coal and steel industries. And so it has continued ever since.
The Euro project has progressed by similar deceptions."
8. Traduzione
"L'Unione Europea, le sue elites, i suoi accaniti fans, si trovano ora ad affrontare questo.
Essi hanno deliberatamente escogitato un progetto di europa unita presuntamente idealistico, fondato sulla sovversione della democrazia nell'intero continente, con l'esclusione delle masse della medio-piccola borghesia, in un'agenda che avrebbe inevitabilmente acuito l'ineguaglianza.
Tutto il blaterare di una "Europa sociale" era solo tale. Consisteva, essenzialmente, in niente altro che l'ulteriore arricchimento dei ricchi, fin dal concepimento della Comunità europea del carbone e dell'acciaio nel 1951.
Uno dei fondatori "visionari" del progetto europeo, Robert Schuman, disse che la Comunità europea del carbone e dall'acciaio avrebbe dovuto "rendere la guerra non solo impensabile ma materialmente impossibile", e forse ci credeva persino.
Ma ciò che in effetti si manifestò essere consistette in un  gigantesco "cartello" che arricchì gli azionisti e i managers delle industrie di carbone e acciaio. E da allora si è continuato con inganni analoghi".


PROF.STIGLITZ, IT'S TOO LATE FOR WISHFUL THINKING.*

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1. Dunque: il libro di Siglitzè pubblicato e ne circolano anche svariate recensioni: e tutte si possono definire "adesive", nel senso che ne condividono quantomeno l'analisi problematica, che ripercorre la serie di errori e di assurdità teorico-economiche che hanno caratterizzato l'applicazione e gli effetti disastrosi, a dir poco, della moneta unica. Ma, del libro, evidenziano pure le contraddizioni.




Voci dall'estero ci ha riportato un "doppio" commento di Sapir sempre al libro di Stiglitz e al quasi contemporaneo volume di Mervyn King, sempre sull'argomento della crisi della moneta unica.
Al di là dei rispettivi presupposti di teoria economica, entrambi gli autori prevedono una imminente grave crisi politica oltre che economica come futuro sviluppo inevitabile di un elemento "culturale" che qui abbiamo molte volte analizzato: le elites €uropee, in perfetta ed inevitabile continuità con l'intero paradigma pianificato da oltre 60 anni, concepiscono qualsiasi soluzione solo come un'intensificazione degli stessi meccanismi e delle stesse aspettative che hanno caratterizzato la loro azione immutabile.

2. Da un intervista al New York Times, rilasciata in occasione della pubblicazione del libro, Stiglitz, per parte sua, dà conferma della contraddizione sopra accennata, che può essere riassunta nel seguente passaggio. Richiesto se le "istituzioni"€uropee siano propense ad un riesame della loro "filosofia economica", Stiglitz risponde:
Mi piacerebbe che ciò accadesse. Sfortunatamente, ciò che ho visto è praticamente l'opposto. E' un approccio aggressivo quello tenuto dai leaders europei alla Brexit; esponenti come il presidente della Commissione Jean-Claude Juncker, hanno affermato: "Saremo molto, molto duri con il Regno Unito, perché vogliamo assicurarci che nessun altro paese se ne vada".Per me è stato scioccante. Si spera che si desideri stare nell'UE perché ciò apporta benefici, perché c'è un credo nella solidarietà europea, la convinzione che che l'UE porti prosperità. Egli invece afferma che l'unico modo in intendono tenere insieme l'UE è tramite la minaccia di quel che accadrebbe se si pensa di lasciare.
E ancora, richiesto di indicare quali siano gli strumenti per realizzare quello che, tutt'ora, Stiglitz ritiene "the best scenario", cioè una riforma della moneta unica che la possa "salvare", egli ribadisce: 
Un'unione bancaria con un'assicurazione dei depositi. Qualcosa di simile agli eurobond. Una BCE che non sia focalizzata solo sull'inflazione, ma auspicabilmente sul pieno impiego. Una politica fiscale che si incentri sulle ineguaglianze. E occorre liberarsi dei limiti sui deficit statali".Nel finale, peraltro, Stiglitz ammette che tutto ciò è improbabile che avvenga: "E' difficile credere che il cercare di cavarsela nel modo attuale possa continuare per altri 5 anni. La Grecia è ancora in depressione, non meglio di un anno fa. La cosa più verosimile è che in un paese o in un altro ci sia abbastanza supporto per un altro referendum, e ne derivi l'exit. Ciò darà inizio al processo che sbroglierà il pasticcio dell'eurozona. 
3. Sapir, nel commento citato al libro di Stiglitz, fa questa chiosa finale: 
"Stiglitz è perfettamente consapevole dell’enorme costo politico che la creazione dell’euro nella sua forma attuale ha causato. 
Anch’egli annuncia una crisi che sarà tanto politica quanto economica, a meno che i paesi dell’eurozona non decidano di dissolvere l’euro in modo ordinato, o di fare in modo che la moneta unica diventi solamente una moneta comune
Confesso di avere dei dubbi su quest’ultima soluzione. Non che non sia intellettualmente attraente. Ma la complessità dei meccanismi che dovrebbero implementarla la rende più che improbabile. È l’altra soluzione, quella di una dissoluzione concertata dell’euro, che si dovrebbe logicamente imporre. 
Ma le resistenze sono molto forti, specialmente tra le élite francesi, che persistono nel non voler vedere la realtà, e che continuano a fare discorsi insensati sui “rischi” ai quali una dissoluzione dell’euro ci esporrebbe. In realtà è proprio il mantenimento dell’euro che espone l’Europa a rischi immensi, sia dal punto di vista economico che da quello politico. È ciò che abbiamo scritto finora su questo blog. 
Si può pensare che l’Unione Europa non sopravviverà all’euro nella sua forma attuale, e che la battaglia per “salvare” l’euro finirà per portarsi via quelle stesse forze che sarebbero necessarie per rimettere in sesto l’Unione Europea. Da questo punto di vista dobbiamo considerare i leader attuali e passati, così come le loro ufficiali opposizioni, in Francia, in Germania e in molti altri paesi dell’Unione Europea, come i peggiori nemici dell’Europa, non nel senso istituzionale, ma nel senso della comunità di popoli che dovrebbe essere mantenuta unita da un obiettivo di pace, prosperità e democrazia". 

4. A Stiglitz, peraltro, vorremmo obiettare che, a parte la scarsa efficacia degli eurobond per riequilibrare le asimmetrie da sbilancio dei conti esteri che rendono disastroso l'euro, la discussione nelle varie istituzioni €uropee di qualsiasi soluzione di questo tipo viene accompagnata dalla condizionalità feroce che corrisponde al progetto del "fondo europeo di redenzione"-ERF, la cui introduzione equivale a un default degli Stati debitori a copertura illimitata (cioè 100% di recovery rate a qualsiasi costo economico-sociale).
Ebbene, Stiglitz, l'americano colto e democratico, queste cose non dovrebbe ignorarle: il modo di intendere la (inesistente) solidarietà fiscale all'interno dell'UEM, è già manifesto e praticamente non negoziabile, da parte dei poteri dominanti in €uropa. 
Così come non dovrebbe ignorare che le regole fondamentali dei trattati impongono, in modo assoluto e altrettanto non negoziabile, i limiti ai deficit statali, anzi il pareggio di bilancio (come proiezione del mito teologico, neo-liberista, dello "Stato come una famiglia") e vietano politiche fiscali redistributive a livello "federale" (cioè che trascenda il sistema fiscale del singolo Stato).

5. Sarebbe quasi inutile ripercorrere le ragioni di questo assetto, perché su esso ci siamo soffermati in lungo e in largo e anche di recente: quello che decisamente è "scioccante"è che Stiglitz, oggi, paia non essersene ancora reso conto e...si sciocchi di quanto affermato da Juncker sulla Brexit (che, tra l'altro, e non a caso, è un problema estraneo all'eurozona). Quanto e cosa ha veramente visto Stiglitz degli eventi, e delle prese di posizione politiche, che negli ultimi anni si sono manifestati nell'eurozona?

La tardività di reazione, quantomeno in termini di realistiche politiche e misure di rimedio, denunciata da Stiglitz, è segno di un problema inquietante. 
Stiglitz è un economista autorevolissimo e anche sinceramente democratico: è in prima fila nel denunciare il carattere sovversivo del TTIP, rispetto al travolgimento di ogni minimo alveo di democrazia statale, e crede, con moderata pragmaticità, nelle politiche fiscali espansive come rimedio sensato ai cicli economici avversi.  
Ma pensare che l'euro possa tirare avanti con espedienti per altri 5 anni significa accettare il rischio di un livello di distruzione dell'economia europea e del riacuirsi della crisi economico-finanziaria mondiale, - che già oggi è sul crinale del suo manifestarsi e che ha come epicentro la situazione dell'eurozona-, che pare sposarsi con l'inconsapevolezza che, nella migliore delle ipotesi, ad esempio, il fondo assicurativo (privato) europeo per i depositi bancari sarebbe attivato nel 2024; e, dunque, anche con l'inconsapevolezza che tutto questo dà il tempo, alla radicale opposizione della Germania, di far svolgere all'unione bancaria il suo vero ruolo di ristrutturazione colonizzatrice e depressiva dell'intera economia del continente.

6. Insomma, le norme dei trattati e le loro applicazionivincolate (TINA), già in buona parte formalizzate dalla tragica combriccola delle oligarchie totalitarie che regolano le istituzioni UE e dei governi che le sostengono, nelle sedi decisive in cui si continuano ad effettuare le stesse scelte (nella logica dell'irreversibilità del paradigma neo-liberista che pure Stiglitz denuncia), bisogna conoscerle: perché sono il vero formalizzarsi della volontà politica, non solo delle istituzioni UE, ma appunto dei governi e delle sottostanti classi dirigenti che votano i trattati e le loro integrazioni. 
Questa volontà politica non può essere realisticamente desunta, o mutata, dal wishful thinking di una propria, per quanto (in gran parte) sensata, visione economico-scientifica. 
Il de jure condito, ad oggi, si sposa coerentemente, in €uropa, con il de jure condendo, e non c'è il minimo spazio per un "altro" de jure condendo. Se non altro per la totale assenza, in chiunque si trovi, a livello UE come in quello nazionale, in posizione decidente, delle necessarie "risorse culturali".

7. Ma la cosa più gravemente indicativa è un'altra: se Stiglitz, - cioè la punta più avanzata dell'autorevolezza scientifico-economica USA, il più accreditato e "democratico" degli esponenti di quella cultura-, la vede così, pensate a cosa possa aver in serbo, per l'€uropa, l'establishment finanziario degli interessi oligarchici che appoggiano la Clinton.
Il problema è dunque questo: si conferma che la costruzione federale europea è quella concezione  restauratrice del capitalismo sfrenato che tanto è stata sospinta dall'insensibile e rudimentale visione degli USA (l'Unione europea è sempre stata un progetto americano) da sempre ostile alle "democrazie del welfare" europee ed alle "Costituzioni antifasciste".


8. La correzione di tutta questa follia, - in cui, contrariamente agli ipocriti enunciati di "pentimento" del FMI, non si è imparato nulla dalla crisi, del 1929 prima ancora che da quella del 2008-, non sarà possibile finché gli USA non saranno mossi da visioni e "interlocutori-informatori" europei più capaci di rappresentare la realtà, piuttosto che le proprie fantasie revanchiste ormai patologiche, e cioè meno fanaticamente asserviti a slogan che già negli anni '80 Caffè considerava inaccettabili e vuoti
Salvo imprevisti, stiamo correndo verso la rinascita di una nuova tragedia mondiale (qui, pp.2-3: la guerra civile mondiale, quale definita da Schmitt, in relazione al dare manolibera al liberoscambismo e ai suoi effetti totalitari). Come sempre accade, quando i neo-liberisti impongono il loro giogo alla società e la vogliono "Grande", cioè globale, per trascinare nel gorgo il mondo intero.


LA CATENA DI COMANDO: TRA WALL STREET-US TREASURY, FMI, WORLD BANK E L'ACCADEMIA (L'epopea Stiglitz vs. Summers) *

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http://us.123rf.com/450wm/iqoncept/iqoncept1105/iqoncept110500036/9552318-una-piramide-che-rappresenta-i-livelli-di-posizioni-e-catena-di-comando-all-interno-di-una-organizza.jpg?ver=6

http://3.bp.blogspot.com/-kAaudn7LRyM/T4mFG7-9siI/AAAAAAAAAWU/2Tk8uLh4syk/s1600/FollowTheMoney-Bank-Pyramid.jpg

1. Il precedente post, che grazie alla "recensione" di Alberto ha suscitato un gran volume di lettori, pone l'esigenza di fare alcuni chiarimenti.
La ricostruzione dei fatti storici registrati negli ultimi decenni, già ora agevolmente accessibili, ci consente di capire le "prevedibilità" del sistema di potere global-finanziario, ad epicentro USA, in modo tale che le sue dinamiche sono direttamente rilevabili e, anzi, esplicitamente dichiarate. Le figura e le vicende dello stesso Stiglitz ci forniscono un parametro altamente indicativo.

Partiamo dal fondamentale scenario degli anni '90 del secolo scorso.
E' la fase in cui il c.d. Washington Consensus trova la sua applicazione in modo che potremmo definire, in molti sensi, "militarizzato", e che, con l'idea del "nuovo ordine mondiale", fa saltare la pallida barriera della tentata democrazia "internazionale" imperniata sul "principio di non ingerenza", mutando irreversibilmente il ruolo delle Nazioni Unite, fino a renderle sostanzialmente un "ente" inutile, - come, a suo tempo, rapidamente era divenuta (sia pure per motivi sovrastrutturali diversi)  la "Società delle Nazioni"; e cioè un organismo che, contrariamente alla sua ragion d'essere originaria, risulta ormai fuori dai giochi effettivi dell'affermazione del nuovo diritto internazionale (tradizionalmente esso si afferma per prassi che divengono consuetudini, fonte suprema in tale campo del diritto...del più forte). 

2. In cosa consista il Washington Consensus possiamo ritrarlo, con passabile attendibilità, da Wikipedia (si tratta di una definizione storica e funzionale su cui, dati gli equilibri di forza attuali, non c'è bisogno di particolare decodificazione della descrizione mediatica).
Come vedrete, l'essenza del fenomeno ha a che fare con l'aspirazione neo-liberista ad abbattere il ruolo dello Stato e a minare il suo fondamento nella sovranità popolare, dunque la capacità di autodeterminazione democratica, basata sulle Costituzioni. Le scelte, in forza di tale "visione", non "possono" più appartenere ai governi democratici nazionali ma devono procedere per la fissazione di principi, ad applicazione automatica e corrispondenti, come vedremo, al diritto internazionale privatizzato.

A sua volta, l'applicazione automatica di tali principi di politica economica e, inevitabilmente, sociale, è volta a ridisegnare (qui, p.3) l'assetto delle classi sociali che compongono le singole comunità, unificando la "massa" in un'unica middle-class di tendenziali working poors (quantomeno di consumatori indebitati e in crescente condizione di rischio di insolvenza): cioè si intende creare una classe unificata di "piccola" (piccolissima, quasi un...neo-sottoproletariato "semicolto") borghesia, - non certo di borghesia "media" che, in tale disegno, deve sostanzialmente scomparire per sopprimere il suo potere di interdizione elettorale, tanto maggiore quanto più grande è la sua, non pienamente controllabile, propensione a votare.Questo fenomeno di de-fidelizzazione dal voto,rafforza l'applicazione delle tecniche di governo del neo-liberismo globale, agevolando il controllo politico sociale: infatti,questo ridisegno tende a massimizzare l'astensionismo e dunque il compimento della funzione meramente idraulica delle elezioni.

3. Il diritto internazionale teso a plasmare l'assetto economico-sociale in luogo degli Stati, può così assumere il ruolo di quello che Lordon denomina il "diritto internazionale privatizzato" (qui p.8), che è un modo di definire, in ragione della fonte del diritto divenuta prevalente, "l'ordine internazionale dei mercati", la cui instaurazione è l'obiettivo genetico dell'intera costruzione europea con un sistema di trattati che precede, a livello di ingegneria sociale sperimentale, e poi interagisce "con" tale paradigma globale: questo sistema, proprio per tale sua ante-genesi europea, si rivela di grande efficacia nell'imporre il Washington Consensus proprio nei paesi non in via di sviluppo, ponendo le premesse, per fatto compiuto, per una imponente "condizionalità" de-sovranizzante gli Stati (qui. pp. 3-7), il cui culmine mondiale è proprio la moneta unica.

4. Fatta questa premessa riassuntiva di un lungo discorso qui svolto da anni (e per cui vale la pena di effettuare il ripasso suggerito dai links), appaiono abbastanza chiari sia la definizione storico-funzionale, sia i contenuti di "principio", del Washington Consensus forniti da Wikipedia:
"L'espressione Washington consensusè stata coniata nel 1989 dall'economista John Williamson per descrivere un insieme di 10 direttive di politica economica abbastanza specifiche che egli considerava come il pacchetto standard da destinare ai paesi in via di sviluppo che si fossero trovati in crisi economica. Queste direttive erano promosse da organizzazioni internazionali con sede a Washington D.C., come il Fondo Monetario Internazionale, la Banca Mondiale, e il Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti d'America[1]. Tra le direttive del "pacchetto" standard, vi sono riforme nella stabilizzazione macroeconomica, l'apertura agli investimenti e alle attività commerciali, e l'espansione del mercato nell'economia del paese che avesse richiesto l'aiuto di una delle tre organizzazioni (FMI, BM e USDT).
Dopo l'invenzione da parte di Williamson, l'espressione è successivamente stata usata abbastanza comunemente con un secondo significato più ampio per riferirsi ad un generale orientamento verso un approccio economico fortemente orientato al mercato (a volte descritto negativamente con il termine neoliberismo o laissez-faire). 
Nell'enfatizzare il peso della differenza tra i due significati lo stesso Williamson ha sostenuto che le sue dieci direttive originali, strettamente definite, abbiano acquisito lo status di "tradizionali" (cioè solitamente date per scontate) mentre il suo secondo e successivo significato, che si riferisce ad una sorta di manifesto neoliberista, "non abbia mai ricevuto consenso [a Washington] e da nessuna altra parte in particolare". Dopo un ventennio si può ragionevolmente affermare che esso può essere considerato morto(ndr: allora occorre avvertire Draghi e la Commissione UE...)..
Le discussioni sul Washington Consensus sono state a lungo controverse. In parte, la controversia è dovuta al mancato accordo sul significato da dare al termine, il che crea appunto uno scontro tra il significato "originale" inteso da Williamson e quello più ampio (più vicino al neoliberismo). Ma ci sono anche sostanziali differenze tra i meriti e i demeriti delle direttive politiche. Alcuni critici, ad esempio, sono in disaccordo con l'enfasi del "Consensus" originale sull'apertura dei paesi in via di sviluppo ai mercati globalizzati o con ciò che denotano come un eccessivo rafforzamento delle forze preesistenti del mercato interno alle spese di funzioni chiave dello stato. Per altri il problema non è ciò che c'era nel consensus, ma piuttosto ciò che non c'era, come la costruzione di istituzioni forti e l'assenza di sforzi puntati a migliorare chi nella società si trova in condizioni peggiori. A dispetto comunque, di queste controversie molti scrittori e molti istituzioni orientate allo sviluppo sono ad oggi d'accordo nell'accettare l'idea generale che le strategie debbano essere personalizzate in base alle situazioni dei singoli paesi.
...
Il consensus come inizialmente stilato da Williamson includeva 10 larghi gruppi di suggerimenti in materia economica relativamente specifici:
  • Una politica fiscale molto disciplinata volta a evitare forti deficit fiscali rispetto al prodotto interno lordo
  • Il riaggiustamento della spesa pubblica verso interventi mirati: si raccomanda di limitare "i sussidi indiscriminati" e di favorire invece interventi a sostegno della crescita e delle fasce più deboli, come le spese per l'istruzione di base, per la sanità di base e per lo sviluppo di infrastrutture
  • Riforma del sistema tributario, volta all'allargamento della base fiscale (intesa come somma globale delle singole basi imponibili) e all'abbassamento dell'aliquota marginale
  • Tassi di interesse reali (cioè scontati della componente puramente inflativa) moderatamente positivi
  • Tassi di cambio della moneta locale determinati dal mercato
  • Liberalizzazione del commercio e delle importazioni, in particolare con la soppressione delle restrizioni quantitative e con il mantenimento dei dazi ad un livello basso e uniforme
  • Apertura e liberalizzazione degli investimenti provenienti dall'estero
  • Privatizzazione delle aziende statali
  • Deregulation: abolizione delle regole che impediscono l'entrata nel mercato o che limitano la competitività, eccetto per quel che riguarda le condizioni di sicurezza, di tutela dell'ambiente e di tutela del consumatore e un discreto controllo delle istituzioni finanziarie
  • Tutela del diritto di proprietà privata"
5. Possiamo dunque tornare al "caso" Stiglitz avendo un quadro di riferimento che, tra l'altro, trova riscontro in altri economisti, di maggior capacità analitica del fondamentale aspetto "istituzionale", come Chang, Rodrik e, in tempi passati più "neo-classici", ma non dissimili da quelli odierni, il fondamentalissimo Veblen.

