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IL TASSAMETRO DELL'EURO: IL COSTO VERTIGINOSO DEL "DIFFERENZIALE CULTURALE".

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https://seeker401.files.wordpress.com/2014/10/unnamed1.jpg?w=497&h=229
https://seeker401.wordpress.com/2014/10/25/the-trilateral-commission-and-technocracy/, già citato inKALDOR, KEYNES, CAFFE': LA TRILATERAL E LA COSTITUZIONE DEL LAVORO.

1. Dal post di ieri ritengo importante serbare, sempre "a futura memoria"questo commento di Arturo che ci riporta alle basi (più) fondamentali di quella che, un tempo, era la teoria generale sulla forma di Stato e dell'intero diritto pubblico coerente con la Costituzione del 1948 (che, in un rigoroso concetto della gerarchia delle fonti di diritto, è tutt'altra cosa rispetto a quella oggi "vigente" a seguito del vincolo esterno, della riforma "federalista" del Titolo V, del 2001, nonché dell'accumularsi delle sentenze della Corte costituzionale su questi temi. E stiamo parlando della Costituzione "al netto" delle modifiche ulteriori su cui saremo chiamati a decidere con il referendum...). 
In pratica, Arturo evidenzia un "differenziale" tra una cultura istituzionale attuale, che ci lascia totalmente impotenti nella difesa della Costituzione, e la scienza giuridica ed economica che, invece, era stata capace di affermarsi e di dare vita alla stessa Costituzione (del 1948):
"L'improponibile assimilazione dell'EU all'URSS presuppone l'equivalenza "interventismo = komunismo" (o almeno ≠ liberal-liberismo).
A confutare questa sciocchezza, non bastassero tutte le fonti già citate (da Ruini a Mirowski), aggiungiamo, per l'aspetto storico, il buon vecchio Giannini (Diritto pubblico dell'economia, Il Mulino, Bologna, 1995, pp. 26-31) e la sua analisi dello Stato liberale:
"La formula «non intervento» del pubblico potere è affermata, ma non svolta: dovrebbe essere principio vincolante per il legislatore; ma in realtà non lo è, perché la normativa designata a regolare i rapporti tra privati si arricchisce continuamente di norme imperative, come tali restrittive dell’autonomia privata (si consideri la sempre maggior disciplina normativa dei titoli di credito e dei contratti commerciali); si potrebbe intendere nel senso più ristretto, di vincolo per il legislatore a non adottare norme, sia pubblicistiche sia soprattutto di diritto privato, incidenti sui diritti di proprietà e d’impresa.”
Se però dalle teorie passiamo ai fatti, ciò che avviene nello Stato borghese si presenta come molto sconcertante, poiché la disciplina pubblica dell’economia anziché diminuire aumenta di dimensioni e si perfeziona negli strumenti tecnici e operativi.
In altre parole, finché Leroy Beaulieu riusciva, come economista, a farsi capire quando propo­neva la nota metafora «lasciar fare, lasciar andare», il giurista non ci riusciva quando parlava di principio di astensione.

(Questa l’ho trovata molto carina).

“Dunque, procedendo nella ricognizione, risulta che lo Stato borghese liberale passa intere province — se ci è lecita la metafora - dalla sfera privata a quella pubblica, e ciò non con atti episodici o temporanei, bensì seguendo idee organiche e adottando decisioni destinate a permanere, cioè, in termini oggi più usati, introducendo modificazioni di struttura.
Vi è però ancora di più: che quando si profilanodifficoltà per l’economia, derivanti da congiunture internazionali, da eventi della natura, da turbative politiche interne, i pubblici poteri non hanno esitazione a porre in essere degli «interventi» di sostegno dei ceti di operatori economici in difficoltà.
“La vicenda ha formato oggetto di studio soprattutto da parte di sociologi e di economisti, e di note teorie; però ha anche un notevole rilievo giuridico, in quanto la decisione di intervento e l’intervento hanno un loro costo, che grava non sugli ausiliati dall’intervento, ma sull’intera collettività. 
E' quindi vero che la classe di potere trasferisce sulla collettività il costo dei propri conflitti interni.
La differenza stava, e sta, nella finalità dell'intervento, come diceva a suo tempo Mortati (e ripete praticamente negli stessi termini oggi il sunnominato Mirowski).

2. Come, storicamente tutto ciò abbia a che fare con la costruzione europea e l'euro, lo abbiamo a lungo analizzato. 
Riassumo l'attitudine culturale delle nostre elites, e i riflessi che essa ha dispiegato nella lunga vicenda di disattivazione della democrazia costituzionale, citando un precedente commento in risposta a Bazaar
"Non dobbiamo dimenticare che l'effettività del modello costituzionale - e quindi della piena occupazione all'interno del principio-cardine "lavoristico"- fu posta in contestazione nel dopo Costituente con grande spiegamento di mezzi.
La vicenda storico-economica italiana non può essere riletta prendendo a esempio, diciamo, operativo e paradigmatico, Basso o Mortati o, se vogliamo, - quanto alla comprensione dei principi fondamentali-, Calamandrei (per rimanere ai più grandi finora citati): le vicende che, notoriamente, seguirono al Piano Marshall nella sua applicazione italiana, non devono far dimenticare che:
a) l'Italia è un paese che si richiama alle sue capacità manifatturiere e "mercantilistiche" tradizionali, e in questo senso si spiega l'amore-odio per il modello economico tedesco (segnatamente ordoliberista);
b) che quest'ultimo fu appositamente promosso, nel dopoguerra, dagli USA come caposaldo di riferimento per rendere inattaccabile l'economia di mercato, oltre qualsiasi livello di concessione tattica al "sociale".