Wikipedia USA ci fornisce un quadro sufficiente a trovare molte conferme a quanto detto in questo e nel precedente post, in particolare nei commenti:
"Stiglitz è nato a Gary, Indiana, da Charlotte (née Fishman), un'insegnante di scuola, e Nathaniel David Stiglitz, un venditore di polizze assicurative. Dal 1960 al 1963, ha studiato all'Amherst College, dov'era membro particolarmente attivo del gruppo di discussione e presidente del consiglio degli studenti. Si recò al Massachusetts Institute of Technology (MIT) per il suo quarto anno del corso di laurea, svolgendovi la tesi per la graduazione finale...
Dal 1965 al 1966, si trasferì alla University of Chicago per fare ricerca sotto Hirofumi Uzawa che aveva ricevuto un NSF grant. Ha poi studiato per il suo PhD presso il MIT dal 1966 al 1967, tenendo, durante questo periodo, corsi in qualità di assistant professorship... Dal1966 al 1970 fu ricercatore associato presso la University of Cambridge: giunse al Fitzwilliam College, Cambridge come  Fulbright Scholar nel 1965, e vinse poi una Tapp Junior Research Fellowship at Gonville and Caius College. 
Stiglitz è ora professore alla Columbia University, con incarichi alla Business School, al Department of Economics e alla School of International and Public Affairs (SIPA), ed è editore de The Economists' Voice journal con J. Bradford DeLong and Aaron Edlin.
Tiene lezione anche per un programma di graduazione superiore tra  Sciences Po Paris e la École Polytechnique in 'Economics and Public Policy'. 
E' stato anche presidente de The Brooks World Poverty Institute alla University of Manchester dal 2005.[16][17] Stiglitz un economista New-Keynesian 

Oltre a ad aver dato molti influenti contributi alla microeconomia, Stiglitz ha svolto numerosi ruoli politici. 
Ha avuto incarichi nella Clinton administration come capo del Council of Economic Advisors del Presidente (1995 – 1997). 
AllaWorld Bank, ha svolto le funzioni di  senior vice-president e "chief economist" (1997–2000), in un tempo in cui sono iniziate proteste senza precedenti contro le organizzazioni economiche internazionali, segnatamente al SeattleWTO meeting del 1999
E' stato licenziato (fired) dalla World Bank per aver espresso dissenso dalle sue politiche
E' stato un autore leader per il Intergovernmental Panel (comitato-collegio) on Climate Change, che ricevette il Premio Nobel per la Pace nel 2007.
E' membro del Collegium International, un'organizzazione di  leaders con expertise politiche, scientifiche, e "etiche", il cui scopo è fornire nuovi approcci nel superare gli ostacoli verso un mondo pacifico, socialmente giusto e economicamente sostenibile.
E' anche membro del comitato scientifico della Fundacion IDEAS, un think tank spagnolo.
Stiglitz ha fornito la sua consulenza al presidente Obama, ma è stato anche un critico acceso (v. poi, nelle note biografiche di Summers, al p.11 seguente) del piano di salvataggio finanziario-industriale della sua Amministrazione. 
Stiglitz ha affermato che chiunque abbia disegnato il piano di salvataggio bancario dell'Amministrazione è  "o nelle mani delle banche o incompetente".
Nell'ottobre del 2008, gli è stato richiesto dal Presidente dell'assemblea generale delle Nazioni Unite di presiedere una commissione per redigere un rapporto sulla crisi finaziaria ed economica. In esecuzione di ciò, la commissione ha prodotto lo Stiglitz Report.
Il 25 luglio del 2011, Stiglitz ha partecipato al "I° Foro Social del 15M" organizzato a Madrid (Spain) esprimendo il suo supporto alla protesta spagnola del 2011.
Stiglitz was the president of the International Economic Association from 2011 to 2014.
Il 27 settembre 2015, il partito laburista del Regno Unito ha annunciato che Stiglitz  avrebbe fatto parte del suo Economic Advisory Committee insieme con altri cinque "world leading economists".
[E non sarebbe finita qui, avendo ruoli, più o meno formali, nel consigliare l'attuale governo greco o persino "Sinistra Italiana" ...]

6. Ma, più che sottolineare come (ovviamente) le Nazioni Unite e comunque le organizzazioni internazionali economiche non abbiano tenuto in conto lo Stiglitz Report, è interessante tornare al suo "licenziamento" dalla World Bank, che illustra molto bene la "catena di comando" che regola il Washington Consensus, e quindi il neo-liberismo dell'ordine internazionale dei mercati", ovvero il paradigma restauratore del capitalismo ante crisi del 1929 in forza del diritto internazionale privatizzato.
Dalla vicenda non solo ritraiamo la sua, certamente coraggiosa, presa di posizione (non dovuta, considerato che rimane comunque un unicum per un economista nella sua posizione di rilievo), ma anche la sostanza dei rapporti di forza e delle gerarchie organizzate che governano il nuovo ordine mondiale a epicentro nell'ambiente finanziario USA:
"Allorché la WB cominciò la sua verifica del periodo decennale di transizione degli ex-paesi comunisti verso l'economia di mercato, si rivelarono esiti fallimentari in quei paesi che avevano seguito le politiche di "shock therapy" del Fondo Monetario Internazionale – sia in termini di declino del PIL, che di incremento della povertà - che risultarono ancora peggiori del "peggio" che molti critici avevano evidenziato agli albori di tale fase di transizione (!..ndr: è una fonte USA quella da cui attingiamo). 
Si rivelarono chiari legami tra le deludenti performances socio-economiche e le politiche imposte dal FMI, come gli schemi privatizzati dei voucher  e la eccessiva stretta delle politiche monetarie.
Nel frattempo, il successo dei pochi paesi che avevano seguito strategie di economia politica molto diverse suggerivano che c'erano alternative di policies che potevano essere seguite".

7. E qui viene il "bello":
"Il Dipartimento del tesoro USA aveva posto un'enorme pressione sulla World Bank per far tacere le sue critiche verso le politiche che essa stessa e il FMI avevano perseguito.
Stiglitz aveva sempre avuto una scarsa relazione amichevole con il segretario del tesoro Lawrence Summers
Nel 2000, Summers richiese, con successo, la rimozione di Stiglitz's, si ipotizza in cambio della ri-nomina del presidente della World Bank, James Wolfensohn's  – uno scambio che Wolfensohn nega abbia avuto luogo. Se Summers abbia mai fatto tale brutale richiesta è controverso – Wolfensohn sostiene che  "gli avrebbe risposto di "fottersi".[45]
Stiglitz si dimise dalla World Bank nel gennaio 2000, un mese prima che il suo incarico avesse termine.[43]. Wolfensohn, diede annuncio delle dimissioni di Stiglitz nel Novembre 1999 e annunciò contemporaneamente che Stiglitz sarebbe rimasto come suo Special Advisor, e avrebbe presieduto un comitato di ricerca per un successore. Questo il commento, al tempo, rilasciato al New York Times da Stiglitz:

Joseph E. Stiglitz said today [Nov. 24, 1999] that he would resign as the World Bank's chief economist after using the position for nearly three years to raise pointed questions about the effectiveness of conventional approaches to helping poor countries.[46]
In tale ruolo, Stiglitz aveva svolto una continua critica del FMI,  e, per implicazione (ndr: abbiamo visto sopra chi siano stati i "negoziatori-contraenti" del Washington Consensus), dello  US Treasury Department. Nell'aprile del 2000, in un articolo per The New Republic, scrisse:

Diranno che il FMI è arrogante. Diranno che il FMI non presta realmente ascolto ai paesi in via di sviluppo che si suppone debba aiutare. Diranno che il FMI agisce in segreto e isolato da ogni responsabilità democratica. Diranno che il FMI adotta "rimedi" economici che spesso peggiorano le cose  –  trasformando meri rallentamenti dell'economia in recessioni e le recessioni in depressioni. E avrebbero dettto una cosa giusta (And they’ll have a point). Sono stato capo economista della World Bank dal 1996 fino allo scorso Novembre, durante la più grave crisi economica globale degli ultimi 50 anni. Ho visto come il FMI, in tandem con lo U.S. Treasury Department, abbiano agito. E ne sono stato sconcertato.
L'articolo fu pubblicato una settimana prima del meeting annuale tra WB e FMI e provocò una forte reazione. Si rivelò troppo forte per Summers e ancor più "letale" per il protettore di  Stiglitz alla World Bank, Wolfensohn. 
Wolfensohn aveva privatamente condiviso l'opinione di Stiglitz's, ma stavolta era preoccupato per il suo secondo mandato alla WB, sul quale Summers aveva minacciato di porre il veto. 
Stanley Fischer, deputy managing director del FMI, convocò un meeting speciale dello staff e informò che Wolfensohn aveva concordato di licenziare (ndr; sempre "to fire") Stiglitz. Contemporaneamente, il dipartimento External Affairs della WB dichiarò alla stampa che Stiglitz non era stato licenziato; il suo "posto" era stato semplicemente abolito 47]
Il 19 setttembre 2008, in un'intervista radiofonica con  Aimee Allison e Philip Maldari su Pacifica Radio's KPFA 94.1 FM, di Berkeley, California, Stiglitz implicò, infine, che il Presidente Clinton e i suoi consiglieri economici non avrebbero sostenuto il North American Free Trade Agreement (NAFTA) ove fossero stati consapevoli delle "previsioni occultate" (stealth provisions), inserite dai lobbisti, e che ad essi erano sfuggite (overlooked)".

8. Che dire? Il processo di "governance" del diritto internazionale privatizzato si era reso evidente: se pure qualche errore di comprensione del tessuto negoziale del NAFTA come delle implicazioni delle politiche del FMI fosse stato presente nell'Amministrazione Clinton, non pare che questo, allo stato attuale, abbia portato a correzioni di impostazione politico-economica, nè all'abbandono, da parte del FMI, delle stesse policies ad esito peggiorativo già evidenziate alla fine degli anni '90
Da un lato, il rilancio liberoscambista globalizzato, mediante trattati come il TPP e il TIPP, ha avuto nelle Amministrazioni democratiche, e nella stessa attuale posizione di Hillary Clinton, (sia pure, limitatamente alla conclusione del TTIP, ora, in fase elettorale, prudentemente più "tiepida"), una coerente e incrollabile continuità: oltre al TTP sono stati conclusi altri 19 trattati di liberoscambio (e sempre con Stiglitz in posizione fortemente critica).

9. Dall'altro lato, poi, il FMI, non ha certo abbandonato i principi del Washington Consensus, e, applicatili in €uropa alla crisi della Grecia, ha aiutato, nell'ambito della trojka, a "trasformare una crisi (di bilancia dei pagamenti) in recessione e la recessione in depressione", come aveva icasticamente evidenziato Stiglitz nel 1999.
Il FMI, questa l'apparente novità, ora si pente (qui, p.8): ma il memorandum imposto nel 2015 alla Grecia rimane intatto, senza che alcuna conseguenza applicativa del principio "rebus sic stantibus" (qui. p.4) abbia condotto le autorità greche (pur semi-consigliate da Stiglitz) a invocarne la sopravvenuta eccessiva onerosità. 
Alla Grecia rimarrebbe solo la...Grexit, come mezzo di autotutela di diritto internazionale. Ma transeat, Stiglitz sta ancora suggerendo che occorra decidere tra dissoluzione concordata dell'euro e riforma verso un "altro" euro. Due chimere, drammaticamente superate dagli eventi...

Prosegue imperterrito nel suo luminoso cammino professional-istituzionale (come ogni protagonista istituzionale del Washington Consensus, o della "costruzione europea", che si rispetti): nulla può scuotere veramente i grandi protagonisti della "Grande Società" del Washington Consensus; solo qualche piccolo rallentamento e qualche disavventura "culturale", ma non certo a livello di introiti economici. 
Il suo curriculum, come sempre capita, ci fornisce ogni chiarimento:
"Summers è divenuto professore alla Harvard University nel 1983. Ha lasciato Harvard nel 1991, per collabprare come Chief Economist alla World Bank dal 1991 al 1993. 
Nel 1993, Summers fu nominato Sottosegretario per gli International Affairs dello United States Department of the Treasury durante la Clinton Administration.
Nel 1995, fu promosso a  Deputy(vice-ministro) Secretary of the Treasury sotto il suo mentore politico di lunga data Robert Rubin. Nel 1999, è succeduto a Rubin come Secretary of the Treasury. Nel corso della sua collaborazione con la Clinton administration Summers ha svolto un leading role nella reazione statunitense alla crisi economica messicana del  1994, alla crisi finanziaria asiatica del 1997, ed alla crisi finanziaria russa. Ha anche avuto una grande influenza nel consigliare la privatizzazione, consigliata dagli USA, delle economie degli Stati post-sovietici e nella deregolazione del sistema finanziario USA, inclusa l'abrogazione del  Glass-Steagall Act.
 
Alla fine del mandato di Clinton, Summers è stato il 27° President of Harvard University dal 2001 al 2006. 
Summers si è dimesso da tale carica sulla scia di un voto di sfiducia da parte della Facoltà di Harvard, che fu la conseguenza, in larga parte, sia del conflitto di Summers's con Cornel West; - furono sollevate questioni inerenti al suo conflitto di interessi finanziario adombrato per la sua relazione con  Andrei Shleifer-; sia di un suo discorso del 2005, in cui suggeriva che la sotto-rappresentazione delle donne nelle scienze e nella ingegneria poteva essere dovuto ad una "differente disponibilità attitudinale di base" e meno a modelli di discriminazione e socializzazione. 
Nel commentare criticamente la political correctness nelle istituzioni di istruzione superiore, Summers ha detto nel 2016, "C'è un'enorme quantità di assurda political correctness. Ora, io sono qualcuno che crede fortemente nella diversità, che ha resistito al razzismo nella sue molte incarnazioni, che pensa che ci sia molto di ingiusto nella società americana e che vada combattuto, ma pare esserci un nefasto totalitarismo circa le idee considerate accettabili e dibattibili da parte dei colleghi nel campus".
Insomma, a tutto c'è un limite: sia nella politically correctness, sia, verrebbe da aggiungere, nel combattere le grandi ingiustizie della società americana...Adelante con juicio, giustamente.

11. Ma l'attivismo nel curare la propria professione, - con una certa manifesta scissione dalla concretezza di questo dichiarato impegno a "combattere" il "molto di ingiusto"-, certamente a Summers non è mancato:
"Dopo aver lasciato Harvard (ndr: abbiamo visto nel 1991), Summers ha lavorato come managing partner nello hedge fund D. E. Shaw & Co., e come freelance speaker per altre istituzioni finanziarie, che includono Goldman Sachs, JPMorgan Chase, Citigroup, Merrill Lynch e Lehman Brothers
Summers ha ripreso il "pubblico servizio" durante la Obama administration, prestando la sua opera come Director of the White House United States National Economic Council (NEC) per il Presidente Barack Obama dal gennaio 2009 al novembre2010, emergendo come un decidente economico "chiave" nella risposta della Obama administration's alla Great Recession
Dopo aver lasciato il NEC nel dicembre 2010, Summers ha lavorato nel settore privato e come columnist per i maggiori quotidiani.
A metà circa del 2013,il suo nome era largamente circolato come potenziale successore di Ben Bernanke quale Chairman of the Federal Reserve, sebbene dopo la resistenza della "sinistra", Obama abbia alla fine nominato alla carica Janet Yellen"...

LO "STRANO CASO TRUMP": LA FINE DELLA MOBILITA' SOCIALE. E DELLE ELEZIONI?

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1. Il deficit USA per il 2016 è ufficialmente stimato, in base al budget approvato nel 2015, al 3,3% del PIL.
In aumento rispetto a quanto registrato nel 2014 (2,8) e al 2015 (2,5): un certa propensione, si deve arguire, a ritornare, in chiave pre-elettorale, sulle politiche più restrittive imposte all'Amministrazione dalle maggioranza parlamentari repubblicane. Siamo ben lontani dai "picchi" post crisi (peraltro largamente impiegati in banking welfare di salvataggio, come lamentava Stiglitz, criticando indirettamente il piano di salvataggio del suo nemico Summers). 
Un futuro di "moderata" espansione fiscale, secondo la fonte ufficiale dell'ufficio budget del Congresso (come attualmente composto...),  attenderebbe gli americani (ma la stima sconta l'invarianza dell'attuale quadro legislativo, cioè è "under current law"):

https://www.cbo.gov/sites/default/files/cbofiles/images/pubs-images/49xxx/49973-land-fig1.png

2. In Europa, tutto ciò sarebbe visto come altamente peccaminoso, considerato che: 
a) gli USA avrebbero, ad usare gli indicatori di rilevazione della disoccupazione incorporati nelle statistiche Istat, una situazione prossima al pieno impiego: dunque si presenterebbe l'esigenza, - di "sana" finanza pubblica e per evitare l'inflazione (!) e la perdita di competitività-, di arrivare al pareggio strutturale di bilancio, coincidente quasi col pareggio nominale (e questo dimostrerebbe che il Washington Consensus è roba da esportazione, via FMI, e che non è entusiasticamente praticata nella sua patria di ideazione);

b) se si passa da un deficit in buona parte gonfiato dal welfare bancario, appunto, ad una gestione più fisiologica dell'intervento pubblico, anche un piccolo consolidamento, o quantomeno il tentato rispetto di un deficit-cap, non consente una crescita spettacolare e, quindi, mi devo porre il problema se il dato occupazionale abbia qualcosa che non va
Mentre, nella stessa logica, ho la certezza che il "welfare" di salvataggio bancario non implica alcuna crescita dell'economia reale, come si vede da questa radiografia del periodo che va dalla grande recessione al 2015:

http://www.zerohedge.com/sites/default/files/images/user5/imageroot/GDP%20historical.jpg

3. Di più. L'Amministrazione Obama, si mostra essere stata, sul piano del rilancio dell'economia, né carne né pesce:
"Barack Obama's estimated deficit of -3.3% of GDP in 2016 is 2.5 percentage point(s) less than his administration average of -5.8% when compared to other years in his administration. On average, the budget deficit was larger during the Obama Administration than in other presidential administrations(average = -3.1%)".

E infatti, il debitone se lo ritrovano anche loro, ben oltre ormai il 100% del PIL, nel silenzio dei media nostrani:
http://www.tradingeconomics.com/charts/og.png?url=/united-states/government-debt-to-gdp
Naturalmente, questa prospettiva fa strillare i rispettivi neo-liberisti, impegnati a non far vivere gli altri al di sopra delle proprie possibilità e quindi a invocare a più non posso l'effetto spiazzamento (qui, p.4), che tanto piace agitare per giustificare i drastici tagli TINA del "perimetro dello Stato" (effetto che non si verifica praticamente mai, perché a seguirne la ricetta il rapporto debito/PIL finisce semmai per aumentare). 
E così il terrorismo dilaga, sprezzante della realtà:


4. La "vibrata" denuncia mette in piazza lo scandalo. E' la spesa parassitaria dei "trasferimenti" che dilaga: il "mercato" si trova così impedito ad agire con le sue leggi naturali, la crescita impedita e il "fallimento" dietro l'angolo!