Non è dunque un caso, culturalmente, che ci sia stato il "1978" (e a fortiori il "1992"): anzi, all'opposto, una continuità prepotente, sfuggita alla comprensione della massa e persino combattuta con crescente mancanza di convinzione dal PCI, era stata fissata a Costituzione appena...sfornata e proseguita come revanche senza troppi tentennamenti (basti pensare che lo Statuto dei lavoratori arriva nel 1970 - e dalla lettura dei lavori della Costituente ciò "potrebbe" apparire clamoroso-, mentre, poi, le crisi petrolifere gli diedero poco tempo di "vitalità", prima di farlo divenire un elemento spurio e di colpevolizzazione incessante da parte di una classe dirigente inferocita. Fino al "regolamento" di conti odierno).
...
L'art.81, infine, come ben sappiamo, fu una mezza sconfitta per i neo-liberisti italici(certamente degli inguaribili nostalgici del "primo" De Stefani): la parola "indebitamento" come oggetto di divieto dovette attendere i deficit-caps ipotizzati dall'Atto Unico e da Maastricht. Cioè la crisi del sistema sovietico: neppure Einaudi sperava, prima di ciò, che si potesse "eccedere" nell'uso della leva monetaria per forzare la disoccupazione (e quindi sedare il "socialismo" contrario alla prevalenza del mercato) oltre certi limiti.
Perciò Mitterand (post elezioni francesi e non in campagna elettorale), il Consiglio del Castello sforzesco, e gli Andreatta, Amato, Ciampi e, naturalmente, Prodi sono stati così rilevanti: avevano una discesa davanti e la sfruttarono efficacemente.
Non così "efficientemente" in termini di (esplicita abrogazione della) Costituzione: ma a quel punto, per l'opinione di massa, e per la sovrastante "opinione pubblica", questo era divenuto un prezzo trascurabile.
Oggi addirittura un enunciato che la Corte costituzionale deve fare da sè oppure subire un'apposita legge costituzionale!"

3. Ma un'ottima focalizzazione sulla perdita irreversibile che deriva alla democrazia costituzionale, cioè a quella sostanziale, dall'adozione del vincolo esterno come "super-norma", e quindi, in termini molto concreti, dal protrarsi della vigenza della moneta unica, l'abbiamo incontrata in questa risposta di Alberto nei commenti al suo ultimo post:
"...E sai il problema qual è? Che ognuno porta con sé un pezzo di verità, con la sola eccezione di quei cialtroni che ci attribuiscono l'idea bislacca secondo cui l'uscita dall'euro risolverebbe tutti i problemi! Questa visione demagogica è propria di chi l'euro lo ha proposto (la frase "lavorerete un giorno in meno ecc."è verosimilmente apocrifa, o almeno non ne ho trovato la fonte, ma la sua intonazione demagogica, il mito irenico dell'eurone che ci protegge e ci dà la pace, la riscontriamo ogni giorno). 

Viceversa, uscirne non risolverà tutti i problemi (pur essendo condizione necessaria), e questo per due motivi che spesso sfuggono: il primo è quello evidenziato in questo post, ed è, se vogliamo, di ordine culturale. Capire che la chiusura di una strada va segnalata con una certa cura è dato che sfugge - e trent'anni di dominio belga non è che ce l'abbiano imposto né insegnato. Ci sarà da lavorarci. 
La seconda, più importante, riguarda il fatto che le istituzioni che sono state sbriciolate col cuneo del cambio fisso (dal sistema pensionistico a quello della contrattazione salariale) non si ricostruiscono in un giorno. Per questo sono particolarmente deluso dai colleghi che "usciamo a sinistra". 
In effetti, uscire a sinistra significa innanzitutto uscire il prima possibile, per il semplice motivo che ogni giorno di permanenza è un giorno in cui con la scusa della competitività si smantellano istituzioni che poi è difficile ricostruire, non fosse altro perché se ne è persa la memoria".

Naturalmente, aggiunta di neretto e sottolineatura, sono miei. Alberto ne sarà scontento, probabilmente. Ma non riesco a trovare un modo migliore per conservare la felice espressione di "quello che non vogliono capire".