In realtà, la "piena occupazione" diviene, di fronte a questa cultura dilagante (che nasce negli USA e si trasmette in Italia-in-quanto-€uropa), un concetto mobile e statisticamente opinabile, come abbiamo visto e come vedremo.
Il pregio degli USA è che non tutti i media, a differenza dell'Italia, sono piegati ad accettare le statistiche ufficiali in modo acritico, tanto che si chiedono: "Is the unemployment rate really just a 'Big Lie'?"
Magari si "fanno delle domande" sul rateo della popolazione attiva come "forza lavoro"
employment.population

5. E, perciò, sulla disoccupazione effettiva, almeno quella U6, (quella a cui, invero, la Yellen presta attenzione, pur "dovendo" dichiarare il risanamento raggiunto, e i tassi in una qualche prospettiva di dover aumentare, per ipoteticamente raffreddare una tiepida economia), si guarda a dati che, in Italia, non vengono minimamente forniti e scorporati da quelli dei bollettini ufficiali:

US Unemployment Rate Chart

Il dato USA U6 è praticamente doppio rispetto a quello ufficiale: il che, considerata anche la dilagante questione del voucher selvaggio, dovrebbe valere anche per l'Italia - almeno in modo equivalente se non peggiorativo. Vediamo alcuni dei criteri che vengono utilizzati per i vari "livelli-ambiti" di disoccupazione calcolabili (notare che il rapporto U6/U3, alle soglie del 2016, rimane sempre pressocchè di 2 a 1):

URates

6. Dunque, lungi dal colpire i redditi e la crescita (a causa della spesa sociale...determinata dalle politiche deflattive!), questo stato di cose, implica piuttosto il famoso equilibrio della sottooccupazione, che non solo determina la strutturazione di una crescente fascia sociale di working-poors con redditi poco sopra la "fame", ma anche la modesta crescita del PIL e, ancor più, l'appropriazione degli incrementi di reddito in una ristretta fascia della popolazione
Fioriscono articoli mediatici che si domandano (senza per questo essere censurati di essere pessimisti o di "remare contro"): "US middle class has disappeared into higher-income groups; recent stagnation explained by changing household demographics?" Fornendo il tipo di dati che, anche tra qualche anno, in Italia nessuno avrà il "permesso" di dare (senza essere accusato di ideologia comunistaaaaa!). 
Significativi sono quelli sulla evoluzione numerica della consistenza della varie fasce di reddito (per quanto distinte in aggregati approssimativamente non troppo distanti tra loro).
In pratica, una crescente categoria di benestanti si contrappone a una descrescente ma pur sempre schiacciante maggioranza di non benestanti, destinati, come vedremo, a non essere più presi in considerazione nei calcoli della classe politica:

income


Household Wealth

7. Poi si arriva a vedere quali conseguenze elettorali derivino da questo prolungato stato di cosee ci si accorge che la maggior parte dell'elettorato non si preoccupa della eccessiva spesa pubblica nel welfare, come i "simpatici" neo-liberisti seguaci di Barro visti più sopra, quanto, piuttosto, semmai, della insufficienza dell'intervento pubblico svolto per ridurre le differenze di ricchezza interne al popolo americano:

classwarfare2

Anche perché, negli USA, dove non pensano affatto ad abolire il Senato (nemmeno per finta), l'accusa alla politica non è di metterci troppo a fare le leggi, a causa del bicameralismo previsto dalla loro Costituzione, ma quella di una eccessiva sensibilità degli eletti verso i più ricchi degli elettori (sia pure con una leggera attenuazione di questo squilibrio di "attenzione", dovuto al fatto che gli elettori divengono sempre più poveri, anche quelli appartenenti alla middle class, un tempo un pochino più benestante):

 File:Senate Income Votes.SVG

8. In sostanza, la lotta contro l'1% viene sedata da un 20% di famiglie che ha visto migliorare la propria posizione economica ed è attivamente partecipante al voto, al contrario del restante 80%, sempre più demotivato, facendo parlare di "pericolosa separazione del 20% a reddito più elevato dal resto della società" (impoverita in massa). 
La "upper middle class" in pratica fornisce l'esercito elettorale di manovra all'1% (o meno) dei superprivilegiati
Il problema, che i democrats, come pure i "rep", si trovano a fronteggiare, è che questo stato di cose rende sempre più difficile conservare il consenso elettorale senza cambiare le politiche basate sull'idea dello spending-cut e dell'alleggerimento delle tasse, proprio perché si assottiglia la base sociale a cui queste cose possono piacere, avendo la materiale convenienza a credere alla storiella dello "spiazzamento" delle risorse, - contrario ai fantomatici investimenti privati-, determinato dall'eccessivo intervento dello Stato.
Insomma, la "durezza del vivere" ha un po' preso la mano e i "naturisti" del mercato si trovano a dover rifare i conti con l'autopercezione della schiacciante maggioranza dell'elettorato:

Reeves 93001


9. E quindi, quando la fine della mobilità sociale esplode, il sistema mediatico delle "elites" arriva a non poter più garantire il controllo idraulico elettorale.
Con buona pace dei tentativi di Wolf di vederla ancora e solo come una mera ricalibratura del "messaggio" da dare, tentando cioè, ancora una volta, la pastura sedativa di prevalenti "diritti civili", cioè cosmetici e "a costo zero", capaci di alimentare una democrazia di mera facciata, che utilizza la via dei conflitti sezionali "politically correct" che, alla faccia del neo-costituzionalismo €urofilo, non riescono più a oscurare il conflitto sociale che si vorrebbe superato per sempre. 
In pratica: se sei passabilmente ricco, e quindi appartenente per NASCITA al 20% di upper middle-class, puoi permetterti di studiare e perpetuare, senza patemi d'animo di divenire, oltretutto, un debitore sub-prime sul credito allo studio (in colleges di secondo e terzo "ordine"), la tua condizione di reddito medio-alto e magari aspirare a divenire ricco.
Se non appartieni a quel 20%, la vedi dura e sei leggermente...adirato sull'assenza di ascensore sociale. Specialmente se ritieni di non compensare questa mancanza di chances con l'unico sistema rimasto a disposizione, cioé unendoti alle fila dei vari "trafficanti" di sostanze stupefacenti, col rischio di aggregarsi alla più ampia popolazione carceraria, privatizzata, del mondo!

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10. Insomma, credere nel "duro lavoro" come modo per diventare veramente ricchi, e quindi abbracciare l'american dream, è divenuto il retaggio dei privilegiati a cui non costa fatica mantenere questa convinzione.

Mentre la situazione della working class in senso eponimo, cioè gli operai della grande industria in via di estinzione (grazie alla mobilità dei capitali ed alla delocalizzazione sistemica), è addirittura in via di accelerato peggioramento. 
Un andazzo che denota condizioni che stanno maturando rapidamente anche in Italia, con buona pace per l'accanimento USA-BCE sulle riforme verso il lavoro-merce, e che passa per quella mutazione del ruolo del sindacato che, senza alcuna speranza, avevamo già segnalato:
"Il problema principale delle Unions, sia prima della crisi, sia dopo la crisi, è sempre stato quello di avere buone relazioni con le imprese, facendo attenzione a limitare al massimo gli scioperi ufficiali e non solo per evitare la spesa delle Casse di sostegno agli scioperanti, ma soprattutto perché c’è l’impegno a controllare le locals affinchè il management abbia assicurata l’agibilità sui posti di lavoro.
Ci sono stati pochi, anche se significativi, scioperi proclamati dalle Unions; ma ci sono stati – soprattutto nel periodo della riorganizzazione produttiva – moltissimi scioperi spontanei che solo in rari casi sono stati legittimati dalle Unions.
La politica delle concessioni ha portato all’accettazione di misure come il congelamento dei salari, la rinuncia ad indennità, la riduzione dei servizi sanitari ed il blocco dei fondi pensione. 
Nella metà degli anni 2000 è successo qualche cosa di diverso: per parare la minaccia di ulteriori interventi sulla massa salariale degli occupati, i Sindacati hanno proposto il sistema dei due livelli salariali. I vecchi lavoratori, pur avendo rinunciato ad una serie di indennità, hanno mantenuto inalterato il livello del salario. I nuovi sono stati assunti a mezzo salario, per fare lo stesso lavoro dei vecchi assunti, e con la stessa efficacia nei risultati.
Iniziata in alcuni settori, questa pratica si è diffusa nell’industria dell’acciaio, dell’abbigliamento, degli attrezzi agricoli, dei mezzi pesanti. Su questa base la General Electric sta riportando negli Stati Uniti attività che aveva decentrato all’estero.
Attraverso la serie di concessioni successive siamo arrivati alla piena collaborazione tra imprese e Sindacati
Il settore dell’auto è emblematico. Bob King, Presidente del Sindacato dell’Auto, dice: “Abbiamo il legittimo interesse che la nostra produttività sia elevata per aumentare il numero dei nostri iscritti e dare luogo sul lungo termine alla sicurezza del lavoro. Non sarà possibile se non siamo competitivi a livello mondiale, ecco il motivo della nostra partnership”.

11. Questo è dunque il quadro in cui si colloca l'apparentemente sorprendente "caso Trump" e la difficoltà che può incontrare la Clinton ad intercettare il voto di massa (relativa...) che le servirebbe per essere sicuramente eletta (come pensava all'inizio della sua vicenda politica).
Ma questo è anche il quadro evolutivo, con lo scarto appena di qualche anno, in cui andranno a porsi i notevoli problemi di consenso che incontrerebbe qualsiasi partito che volesse ancora legarsi non tanto all'idea dell'UE ma alla ideologia neo-ordoliberista che essa implica (nei modi tante volte evidenziati in questa sede).
Instaurare il mercato del lavoro-merce con la sua sfrenata deflazione salariale, porta invariabilmente a problemi di debt-deflation, di crisi industriale strutturale e di stagnazione della crescita. Problemi tanto più drammatici quanto più vige l'idea dello Stato come una famiglia che deve raggiungere il pareggio di bilancio.

12. Il timore è che, se in USA l'applicazione di questo paradigma - sia pur temperato dalla mantenuta sovranità fiscale e monetaria, come si accorge, probabilmente inascoltato, Krugman- può mandare la situazione fuori dal controllo mediatico-orwelliano, si può arrivare alla abolizione del voto: magari dichiarando lo stato di guerra (che fra tutti gli stati di eccezione è il più travolgente di ogni dibattito interno sulla giustizia sociale come sostanza della democrazia).
In fondo, quando la crescita ristagna e si vuol promuovere la spesa pubblica - "rischiando" di avere la temutissima piena occupazione (qui pp. 6-7)- ma senza creare danni all'ideologia dominante, quando non funziona più la persuasione di massa che il problema sia il debito pubblico e, però, si teme per una concreta ingestibilità del conflitto sociale in cui la oligarchia ha "vinto troppo", la guerra rimane il rimedio più efficace per rimettere tutto a posto:

http://i2.wp.com/metrocosm.com/wp-content/uploads/2016/02/us-national-debt-history.png
13. Perciò, non vi preoccupate se il vostro voto vi sembra inutile perché non sapete più chi possa veramente risolvere crescenti problemi materiali di ordine sociale, dato che non esistono più i "partiti di massa" (ma solo di elite, che si spartiscono il 20% affidabile di elettorato a suon di diritti cosmetici e conflitti sezionali), mentre vi raccontano che tutto andrà bene: il voto potrebbe essere abolito e voi ritrovarvi in una bella economia di guerra (qui, p.2). "Globalizzata", questa volta, non semplicemente mondiale...
La democrazia (cioè il "populismo") sarà poi accusata di essere stata la causa di tutto, per il suo cattivo gusto di alimentare l'unico conflitto "sezionale" che non piace (quello tra lavoro e capitale): un conflitto sezionale che, per non confonderlo con quelli politically correct, verrà bollato come "rinascente nazionalismo guerrafondaio".
Non importa se a causare la guerra sia lo spirito di conservazione dell'oligarchia internazionalista e aristocraticamente "cosmopolita".
Per pagare storici, filosofi "politici" e teorici kantiani dello Stato, "poi", a eccidio consumato, le "risorse" si trovano sempre...

SPENCER, GRAMSCI E IL REGNO DEL TERRORE CONTRO L'OPPRESSIVA E INEFFICIENTE DEMOCRAZIA.

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http://www.aiutodislessia.net/wordpress/wp-content/gallery/storia-la-rivoluzione-fancese-2-media/governi-in-francia-da-fine-1700.png


1. In questo e poi in quest'altro post (p.12), abbiamo esaminato, rispettivamente, il disappunto delle elites internazionaliste (dei mercati), per il risultato del referendum in UK, nonchè la prospettiva di disattivazione delle stesse consultazioni elettorali, in caso di esiti idraulicamente indesiderati, che si va concretizzando in ogni parte delle c.d. democrazie occidentali.
Peraltro, in €uropa, finché regge il sistema, "bancocentral-centrico", del pilota automatico dei trattati ordoliberisti, tale disattivazione, a scapito della facciata, è praticamente un risultato già acquisito e che si sta disperatamente difendendo, contro ogni evidenza della sua disastrosa applicazione.
Per capire il problema della crisi attuale, crescente (e forse finale), del sistema delle elezioni a suffragio (pressocché) universale, vorrei ripartire da questa già vista citazione di Herbert Spencer, "(il darwinista sociale per eccellenza, che teorizzò che i "milionari sono un prodotto della selezione naturale"):
"La funzione del liberalismo in passato fu quella di porre un limite ai poteri del re. La funzione del vero liberalismo in futuro sarà quella di porre un limite ai poteri del Parlamento".
Basti questo per comprendere come ogni pretesa libertaria di questa corrente di pensiero, che rivendica a sè, a partire dalla Glorious Revolution, l'affermazione dei Parlamenti, riveli con ciò tutta la strumentalità del sostenere gli stessi; nella fase di affermazione contro le monarchie, era perfettamente accettabile e si parlava di lotta alla "tirannia". Poi il parlamentarismo divenne un peso all'utilitarismo autolegittimante di una nuova oligarchia.
La citazione è tratta da un libro di Spencer che fu certamente di ispirazione per von Hayek, se non altro per il suo eloquente titolo "The Man Versus the State" (Caldwell, p.209)."

2. Il "buon" Spencer, peraltro, non fu del tutto originale in questa sua, a sua volta non isolata, come vedremo, "uscita": l'intero movimento avverso all'ancien régime, che notoriamente coincide con l'ascesa al potere della c.d. borghesia mercantile, professionale e capitalista (in senso "fisiocratico"), chiariva fin dai suoi albori, di acquisenda rilevanza politica, la premessa che porta all'affermazione istituzionale compiuta da Spencer.
L'ulteriore presupposto storico-economico, come dovrebbe essere chiaro ai lettori (effettivi) di questo blog, sta nella progressiva e ben nota evoluzione tecnologica (e giuridico-istituzionale) dei processi produttivi e nell'acquisizione della proprietà, intesa come accumulo di terra o "oro", da parte di un crescente numero di soggetti non appartenenti all'aristocrazia.
Alla vigilia della Rivoluzione francese, la coincidenza tra funzione dei parlamenti (composti anche e principalmente da quelli che venivano definiti, su rigorose basi censitarie, come "notabili"), e finalità conservativa del nuovo assetto proprietario era un dato istituzionale scontato: i parlamenti, insediati su basi circoscrizionali (cioè connaturalmente vicini ad un'impostazione federalista in senso territoriale, per quanto omogenei nella rappresentatività dei nuovi ceti produttivi), non erano organi elettivi.
Le famiglie che acquisivano uno status di ricchezza in "terra e oro" compravano i seggi dalla Corona, sempre più bisognosa di entrate che non incidessero sulle tasche dell'aristocrazia e sul precario equilibrio che, - in tempi di guerra permanente (a sua volta legata alle aspirazioni imperialiste, coloniali e mercantiliste del Regno di Francia)-, vigeva tra i grandi feudatari, coinvolti se non altro nei vertici delle gerarchie militari, e il Monarca assoluto (le cui decisioni erano sempre più la mera ratifica dell'azione mercantilista delle classi economicamente dominanti);  comprato il seggio, questo veniva trasmesso agli eredi. 

3. Compito dei parlamenti, in effetti, era la discussione della cause, - instauratesi sempre più tra borghesia in arricchimento e aristocrazia alla disperata ricerca di cavilli nel diritto feudale per riaffermare i propri "diritti divini", rispondenti alla struttura agraria arcaica, retta sulla legittimazione di una difesa militare del territorio infeudato, che si rivelava ormai una ratio normativa sempre più labilmente invocabile davanti  alla trasformazione socio-economica-, nonché registrare gli editti del re: cioè confermare che fossero fonte di legge. 
Ogni tanto, specialmente se la situazione del fisco della corona era in ristrettezze, per lo più per finanziare le guerre che accrescevano il potere economico della borghesia mercantile e, in modo spesso contraddittorio, di quella industriale (le forniture di guerra, erano motivo di veloce quanto spesso instabile arricchimento, specie se la guerra non portava ad acquisizione di terra e oro, cioè degli assets, equivalenti a moneta, che rendevano solvibili le casse del sovrano), i parlamenti creavano delle difficoltà a sanzionare editti e rescritti del monarca
Naturalmente in tema di regime della tassazione: tra aristocratici e ceti borghesi, qualcuno il conto (gold standard) doveva pagarlo. L'opposizione dei parlamenti, in questi casi, era una rivendicazione politica che, quasi sempre, indicava la volontà di far pagare al popolo più minuto, per naturale "competenza", il conto delle imprese militar-imperialiste: cioè far pagare a chi non ne traeva vantaggio, il comune interesse dei detentori della ricchezza; interesse politico per l'aristocrazia (cui appunto era riservata la gloria delle massime cariche militari, legittimanti così la conservazione dei privilegi feudali, in nome del puro sangue, più o meno, versato), ed economico per la borghesia.

4. Quest'ultima (con una tendenza che nella fase di Napoleone III raggiunse l'apice, come attesta il miglior romanzo francese dell'epoca), almeno nei suoi strati marriormente arricchitisi, non mirava a distruggere la nobiltà, quanto piuttosto "a convergere nella sue fila". 
Ed infatti, se la borghesia capitalista mirava al dinamismo sociale, lo faceva ben consapevole che il vero segno del successo è la cristallizzazione delle posizioni acquisite come Legge rispondente al diritto naturale: questo "diritto naturale", prima dell'irrompere delle teorie economiche, svincolate dalla pura dimensione della filosofia etica, aveva una naturale simpatia per la condizione istituzionale dell'aristocrazia, cioè per la legittimazione della trasmissione della ricchezza e per la tutela inderogabile del diritto acquisito per nascita.

Con le "scienze" economiche cambia la fonte della "Ragione", indiscutibile, che legittimava questa aspirazione, ma non il suo scopo finale, che rimase e rimane, inalterato, fino ad oggi: solo che, come abbiamo tante volte evidenziato, alla volontà divina, si sostituisce l'ordine dei mercati, fonte della razionalità che, come tale, non può essere discussa, esattamente con la stessa funzione servente dell'assetto cristallizzato, ridenominato "efficienza allocativa", che aveva a suo tempo svolto la teologia.
Spero di essermi (ri)spiegato bene, perché il punto è cruciale.

5. Questo meccanismo di evoluzione delle classi sociali dominanti, in termini pratici, ci rivela come l'assimilazione della borghesia capitalista all'aristocrazia, - prima meramente imitativa (cioè con l'idea della conservazione formale dell'aristocrazia, acquisendone lo status per via allocativa, cioè potendolo "comprare"), e poi direttamente fondata sulla "scientificità" sociale (divenuta poi asetticamente "matematica": Bazaar ne ha parlato tante volte) -,  è una costante del mondo in cui viviamo da circa 200 anni, che rivela come la rivoluzione borghese sia molto meno innovativa, nella sostanza istituzionale, di quanto non si tenda a credere (almeno avendo riguardo alla visione essenziale fornitaci dalla Storia insegnata nei licei e data per scontata nel discorso mediatico...et pour cause, come sappiamo).

Questa sostanza fenomenologica dell'evoluzione politico-istituzionale, in cui non cambia la regola sostanziale di legittimazione al dominio istituzionale della società, ma cambiano solo i sistemi di accesso, considerati "razionali", all'accumulo di terra e oro, era perfettamente chiaro ai protagonisti dell'affermazione del capitalismo.
Ce ne dà conferma lo stesso Spencer, che da buon anglosassone empirista, (abbiamo già visto questa qualità in Robbins, rispetto ai tormentati teorici mitteleuropei che tanta fortuna hanno avuto nella fase "buia" in cui il capitalismo dovette rendere conto di se stesso alla compresenza fastidiosa del socialismo nelle sue varie proiezioni), ci fornisce questo folgorante aforisma, a suo modo fenomenologico:
"Il diritto divino dei re significa il diritto divino di chiunque riesca ad acquisire il predominio sociale".


Divine right of kings means the divine right of anyone who can get uppermost.
Read more at: http://www.brainyquote.com/quotes/quotes/h/herbertspe165829.html
Divine right of kings means the divine right of anyone who can get uppermost.
Read more at: http://www.brainyquote.com/quotes/quotes/h/herbertspe165829.html
6. Questa proposizione assertiva era comunque di comune condivisione nei parlamenti borghesi dell'ancien régime, e peraltro in piena epoca "illuminista", tanto che nel 1776 (anno particolarmente significativo, in America ma anche in Francia, impegnata com'era, nella sua ormai quasi secolare, e come abbiamo visto costosissima, lotta per il predominio imperialista mondiale con l'Inghilterra), il parlamento di Parigi, elabora un'eloquente "Dichiarazione", generata dalla volontà di resistere all'idea del ministro delle finanze Turgot di provvedere a risanare le disastrate finanze della Corona, abolendo, da un lato, le c.d. corvée, cioè il lavoro obbligatorio, e prestato gratuitamente, dei contadini nell'esecuzione delle principali opere pubbliche, dall'altro finanziando il pagamento degli appalti di lavori che le avrebbero sostituite con una imposta fondiaria, incidente su tutti i proprietari, nobili e borghesi. 
Alla prospettiva di dover sopportare i costi delle politiche che consentivano loro di accumulare ricchezza, sfruttando il sottostante sistema di lavoro sostanzialmente schiavile (basti aggiungere, poi, che le "libere" classi operaie urbanizzate, a loro volta, entravano in agitazione solo di fronte alla costante pressione per la unidirezionale diminuzione dei magri salari: mai per un loro accrescimento).
La nota Dichiarazione recita:
"La prima regola della giustiziaè di tutelare per ogni singolo individuo, ciò che gli appartiene. E' una regola fondamentale della legge naturale, dei diritti dell'uomo e del governo civile; una regola che consiste nel salvaguardare non soltanto i diritti della proprietà, ma anche i diritti appartenenti all'individuo e che gli derivano dai privilegi dovuti alla nascita e alla posizione sociale".
7. Questa, tutt'oggi,è la costante posizione di quella oligarchia che si sente di rappresentare ogni possibile "singolo individuo", avendo la tendenza a considerare irrilevante, anzi improponibile, l'appartenenza alla categoria, dei singoli meritevoli di "giustizia" e di "tutela", di chiunque non possa vantare un patrimonio di privilegi dovuti alla nascita e alla posizione sociale.
Lo abbiamo visto in Hayek (qui, p.5), come ciò comporti l'affermazione della eguaglianza formale, che oggi si vorrebbe riaffermare come unica categoria giuridica capace di fondare, nelle stesse costituzioni, i "diritti civili": l'ampiezza della sfera sociale di effettiva titolarità di tali diritti non deve essere un problema di cui le costituzioni si occupino. 
Chi divenga, - in base a leggi naturali e, quindi, razional-scientifiche, (e peraltro anche teologicamente fondabili, volendo essere dei buoni cristiani, al più mossi dalla spontanea adesione allo spirito caritatevole complementare all'efficienza allocativa del mercato) - proprietario-operatore economico, è il vero soggetto dotato di capacità giuridica: per gli altri non c'è spazio, perché non si sono efficientemente guadagnati alcun inammissibile privilegio. 
Parliamo essenzialmente di sanità e previdenza pubbliche, riconoscibili, come ormai afferma la nostra stessa Corte costituzionale, solo subordinatamente alla scarsità di risorse, cioè all'intangibilità dell'accumulo di terra-oro da parte dei poteri economici privati; quando questi reclamano la loro funzione di creditori dello Stato, la loro soddisfazione deve perciò, in omaggio agli impegni presi in sede €uropea, graduare e progressivamente diminuire queste elargizioni che sono sancite in Costituzione, ma pur sempre assoggettate ai limiti sanciti dai trattati internazionali che sono scritti da e "per" gli operatori economici-proprietari, titolari dei diritti civili veramente intangibili.
Così è, se vi pare, oggi, l'operatività dei principi fondamentali della nostra Costituzione.