LA RIFORMA NON SI "DEVE" CAPIRE: MA E' INDISPENSABILE

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http://radicalsoapbox.com/wp-content/uploads/2015/08/FDR-1-494x420.jpg

1. Partiamo dal concetto che norme espresse con una pluralità di proposizioni collegate in lunghi periodi e disseminate in molteplici commi, sono tipicamente neo-liberiste: vedremo perché.

http://www.wakeupnews.eu/wp-content/uploads/2016/07/articolo-70-Costituzione.jpg

Intanto, facciamo una premessa utile per capire questo punto, guardando al fenomeno delle norme di "riforma" (tutte le riforme, volute dall'€uropa e dai "mercati") dal punto di vista strutturale e sintattico:le norme non enunciano in modo chiaro la loro reale ratio (cioè finalità ultima di regolazione dei comportamenti sociali).
La connessa voluntas normativa (cioè l'intenzione modificativa che si collega al fenomeno sociale oggetto della decisione politica), - voluntas di regola racchiusa nell'intitolazione formale dell'atto normativo o del suo singolo articolo -, risulta spesso incoerente, se non addirittura fuorviante, rispetto al contenuto: talora persino rispetto a quello verbale e sintattico, più spesso, ed ancor peggio in termini di dissimulazione, rispetto a quello logico-sostanziale.

2. Un tale tipo di normazione tende cioè a fondarsi, più che su precetti chiari e immediatamente individuabili, su pseudo-ragionamenti ovvero su  giustificazioni etiche di tipo "tattico": queste sonoaccuratamente preparate  da operazioni di marketing mediatico-sondaggisticoper renderle condivise e accettabili.  
In altri termini, ragionamenti e giustificazioni etiche offerti al pubblico come "significato" e utilità della "riforma", risultano per lo più extratestuali, prefissate dal marketing politico-mediatico che ne precede l'emanazione e, dunque, in totale scollamento logico dal testo che le dovrebbe racchiudere.

http://www.sinistrainrete.info/images/stories/stories4/confindustria.jpg

E tutto questo è tipico del neo-liberismo, assurto a pensiero unico e "teoria del tutto" (mainstream), determinante ogni scelta politica possibile.
Ed infatti, preferendo - almeno per ora- conservare una facciata di consenso elettorale (idraulico) e di processo democratico formale,  tende orwellianamente a dissimulare il precetto reale che si vuol introdurre, in modo non "aperto" e non dichiarato: ove esplicitato con chiarezza, il precetto reale, sarebbe altrimenti inaccettabile per il senso comune, in quanto portatore dell'idea totalitaria di modificare la natura dell'uomo, coartandone le aspettattive e le normali aspirazioni di vita.
Cioè sacrificando gli interessi dei destinatari per avvantaggiare invariabilmente l'oligarchia, che reclama di poter controllare l'intero processo politico-normativo in modo indipendente da qualsiasi esito elettorale formalmente raggiunto.
 
3. La dissimulazione del senso reale delle norme diviene cioè espressione sistematica, anzi unica, della missione storica "restaurativa" del neo-liberismo: realizzare l'ordine razionale del mercato contro l'ordine precedente, che "deve" essere abbattuto, a costo di instaurare, in caso di rifiuto, il "regno del terrore"
Questo istinto coercitivo occultato, più semplicemente, ai giorni nostri, di farsa che ripercorre le tragedie del passato,  assume la forma della shock economy, dell'induzione intenzionale dello "stato di eccezione", del perseguimento della crisi per instaurare il "cambiamento".
Almeno finché l'inganno sia sufficiente a rendere accettabile il sacrificio dell'interesse delle indegne "masse", senza che da queste si sollevi un dissenso insuperabile. Ove la resistenza di massa assumesse carattere inaggirabile, nessuna altra modalità di instaurazione della paura e della diretta costrizione sarebbe considerata impraticabile. 
Questo vale ad esempio, per la necessità assoluta e senza alternative di "semplificare" le istituzioni costituzionali e il loro funzionamento:
http://www.camera.it/temiap/leg17/19/DDL_WEB-2.jpg 

4. Riassumendo: allo stato attuale dei rapporti di forza instaurati tra oligarchia neo-liberale, restaurata nel suo potere istituzionale e mediatico, e masse, i veri precetti contenuti nelle "riforme", sono quelli che vengono introdotti, - come nella comunicazione pubblicitaria più sofisticata (subliminale)-, senza che il destinatario se ne accorga, perché li considerebbe assurdi, irrilevanti e contraddittori, se non chiaramente dannosi per il suo interesse.

Questa cosmesi politico-lessicale, inoltre, è volta a rendere non percepibile, attraverso la formulazione obliqua e frammentaria dei reali effetti modificativi dell'ordine sociale così dissimulati, l'incompatibilità coi precedenti principi generali e norme fondamentali dell'ordinamento democratico: un fenomeno particolarmente adatto per modificare le Costituzioni democratiche "sociali".

5. Per capire che le Costituzioni sociali sono considerate un ostacolo all'ordine naturale dei mercati e che ogni "cambiamento", che prende l'invariabile nome di (Grande) Riforma, occorre risalire alle fonti informali, provenienti da grandi imprese private del capitalismo finanziario, o da think tank da esse finanziati, che per primi:
a) "lanciano" il prodotto;
b) si assicurano della sensibilizzazione delle classi politiche culturalmente e finanziariamente sussidiarie e sussidiate, affinché, con l'urgenza del caso, avviino il processo normativo dissimulato appena descritto;
c) determino, a perfezionamento della riuscita della "manovra", una movimento di persuasione mediatica che induca la "complicità" (quantomeno etica) delle stesse masse "danneggiate". Per questo abbiamo parlato di "proiezione identificativa" degli oppressi con gli interessi dell'oppressore, come key-note della costruzione €uropea e delle riforme che da essa sono imposte.

LA FORMIDABILE (?) CRESCITA ALL'€UROPEA: LA SPESA PUBBLICA NON VALE LE RIFORME. E "LA RIFORMA".

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http://blog02.ilsole24ore.com/opendatablog/wp-content/uploads/sites/82/2016/01/spesa-pubblica.png

1. Quelli sopra riportati sono i dati riferiti alla fine del 2014 dell'andamento della spesa pubblica - primaria e totale (inclusi gli interessi sul debito pubblico)- riportati dal Sole 24 ore, nel dare notizia della "bacchettatura" della Commissione UE all'Italia, all'inizio del 2016.
Di questo ennesimo "contenzioso", basato sul (non più menzionato ma invariato) criterio dell'austerità espansiva, abbiamo a suo tempo parlato in questo post: la risposta di Padoan, in vista del riconoscimento della flessibilità sul deficit per il 2016, fu alquanto netta:
"tra il 2009 e il 2014, secondo le tabelle del Tesoro, l'Italia ha contenuto l'incremento della spesa primaria corrente all'1,4%, l'aumento più basso tra tutte le economie del mondoIn Germania e in Francia, nello stesso periodo, la spesa è salita del 12%, con una media nell'Unione europea del 9%.Tra il 2014 e il 2016, come evidenzia un'altra tabella, i risparmi, grazie alla revisione della spesa, sono stati di 25 miliardi di euro".
Con tanto di dati esposti sul sito del governo:


2. Ora, bisogna rammentare un principio su cui egualmente abbiamo più volte richiamato l'attenzione: la flessibilità non è un sistema per procedere a manovre espansive, cioè di aumento del deficit spending, ma solo un meccanismo autorizzatorio, - altamente discrezionale se non del tutto arbitrario, visto il trattamento riservato ai paesi dell'eurozona diversi dall'Italia- che consente una minore riduzione del deficit, e quindi una politica di austerità attenuata (di qualche decimale di PIL).
Perciò ottenere la "flessibilità" dalla Commissione UE non consente di parlare, diversamente da quanto fanno i media italiani con accenti spesso indignati, di manovra espansiva e correttiva del ciclo economico in funzione dell'intervento pubblico.

Tant'è vero che anche nel periodo messo (ottusamente e tardivamente) sotto osservazione dalla Commissione, la spesa pubblica italiana "reale", cioè depurata dall'inflazione, è comunque diminuita (e in €uropa lo sanno benissimo visto che la fonte è AMECO):

http://1.bp.blogspot.com/-jNtRqaSTkwY/UeUwm_-dN5I/AAAAAAAAAOc/petb1-r2wEw/s1600/sp-reale.png
3. Cosa avrà fatto Padoan, dunque, a parte la giusta replica funzionale a sostenere la richiesta di flessibilità?
Si è adeguato: sicché l'Italia, unica fra i grandi Stati dell'eurozona, ha diminuito la spesa pubblica.
Che ciò sarebbe accaduto, - e continuerà ad accadere-, d'altra parte, lo diceva chiaramente il DEF di aprile 2016 

La spesa pubblica totale in percentuale del PIL e di quella al netto degli interessi passivi e degli investimenti sono caratterizzate da un trend nettamente crescente dal 2000 al 2009. Il picco massimo della spesa totale viene raggiunto nel 2009 con una percentuale sul PIL pari al 51,1% (il dato è quello successivo rispetto alla revisione del Pil di settembre 2014). Il Documento di economia e finanza prevede cali consistenti nei prossimi anni, fino al 46,7% nel 2019, mentre le spese correnti primarie scenderanno dal 42,8% del 2014 al 39,9% nel 2019.
il cui messaggio, in definitiva, era ed è:

4. Ora, Marco Fortis, accreditato professore di economia e consigliere del governo, sostenitore della possibilità delle "altre politiche economiche", al moltiplicatore e all'acceleratore pare invece crederci.
Al riguardo, ci offre un punto di vista certamente attendibile, ma che rimane fortemente minoritario, se non inascoltato, nell'ambito delle politiche economiche €uro-conformi seguite dal governo, come appunto dimostra il DEF, che presuppone sì una crescita del PIL che faccia diminuire l'incidenza percentuale della spesa pubblica, ma pur sempre una crescita cui concorra il taglio della spesa pubblica stessa. Fortis, infatti ci dice:
"I numeri dell'Eurostat e dell'Istat parlano chiaro se vengono adeguatamente meditati.
Rispetto al quarto trimestre 2014 (ndr; termine finale del periodo oggetto di contestazione da parte della Commissione), nei sei trimestri successivi di ripresa, il PIL italiano è cresciuto unicamente con le sue forze, senza appoggiarsi alla spesa pubblica, che si è anzi ridotta di uno 0,3% circa.
La nostra crescita cumulata dal primo trimestre 2015 al secondo trimestre 2016 è stata così dell'1,48% (arrotondata all'1,5).
Al contrario, l'aumento della spesa pubblica ha contribuito per ben il 42% ala crescita complessiva del PIL della Germania (che è aumentato del 2,4%) e per il 26% a quella del PIL francese (che è aumentato del 2%).
Detto altrimenti, la spesa pubblica in più ha aggiunto addirittura un punto di PIL alla Germania e mezzo punto alla Francia. Sicché, senza variazioni di spesa statale (mantenendola cioè invariata ai livelli del quarto trimestre 2014), il PIL tedesco sarebbe cresciuto solo dell'1,43% (arrotondato 1,4), e quello francese dell'1,46% (arrotondato 1,5).
Dunque, una crescita "spontanea", in entrambi i casi, leggermente inferiore a quella italiana.
E, si noti bene, stiamo considerando solo l'apporto incrementale diretto della spesa pubblica al PIL, e non anche i suoi effetti moltiplicativi indotti
In altre parole, se si stimassero questi ultimi, la crescita italiana dell'ultimo anno e mezzo, senza la benzina dello Stato, risulterebbe più forte rispetto a quella di Germania e Francia.
Tutto ciò fa capire quanto sia incompleto il dibattito economico nel nostro paese..."

5. Su quest'ultima affermazione (eufemistica) non si può che concordare.
Basta vedere queste recise affermazioni:
- questa è di Vittorio Feltri e intenderebbe dare man forte all'eurexit richiamando l'effetto espansivo del taglio alla spesa pubblica!
- Questa è tratta dal TGcom24 e riporta la storiella del "fanalino di coda" che imperversa in Italia da decenni, senza battere ciglio e senza indagare sulle cause, dando per scontato che la ripresa è "ingranata" e "bene la fiducia di famiglie e imprese":

6. Tralasciamo ulteriori fonti che lamentano "l'enormità della spesa pubblica": in questo momento, sono un po' meno accaniti (ma non troppo: il cherry picking dei dati sulla riduzione del deficit rimane sempre di moda),  per via della prospettiva dei terremotati e dell'inverno in tenda che probabilmente, anzi, certamente, li attende.
Intanto, dall'€uropa arrivano segnali inequivocabili: dovete tagliare la spesa pubblica (visto che nemmeno loro consigliano troppo di aumentare ulteriormente la pressione fiscale) perchè i limiti di bilancio vanno rispettati e l'Italia si è gia giocata le sue carte. Per sempre.



7. Insomma, l'€uropa, si ri-afferma chiaramente, e in modo ufficiale, in termini di austerità e di "riforme": e quali saranno le riforme che non abbiamo già fatto, secondo l'€uropa, visto che "Dijsselbloem promuove le riforme Renzi"? 
Intanto, la solita ulteriore riforma finale del lavoro: la contrattazione decentrata a livello aziendale.
Poi "LA" RIFORMA, (quella oggetto di referendum, pare proprio) evidentemente la più "voluta dall'€uropa" (e da Confindustria): che, si conferma, proprio in vista dell'esecutività militare degli ordini di Bruxelles (e della Germania), azzerando le resistenze degli "inefficienti parlamenti"- come diceva Barroso in nome dell'€uropa-, la "vera posta in gioco".
Una posta che presuppone un gioco ben preciso, ben delineato da Chomsky:


 

8. Chissà perché, poi, il nostro presidente della Repubblica, ritiene che tutto questo "apparato" di regole per convertire le riforme in deflazione salariale e tagli della spesa pubblica, cioè essenzialmente del welfare in sanità e pensioni, possa definirsi come un insieme di "strumenti potenzialmente formidabili" volti "al fine di consentire il dispiegamento di proficue politiche comuni che, mirando alla crescita economica, alla coesione sociale ed alla piena occupazione, suonino concreto consolidamento dell'adesione all'ideale europeo”.
Forse dovrebbe farsi una chiacchierata con Fortis e chiedergli delle condizioni della crescita connesse non solo all'effetto incrementale (del PIL) della spesa pubblica, in sé, ma anche dei suoi "effetti moltiplicativi": quelli che l'€uropa impone all'Italia di ignorare, per poi indicarla come "fanalino di coda"...