8. Ovviamente Piketty, e lo precisiamo incidentalmente e a scanso di equivoci, non c'entra quasi nulla con la critica a tale sistema, ormai arrivato a disattivare le Costituzioni democratiche dell'eguaglianza sostanziale e dell'intervento redistributivo ex ante dello Stato: almeno fin quando la sua idea di redistribuzione per via fiscale, cioè di tassazione patrimoniale progressiva effettuata dai singoli Stati - (circa la praticabilità di ciò in modo coordinato a livello mondiale e su basi imponibili realmente individuabili, siamo al più fumoso ed eventuale "wishful thinking" che nasconde la decisa volontà di "intanto facciamolo nei singoli territori statali, poi si vedrà..se si riesce a realizzare la chimerica "trasparenza", mica la regolazione finanziaria sovrana, non sia mai.")-, non implichi la critica della libera circolazione dei capitali e alla reintroduzione del gold standard, attraverso le banche centrali indipendenti e la riadozione, camuffata da moneta unica "per la pace", del gold standard e del liberoscambismo globale.
La sua redistribuzione, tutta a carico delle classi sociali confinate dentro i limiti dei singoli Stati, incapaci, o diremmo "spencerianamente", inadatti a vivere nell'empireo sovranazionale dei mercati, è un inno al ripristino della capacità giuridica hayekiana, limitata a coloro che vedono nello Stato solo un'interferenza alla "libertà", per reclamare l'esenzione da ogni inefficiente vincolo solidaristico, tutto gravante sulle classi che, senza titolo "allocativo" efficiente, hanno accumulato qualcosa in modo diffuso e che, ora, in nome della solidarietà tra poveri e impoveriti, devono pagare il conto degli equilibri intangibili dell'ordine sovranazionale dei mercati e della sfida della competitività.

9. Spencer, a sua volta, (in pieno ottocento e nascente marginalismo neo-classico), afferma, in piena consonanza con la Dichiarazione del parlamento di Parigi del 1776 e, nella effettiva sostanza, con le aspirazioni fiscal-riformatrici di Pikketty:
"Nessuno può essere perfettamente libero finché tutti non siano liberi; nessuno può essere perfettamente "morale" finché non lo siano tutti; nessuno può essere perfettamente felice finchè tutti non siano felici".
Solidarismo democratico panteistico (come quello del figlio dell'amore eterno del primo Verdone)? 
No: se i milionari, come proclama Spencer, insuperato teologo del liberalismo, sono il prodotto dell'evoluzione naturale, e in ciò risiede la giustizia, non ci si pone certo il problema di quanti siano i "tutti": ci si riferisce ovvissimamente ai soli soggetti di pieno diritto (quelli che, secondo Pik(k)etty, avendo in mano il potere di dettare le regole dell'ordine supremo dei mercati internazionali, dovrebbero spontaneamente rinunciare a tale "predominio", ormai equivalente al diritto divino dei monarchi, per assoggettarsi allegramente alla "trasparenza" e pagare super tasse patrimoniali non si sa prelevate da chi, e sulla base di quali processi normativi di...autodistruzione spontanea, ovvero di tacchino, grasso, enorme e divenuto "monarca", che si mette in forno da solo).

10. Di fronte a questa lacunosa costruzione, dove nei secoli si sono assommati enunciati elittici (solo Hayek ha "the guts" di enunciare quali siano veramente i limiti, conservativi ed efficientemente allocativi, della capacità giuridica piena e della effettiva legittima titolarità dei "diritti civili"), e palesi ipocrisie, l'errore di calcolo può, nel lungo periodo, risultare destabilizzante e indurre a diffidare anche delle elezioni che, cosmeticamente, riflettano l'idea di eguaglianza formale controllata.
Di questo ci aveva detto bene Gramsci, qui citato da Arturo: 
"...in quel passo Gramsci discuteva le posizioni della critica fascista al suffragio universale nel regime liberale: secondo Mario da Silva il difetto era che "il numero sia in esso legge suprema", cosicché la "opinione di un qualasiasi imbecille che sappia scrivere (e anche di un analfabeta, in certi paesi) valga, agli effetti di determinare il corso politico dello Stato, esattamente quanto quella di chi allo Stato e alla Nazione dedichi le sue migliori forze" (come l'"eroico" Saviano, per esempio).

Al che Gramsci replicava: "Non è certo vero che il numero sia legge suprema, né che il peso dell'opinione di ogni elettore sia "esattamente" uguale
I numeri, anche in questo caso, sono un semplice valore strumentale, che danno una misura e un rapporto e niente di più. E che cosa si misura? 
Si misura proprio l'efficacia e la capacità di espansione e di persuasione delle opinioni di pochi, delle minoranze attive, delle élites, delle avanguardie ecc. ecc., cioè la loro razionalità o storicità o funzionalità concreta. Ciò vuol dire anche che non è vero che il peso delle opinioni dei singoli sia esattamente uguale"...
"La numerazione dei "voti"è la manifestazione terminale di un lungo processo in cui l'influsso massimo appartiene proprio a quelli che "dedicano allo Stato e alla Nazione le loro migliori forze" (quando lo sono). 
Se questi presunti ottimati, nonostante le forze materiali sterminate che possiedono, non hanno il consenso della maggioranze, saranno da giudicare inetti e non rappresentanti gli'interessi "nazionali", che non possono non essere prevalenti nell'indurre la volontà in un senso piuttosto che nell'altro. 
"Disgraziatamente" ognuno è portato a confondere il proprio particolare con l'intersse nazionale e quindi a trovare orribile ecc. che sia la "legge del numero" a decidere. 
Non si tratta quindi di chi "ha molto" che si sente ridotto al livello di uno qualsiasi, ma proprio di chi "ha molto" che vuole togliere a ogni qualsiasi anche quella frazione infinitesima di potere che questo possiede di decidere sul corso della vita dello Stato."

11. Insomma, quando gli "ottimati", ovvero i "notabili", facitori dell'opinione generale, falliscono nelle loro capacità persuasive, nonostante le "forze materiali sterminate" di cui dispongono, e si accorgono che i conti elettorali non tornano più, - perché anche il più elementare dei conti del singolo appartenente alla massa da manipolare risulta incompatibile con la loro capacità di manipolazione mediatica del consenso-, il regime, cioè l'ordine istituzionale corrente, diventa obsoleto e occorre "riformarlo". 
E se insorgano delle difficoltà nel riformarlo con l'adesione dei sudditi riottosi, e volgarmente attenti alla loro irrazionale ed inefficiente convenienza, allora ogni mezzo, senza alcuna esclusione, è lecito per instaurare la grande riforma
Spencer lo dice molto bene e naturalmente lo riveste dell'etichetta della libertà (e che diamine!):
"Le vecchie forme di governo giungono alfine ad essere così oppressive, che devono essere rovesciate, anche se ciò possa comportare il rischio di instaurare il regno del terrore". 
Di terrore, nelle sue varie proiezioni e manifestazioni, di questi tempi, ne vediamo profuso a piene mani; direi anzi che l'unico limite è quello di evitare l'assuefazione, spostandolo da un argomento nevralgico all'altro.
Ma, mi pare, siamo a buon punto:'sta democrazia oppressiva deve ormai essere rovesciata
Si tratta in fondo solo dei "costi della politica", parassitismo, corruzione (percepita), caste inefficienti
Aspettatevi dunque il regno del terrore: è per il vostro bene. Mica vorrete essere oppressi e continuare a votare contro i vostri interessi che comunque non potete capire?

IL PARADIGMA STOCASTICO: LA FED E' IMBARAZZATA MA LA BCE INSISTE

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http://image.slidesharecdn.com/howtofaceembarassingsituation-140606105101-phpapp01/95/how-to-face-embarassing-situation-1-638.jpg?cb=1402051913

1. Avevamo visto come i modelli stocastici di previsione dinamica dell'andamento macroeconomico, in funzione di un presunto equilibrio raggiungibile "a priori" (grazie essenzialmente ad aggiustamenti sul lato esclusivo dell'offerta), governino saldamente l'€uropa, nell'impianto teorico seguito contro ogni evidenza da BCE e Commissione UE, e che porta a eclatanti "toppe" previsionali sulle quali mai sentiremo un mea culpa, quanto piuttosto l'invocazioni di curiose autoscuse:

Gelata sul Pil, Istat: crescita zero nel secondo trimestre. Il dato sul Pil fermo «non costituisce una sorpresa»afferma il Tesoro in una nota spiegando che dipende da fenomeni come, tra l’altro, la minaccia del terrorismo (ndr; acuitosi nelle sue maggiori manifestazioni in pieno luglio), la crisi dei migranti (idem, e comunque non certo una novità nello scenario) e la Brexit(ndr; che all'interno del periodo culminante nel secondo trimestre non si era ancora verificata: anzi non s'è verificata tutt'ora, dato che s'è trattato solo di un referendum consultivo e che la procedura ex art.50 TUE è ben lungi dall'essere avviata). Elementi che «erano noti da tempo». Il Tesoro sottolinea anche che «diverse fonti di Governo, compreso il Mef, avevano già segnalato che le stime di crescita formulate ad aprile con il Def sarebbero state messe in discussione da questo nuovo scenario».

2. Questo ambiente ideologicamente totalitario, (nel senso che ha un'idea della società e dell'essere umano che spinge l'autoinvestitasi oligarchia dominante ad un'implacabile azione trasformatrice, che nulla può eticamente arrestare),  costringe, con il suo intangibile ma concretamente fallimentare dogmatismo, i nostri governanti a condurre trattative contrassegnate da un lessico "lunare", in modo da apparire conformi a questi modelli, attraverso delle contorsioni logiche e linguistiche talmente manifeste, che solo i media italiani non sono in grado di accorgersene. 

In pratica, vige ormai l'idea "curiosa" che la manovra sia "espansiva" quando diminuisce, pur sempre, il deficit rispetto all'esercizio di bilancio precedente - cioè si opera in consolidamento fiscale, inevitabilmente pro-ciclico (quindi accentuativo della minor crescita e dell'output gap)-,ma lo si fa "pochino"(meno rispetto al "lovuolel'€uropa" del fiscal compact) e purché siano introdotte nuove misure che abbiano l'etichetta di agire "sul lato dell'offerta" (etichetta non necessariamente rispondente alla effettiva qualificazione scientifica della misura stessa).

3. Tutta la visione, estremisticamente ideologica (e in ciò per niente moderata), che è sottesa da questi modelli, è volta a negare, come anche solo astrattamente possibile, che si possa verificare l'equilibrio della sotto-occupazione, già visto all'opera nella crisi del 1929: la matematizzazione (deduttivistica, cioè a priori, mai seguita da un positivo riscontro induttivo della realtà effettiva), tende sostanzialmente a nascondere l'idea neo-classica e monetarista che avevamo visto qui, parlando della dottrina delle banche centrali indipendenti:
"Alla base dello schema monetarista c’è l’idea, di pieno recupero del dogma neoclassico ante-crisi del ’29, che l’economia si trovi in uno stato naturale di lungo periodo in cui non esistono squilibri nei singoli mercati e tutte le variabili reali si trovano al loro livello naturale.
Da questa concezione si sviluppa il concetto di tasso naturale di disoccupazione, che, sotto un profilo empirico, è il livello di disoccupazione che prevale quando l’economia è al suo livello di pieno impiego.
Da notare che questa idea tautologica della disoccupazione e del “pieno impiego”, legata a qualsiasi equilibrio consentito dalle variabili reali (al netto dell’inflazione)del sistema economico, tende proprio a disinnescare gli enunciati redistributivi, affidati all’intervento dello Stato, propri della Costituzioni democratiche successive alla II guerra mondiale e, simbolicamente, al c.d. Rapporto Beveridge.

Secondo Friedman, se l’economia si dovesse allontanare da questa situazione di pieno impiego, il sistema, nel lungo periodo, tenderebbe naturalmente al riequilibrio.
La direzione dell’attacco monetarista contro la politica fiscale attiva dei keynesiani cambia alla fine degli anni ‘60, rivolgendosi esplicitamente a minare le basi della curva di Phillips attraverso l’introduzione, in quello schema, dellivello atteso di inflazionecome variabile addizionale nella determinazione del tasso di variazione del salario monetario.
Infatti, nel saggio The role of monetary policy del 1968, Friedman negava l’esistenza nel lungo periodo di un trade-off tra disoccupazione e inflazione nella attuazione della politica economica.
La politica di stabilizzazione del ciclo economico, in questa ottica, passa per le seguenti ineludibili vie (che trovano una evidente Eco in molti tratti delle attuali politiche monetarie propugnate da Bundesbank e, di riflesso, dalla BCE):
1) le autorità possono ridurre la disoccupazione al di sotto del tasso naturale solo nel breve periodo e solo perchè il livello di inflazione non è ancora anticipato in modo corretto. L’ipotesi di aspettative adattive implica aggiustamenti graduali e non immediati delle aspettative e la politica fiscale può ancora essere efficace nel breve periodo;
2) qualsiasi tentativo di tenere il livello della disoccupazione al di sotto del suo tasso naturale produce solo una accelerazione della inflazione;
3) se si intende ridurre il tasso naturale di disoccupazione e quindi aumentare il livello dell’output è necessario perseguire politiche dal lato dell’offertaper migliorare la struttura e il funzionamento del mercato del lavoro piuttosto che politiche dal lato della domanda;
4) il tasso naturale di disoccupazione, (come abbiamo visto), è compatibile con qualsiasi tasso di inflazione che a sua volta è determinato dal tasso di espansione monetario come postulato dalla teoria quantitativa. Data la convinzione che l’inflazione è essenzialmente un fenomeno monetario dovuto ad un eccesso di crescita monetaria, i monetaristi affermano che l’inflazione può essere ridotta solo riducendo il tasso di crescita della offerta di moneta."
E’ importante vedere che, in tal modo, si perfezionò un’operazione a carattere “metonimico”: si attribuì al mercato del lavoro l’inflazione dovuta agli shock petroliferi degli anni ’70, quando in effetti l’assetto del lavoro, assistito dalla linea redistributiva variamente sancita nelle Costituzioni (globalmente definite come “rigidità” contrarie all’equilibrio naturale), era soltanto responsabile della limitazione dei profitti (in situazione di ciclo negativo), cioè, in pratica, della simmetrica distribuzione delle conseguenze recessive dell’inflazione petrolifera anche sul lato del capitale. 

4. Non è che da parte dei policy-makers USA, naturalmente, sia sia poi ragionato, e si ragioni, in modo molto diverso: il neo-keynesismo, al di là di aspetti non decisivi riguardo alle politiche di intervento anti-ciclico, condivide fondamentalmente questa impostazione, e falchi e colombe, dentro il Treasury come nella Fed, litigano su diverse "sfumature di grigio" relative a come e a "quando" anticipare la temutissima inflazione, senza però riuscire più a riscontrare le condizioni che, nella parte condivisa delle rispettive posizioni dialettiche, renderebbero chiusa la fase di "trappola della liquidità", ovvero in deflazione o in inflazione inferiore a qualsiasi target, (anche di per sè "moderato" e compatibile con la "disoccupazione naturale").
Dal paper appena linkato, traiamo questo grafico sulla curva di Phillips, che, se ci si attiene al tasso U3 di disoccupazione, non fa capire più nulla agli econonisti USA:


Salvo poi vedere come, utilizzando l'indice di disoccupazione U5, - che, tra l'altro, non è quello, ancor più indicativo, U6, che abbiamo appena visto qui e che incorpora la crescente legione dei working poors, intesi come part-time sottopagati e non volontariamente in tale condizione- i conti tornerebbero un po' meglio:

5. Tenete conto che l'inflazione USA, nonostante i vari QE e i famosi super-deficit dell'amministrazione Obama (v.qui pp.1-2), non decolla proprio e non pare, anche nelle previsioni più mainstream, volersi attestare al mitico target del 2%; che dovrebbe corrispondere alla disoccupazione "naturale", calcolata con U3, allorché si collochi (appena) sotto il 5%. Ma, allo stato attuale, questa soglia "magica" si scontra con la dura realtà dei dati di unemployment 5 e 6 e con la stagnazione dei salari reali, di cui il grafico sottostante ci mostra l'incidenza percentuale su tutti i lavoratori e su alcune significative categorie (il dato ad oggi, non è mutato in modo significativo):

Share of workers with frozen wages over past year

Né l'era Clinton, nè l'Amministrazione Obama hanno arrestato, - tutt'altro!-, il trend generale di aumento della quota dei lavoratori a salario "costante"no-matter-what, trend che risale negli anni '90, e, se cala leggermente alla fine dello stesso periodo (nel senso che si ha una crescita salariale, ma sempre inferiore all'aumento della produttività nello stesso periodo), poi ridecolla nei meravigliosi anni 2000, raccogliendo i frutti della finanziarizzazione (e dell'abolizione del Glass-Steagall Act...ma qui il discorso si farebbe più lungo).

6. Tutto questo ci porta a riallacciarci al discorso iniziale: i modelli stocastici incorporano tante belle cose, tra le quali annettono grande importanza a "shock" determinati da innovazioni tecnologiche, ma considerano irrinunciabile la perfetta flessibilizzazione dei salari e del mercato del lavoro, ossessionati solo dalla corretta anticipazione del tasso di inflazione e nullificando ogni rilevanza dell'ipotesi di un ciclo avverso determinato da debolezza della domanda.

A un certo punto, però, mentre prosegue in UEM, (magari con qualche timido "non capisco ma mi adeguo" italico), la furia devastatrice di conservare il bengodi deflazionista, e del mercato del lavoro-merce, consentito allegramente (per pochi, ma sono quelli che contano), dall'adozione della moneta unica,  e perciò si intende l'intervento straordinario delle finanze pubbliche soltanto come welfare bancario - legittimo perché supply side e solo se non costituisca "aiuto di Stato" secondo discrezionalità mutevoli nel tempo e nel luogo- in USA, la Fed comincia a farsi delle domande.

7. Il New York Times di oggi affronta la questione con questo eloquente titolo: "La Federal Reserve esita mentre vacillano i modelli tradizionali" (International NYT, pagg. 16 e 18).
Tutto parte dalla constatazione, da parte di alcuni membri del Board, che ci sarebbe la "evidenza" che il mercato del lavoro si stia "irrigidendo", e da ciò discenderebbe la imminente risalita di salari e prezzi. Altri, però, replicano che ci sia l'evidenza proprio contraria, e cioè che l'inflazione non stia rispondendo a tale quadro di aspettativa reflazionista (che, se posto sul presupposto del mitico indice U3, diviene in concreto un wishful thinking, cioè aria fritta).
Alla fine, non potendo negare l'evidenza (debolissima) sulle temute spinte inflattive e sulla loro prossimità nel tempo (apparendo piuttosto lontana l'effettiva stabilizzazione sul target del 2%),
2016 United States Inflation Rate: Year over Year
alla Fed si mettono d'accordo sul fatto che sia "prudente attendere di accumulare più dati per poter stimare lo slancio espansivo del mercato del lavoro e delle attività economiche".
Ma lo "stallo", dopo anni di annuncio di risalita dei tassi, mette un po' in imbarazzo questi "policy-makers", che infatti: 
"La Fed fronteggia una fondamentale questione: il paradigma fondamentale utilizzato nel corso dell'ultima generazione (ndr: coincidente col periodo in cui si adotta il "Washington Consensus", per inciso) per regolare l'intervento monetario,è il più corretto in questo momento, o qualcosa di fondamentale è mutato nell'economia globale tanto da richiederne uno nuovo?"