"SEI LEZIONI DI ECONOMIA": TRA MARGINALISMO, SRAFFA E...IL VINCOLO COSTITUZIONALE

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Sei lezioni di economia
http://www.imprimatureditore.it/index.php/2016/08/25/sei-lezioni-di-economia/

1. Il libro di Sergio Cesaratto, la cui copertina vedete nell'immagine di apertura, è una piacevole lettura, solida e scorrevole, sia dal punto di vista storico che, ovviamente, teorico-economico. 
Si può non concordare in toto con talune implicazioni che, d'altra parte,  sono comunque dimostrate nel quadro di una rigorosa ricostruzione economica, senza però debordare sul dato istituzionale; ma, nondimeno, anche in questo caso, il libro ci offre una fondamentale spiegazione, particolarmente rilevante per i lettori di questo blog.
La spiegazione di come, e perché, la parte della sinistra in origine comunista, poi in mutevole e variegata definibilità nominalistica e ideologica, sia risultata solo marginalmente - e comunque in modo costantemente "selettivo"- ascrivible al "partito della Costituzione del 1948": su di essa la stessa sinistra marxista avrebbe nutrito una costante "diffidenza", scientifica e, prima ancora, politica (Cesaratto, preoccupandosi del profilo scientifico, ritiene, con ampie argomentazioni, più attendibile Sraffa rispetto a Keynes; ma il primo, a differenza del secondo, è inevitabilmente al di fuori del processo Costituente, come vedremo tra breve).

2. Cerchiamo di evidenziare i passaggi del libro da cui scaturisce questa utile, e comunque interessantissima, spiegazione: nella parte in cui ricostruisce, - con l'occhio lealmente dichiarato di un insider -, le vicende della scienza economica italiana "vista da sinistra", Sergio attribuisce un giusto rilievo a Marx, ed alla sua sopravvivenza rispetto al tramontare di alcune, ma non altre, delle sue analisi, e conferisce, come accennato, un grande rilievo a Sraffa. 
Nel far ciò, implica una sottile ma estesa critica a Keynes,  denunciando l'insufficienza e la contraddittorietà delle sue "poliedriche" premesse teoriche ed empiriche (tacciate di essere oscure se non confusionarie: sulla definizione del modello classico K. sarebbe anzi un "arruffone" che, come sappiamo, finisce per essere fagocitato come sub-ipotesi del marginalismo e, aggiungiamo, del dichiarato neo-classicismo dei...neo-keynesiani).
Ma questa accurata descrizione di una traiettoria culturale, certamente importante, ci fornisce indirettamente anche una spiegazione del distacco, (inteso come "distanza da"), che, in tutte le sue varie e non proprio coerenti fasi, ha avuto la visione economica "di sinistra", marxista ortodossa e anche più "avanzata," rispetto alla rigorosa difesa della legalità costituzionale.

3. Si riesce cioè a cogliere il meccanismo causale di come tale visione si sia distaccata "da", e abbia avuto la tendenza, non tanto a negare, ma a rendere (politicamente) irrilevante, il legame essenziale tra il principio fondativo "lavoristico" della Costituzione e la Costituzione economica.
Un legame che, ne "La Costituzione nella palude" abbiamo ricostruito come "funzionale" e riassumibile nella visione keynesiana della piena occupazione, quale oggetto di obbligo (costituzionale) di attivazione, "tipizzato" nei suoi strumenti, da parte dei massimi organi espressivi dell'indirizzo politico e, ciò, punto importantissimo, al di sopra dello stesso processo elettorale, in sè assoggettato al Potere Costituente (v.p.4), quale mero "potere costituito" (incluso quello di revisione costituzionale "derivata"). 
Da tale non accettazione, o assunzione in termini di irrilevanza, del "vincolo costituzionale", si sono poste le premesse per lasciare enormi spazi alla penetrazione del neo-ordo-liberismo filo-europeista: e, citando la parabola di Luigi Spaventa, inizialmente "fervente sraffiano" e poi "difensore del monetarismo", Sergio ne pare indirettamente consapevole.

4. Insommail libro ci rende testimonianza di una spiegazione culturale fondamentale: quella su come la Costituzione sia stata considerata "superata", e comunque superabile, in quanto keynesiana, dalla "sinistra"; e quindi non solo dalla reazione immediata e violenta del "Quarto partito", sempre in armi fin dal 1947.
Non bisogna dimenticare, infatti, che per fondare un'interpretazione sistematica e "armoniosa" dei principi e dei diritti inderogabili della Carta del 1948, occorre rifarsi alla teoria economica di Keynes, quale obiettivamente recepita in Costituzione, nel suo complessivo tessuto normativo.
Ciò avvenneattraverso l'elaborazione-guida di Meuccio Ruini e Federico Caffè (del keynesismo del secondo, Sergio dà espressamente atto), di cui abbiamo traccia certificativa diretta, nonché attraverso le varie anime "sociali" che facevano, anzitutto, capo a Lelio Basso e ad altri (Ghidini, Dossetti, gli stessi Moro e Fanfani, ecc.: sul punto rinviamo alla ricostruzione selettiva compiuta in "La Costituzione nella palude"). E questo, in un'ottica istituzionale dai risvolti molto pratici ed attuali, ben al di là della confutazione della Legge di Say "marginalista", ovvero, della sua anteriore versione ricardiana.