8. La risposta, abbastanza ovvia, sarebbe che sì, qualcosa è mutato: l'errore di calcolo è giunto al...pieno compimento di tale paradigma (cioè alla sua irresistibile forza istituzionale) e, in tutto il mondo avanzato, si è riaffermato il lavoro-merce, perfettamente flessibile, come elogiano le classifiche OCSE e i diktat e gli "indici" del Washington Consensus
Il modello stocastico neo-classico non riesce più a predire nulla di attendibile, e continuare a ignorare l'ipotesi della crisi da domanda innescata sull'equilibrio della sotto-occupazione diventa sempre più difficile.

9. L'articolo prosegue nel trattare questo argomento, evidenziando che, secondo gli indicatori "standard", si dovrebbe essere in una fase espansiva e quindi la preoccupazione principale dovrebbe essere di anticipare la manovra monetaria in modo da non lasciar andare fuori controllo l'inflazione. Così si ha una disoccupazione (U3, naturalmente) alla soglia della sostenibilità di lungo periodo, cioè al 4,9%, scendendo al di sotto della quale si avrebbero eccessive spinte inflazionistiche, e l'inflazione media del 2015 s'era attestata all'1,5%.
Ma...ooops, ci dice il NYT, 
"il modo usuale di pensare non sta funzionando....
Da un lato, il resto del mondo sta crescendo così lentamente che sta creando un costante freno all'inflazione ed alla crescita, e ciò vorrebbe dire che le usuali preoccupazioni sull'inflazione non si applicano. Aver (moderatamente) innalzato le paghe dei lavoratori USA nello scorso anno, all'incirca, è stato controbilanciato da altre forze impeditive dell'inflazione, come la caduta dei prezzi energetici e (udite, udite!) la debole domanda di consumi di beni e servizi da oltreoceano".
Addirittura, il Presidente della Fed di San Francisco suggerisce qualcosa di clamoroso (si fa per dire, ma siamo sempre tra monetaristi e neo-keynesiani).
Posto di fronte al problema del quando "dover" innalzare i tassi di interesse a breve, e del "quanto" farlo in modo da stabilizzarli nel lungo periodo, "solleva la possibilità che la Fed adotti un più significativo cambiamento nel modo di concepire i propri scopi, persino innalzando il target di inflazione del 2%, o rimpiazzando il target inflattivo stesso con un obiettivo di crescita del PIL".

10. La proposta rimane discussa e controversa (anche se non pare poi così clamorosa, se non in un ambiente dottrinario piuttosto "monetarista"...). 
Ma, ammette il NYT, "rimanere in dubbio sul fatto che i vecchi modelli per le politiche monetarie siano o meno ancora validi, è una situazione imbarazzante per una banca centrale".
BCE e dubbi? Mai pervenuti, anzi: qualsiasi ipotesi di crisi da domanda e di aumento dei salari reali è fuori questione. Si proseguano le riforme e "fate presto"!

Draghi avverte i governi: dal rinvio delle riforme costi troppo alti

Mario Draghi, presidente della Bce


L'INCOMPRENSIONE DELL'€UROPA: ALLA CORTE COSTITUZIONALE SFUGGE LO SVIAMENTO DI POTERE LEGISLATIVO- 2

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http://images.slideplayer.it/2/943026/slides/slide_70.jpg




1. Torniamo, ancora una volta, sulla ricostruzione della vicenda relativa alla prevalenza "selettiva" del diritto "comunitario" sulle fonti di livello costituzionale nazionali, quale affermata dalla Corte di giustizia europea già nel 1964 e seguita dall'adeguamento empirico, e apparentemente pragmatico, della nostra Corte costituzionale (in più fasi e fino ai nostri giorni). 
Il punto più importante, e oggi straordinariamente attuale, è che il successivo ampliamento delle "attribuzioni" della Comunità europea, fino a Maastricht, e alla di poco successiva trasformazione in Unione europea, avrebbero posto l'esigenza di rivedere, nelle sue stesse premesse, il passaggio fondamentale con cui la Corte nazionale cedette il terreno, in modo praticamente irreversibile, alla prevalenza, (contraddittoriamente selettiva), del diritto europeo sulla Costituzione.
Il principio unificante di tale vicenda che ha guidato la Corte costituzionale italiana è che un trattato economico incida per definizione "solo" sui "rapporti economici" e non su quelli sociali e politici.  
Ciò aveva una certa sostenibilità, - peraltro sempre contrassegnata da forti limiti di comprensione del paradigma economico sottostante ai trattati-, all'inizio degli anni '70; lo stesso, tuttavia, non si può dire per i contenuti del "vincolo esterno" che parte dallo SME, passa per l'Atto Unico e arriva al "Maastricht" dell'unione monetaria

2. Questo criterio "nominalistico-formale" della Corte, basato sul sillogismo che se un trattato è di natura economica e dice, nella sua intitolazione epigrafica, di essere volto alla pace e alla cooperazione, ciò va preso come presupposto incontroverso, sottratto ad ogni sindacato critico in termini di compatibilià coi principi fondamentali della Costituzione, denota la perdita, già negli anni '70, della consapevolezza circa l'inscindibilità, - affermata dai vari Ruini, Ghidini, Basso, Mortati, Calamandrei, in sede costituente- tra principi fondamentali della persona, al cui vertice assoluto è normativamente posto quello lavoristico, e Costituzione "economica".
I lavori dell'Assemblea Costituente rivelano come la Costituzione economica avesse, - e in realtà  abbia ancor oggi-, il senso della previsione di strumenti la cui applicazione è indispensabile per l'attuazione della democrazia del lavoro che è il perno della Carta del 1948: l'applicazione di tali strumenti di politica fiscale, economica e industriale non è un connotato eventuale e potenziale dell'indirizzo politico della Repubblica, ma è, come viene detto espressamente, oggetto di un obbligo il cui mancato assolvimento vanifica proprio i diritti fondamentali della persona nel quadro della "eguaglianza sostanziale", quali intesi dai Costituenti.

3. Le origini della vicenda storico-giurisprudenziale in questione si fondano su una serie di significativi elementi:
a) il caso "Costa contro Enel" (sentenza della Corte di giustizia europea del 15 luglio 1964, che si contrappose alla sentenza della Corte costituzionale 24 febbraio 1964, n.14, sensatamente "sovranista" e correttamente applicativa dell'art.11 Cost. secondo l'originaria volontà dei Costituenti), scaturì dal ricorso proposto da due giuristi italiani, il professore di diritto costituzionale Giangaleazzo Stendardi e l'avvocato Flaminio Costa. 
Ci pare storicamente molto interessante tradurre quanto riferito, dalla fonte citata, sulla visione teorico-scientifca del primo: Stendardi aveva teorizzato il ruolo dell'attivismo legale davanti alle Corti come un quasi-sostituto della "responsabilità politica", in particolare al livello europeo. In vari scritti, prima e dopo il caso "Costa", sosteneva che "non è necessario avere un parlamento direttamente eletto dal popolo per realizzare la protezione dei cittadini; si richiedeva soltanto l'esistenza di una procedura idonea a proteggere gli individui direttamente di fronte alla organizzazione [europea]...Questo forte "credo" nella "Legge"come sommo strumento di protezione dei cittadini (persino più importante dell'esercizio del voto), fu naturalmente attivato in tale contesto contro la legge italiana di nazionalizzazione [del settore elettrico]. Stendardi, che era stato professore aggiunto alla scuola milanese "Bocconi" negli anni '50, e al tempo era un membro attivo del partito liberale italiano a Milano, era fortemente critico sul progressivo processo delle nazionalizzazioni in Italia".

b) Negli anni successivi alla sentenza "Costa contro Enel", (dopo un resistenza iniziale sul cui superamento aleggia tutt'ora il mistero, dato che la nostra Costituzione e il senso attribuitogli dal valore vincolante dei lavori della Costituente non erano mutati),  la nostra Corte costituzionale arrivò a enunciare i presupposti della prevalenza del diritto comunitario su quello nazionale e sulla stessa fonte costituzionale...a certe condizioni. Sul punto commenta Arturo


E fu così che i liberali, che in Assemblea Costituente erano "quattro noci in un sacco", come ebbe a dire efficacemente il vecchio Togliatti, riuscirono a piantare un virus di portata europea in Costituzione, rispetto ai cui effetti devastanti la Corte Costituzionale ha dimostrato negli anni una cecità che si commenta da sola (basti ricordare la sent. 183 del 1973, in cui si ritiene estremamente improbabile ”l’ipotesi di un regolamento comunitario che possa incidere in materia di rapporti civili, etico-sociali, politici, con di­sposizioni contrastanti con la Costituzione italiana”, in quanto la ”competenza normativa degli organi della CEE è prevista dall’art. 189 del trattato di Roma” è limitata “a materie concernenti i rapporti economici”. Ah, beh, se si tratta "solo" di rapporti economici allora siamo tranquilli... 
4. Dal complesso delle fonti che abbiamo finora messo insieme, possiamo trarre alcune conclusioni, che servano possibilmente da chiarimento per individuare un filo conduttore in un insieme di dati storici e di concetti che, altrimenti, rischiano di sfuggire nella loro coerenza unitaria.
Questa, infatti, emerge se proiettata nel corso dei decenni, nei quali si collocano gli antecedenti ora riassunti ed in coordinamento con altri elementi sopravvenuti, ma fin dall'origine rispondenti ad un disegno iniziale, a realizzazione "progressiva" (temi già analizzati in questa sede)
a) l'idea, fatta propria dalla Corte costituzionale, che un trattato (parliamo di quello di Roma del 1957), che predicasse la creazione di un "mercato comune", promuovendo espressamente la libera circolazione "delle persone, dei servizi, delle merci e dei capitali", cioè un trattato di sostanziale liberoscambio, non avesse influenza sui "rapporti civili, etico-sociali e politici", è non solo manifestamente illogica dal punto di vista della attendibilità economica, ma contraria agli stessi espressi enunciati del trattato stesso (intediamo quello c.d. di Roma). 
a1) Traiamo dalla fonte ufficiale (UE) appena linkata
"Dopo il fallimento della CED (comunità europea della difesa), il settore economico, meno soggetto alle resistenze nazionali rispetto ad altri settori, diventa il campo consensuale della cooperazione sovranazionale. Con l'istituzione della CEE e la creazione del mercato comune si vogliono raggiungere due obiettivi. Il primo consiste nella trasformazione delle condizioni economiche degli scambi e della produzione nella Comunità. Il secondo, più politico, vede nella CEE un contributo alla costruzione funzionale dell'Europa politica e un passo verso un'unificazione più ampia dell'Europa".

b) dunque, le stesse istituzioni UE hanno sempre e costantemente inteso il trattato (già quello del 1957) come avente uno scopo politico a cui l'approccio economico era essenzialmente strumentale: ma tale strumento si connotava, fin da allora, in senso liberoscambista e, co-essenzialmente, improntato all'idea neo-liberista della libertà di concorrenza come ipotesi macroeconomica fondata sulla prevalenza del sistema dei prezzi, affidati alle dinamiche dell'economia privata non ostacolata dall'intervento dello Stato nel raggiungere l'efficienza allocativa. 
Quest'ultima non è univocamente volta a "crescita e sviluppo", ma subordina dichiaratamente entrambi alle condizioni della stabilità dei prezzi nonché della preferenza per la flessibilità verso il basso dei prezzi relativi ai costi d'impresa (in primis i salari), che consentono l'ipotizzata efficienza allocativa della singola impresa, automaticamente estensibile a equilibrio generale: cioè, in modo trasparente, i trattati europei, fin dagli anni '50, propugnavano l'idea del liberismo neo-classico, superata, anzi respinta, esplicitamente dalla nostra Costituzione. 
Postulato, ossessivamente esplicitato, è che l'attività economica si esplichi in condizione di "libera concorrenza"e che ciò sia ostacolato dall'intervento dello Stato sulle dinamiche del mercato

5. Citiamo ancora, per sottolineare la dichiarata chiarezza di questa concezione secondo la stessa fonte istituzionale europea:
"Il mercato comune si basa sulle famose "quattro libertà": libera circolazione delle persone, dei servizi, delle merci e dei capitali.
Esso crea uno spazio economico unificato che permette la libera concorrenzatra le imprese, e pone le basi per ravvicinare le condizioni di scambio dei prodotti e dei servizi che non sono già coperti dagli altri trattati (CECA e Euratom).
L'articolo 8 del trattato CEE prevede che la realizzazione del mercato comune si compia nel corso di un periodo transitorio di dodici anni, diviso in tre tappe di quattro anni ciascuna. Per ogni tappa è previsto un complesso di azioni che devono essere intraprese e condotte insieme. Fatte salve le eccezioni o deroghe previste dal trattato, la fine del periodo transitorio costituisce il termine per l'entrata in vigore di tutte le norme relative all'instaurazione del mercato comune.
Poiché il mercato è fondato sul principio della libera concorrenza, il trattato vieta le intese tra imprese e gli aiuti di Stato (salvo deroghe previste dal trattato) che possono influire sugli scambi tra Stati membri e che hanno per oggetto o effetto di impedire, limitare o falsare la concorrenza.
c) La Corte già disponeva di questo quadro di interpretazione autentica e vincolante dei trattati. L'influenza delle politiche tese ad instaurare la "libera concorrenza tra le imprese" su: 
a) livello dell'occupazione; 
b) livello dei salari; 
c) livello delle inevitabilmente connesse prestazioni previdenziali (e, più in generale, di ogni altra forma pubblica erogatrice di salario indiretto o differito, tra cui spiccano le prestazioni dell'istruzione e della sanità pubbliche), era obiettivamente conoscibile e prevedibile: non come questione scientifico-economica ma come effetto inevitabilmente predicato sul piano normativo dai trattati
d) E ciò era infatti ben possibile da cogliere, anche per una Corte composta da giuristi, fin dagli anni '70, assumendo come riferimento interpretativo, certamente accessibile sul piano del dovuto chiarimento delle norme, le teorie economiche che predicano l'equilibrio del sistema sulla base dell'ipotesi (propria dei trattati) di vigenza e promozione della libera concorrenza: questa operazione di "ribaltamento" dell'impostazione socio-economica accolta in Costituzione,  era di immediata percezione se ci si fosse basati sui lavori dell'Assemblea Costituente, dove la connessione tra "Repubblica democratica fondata sul lavoro" e sua realizzazione attraverso l'intervento economico dello Stato volto alla piena occupazione, era stata costituzionalizzata per respingere proprio tali teorie, (come viene ampiamente evidenziato ne "La Costituzione nella palude")
Era solo questione di tempo perché gli effetti sociali, cioè sul mondo del lavoro, sul livello di occupazione e sul benessere diffuso, di questa impostazione economica, che è in sé una forte scelta politica di riorganizzazione sociale e dei rapporti di produzione, - che abbiamo visto espressamente enunciata dalla fonti ufficiali europee_ , si facessero sentire e iniziassero a modificare, nell'evidenza dei fatti, gli stessi rapporti politici
E la gradualità e estensione pervasiva delle relative politiche era espressamente prevista dal trattato del 1957, come, altrettanto, abbiamo appena visto. 
e) Ma non solo: lo svolgimento di politiche coinvolgenti un numero crescente di settori economici a forte impatto sociale (al "minimo" agricoltura e trasporti) era altrettanto previsto ab origine, fino al punto di includervi tout-court, ed espressamente, la "politica industriale"che, come ci descrive Caffè, è il perno della sovranità effettiva di uno Stato, cioè la ragion d'essere delle "funzioni e gli scopi dello Stato": essa attiene infatti al problema di decisione politica, preliminare ad ogni altra, di "cosa e quanto produrre e cosa scambiare con gli altri paesi", determinando il livello del reddito nazionale e dell'occupazione e, quindi, in definitiva, l'assetto del benessere diffuso della Nazione. 
Per contro, è, o dovrebbe essere, fatto notorio che un trattato liberoscambista, basato sull'inevitabile ipotesi delle funzioni economiche dello Stato come ostacolo principale all'allocazione efficiente delle risorse, assume come prioritaria, (su quella dello Stato), l'azione del mercato spontaneamente regolantesi secondo il principio allocativo dei "vantaggi comparati": tale meccanismo insito nel liberoscambio crea inevitabilmente, nelle sue stesse dichiarate premesse teoriche, una competizione commerciale e industriale tesa a instaurare una gerarchia tra gli Stati aderenti, con pochi vincitori e molti perdenti nella stessa competizione
6. L'implicito estendersi in progressione del meccanismo dei "vantaggi comparati"è anch'esso enunciato nel trattato del 1957, e preannuncia, senza equivoci, che le "politiche" che si assumeva l'istituzione CEE consistevano in "condizionalità" a carico degli Stati - limitative dei loro scopi e funzioni costituzionalmente sanciti...in precedenza- per consentire la riallocazione propria degli stessi vantaggi comparati. Ecco la conferma dalla stessa fonte, per quanto inframmezzata dal continuo reiterare fumosi obiettivi di miglioramento occupazionale e del "tenore di vita" (mai riscontrati come conseguenza delle politiche europee, in tutto l'arco del loro dispiegarsi, e neppure coerenti con la cornice scientifico-economica della "forte" reciproca competizione insita nel liberoscambismo):
"Alcune politiche sono previste formalmente dal trattato, come la politica agricola comune (articoli 38-47), la politica commerciale comune (articoli 110-116) e la politica comune dei trasporti (articoli 74-84). 
Altre possono essere intraprese a seconda delle necessità, come previsto all'articolo 235, secondo cui "quando un'azione della Comunità risulti necessaria per raggiungere, nel funzionamento del mercato comune, uno degli scopi della Comunità, senza che il presente Trattato abbia previsto i poteri d'azione a tal uopo richiesti, il Consiglio, deliberando all'unanimità su proposta della Commissione e dopo aver consultato l'Assemblea, prende le disposizioni del caso". 
Sin dal vertice di Parigi dell'ottobre 1972, il ricorso a tale articolo ha permesso alla Comunità di sviluppare azioni nei settori della politica ambientale, regionale, sociale e industriale.
Oltre allo sviluppo di tali politiche viene creato il Fondo sociale europeo, diretto a migliorare le possibilità di occupazione dei lavoratori e il loro tenore di vita, e istituita una Banca europea per gli investimenti, destinata ad agevolare l'espansione economica della Comunità attraverso la creazione di nuove risorse".
7. Oggi noi sappiamo che la Corte si trova a fronteggiare direttamente un problema, posto dalla disciplina europea, che, solo in apparenza, appare (più) esplicitamente incidente, rispetto al passato, sui rapporti politici, sociali e civili: quello del pareggio di bilancio.
In realtà, com'è facile arguire da quanto precede, questa incidenza era già presente nella genetica impostazione della costruzione economico-politica europea e la Corte, ormai consolidatasi in una linea ignara di tali eclatanti premesse politico-economiche, si trova (quasi con sorpresa), a fronteggiare solo l'inasprimento quantitativo -inevitabile nel quadro normativo della moneta unica- di una tendenza che non è stata in grado di cogliere nei decenni precedenti.
Di questo aspetto ci siamo già occupati sia in "Euro e(o?) democrazia costituzionale" che ne "La Costituzione nella palude".
Richiamiamo qui dei post che ne sono parte fondamentale:


1) COSTITUZIONALITA' DELLE MANOVRE FINANZIARIE. UN DUBBIO INTERNO ALLA STESSA COSTITUZIONE 

2) LA DOTTRINA DELLE BANCHE CENTRALI INDIPENDENTI E LA SUA ATTUALE EVOLUZIONE 

3) IL REDDE RATIONEM: LA CORTE IN MEZZO AL GUADO (l'emergenza democratica più grave dal 1948)


8. Nel terzo di tali post avevamo commentato un articolo di Federico Fubini che esprimeva il seguente concetto:"...il conflitto fra interpretazione della Costituzione italiana, regole europee e risorse è più acuto che mai. Lo è al tal punto che, in ambienti del governo, sta emergendo una tentazione: chiedere un rinvio del caso alla Corte di giustizia europea, per chiarire se la sentenza della Consulta italiana sia coerente con gli impegni di bilancio firmati a Bruxelles. 
Il nuovo Patto di stabilità (il “Six Pack” e il “Two Pack”) sono inclusi nel Trattato, dunque hanno rango costituzionale e il diritto europeo fa premio su quello nazionale. Il governo italiano potrebbe chiedere alla Corte di Lussemburgo se la sentenza dei giudici di Roma sia compatibile con essi."

A questo perentorio assunto del "fa premio su quello nazionale" (di diritto costituzionale) avevamo opposto la sentenza della Corte costituzionale n.238/2014, dove era ribadita la vigenza dei controlimiti, cioè della invalicabilità dei diritti fondamentali previsti nella Costituzione, nei confronti di qualunque fonte europea. 
Questa consolidata affermazione basterebbe perché l'asserzione gerarchico-militare di Fubini fosse già confutata. La sentenza della Corte costituzionale in materia di "adeguamento pensionistico" ne è una traccia, ma, come abbiamo evidenziato, indiretta.