5. Questa realtà fondativa, su un piano normativo del massimo livello, darebbe (il condizionale è d'obbligo) alla democrazia italiana un'indicazione molto più "certa" quanto alla individuazione univoca di un "pensiero" di Keynes, di cui, pure, Cesaratto segnala, qualificandola come "notoria", l'assumibilità "multiverso" (nel senso che avrebbe espresso, Keynes stesso, molteplici approcci ed analisi, non sempre precisamente dimostrati e non necessariamente unificabili in una sola visione).
In un'ottica istituzionale, fondativa della nostra democrazia, infatti, come qui s'è evidenziato, Keynes, o una sua "determinata" versione, certamente intrisa, - via Lelio Basso (e Caffè)-, di richiami a Myrdal, Kaldor e al socialismo di Rosa Luxemburg,è tuttavia oggetto di una scelta vincolante e ritenuta perciò irreversibile, in quanto fondatrice del diritto, fondamentalissimo e assolutamente centrale, "al lavoro". 

6. By the way, la nostra Costituzione ritiene tutt'altro che "marginale" l'osservazione generale per cui si può supporre che, in un'economia caratterizzata da un rilevante accumulo di capitale pregresso, gli investimenti trovino nell'azione dello Stato un costante strumento di sostegno verso la piena occupazione e che la redistribuzione (specialmente ex ante!) ne costituisca un essenziale elemento complementare. Non escludendo neppure quelle che Caffè richiama "misure di razionamento", a tutela dell'equilibrio dei conti esteri (anche all'interno dell'allora "mercato comune", in base a regole che egli lamenta non essere legittimamente rivendicate a favore dell'Italia; qui, p.4).
E questo processo di "positivizzazione normativa" avviene proprio fissando la Grund-Norm del sistema italiano su una correzione permanente dei "rapporti di forza", come evidenziano Basso, autore dell'art.3, comma 2, della Costituzione, lo stesso Caffè - qui,p.7- e, naturalmente, Calamandrei. Il quale, va ri-sottolineato, costituì un caso unico di capacità di cambiare visione, sul piano delle categorie generali di interpretazione del "reale-razionale", almeno in Italia; l'altro raro esempio è quello di Hansen nell'ambito del New Deal.

7. Ma il libro, nel ridare fondamento teorico vasto e ben argomentato, alle teorie economiche "critiche", cioè non ortodosse, - evidenziando appunto l'importanza del problema "strutturale" dei rapporti di forza (che sono tanto più decisivi nel diritto internazionale dei trattati) compie una rassegna che, per i lettori di orizzonte48, potrà risultare particolarmente congeniale, data la "famigliarità" con i temi affrontati.

8. Il libro, poi, conferma un'altra cosa: fare divulgazione è più difficile che rimanere su un piano accademico.
Infatti, l'intento divulgativo impone di giustificare, in termini specialmente storici - gli unici capaci di portare in luce i "fatti" rilevanti per spiegare quanto importante sia l'aspetto politico nelle scienze sociali- dei passaggi che, nella letteratura didattico-accademica, (specie delle scienze sociali), sono l'oggetto riduzionistico di un metalinguaggio, che non si cura più di incorrere nel pericolo di divenire un preteso "dato" cognitivo, cioè arbitrario e storicamente contestualizzabile.
Si potrebbe dire che proprio la divulgazione è, probabilmente, il mezzo più eloquente per cercare di spiegare la complessità che viene (orwellianamente) "ridotta" dalla sede accademica, andando alla ricerca del consolidamento "scientifico" di un pensiero unico e, come tale, (in apparenza) semplificato.
Cesaratto rifugge da questo difetto e sviluppa un discorso costantemente attento alle fondamenta (Alberto direbbe "le bbasi"), storiche, abbiamo detto, politiche e persino antropologiche del discorso.
Quindi un percorso altamente istruttivo, nel senso migliore del termine, e che vale la pena di affrontare: col conforto di sapere che qualche "professore"è ancora dotato dello spirito indagatore della complessità. Uno spirito che è l'unica via che possa condurre alla consapevolezza utile a "uscire dalla crisi".

CHIANCIANO 16-18 SETTEMBRE (E I SUOI FRATELLI)

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1. Questo post non avrebbe dovuto cominciare con questa immagine. Quanto piuttosto con questa, qui sotto (ben più foriera di un "raggio di sole", espressione usata dall'on.Merighi, in un frangente ben più felice ed appropriato, per la democrazia, del triste presente):

Personalmente interverrò in una tavola rotonda con Alberto Bagnai e Alfredo D'attorre, nella seconda giornata del programma (che vi riproduco):

 

2. Ma l'inserimento dell'immagine iniziale vuol richiamare, in qualche modo, il senso (quasi apotropaico) di un esorcismo, di una catarsi che il tema dell'evento pare obiettivamente richiamare.
Perché, proprio nel momento del "rabbioso tramonto", come sappiamo, possiamo aspettarci di tutto (v.p.11).
Poiché si tratta di un evento che, spero, per molti potrà rivelarsi interessante e "succoso" (ben al di là della mia modesta presenza), vorrei dare un tono all'aspettativa di liberazione (rigorosamente irrazionale, date le forze in campo), riproducendo alcuni estratti dell'ultimo Bazaar in veste di felice flamer; e ciò perché non solo le sue argomentazioni mi paiono in tema, ma risultano vieppiù meritevoli di non essere disperse nei meandri dei dibattiti che seguono i post):

a-"Come spiega Engels nell'introduzione italiana del Manifesto, il rapporto tra interessi nazionali e classi subalterne è tutt'altro che dubbio: Engels sostiene che senza Stati nazionali non ci sarebbe potuta essere una Internazionale.
Il problema politico è l'uso del nazionalismo a fini imperialistici e per neutralizzare la coscienza di classe.
Tant'è che, oggi che gli Stati nazionali sono neutralizzati, l'imperialismo ha come ostensione fenomenologica il "terrorismo".