9. Questo perché, la Corte, in quella occasione, come in tutte le ulteriori in cui ha svolto in modo puramente notarile il suo sindacato, ha richiamato, come clausola di  "chiusura" (se non "di stile"), - non necessitante di verifica e motivazione circa la sua armonizzazione coi principi fondamentali della Carta del 1948-, la necessità di rispettare gli obblighi assunti in sede europea".
La Corte, in realtà, ha talvolta (nella migliore delle ipotesi), aggirato l'ostacolo ponendosi in "mezzo al guado" di un compromesso tra due soluzioni inconciliabili, che l'hanno, allo stato, tatticamente arrestata sulle soglie di un problema diverso da quello del sindacato sulla compatibilità costituzionale dei trattati (ci riferiamo al problema degli effetti restitutori e ripristinatori delle sentenze della Corte, che dovrebbero contrassegnare l'effettività della tutela da essa accordata).
Con ciò, da un lato, rifiutando di metterne in discussione la effettiva connessione coi pretesi scopi di "risanamento economico", di "superamento della crisi" e di promozione della crescita enunciati verbalmente come  "titolo" giustificativo nominalistico dalla disciplina imposta dal diritto europeo, scopi che esso in concreto non ottiene e non persegue (e nessuno lo afferma nemmeno più, neppure tra i massimi responsabili della politica economica), dall'altro, evitando di affrontare il cuore del problema: cioè cercare di spiegare quali siano le cause effettive della crisi economica italiana, sviluppatasi, dopo il 2011, in dipendenza delle politiche fiscali imposte dal mero scopo di mantenere in vita l'euro a detrimento del livello di occupazione e salariale.

10. Ebbene, l'ignorare le dichiarate premesse politico economiche del fiscal compact (come della moneta unica e della banca centrale indipendente) determina, per la Corte costituzionale, l'impossibilità di risolvere questo genere di problemi in modo logico e conforme al dettato costituzionale.
Questo, nella sua essenza indeclinabile, non dovrebbe mai consentire una norma, di qualsiasi fonte, che in concreto, e per "fatto notorio", abbia una finalità limitativa dell'occupazione - strumentale alla deflazione salariale necessaria nel quadro normativo dell'eurozona al mero mantenimento della moneta unica. 
Ma questo atteggiamento di "nominalismo acritico" discende dalla scelta contraddittoria operata con le prime sentenze del 1973 e seguenti: deriva cioè dall'illusione di poter considerare in qualche modo "neutrale" la sovrapposizione del sistema neo-liberista rafforzato dal trattato di Maastricht rispetto alla questione fondamentale di quali siano "i fini e le funzioni dello Stato", per usare le parole di Caffè, previsti dalla Costituzione in rapporto alle politiche economiche e fiscali
Queste ultime politiche, cioè l'effettività del programma costituzionale di realizzazione dell'eguaglianza sostanziale e della Repubblica fondata sul lavoro, non possono continuare a essere considerate un "qualcos'altro" rispetto alla tutela dei diritti fondamentali della persona.
L'alternativa al recepire in pieno questa interconnessione di supremo valore normativo, voluta dai Costituenti in un'armonia complessa (come disse Basso in un celebre intervento in Costituente), sarebbe quella di separare dai restanti diritti fondamentali il diritto al lavoro, depotenziandoli in un colpo tutti insieme: ma arrivando così a ratificarne quel carattere di "mero enunciato enfatico" (oggi tanto di moda), che non solo fu respinto come formula dagli stessi Costituenti, ma la cui accettazione ridisegna definitivamente, in senso profondamente modificativo, l'insieme dei diritti fondamentali concepiti nella Costituzione del 1948.

11. La Corte, come abbiamo già visto, assume come aprioristicamente attendibile ciò che è invece fortemente e ragionevolmente dubitabile: e cioè che gli obblighi assunti verso l'UE e che hanno portato alle politiche dettate dal fiscal compact, (inclusi i patti di stabilità interna che tanto incidono sul livello minimo essenziale delle prestazioni ad ogni livello di governo territoriale), siano stati contratti per superare la crisi economica italiana e "tornare alla crescita".
Ma nel far ciò si limita ad accettare come incontestabile questo enunciato puramente nominale, cioè a ritenere che siccome una fonte europea - e la legislazione conseguente che l'Italia è costretta ad adottare- enuncia un fine, questo sia indubitabilmente rispondente al vero.
E sarebbe non solo, per (acritica) presunzione normativa, "vero", ma per di più insindacabile: la Corte non si pone il problema di verificare gli effetti completamente contraddittori delle politiche di conservazione della moneta unica,  alla luce della irrisolvibile recessione e stagnazione che da esse derivano, con il vertiginoso aumento del rapporto debito/PIL che, pure, in tutta l'eurozona, testimonia questa stessa contraddittorietà e inattendibilità delle politiche di "risanamento finanziario"...per la crescita e la "stabilità finanziaria"!

12. Eppure, una verifica di tali pseudo-finalità sarebbe con immediatezza possibile ad ogni "normale" osservatore della congiuntura economica dell'eurozona e, in particolare dell'Italia (la più zelante nell'osservare i dettami del "fiscal compact"), portando alla rilevazione di un colossale caso di eccesso di potere legislativo, non ignorabile nel prendere atto dei dati macroeconomici dello Stato italiano, accessibili a livello ufficiale (su fonti governative e Eurostat) .
L'eccesso di potere nella forma dello "sviamento di potere", la forma più grave ed insidiosa, in termini di democrazia e di aspettative ingannevoli suscitate presso i cittadini,  si ha quando un atto della pubblica autorità dichiara una sua finalità giustificativa (di presunto pubblico interesse, legalmente prestabilito) ma, in base a oggettivi ed univoci dati intrinseci (premesse rinvenibili nei fatti politici) e estrinseci (rilevazione degli effetti divergenti concretamente perseguiti), si rivela oggettivamente volto ad una diversa e non dichiarata finalità.

13. Ma, oltre ai dati macroeconomici, anche gli stessi presupposti "scientifici", giustificativi del fiscal compact, assunti dichiaratamente dalle istituzioni europee che l'hanno imposto, sono tutt'ora ignorati dalla Corte, nonostante il passare degli anni e l'accumularsi delle conferme di un'analisi "ufficiale" divergente da quella che la Corte continua a condividere
Con questo, in pratica, chiudendosi in un mondo di enunciati inerziali efuori dal dibattito politico-economico che agita l'intera UEM, che ha reso ormai di pubblico dominio gli scopi effettivi del fiscal compact: la correzione degli squilibri commerciali e finanziari scaturenti dal meccanismo della moneta unica al fine esclusivo di mantenere in vita quest'ultima.

Questa presunzione assoluta di veridicità delle "intitolazioni" strategiche delle fonti europee, scisse dai loro scopi effettivi, facilmente accertabili in base a imponenti analisi e giustificazioni provenienti da dichiarazioni formali delle più importanti istituzioni europee, pare un vecchio punto debole della nostra Corte.
Un punto debole che si riverbera sulla operatività dei più autentici principi fondamentali della Costituzione del 1948 e che denuncia ormai un difettoso approccio culturale e interpretativo che ha superato i quaranta anni. 
Al punto che, via via che si accumula una giurisprudenza costituzionale intessuta di diritti ex-fondamentali che cedono di fronte all'art.81 della Costituzione (fonte di "revisione" subordinata a quella costituzionale primigenia del Potere Costituente), con l'acuirsi della crisi del paradigma ordoliberista dei trattati, divenuto insostenibile per centinaia di milioni di cittadini,la Corte si troverà in una condizione non dissimile da quella dei soldati giapponesi, dispersi su remote isole, e che continuavano a combattere a oltranza una guerra già finita...

VENTOTENE'S VAUDEVILLE: LA PENOSA AGONIA DELL'€UROPA SPIAGGIATA

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http://www.mareonline.it/wp-content/uploads/2013/04/Schakleton-4.jpg

1. La costruzione €uropea, - contrariamente a quanto ritengono gli z€loti che vivono di luoghi comuni, facitori e vittime della propaganda neo-ordo-liberista -, è stata guidata dalla volontà USA di governare l'intero Occidente (qui p.2 e qui, per la traduzione della fonte ufficiale), assicurandosi, per la sua parte più importante (cioè il "vecchio" continente), due certezze considerate imprescindibili: 
a) ancorare il continente "madre" (o "padre") all'economia di mercato, in contrapposizione a ogni cedimento "socialista" al bolscevismo sovietico, e trascinarlo in tutte le successive evoluzioni economico-ideologiche del "mercatismo", preparatorie e posteriori alla "caduta del muro" (in particolare il Washington Consensus);
b) agevolare il conseguente perseguimento delle strategie geo-politiche ritenute opportune dagli USA stessi  - o meglio dal suo establishment sentitosi trionfatore della guerra fredda e emblema della "fine della Storia"-, in quanto naturali leaders di questo blocco omogeneo di paesi trasformati in sinergici ausiliari "liberal-liberisti": l'agevolazione consentita dall'€uropa è quella di avere un interlocutore unico allorquando occorra garantire un coordinamento politico, ossequioso della linea stabilita al centro dell'Impero, verso le aree diverse da questo blocco (come insegna la vicenda dell'Ucraina e, in misura più incerta, quella dei Balcani, della Libia e del Medioriente...).

2. Sul piano geo-politico questa strategia ha avuto alterne fortune, lamentandosi la ritrosia europea all'aggressività e alla spesa militare, ritenute indispensabili segni di riconoscenza per l'ombrello NATO garantito durante la quasi-immaginaria paranoia dei "carri armati di Stalin" (almeno a condividere l'attenta ricostruzione di un insider come Craig Roberts); ma sul piano dell'assetto economico-ideologico, si è trattato di uno straordinario successo, almeno in termini di revanche su quel paradigma keynesian-sociale che aveva caratterizzato la concessione, ai popoli europei, del welfare costituzionalizzato (al massimo grado in Italia), sacrificando, ma solo momentaneamente e comunque col presidio tattico garantito dalla Germania, l'urgenza del ripristino del capitalismo anteriore alla crisi del 1929.

Questa premessa (storica e strutturale, e quindi fenomenologica), ci consente di dire che gli eventi fondamentali che caratterizzano la costruzione €uropea, proprio per la sua natura di strumento della strategia mondialista degli USA, ha sempre più senso cercare di comprenderli su fonti di analisi e di informazione provenienti dagli USA stessi, piuttosto che dall'€uropa, data la sudditanza e lo stato di alterazione permanente in cui vivono le classi dirigenti e i media dei paesi aderenti all'UE(-UEM).

3. Ora, questo stesso criterio va a  maggior ragione seguito per l'evento del summit di Ventotene: in termini pratici, com'era assolutamente scontato, esso non ha avuto alcun significato risolutivo o di rilancio della crisi in cui versa l'Unione.
E non poteva essere diversamente: la Germania non sente di essere in crisi e, comunque, segue le politiche che le sono congeniali nel proprio irrinunciabile interesse nazionale (qui pp. 2-3). 
L'UE, e ovviamente più ancora l'euro, sono solo strumenti di potenziamento di questo interesse nazionale che possono essere accettabili, a norma della sua stessa Costituzione, solo a condizione che tale convenienza rafforzata sia effettivamente raggiunta. 
Gli altri paesi, su tutti l'Italia, - che rappresenta(va) allo stadio più avanzato il modello costituzional-keynesiano e che quindi andava normalizzata, a colpi di "riforme", più e prima di ogni altro Stato "nazionale" europeo, rivestendo ciò un prioritario valore simbolico per gli stessi USA- versano invece in una sempre più grave crisi strutturale, posta in relazione di dipendenza inversa con la "prosperità" perseguita dalla Germania.
Perciò l'esito del summit di Ventotene era già scritto.

4. Leaders disabituati a decidere perchè parte di classi politiche guidate da decenni di strategia behind the scene degli USA, che restringe ogni possibile azione di governo alle riforme neo-liberiste-supply side (sperimentate per prime dal FMI sui paesi in via di sviluppo); leaders ormai persino nati e cresciuti dentro la "addiction" dei parametri rigidi e degli automatismi di cui l'ordoliberismo strumentale ha infarcito trattati immodificabili (prima ancora che inaccettabili per qualsiasi democrazia sostanziale), non hanno alcuna attitudine a risolvere i problemi derivanti dall'eurozona: per essere in grado di farlo, se non altro, dovrebbero rinnegare se stessi apertamente e, implicitamente, le politiche seguite ottusamente per oltre 30 anni dai ranghi partitici da cui provengono
Dovrebbero perciò sopportare un costo altissimo in termini politici e personali: quello di guidare una sostanziale rivoluzione - perché a questo corrisponderebbe una modifica dei trattati in senso veramente risolutivo della crisi di crescita e di identità sociale che hanno provocato con la loro applicazione.
Insomma, dovrebbero realizzare nella sostanza un vero e proprio cambiamento di classi dirigenti, mettendo in discussione, prima di tutto, la propria stessa esistenza politica. 
Perché in ciò e solo in ciò consiste una "rivoluzione" e non una messa in scena cosmetica da dare in pasto ai media addomesticati o, nella migliore delle ipotesi, ormai deprivati delle risorse culturali per interpretare il presente (che essi stessi hanno decisivamente contribuito ad alterare sul piano della percezione culturale).

5. Dunque, una rifondazione €uropea che partisse dal simbolo di Ventotene, rinviando al suo "Manifesto", - cioè a quello pseudo-mito fondativo che persino Marco Gervasoni, nel commentare l'imminente vertice, indica come qualcosa che NON è stato tradito quanto, semmai, rispettato, nei suoi contenuti programmatici fondamentali- , non poteva che essere un'operazione inutilmente cosmetica, nelle implicite ma necessarie intenzioni dei partecipanti, e, obiettivamente, fallimentare.
"Renzi non può piegare le regole fiscali dell'eurozona all'obiettivo della crescita italiana". 
Il tutto condito dal consueto, e ormai stucchevole, "Renzi è un leader coraggioso e siamo impressionati dalle riforme da lui intraprese". 
Un contentino che, assunto in una corretta operazione interpretativa, alla luce di quanto abbiamo detto in premessa equivale a dire 
"voi avete fatto, comunque in ritardo, le riforme chieste dal paradigma socio-economico voluto dagli USA, ma questo è un merito secondario, perché se volete risolvere i vostri problemi dovete essere come noi e se non ci riuscite ne pagherete il duro prezzo, perché le regole fiscali dell'eurozona vi vincolano e se stanno bene a noi non c'è motivo al mondo per cambiarle".

6. Capirete bene che date queste premesse, questo svolgimento del copione e questo esito iperscontato, il vertice di Ventotene è risultato essere appunto solo un cosmetico teatrino, a ruoli classici precostituiti come nel miglior (o peggior) vaudeville borghesotto.
Più interessante, dunque, vedere come interpreti la cosa il solito International New York Times (oggi, pag.1 e prosecuzione a pag.4):
"I 3 leaders europei trovano una scarsa consolazione nel summit post-Brexit".
L'articolo ci riporta la ben nota cornice di tre leaders indeboliti a casa propria - e questo non lo si enfatizza mai abbastanza quando si dà per scontato che, stranamente, si "transustanzierebbero" nel loro ruolo svolto in sede €uropea-, e che, comunque, rimangono "divisi sulle questioni chiave". 
E il NYT, senza troppi giri di parole, indica come primariamente "chiave" quella della "flessibilità sui rigidi parametri di bilancio fiscale per i 19 paesi dell'eurozona"
E tanto basterebbe: il bla-bla-bla sui problemi degli immigrati e disoccupazione giovanile, è solo un contorno. Ma per forza di cose: entrambi i problemi sono finanziariamente e socialmente devastanti e risultano irrisolvibili, come evidenzia con scetticismo il NYT, soltanto all'interno di quei "rigidi parametri fiscali" che, peraltro, servono esclusivamente a mantenere in vita l'euro e, quindi, accontentano solo la Germania che dell'euro è l'unico (grande) paese che si avvantaggia.

Ma i loro stessi momenti di crisi vocazionale e sistemica, il NYT, li inserisce in un trafiletto a pagg.16 e 18, mentre alla crisi dell'eurozona, perché è di questo che si tratta (anche se sfugge ai media italici la distinzione col resto dell'unione europea e l'estraneità del tutto al problema Brexit), dedica la prima pagina.

Ed è naturale che sia così: noi abbiamo l'euro e questo comporta INEVITABILMENTE, come sottolinea il NYT, che "non c'è alcuna chiarezza su come o perché questi sforzi - di garantire la sicurezza esterna e interna, di ridare slancio alla crescita e all'occupazione, di fare "programmi speciali" per i giovani, che sopportano il flagello della disoccupazione ovunque tranne che in Germania- dovrebbero avere successo dopo che sono in precedenza sempre falliti".

8. E qui arriva la parte predittiva dell'analisi:
"Tuttavia le pressioni sono immense; se l'Europa non fronteggia le sue molte sfide, i sentimenti anti-UE potrebbero montare e anche condurre ad ulteriori referendum per lasciare il blocco".
Segue un elenco di sintomi di disgregazione e di connesse scadenze
"gli olandesi sono nervosi, dopo aver votato contro l'UE sull'accordo relativo all'Ucraina, in un referendum di questa estate".
In Austria "si rivota per le elezioni presidenziali il prossimo 2 ottobre, dove un politico di estrema destra potrebbe vincere per la prima volta dal lontano 1945. Quello stesso giorno, l'Ungheria voterà un referendum sull'accoglienza ai "rifugiati" (nrd; o piuttosto sui "migranti" economici intesi come "risorse", tranne che a...Capalbio?), il cui arrivo di massa ha scioccato la stabilità europea e portato i paesi post-comunisti a rigettare qualsiasi quota di accoglienza dei "newcomers".
Segue la descrizione dei tours, presso i vari Stati aderenti all'UE, che (secondo criteri di "competenza geopolitica) Merkel, Hollande e Renzi dovrebbero svolgere in preparazione del summit di settembre a Bratislava; che arriva dopo il precedente di giugno, per discutere anche delle trattative per la Brexit (con la controversa candidatura del francese Barnier a condurre i negoziati ai sensi dell'art.50...quando la Theresa May deciderà di avviarli).
Proprio nel precedente di giugno si era visto che la riunione a 27 (cioè l'UE intera senza il Regno Unito, cosa di dubbissima legittimità: ma la rule of law, con i trattati, è una figlia illegittima della "discrezionalità" sregolata che la CGUE riconosce alle istituzioni UE), non intendeva tener in gran conto quanto pre-deliberato nel vertice a tre (fra gli stessi confluiti a Ventotene) svoltosi due giorni prima.

9. Insomma, una completa dimostrazione di futilità, rigidità negoziale, riserve mentali legate alla convenienza nazionalissima da parte della Germania e a un grottesco protagonismo da parte di Italia e Francia, in pieno vaudeville che nasconde un dietro le quinte in cui, nemmeno in tre, possono ormai avere interessi e valutazioni convergenti, al di là delle dichiarazioni di circostanza della Merkel che hanno il senso visto più sopra. Cioè quanto di meno rassicurante per l'Italia, ormai indifesa.
Tanto da lasciar traccia di un semi-scetticismo (semi)riposizionatore:



10. In questo bailamme inconcludente e scontato, ognuno va per sè e i trattati continuano a costituire il flagello per tutti...meno uno. 
Stiglitz riprende la sua voce, proseguendo la sua campagna
"anti-euro, anzi, no, bisogna salvarlo, ma non vedo come, però si potrebbe...

Dall'altro lato, insiste sulla sua (irresoluta) analisi economico-politica, "Riforma o divorzio" nell'eurozona, evidenziando "the lack of political will" (cioè l'esatto fenomeno di blocco negoziale e di riserve mentali non cooperative in una società "da trattato" che vive solo di competizione feroce tra gli Stati coinvolti nell'euro). 
Solo che ci aveva prima aggiunto lo strafalcione di "sconsigliare" a Renzi l'effettuazione del referendum (sulla riforma costituzionale...prescritto obbligatoriamente dall'art.138 Cost.!), effettivamente, al fine molto pratico di non aggiungersi al quadro di scadenze e consultazioni, sopra viste, che potrebbero condurre al collasso politico del "fogno"€uropeo: quello del mercato del lavoro-merce, coi giovani disoccupati dilaganti e gli immigrati di massa che si assommano alla deindustrializzazione da output-gap che tanto piace alla Germania.

11. Detto così, si capisce bene perché gli USA siano scettici e pessimisti, almeno nei media e nei pensatori più autorevolmente "progressisti". 
Dietro c'è molto di più: c'è la questione di "massima importanza politica" di chi davvero debba governare le società occidentali ex-democratiche. 
Nascosti nell'ombra della falsa preoccupazione per la "crisi"€uropea, i neo-liberisti covano il loro keyneismo truffaldino: la prosecuzione della politica oligarchica con altri mezzi e quindi la spesa di guerra (v.qui, pp. 12-13).
Risultati pratici da attendersi più realisticamente?




AMATRICE ERA UN BORGO ITALIANO, MOLTO ANTICO (SUMMA VILLARUM). MA ORA C'E' LA "SOLIDARIETA'"€UROPEA

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1. Non farò un vero e proprio post sul terremoto nel centro d'Italia: vi darò delle tracce da seguire.
Anzitutto rinvio al post di Alberto su Goofynomics: conscio del fatto che molti di voi lo avranno già letto.
Sottolineo che, ad esempio, come da titolo, l'antichissima Amatrice fu già colpita da eventi simici: ma nel '600 fu possibile ricostruirla e portarla di nuovo in vita. Non seguendo le norme antisismiche, al tempo non esistenti, ma almeno fu ricostruita. E anche restaurata in ciò che di più antico vi era.

http://www.visitlazio.com/documents/563196/597231/amatrice_8.JPG/6846efb0-72fa-43cf-86ff-cd76a7c7f90e?t=1392130270963?t=1392123070963&imageThumbnail=3

Con la "Grande Società"€uropea, dichiaratamente governata dai "mercati", di ciò c'è molto da dubitare, vista anche l'esperienza de L'Aquila.
Quest'ultima, pur essendo un capoluogo di regione, e potendo quindi contare sulla localizzazione "istituzionale" di uffici pubblici, statali e regionali, si trova nella situazione di città ricostruita in tempi tali - un processo che durerà ancora 10 anni-, che il suo destino rimane segnato dal concomitante svilupparsi antropico della irr€versibile crisi economica italiana:  
"La città ha avuto uno sviluppo molto forte quando è diventata capoluogo di regione, quando si è sviluppata l’università e con l’arrivo delle multinazionali sostenute dalla Cassa del Mezzogiorno. 
Quando c’è stata la scossa già c’era stata la deindustrializzazione, la digitalizzazione aveva colpito la città amministrativa, l’università era in una fase di stallo.
...La città fisica ora è il doppio della città sociale. All’Aquila potrebbero abitare 150 mila persone, gli abitanti però sono appena 70 mila.
...Il primo problema è mettersi con attenzione a decidere che città fisica si vuole. Quelle sono scelte irreversibili perché non si può poi abbattere le case costruite. Il punto di partenza della riflessione però deve essere nazionale, visto che la ricostruzione la paga l’Italia. A oggi la città sociale e quella economica possono essere travolte dalla città costruita. Basti considerare le case che sono state edificate e che ora sono vuote."

2. Ma quale punto di vista "nazionale" si può assumere nell'ambito del vincolo €sterno che sta lentamente togliendo la ragion d'essere stessa di ogni vitalità del territorio?




3. Aggiungo, poi, altri tweets dotati di links che mi pare giusto segnalarvi.
Su come sia stata riformata la Protezione civile in tempi di pareggio di bilancio e di "la presente legge non comporta nuovi oneri per il bilancio dello Stato":





Su come l'emergenza sia stata circoscritta al semplice primo intervento in termini temporalmente limitati e improrogabili:


4. E questo insieme di "misure", virtuose e in pareggio di bilancio, naturalmente, dipende dal "lovuolel'europa" come massima regola ordinamentale ammissibile, di fronte ad ogni problema della società italiana. Ed al lordo: cioè anche includendo i fantasmagorici"fondi €uropei" (che sono la parziale restituzione di una nostra ben superiore contribuzione):
Perché, in Italia, ma proprio in Italia, di UEM e di divieto degli aiuti di Stato si muore, socio-economicamente, prima ancora che fisicamente...Altrove si prospera:
Sicché si attaglia particolarmente il finale del post di Alberto citato all'inizio:
5. I contenuti del post appena citato, si riallacciano agli "estratti" da questo post di qualche anno fa (oggi attualissimo): 

"La corruzione, comunque la si voglia vedere, è il prezzo attribuito a titolo privato ad un pubblico decidente come compenso di intermediazione per l'assetto di interessi= "effettiva distribuzione della ricchezza", conseguente ad una concreta decisione del pubblico potere.
Ora, più elevato è il numero delle opzioni alternative insite nella decisione, cioè più numerosi sono i momenti di discrezionalità (tecnica e amministrativa), più elevata è la probabilità e la stessa organizzazione del fenomeno corruttivo.
Facciamo un esempio; se occorre costruire una strada o una linea ferroviaria da un luogo pianeggiante ad un altro, passando per una pianura (appunto), e, si badi bene, senza che in mezzo vi sia una ampia serie di insediamenti industriali (manifatturieri o anche agricoli) o di insediamenti civili aventi un particolare valore giuridicamente tutelato (storico, archeologico, architettonico, paesaggistico), la probabilità che l'opzione decisionale del pubblico potere sia limitata ad un'unica soluzione tecnicamente razionale (con limitate varianti), condurrà ad una bassa probabilità di corruzione.
In tutti i casi in cui ricorrano diverse condizioni, o meglio, come in Italia, ricorrano simultaneamente tutte le condizioni di massima variabilità delle opzioni e di massima comprensenza di interessi rilevanti, e variamente comprimibili, nell'ambito della decisione da assumere, le probabilità di corruzione, cioè di compensi di intermediazione per il perseguimento di un assetto piuttosto che un altro, sono molto elevate.
Ma anche supponendo, in questa situazione di complessità di "variabili", che non vi sia alcun accordo illecito e si applichino solo le regole previste per l'adozione della decisione (cioè decisione puramente legale), si avrà probabilmente:
a) connaturale -quindi inevitabile- complessità (normativa, ma prima ancora, "di fatto", cioè nella realtà naturale) del processo decisionale e quindi sua conseguente lunghezza temporale;
b) controvertibilità elevata della decisione assunta;
c) alto margine di erroneità nel merito (cioè tecnico-razionale) della decisione stessa;
d) spostamento della correzione degli errori o delle violazioni di legge (non dolose), che hanno importato indebito e irrazionale sacrificio di taluni interessi in luogo di altri,  nella sede giurisdizionale;
e) esito della verifica giurisdizionale di legittimità-razionalità (ragionevolezza e attendibilità) della decisione pubblica dipendente da vari sottofattori:
- e1) volume delle risorse dedicate dall'ordinamento alla predisposizione del controllo giurisdizionale, cioè sufficiente in base a realistiche considerazioni di politica della giustizia;
- e2) tendenza inevitabile al prevalere degli interessi economicamente più forti che possono dedicare maggiori risorse sia alla introduzione delle loro ragioni nel contenzioso-processo, sia a precostituire momenti decisionali pubblici di difficile sindacabilità nel merito da parte dello stesso giudice.
...Quali che siano le risposte che un ordinamento fornisce a tutte queste problematiche - e in Italia, afflitta dalla trentennale crociata contro spesa corrente e investimenti pubblici, è facile immaginare quale sia il "livello" sub-ottimale di risposta- un fenomeno sarà comunque registrabile con certezza:l'assetto perseguito, cioè gli interessi materiali sottostanti, saranno sempre realizzabili a costi più elevati rispetto a realtà geo-politiche che non soffrano di una comparabile situazione di "congestione-complessità" degli interessi in conflitto
... 
Tutto questo per dire che, realisticamente, se non è possibile avere i costi, e quindi l'inflazione che hanno altri paesi, più poveri di storia, di arte, di bellezza e di esigenze composite di tutela, del nostro, non si entra in un sistema di moneta unica con questi paesi.
Anche perchè poi questi stessi paesi, accortisi di questa ricchezza collettiva, che si riflette anche in quella privata (un appartamento sul Canal Grande, a Fiesole, o a Piazza Navona, vale necessariamente di più di uno comparabile di Magonza, per quanto questa sia una bellissima cittadina...ricostruita), invece di cooperare alla sua tutela, sopportandone i costi come la pretesa natura politico-unitaria dei trattati UE imporrebbe, vorranno appropriarsene, spingendo per la liquidazione di tali beni come garanzia dei loro crediti (determinati dai differenziali di inflazione deliberatamente perseguiti!). 

E questo a meno che, dal giorno dopo l'entrata nell'UEM, non si fosse deciso che deportazioni di insediamenti umani, senza indennizzo se non meramente simbolico, abbandono antropico di siti storici e paesaggistici (dalle coste a Pompei), e irrilevanza della tutela della salubrità e dell'ambiente urbano e lavorativo, sarebbero stati immediatamente portabili a compimento in nome della moneta unica e quindi, "dell'Europa".
Il che, in fondo, è sempre meglio del raggiungere, mediante un prolungato stillicidio di tagli e austerity, gli stessi risultati, ripetendo ipocritamente "lovuolel'europa", sperando che la gente non se ne accorga.
O, meglio ancora, che pur accorgendosene, debba stare zitta perchè colpevole di "aver vissuto al di sopra delle proprie possibilità".
Perchè questo è quello che sta accadendo da trent'anni, da quando cioè si è innalzato il "vincolo esterno" al di sopra della Costituzione.

6. Dal che per ogni evento che il pubblico interesse del popolo di uno Stato democratico e sovrano può dover fronteggiare, torniamo a Keynes:


7. Questa, in due tweets, comunque, è l'offerta di solidarietà effettiva pervenuta dall'€uropa: nel giorno del terremoto!
La prima è il massimo dell'ostilità anticooperativa possibile al di fuori della guerra armata, chiaramente realizzabile solo dentro l'euro, e cioè grazie ai magici trattati della "pace" (ne avevamo già parlato qui); la seconda è la militarizzazione mercatista del lavoro fino all'estremo più..."consigliato" dall'ordoliberismo:






GRANDI DISASTRI, PACE E CORRUZIONE: SPINELLI E HAYEK €NUNCIANO LA VIA

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1. Com'è ormai tradizione del blog, riteniamo molto utile fissare alcune informazioni che dovrebbero essere incorporate nella comprensione consapevole del momento storico, e del ciclo economico che stiamo vivendo, per come emergono dai commenti e in raccordo a precedenti post. 
Questa volta, come in molte alter occasioni, diamo il dovuto risalto a vari interventi di Arturo (che sempre ringraziamo...).
Il primo riguarda la reale visione di Spinelli sulla costruzione €uropea, ritraibile da un discorso (del 1985) che, nell'attualità, - e quando le dinamiche che erano auspicate esplicitamente (e implicitamente ma necessariamente) nel "Manifesto" si sono consolidate in modo coerente -, costituisce una sorta di interpretazione autentica dell'ideologia e della prassi politica concepita a Ventotene. 
Un tale carattere ne consiglia la lettura integrale e con attenzione, specie per quei lettori che dispongono del quadro critico che emerge dal complesso del blog.
"Sapendo evidentemente di essere fra amici, il nostro si lascia andare a un'inconsueta dose di sincerità:  
"Ci sono essenzialmente due metodi che sono contemporaneamente in opera; c'è il tentativo che fa perno intorno alla Comunità e a tutti i suoi successi ed insuccessi, e c'è il tentativo di un'Europa che sia fatta dagli europei. E c'è contemporaneamente il tentativo di un'Europa che sia fatta dagli americani. E vorrei che non ci sdegnassimo inutilmente, e in fondo non seriamente, di questa seconda alternativa. L'unità imperiale sotto l'egida americana è certo anche assai umiliante per i nostri popoli ma è superiore al nazionalismo perché contiene una risposta ai problemi delle democrazie europee, mentre il ritorno al culto delle sovranità nazionali non è una risposta.".
Ohibò. Ma l'Europa unita non doveva essere contraltare dell'Amerika? (Che però stranamente la finanziava...).
Niente paura: grazie a una volontaristica Umwälzung (rovesciamento) sarà proprio così: 'st'Europa antiamerikana gliela facciamo sotto il naso coi loro soldi. Che gonzi questi yankee!
"L'unità fatta dagli europei è in realtà la sola, vera alternativa all'unità imperiale. Il resto è schiuma della storia, non è storia. Le due forme stanno procedendo insieme e noi le vediamo sotto i nostri occhi; e guardate, non si può abolire l'una nella misura in cui si sviluppa l'altra. Perché l'una corroderà alla lunga l'altra; ma è attraverso queste due che l'Europa va muovendosi. Sta di fatto che nella misura in cui non si sviluppa o regredisce una di queste forme, si sviluppa l'altra."
E le polemiche sullo storicismo, e l'accusa alla dialettica di essere impostura intellettuale...?
Se mai servisse un'esemplificazione della definizione di europeismo come "aborto dell'imperialismo", eccola qui. Senza parole."

2. Aggiungo, a raccordo dei due passaggi, la citazione di questo ulteriore e intermedio tratto dallo stesso discorso, che conferma l'idea che i cittadini, disgustati dallo Stato-nazionale-brutto, sarebbero favorevoli agli USE senza stare troppo a sottilizzare, e che, perciò, devono essere condotti (irreversibilmente) a pensare che nessun problema e nessuna salvezza possano avere soluzione sine €uropam: una convinzione che, oggi, in tempi di interrogativi angosciosi sulle possibilità finanziarie di una qualsiasi ricostruzione post-terremoto, o dopo un'alluvione, o anche solo per mantenere una parvenza di SSN conforme all'orrendo e nazionalista art.32 della Costituzione, mostra la sua potenza persuasiva orwelliana: 
"Suppongo che voi siate senz'altro per un'Europa fatta per gli europei e dagli europei; e vorrei che ci chiedessimo dove sta l'ostacolo maggiore. Facciamo attenzione, perché è un ostacolo un po' diverso da quelli che si incontrano di solito nella vita politica. 
Praticamente non è nel mondo economico; il mondo economico è aperto, in momenti più difficili è un po' più timoroso, in momenti di sviluppo più coraggioso; ma il mondo economico, in genere, è aperto. Non è nel mondo culturale
Non è nel mondo politico
Non c'è nella coscienza media dei cittadini una grossa resistenza ed infatti tutti i sondaggi che periodicamente si fanno in Europa -ad eccezione della Danimarca che si chiude in sé stessa- dimostrano che in tutti i Paesi, anche in quelli che si dice siano i più reticenti, la maggioranza è favorevole alla costruzione europea. 
L'ostacolo, il vero ostacolo sono le grandi amministrazioni nazionali, che gestiscono buona parte del potere anche politico, che sono fatte per gestire politiche nazionali, ed in particolare le diplomazie che sono fatte per determinare se e in che misura occorre cooperare con altri Stati, mantenendo però la gestione delle politiche in mano ad esse stesse. 
Le amministrazioni riescono ad essere dominate dalla direzione politica se questa ha grandi e forti visioni di quel che si deve fare, delle riforme da introdurre e via dicendo. 
Ma se le ideologie si riducono a come sono ridotte oggi, a poco più che slogan per i piccoli militanti così necessari ai grandi partiti per le grandi occasioni elettorali, se prevale il desiderio di andare al potere per gestirlo così come è -sia pure dichiarando che si vogliono fare altre cose fino al momento in cui si arriva al governo- quando si arriva al governo si gestisce quel potere. Allora il peso culturale e pratico delle amministrazioni pubbliche è enorme ed è quasi insormontabile ed ha per sua natura un'influenza immobilizzante e conservatrice".
3. Insomma, dotare di risorse - che l'€uropa non darà mai (e ci torneremo!) e anzi vuole siano ridotte al pareggio di bilancio funzionale allo "Stato minimo" hayekiano- l'intervento pubblico solidale e per i più essenziali bisogni sociali della comunità nazionale, come prevede la Costituzione democratica del 1948, è roba "immobilizzante e conservatrice"
Il "mondo economico", ma guarda un po', non è di ostacolo; e nemmeno il "mondo culturale". 
C'è da supporre che oggi Spinelli sarebbe abbastanza soddisfatto, dato che questi due mondi tendono a coincidere, e i "cittadini" ne sono l'hayekiana conferma, in termini di opinione di massa €uroconforme. Pur se, magari, adombrato da qualche incidente di percorso come la Brexit e i "partiti populisti" da rieducare. Ma l'efficacia del processo €uropeo, come sappiamo, ha avuto ben altri e più pragmatici elaboratori, diciamo Robbins, Monnet, Amato, meno brutali e più efficaci di Spinelli nel raggiungere i risultati auspicati.
Basti segnalare come, - con questa "sottigliezza" del distinguere, in termini addirittura di possibilità di scelta "liberale" (!), tra USE promossi dal modello imperiale americano ovvero dal presunto spontaneismo entusiastico dei "popoli" alla ricerca della "pace" (liberati dalle orride burocrazie nazional-sovrane e pronti ad abbracciare senza resistenze il mercato del lavoro privo del deprecabile "sezionalismo" della tutela sindacale)-, Spinelli non si sia poi curato di una qualche...contraddizione circa effetti geo-politici che non si potrebbero non definire "imperialisti" o, se non altro, molto poco pacifici



4. Ma non si può dimenticare Hayek, che i links finora inseriti ci attestano, in base a fonti dirette, come l'ideologo di riferimento di questa bella costruzione di pace. 
Dal più specifico di questi link (in specie al post sempre di Arturo), ricaviamo una premessa sulla "pace":  la pace si raggiunge mediante la rimozione delle cause del conflitto bellico; questo, nella condivisa visione di Hayek e Ventotene, sarebbe determinato dall'esistenza stessa degli Stati nazionali e della loro tendenza a pianificare le politiche economiche nell'interesse della comunità nazionale; la soluzione è un governo mondiale, (di cui gli Stati uniti d'europa sono una tappa ma non il fine ultimo), che assorba irreversibilmente gli Stati ed elimini ogni possibilità di politiche sovrane di cura dell'interesse dei popoli su base nazionale. 

L'eliminazione di queste politiche nel quadro del governo mondiale, si afferma attraverso il "free-trade", massima espressione di pacifismo (!)e di mondo autodisciplinato da regole di pura condotta”, uniche garanti degli interessi generali, laddove, lo Stato, ogni possibile Stato nazionale, "altera il mercato a favore di interessi particolari" (qui si ha la perfetta coincidenza tra il "Manifesto" ventotetiano e quanto Hayek afferma in “The Economic Conditions of Interstate Federalism,” New Commonwealth Quarterly, V, No.2 (September, 1939), ristampato in F. A  Hayek, Individualism and Economic Order, Chicago, Chicago Press University, 1948, pp. 255–72).

5. Il risultato in termini di "giustizia sociale" non è affatto una preoccupazione, di fronte a tanta fede nella democrazia automatica garantita dai "mercati" (il "mondo economico" che non...si oppone: e ci mancherebbe!).
I federalisti €uropei risultano, giova ripeterlo, sostenuti dalla forza finanziaria degli USA, è un fatto ampiamente documentato. Riassunto storico: L’Unione Europea è sempre stata un progetto americano. E’ stata Washington a guidare l’integrazione europea alla fine degli anni ’40, e a finanziarla di nascosto sotto le amministrazioni Truman, Eisenhower, Kennedy, Johnson e Nixon.
Non c’è mai stata una strategia divide et impera.
La Dichiarazione Schuman che ha dato il tono alla riconciliazione franco-tedesca – e avrebbe portato a tappe verso la Comunità Europea – è stata cucinata dal segretario di Stato Dean Acheson in una riunione a Foggy Bottom. “Tutto è cominciato a Washington”, ha detto il capo dello staff di Robert Schuman.
E’ stata l’amministrazione Truman ad intimidire i francesi per far loro raggiungere un modus vivendi con la Germania nei primi anni del dopoguerra, anche minacciando di tagliare il piano Marshall in un furioso incontro con i recalcitranti leader francesi nel settembre 1950.
Il movente di Truman era evidente. L’accordo di Yalta con l’Unione Sovietica si stava incrinando. Voleva un fronte unito per scoraggiare il Cremlino da un’ulteriore espansione dopo che Stalin aveva inghiottito la Cecoslovacchia, a maggior ragione dopo che la Corea del Nord comunista aveva attraversato il 38 ° parallelo invadendo il Sud.
Per gli euroscettici britannici, Jean Monnet (ritratto nell’immagine di copertina, ndVdE) aleggia nel pantheon federalista, eminenza grigia della malvagità sovranazionale. Pochi sono consapevoli del fatto che Monnet ha trascorso gran parte della sua vita in America, e che ha servito come gli occhi e le orecchie di Franklin Roosevelt in tempo di guerra.
Il Generale Charles de Gaulle pensava che fosse un agente americano, come del resto era, in senso lato. La biografia di Monnet a cura di Eric Roussel rivela come egli abbia lavorato a braccetto con le amministrazioni successive.
Il generale Charles De Gaulle fu sempre molto sospettoso dei moventi americani
E’ strano che questo imperioso studio di mille pagine non sia mai stato tradotto in inglese dal momento che è il miglior lavoro mai scritto sulle origini della UE.
Né molti sono a conoscenza dei documenti declassificati degli archivi del Dipartimento di Stato che mostrano che lo spionaggio degli Stati Uniti ha finanziato di nascosto il movimento europeo per decenni, e ha lavorato in modo aggressivo dietro le quinte per spingere la Gran Bretagna nel progetto.
Come ha riportato per primo questo giornale quando il tesoro è stato reso disponibile, un memorandum del 26 luglio 1950 ha rivelato una campagna per promuovere un Parlamento europeo a tutti gli effetti. È firmato dal Generale William J. Donovan, capo dell’Office of Strategic Services (OSS) americano al tempo di guerra, precursore della Central Intelligence Agency (CIA).
La facciata chiave della CIA è stato l’American Commitee for United Europe (ACUE) [Comitato Americano per l’Europa Unita, ndT], presieduto da Donovan. Un altro documento mostra che nel 1958 questo organismo ha fornito il 53,5 per cento dei fondi del Movimento europeo. Il consiglio direttivo includeva Walter Bedell Smith e Allen Dulles, direttori della CIA negli anni Cinquanta, e una casta di funzionari ex-OSS che si si muovevano dentro e fuori dalla CIA.
I documenti dimostrano che l’ACUE ha trattato alcuni dei ‘padri fondatori’ della UE come braccianti, e ha attivamente impedito loro di trovare finanziamenti alternativi che avrebbero spezzato la dipendenza da Washington.
Non c’è nulla di particolarmente malvagio in questo. Gli Stati Uniti hanno agito astutamente nel contesto della guerra fredda. La ricostruzione politica dell’Europa è stata un successo strepitoso.
6. E se si gode di cotanti costanti e risalenti appoggi, si può benissimo ignorare, nel senso di non esplicitare a qualsiasi costo, che l'obiettivo reale fosse quello indicato da M.S.Giannini:lo Stato monoclasse”, caratterizzato cioè dalla concentrazione del potere nelle mani di una ristrettissima oligarchiache poteva scaricare sulla maggioranza della popolazione, lavoratori in primis, i costi dell'instabilità che il regime economico più conforme ai loro interessi provocava. 
Ce lo dice Eichengreen, con grande chiarezza(in Globalizing Capital, Princeton University Press, New Jersey, 2008, pag. 2). Supponendo infatti che la pace sia l'assenza di Stati nazionali, cioè il super-Stato mondiale dedito al free-trade globale, la moneta unica mondiale è la soluzione "vincolo" per questa idea di pace
E la moneta unica del free-trade mondiale deve ricalcare il gold-standard, sempiterno strumento di maintenance di cambi fissi tra le varie aree dell'intero orbe terracqueo. Ve lo traduco dal citato post di Arturo:
"Ciò che era cruciale per il mantenimento dei tassi di cambio fissi,.., era la "protezione" dei governi dalla pressione esercitata nel senso di sacrificare la stabilità dei cambi ad altri obiettivi (ndr; di ordine socio-economico; parliamo di livelli dell'occupazione e dei redditi delle "conservatrici" e guerrafondaie schiere di lavoratori).
Vigendo il  gold standard del diciannovesimo secolo, la fonte di tale protezione era l'isolamento (ndr; della valuta) dalle politiche domestiche. La pressione esercitata sui governi del ventesimo secolo nel senso di subordinare la stabilità valutaria ad altri obiettivi non era una caratteristica del mondo ottocentesco.
Poiché in quel contesto il diritto di voto era limitato, i lavoratori comuni che soffrirono al massimo grado dei tempi duri, erano miseramente posizionati a resistere agli incrementi dei tassi di interesse adottati dalle banche centrali per difendere i cambi fissati.
Né i sindacati né i partiti politici si erano sviluppati al punto che i lavoratori potessero insistere che la difesa del tasso di cambio fosse temperata dalla ricerca di altri obiettivi politico-economici. La priorità annessa dalle banche centrali alla difesa dei tassi prefissati nel gold standard rimaneva fondamentalmente incontestata. I governi erano perciò liberi di intraprendere qualunque misura volessero per difendere i propri currency pegs
.
Insomma, l'800 dell'europa colonialista e liberoscambista, rimane un mondo ideale, sede di pace e di giustizia universali, a cui non c'è alternativa...in ogni possibile concezione del futuro.

7. Si comprende, perciò, l'importanza del movimento €uropeista, specialmente nello scenario dell'idea conservativa del "libero mercato" che agitava gli USA rispetto al quadro europeo post-bellico, rispetto al difficile compito di dover disattivare il ruolo del suffragio universale (e il formale allargamento della base democratica), usando lo strumento dell'attribuzione dell'etichetta della "pace".  
La pace come "bene superiore" a cui si può e si deve sacrificare il controverso "bene" della democrazia.
Questa suggestione emotiva e psicologica di massa, ben sfruttabile nell'Europa reduce dalla gigantesca guerra civile del 1939-1945, in una gigantesca operazione propagandistica giunta al suo culmine ai nostri giorni, risulta perciò abilmente innestata, con varie e improbabili circonlocuzioni politico-economiche, su obiettivi di sostanziale ripristino di assetti istituzionalipropri di un capitalismo ottocentesco (aggiungendo la più volte segnalata tattica della "gradualità", cioè della trasformazione strisciante del quadro delle democrazia sociali inavvertita dalle masse).
Da qui, se siamo riusciti a mettere insieme i vari "puntini" in modo sufficientemente chiaro, l'equazione "Europa"="Stati Uniti d'europa verso il governo mondiale unico"="moneta unica"="pace".

8. Le "circonlocuzioni", spesso risibili dal punto di vista logico e scientifico, che animano i federalisti €uropei (in conto terzi, siano questi gli stessi finanziatori USA, siano, comunque, le oligarchie beneficate dal neo-Stato "monoclasse" sovranazionale), trovano peraltro un appoggio economicistico autorevole in Hayek. Del quale abbiamo parlato in molte occasioni (i links sono inseriti anche nella prima parte di questo post), ma che costituisce un pozzo inesauribile di legittimazione di qualsiasi misura e soluzione adottata in chiave europeistica per la "pace". Dal nucleo fondamentale del suo pensiero, discendono come corollari i più dettagliati elementi dello scenario socio-economico che siamo oggi "vincolati" a vivere in ogni occasione.
Ed è qui che vale la pena di riportare l'ulteriore recente contributo di Arturo che ci dà la misura dettagliata ed attuale dei problemi che paiono divenuti irrisolvibili, una volta che la pax €uropea e il suo ottocentesco oligarchismo sono divenuti paradigma culturale di massa praticamente irremovibile (incluso il problema della "ricostruzione" post terremoto". 
Il brano riportato di Hayek, nel criticare come inaccettabili tutti i pubblici interessi (differenziati da quello dell'ordine naturale del mercato) perseguiti dallo Stato nazionale democratico, ci rende conto dell'importanza, per i "federalisti", del processo decisionale governativo svincolato dalle pressioni elettorali della "maggioranza", dell'importanza annessa a un concetto estesissimo di "corruzione", e della stessa diffidenza instillata verso lo Statopluriclasse, visto come marcio organismo che vive di ricatti e di politiche inevitabilmente distorsive a favore di "malcontenti" pigri, riottosi e furbacchioni:
"Hayek, che non delude mai, offre elementi chiarificatori anche stavolta:
"La discriminazione per assistere i più sfortunati non sembrava vera discriminazione. (Recentemente si è coniato il termine senza senso di "meno privilegiati" per mascherare tale discriminazione.) Per mettere in una posizione materiale più eguale gente inevitabilmente molto diversa nelle condizioni dalle quali in gran parte dipende il loro successo nella vita, è necessario trattarle in modo ineguale.
Tuttavia, rompere il principio di eguale trattamento sotto l'impero della legge anche per motivi caritatevoli, aprì inevitabilmente le porte all'arbitrio, e per mascherarlo ci si affidò alla formula "giustizia sociale"; nessuno sa precisamente a cosa si riferisca tale termine, ma proprio perciò servì da bacchetta magina per spezzare tutte le barriere, in favore di misure parziali. Dispensare gratifiche a spese di qualcun altro che non può essere identificato facilmente, divenne il modo più facile per comperare l'appoggio della maggioranza
Tuttavia, un governo o un Parlamento che diventi un'istituzione benefica si espone inevitabilmente al ricatto
Spesso non è più un "compenso" ma diventa esclusivamente una "necessità politica" determinare quali gruppi devono essere favoriti a spese di tutti.
Questa corruzione legalizzata non è colpa dei politici; essi non possono evitarla se vogliono guadagnare posizioni in cui poter fare qualcosa di buono; diventa una caratteristica intrinseca di ogni sistema in cui l'appoggio della maggioranza autorizza misure speciali per soddisfare particolari malcontenti."
(Hayek, Legge, legislazione e libertà, EST (Il Saggiatore), Milano, 2000, pag. 477). Come per esempio il "malcontento" dei terremotati.
Quindi ogni deviazione dall'uguaglianza formale e dall'allocazione di mercato è corruzione. La solidarietà è corruzione. Corollario è che dev'essere politicamente neutralizzata ogni comunità in grado di alimentarla, cioè di rendere accettabile agli occhi delle maggioranze che venga favorito qualcuno (pongasi: i terremotati) "a spese" di tutti, "inganno di cui gli agenti degli interessi organizzati hanno imparato molto bene a sfruttare l'efficacia." (Ibid., pag. 295).

L'universalismo à la Hayek dev'essere quindi inteso non come un allargamento della solidarietà a tutti, ma come uno svuotamento di quella limitata, ma effettiva, che già esiste o può esistere:  
"Può a prima vista sembrare paradossale che il progresso della morale porti a una riduzione delle obbligazioni specifiche verso gli altri; tuttavia deve augurarselo chiunque crede che il principio del trattamento uguale di tutti gli uomini, il quale è probabilmente l'unica possibilità per mantenere la pace, è più importante dell'aiuto speciale alla sofferenza tangibile".

CRISI (?) UEM: IL METODO INTERGOVERNATIVO TRA LENIN, EINAUDI E I TERREMOTATI.

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A fraught political climate discourages grand plans for integration

1. Il semplicistico articolo del Financial Times riportato in immagine, ha almeno il pregio di fotografare la realtà politica bloccata (in un'incombente tragedia) a cui ci ha condotto l'organizzazione internazionale denominata UE, contrabbandata come orientata a perseguire "la pace e la giustizia tra le Nazioni", secondo il mai applicato e verificato rispetto dell'art.11 Cost, sia in sede di ratifica del relativo trattato che di sindacato della Corte costituzionale. 
Traduco l'estratto dal FT sopra riportato, con opportuni commenti esplicativi (linkati):
"Nel lungo termine, la supremazia dei governi nel sistema UE minaccia ulteriori seri problemi. 
Risulta in rigidi limiti "de facto" a ulteriori passi (ndr.; come se gli automatismi fiscali e i divieti di solidarietà interstatale, - tipici dell'ordoliberismo alla base delle fondamentali norme dei trattati: cioè la FORMIERTE GESELLSCHAFT di Erhard, tanto ammirata da Einaudi-, non fossero una ben evidente previsione "di diritto" verso una più stretta integrazione economica, finanziaria e politica che devono intraprendere i 19 dell'eurozona, prima o poi, se la valuta unica deve sopravvivere (ndr.; sempre con la sua rozzezza, che ignora il contenuto del trattato, il FT "dimentica" che il compimento della "integrazione", in senso hayekian-monnetiano in queste materie, sarebbe invece un autentico vanto dei propugnatori dell'UE). 
Si indurisce come permafrost il disaccordo sui deficit di bilancio e altri aspetti di politica economica che separano la Germania e i suoi supporters, da una parte, da Francia, Italia e i loro sostenitori, dall'altra (ndr.; anche questa contrapposizione è frutto di una grossolana semplificazione, smentita dalle politiche francesi, del tutto scoordinate da quelle degli altri paesi "mediterranei"). 
Infine, rende politicamente irrealistica la revisione dei trattati UE (ndr.; vero, ma per ragioni molto diverse da quelle adombrate dal FT)." 

2. Ma perché il Financial Times ce l'ha tanto col "metodo intergovernativo" che è la fisiologia delle organizzazioni internazionali e che, volutamente, non è superabile in un'organizzazione internazionale dichiaratamente "neo-liberista" e liberoscambista allo stato più puro?
Chissà se il FT pubblicherebbe e, prima ancora, avrebbe le "risorse culturali" per comprendere un'argomentazione profetica e difficilmente obiettabile come quella avanzata da Bazaar nel riproporci il pensiero di Lenin (oddio! "Comunisscta!", contro la "libbbertà!" e la "proprietà!"):
In regime capitalistico, gli Stati Uniti d'Europa equivalgono ad un accordo per la spartizione delle colonie. Ma in regime capitalistico non è possibile altra base, altro principio di spartizione che la forza. Il miliardario non può dividere con altri il "reddito nazionale" di un paese capitalista se non secondo una determinata proporzione: "secondo il capitale" (e con un supplemento [l'aumento di produttività a favore dei profitti!, ndr], affinché il grande capitale riceva più di quel che gli spetta). Il capitalismo è la proprietà privata dei mezzi di produzione e l'anarchia della produzione [ovvero privatizzazioni e anarco-liberismo, ndr]. Predicare una "giusta" divisione del reddito su tale base [parla di quota solari? quella compressa da sme ed euro?, ndr]è proudhonismo, ignoranza piccolo-borghese, filisteismo. Non si può dividere se non "secondo la forza". È la forza che cambia nel corso dello sviluppo economico.
3. Come tutto questo si rifletta nel programmatico totalitarismo neo-liberista, del tutto estraneo alla rozza vulgata dell'assimilazione a un'improponibile EURSS, lo abbiamo visto qui, pp.7-10  (e non fa mai male ripeterlo). 
Come ci conferma l'Einaudi delle "Prediche inutili" a commento favorevole del disegno di Erhard, (p.9):
“La stabilità della moneta non vive da sé. Viga il sistema aureo o quello della moneta regolata, affinché ad esempio il principio del mercato comune europeo duri, occorre (p. 172), come in passato per il regime aureo, non ricchezza o forza, ma solo la modesta nozione che né uno stato né un popolo possono vivereal disopra delle «proprie condizioni ».
O il mercato comune sarà liberista o correrà rischio di cadere nel collettivismo (p. 208):
Nel mercato comune... o si fa strada lo spirito del liberismo ed avremo allora un’Europa felice, progressiva e forte, o tentiamo di accoppiare artificiosamente sistemi diversi ed avremo perduta la grande occasione di una integrazione autentica. Una Europa dirigisticamente manipolata dovrebbe, per sistema, lasciar paralizzare le forze di resistenza contro lo spirito del collettivismo e del dominio delle masse, e illanguidire il senso di quel prezioso bene che è la libertà.
La politica di armonizzare, uguagliare, compensare è (p. 208): quanto mai pericolosa... Lo sviluppo tendenzialmente inflazionistico in alcuni paesi (con rigidi corsi dei cambi!) è da riferire, non da ultimo, anche alla concessione di prestazioni sociali superiori alle possibilità di rendimento dell’economia nazionale.

3. Dunque, il discrimine che rende improponibile qualsiasi accostamento dell'UE all'URSS, è la sua matrice neo-ordo-liberista che determina, come obiettivo inderogabile, la "pianificazione" di uno smantellamento dell'intervento statale, (costituzionalmente orientato), "inammissibilmente" volto a garantire l'equilibrio socio-economico, cioè temperando l'accentramento del potere istituzionale nelle oligarchie. 
Da qui, nella verità storica, l'interventismo normativo minuzioso e accanito, con cui si è imbrigliata non certo l'economia oligopolistica finanziaria dominante, - le cui lobbies governano a Bruxelles, incontrollate e incontrollabili, il processo normativo UE-, ma l'azione degli Stati nel perseguire l'interesse sovrano delle rispettive comunità nazionali: in nome del mercato comune "liberista" e della "integrazione autentica" (che il FT non comprende o fa finta di non comprendere).
4. Questo imbrigliamento tecnocratico e copiosamente normativo, funzionale alla disattivazione degli Stati, affinché nessuno si permetta, neo-liberisticamente, di "vivere al di sopra delle proprie condizioni", trova conferma nell'analisi, - compiuta da una fonte USA rimasta "umana"-, delle "chances" che NON ha mai avuto l'Italia di svolgere politiche di prevenzione e messa in sicurezza del proprio territorio, - e dei suoi valori artistici, antropologici e culturali (una risorsa molto più "produttiva" di quanto non possa comprendere un tecnocrate del Nord €uropa, e non solo dal punto di vista turistico). 
Sentite questo schematico, ma crudamente realistico, quadro ricostruttivo svolto dall'ultimo bollettino dell'EIR- Executive Intelligence Review, n.35 del 1° settembre 2016 (fonte già qui citata in precedenza). Lo facciamo precedere dall'andamento degli investimenti pubblici in Italia, tratto da fonte governativa su dati Bankitalia: si vedono dei picchi per le "ricostruzioni" post terremoto de L'Aquila, - e, di già, ben minori dopo quello di Reggio-Emilia del 2012: ma era già arrivato Monti e vuol dire che, complessivamente, se ne tagliarono massicciamente altri. Ma tali episodici picchi risultano simmetrici a quelli negativi, da €uro-austerità, che precedono le immancabili "sciagure": 
http://www.programmazioneeconomica.gov.it/wp-content/uploads/2015/05/6.51.png 
Il sisma che ha colpito le province di Rieti e Ascoli Piceno, causando 291 vittime e 2500 sfollati, è un dramma e una denuncia delle politiche di bilancio dell'UE.
Se negli anni fossero stati fatti i necessari investimenti, oggi non ci sarebbero vittime da piangere. Ad Amatrice non tutti gli edifici sono crollati; quelli costruiti con criteri antisismici o messi in sicurezza sono rimasti in piedi. A Norcia, più o meno equidistante dall'epicentro, non è crollato alcun edificio e non ci sono state vittime, perché dopo il sisma del 1997 sono stati fatti gli investimenti necessari.
Un piano antisismico nazionale è all'ordine del giorno da decenni, ma un governo dopo l'altro non hanno fatto che promesse. Se vogliamo un colpevole, va ricercato nella politica di bilancio imposta all'Italia in maniera esasperata dopo il 1992, ma già adottata precedentemente in maniera progressiva
E' stato calcolato che negli ultimi quarant'anni sono stati spesi 150 miliardi per la ricostruzione e solo un miliardo in prevenzione
Secondo Armando Zambrano, presidente del Consiglio Nazionale degli Ingegneri, ne basterebbero meno, cento miliardi, per mettere in sicurezza gli edifici nelle zone a rischio.
I tagli al bilancio hanno anche portato ad un'incredibile riduzione delle facoltà universitarie di geologia, indispensabili per una mappa del territorio. Da ventinove nel 2010, sono ridotte a otto oggi, a causa di una legge che impone di sciogliere tutte quelle con meno di quaranta docenti.
La ricerca sui precursori invece non ha subìto tagli, perché non è stata mai finanziata. Questo campo di ricerca è molto promettente. Anche se oggi non siamo ancora in grado di prevedere i terremoti, gli scienziati sono fiduciosi che un sistema multiparametrico potrà, nel futuro, permettere di prevederne con esattezza almeno alcuni tipi.
Ad esempio, già è possibile stabilire una correlazione tra l'emissione di gas Radon e gli eventi sismici. Giampaolo Giuliani ha rilevato un'emissione anomala di Radon circa venti giorni prima del terremoto, così come aveva fatto in precedenza del terremoto dell'Aquila. Allora egli fece l'errore di sbilanciarsi in una previsione, sbagliando l'epicentro. Se le autorità lo avessero ascoltato, avrebbero evacuato gli abitanti di Sulmona, trasferendoli forse proprio a l'Aquila. 
Stavolta, Giuliani ha pubblicato i dati sulla pagina FB ma si è guardato bene dal fare una previsione. Tuttavia, le emissioni di Radon sono un parametro chiave, e la ricerca va incoraggiata nel quadro di un sistema che includa molti altri parametri, compresi quelli rilevabili dallo spazio.
Lo scienziato russo Sergej Pulinets ha pubblicato sul suo sito FB alcuni nuovi parametri, chiamati "correzione del potenziale chimico", misurati dallo spazio, relativi al terremoto di Amatrice. Essi mostrano un picco undici giorni prima del sisma.www.facebook.com/Planet-from-Space-1191425220883300/"
Pulinets si ripromette di avere un quadro più completo da presentare all'assemblea della Commissione Sismologica Europea che si terrà il 4 settembre a Trieste.
Il prof. Pier Francesco Biagi dell'Università di Bari, un pioniere della ricerca italiana sui precursori, ha dovuto chiudere i tre rilevatori che aveva sul territorio nazionale per mancanza di fondi. Un quarto, chiuso in precedenza e mandato in Romania per lo stesso motivo, era situato ad Antrodoco, a trenta chilometri dall'epicentro del sisma.
Biagi chiede da tempo un centro di ricerca nazionale, ma i suoi appelli sono rimasti inascoltati. All'indomani del sisma dell'Aquila, il 20 agosto 2009, egli pubblicò una nota in cui svolgeva due considerazioni: sono in errore - egli scrisse - sia quei singoli ricercatori che propongono, a qualunque livello, previsioni sismiche, aveva aggiunto che sono altresì in errore quei ricercatori che sostengono che la previsione dei terremoti è impossibile.
"I risultati ottenuti negli ultimi vent'anni hanno rivelato che la previsione di un terremoto non è possibile in assoluto. Quando le ricerche in questo campo avranno definito meglio le tecniche e il grado di attendibilità una qualche previsione potrà essere fatta con successo anche se non ovunque e non sempre. In ogni caso dovrà essere definita un'Istituzione statale a questo preposta".
La parola chiave è ancora "nazionale". Per questo, l'Italia non deve chiedere a nessuno la "flessibilità" di varare un programma per la salvezza delle vite dei suoi cittadini, ma se la deve prendere in piena sovranità".

5. Così è andata: da Maastricht in poi, tra criteri di convergenza e privatizzazioni per ottenere gli avanzi primari di bilancio, non c'è stato scampo per le popolazioni minacciate: la prevenzione operativa, pianificata mediante impulso alla ricerca pubblica e realizzata con precisi interventi di spesa pubblica sul territorio, era divenuta "vivere al di sopra delle proprie possibilità".
La "parodia dell'incubo del contabile", cioè l'integrazione "liberista", senza alternative, (politica, finanziaria, fiscale e, soprattutto, monetaria...alla faccia del FT),  aveva preso il sopravvento.
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