A differenza di quel che sostiene imbarazzato Cesaratto, i grandi teorici del socialismo riconoscevano piuttosto compattamente l'importanza dell'arena nazionale per la lotta di classe, tant'è che votarono compattamente contro l'integrazione europea, parlando esplicitamente di "sovranità nazionale", con lo stupore del "capo dei rivoltosi" anti-europeisti Lelio Basso (qui, p.8), a cui premeva sottolineare che il principio guida non è di per sé il "nazionalismo sovrano" ma la democrazia sostanziale, di cui il primo è solo strumentale alla seconda.

L'intervento di Togliattiè in Costituente: "dopo" la IIGM...
(Poi c'era quella cosmopolita comunità di "figli dei fiori" dell'esperanto che ispirò la neolingua di Orwell in 1984...)."

b-"Caro Moreno, dico la verità: avrei scommesso che mi avresti capito e avresti apprezzato la critica allo pseudo-marxismo che si è definitivamente cristallizzato con la contro-rivoluzione neoliberista.
Non c'è niente di più marxiano della critica al marxismo: e tu dovresti saperlo meglio di me.

Tra l'altro, sei proprio una delle poche persone sul pezzo che ha contribuito a sedare la polemica assurda tra keynesismo e marxismo (un po' come quella se Hegel fosse stato di destra o di sinistra...)
La mia è una critica non per seppellire un'esperienza storica, ma, al contrario, per riscoprirla. Per riscoprirla nella sua essenza, per ciò che è stata.

Non perché "importante": ma perché imprescindibile a qualsiasi approccio analitico a quei fenomeni complessi che sono quelli sociali.
Per quel che mi riguarda, "anticomunista"è sinonimo di "antidemocratico".
Cito appunto Preve, perché è Preve che parla di "Gregge" e usa i medesimi toni quando parla dei teorici marxisti.
Io affermo che Preve (e Losurdo) sono - uno a livello puramente filosofico-intellettuale, l'altro, per come lo conosco, a livello storicistico-, i migliori esempi del pensiero marxiano in Italia.

Eppure - da ciò che emerge da questa perpetua ricerca e discussione - mi accorgo che anche la "pecora nera" Preve non ha finito di riportare la riflessione sulla strada "ortodossa" tracciata da Marx.
Questo perché nel suo pensiero valorizza il Marx filosofo e critico degli assetti sociali, ma non ne valuta l'aspetto oggettivamente ora più importante della filosofia marxiana: il matrimonio con l'empirismo che è a fondamento del materialismo storico [link aggiunto, ndr.]!
Marx rivoluziona il tragico empirismo anglosassone significandolo grazie all'idealismo e alla filosofia della storia.

Riportare Marx all'idealismo puro e semplice, è dimenticarsi che il genio comunista ha scritto "La miseria della filosofia".
Ha finito quel lavoro di "matrimonio" con l'empirismo inglese?
No.
Pensava di saltarci fuori in fretta, ma "il garbuglio economico" che è fondamentale per comprendere "il materialismo storico" verrà sistematizzato da Keynes e da Kalecki.
Quindi un marxiano ortodosso deve aver a che fare con la macroeconomia keynesiana.
Poi gli economisti potranno sezionare i capelli i mille parti, ma da questa grossolana riflessione bisogna passarci.

Spero che non si ripetano più questo genere di incomprensioni visto che, di fronte del macroscopico problema dell'euro e della sovranità, Sollevazione ha portato avanti la medesima critica e ha cercato di comprendere come mai fossero, al di là dell'immagine, i keynesiani a difendere i lavoratori e non gli "pseudo-marxisti", come li chiamava Lelio Basso.
È chiaro ora che "i pifferai magici" sono quelli di "usciamo dall'euro da sinistra" altrimenti ci svendono il patrimonio produttivo?
Un caro saluto.
(Lo spirito del CLN si è materializzato in Costituente riconoscendo che il vero elemento fondante della comunità sociale è il Lavoro: indipendentemente da particolarissime indagini sulla teoria del valore)
".

c"...se lo Stato-nazione è solo strumentale alla democrazia, anche il free-trade e il laissez-faire sono solo strumentali ad un determinato ordine sociale.
Tu stesso, caro Arturo, hai riportato quella citazione di Einaudi in cui i liberali temevano più i keynesiani e, in genere, «i neocomunisti di Cambridge», perché, appunto, il keynesismo veniva visto come una una prassi politica che paludava la diffusione del socialismo.

Infatti, secondo Einaudi e Röpke, i problemi economici non sono solo una questione "economicistica".

Il keynesismo fa finta che il conflitto tra classi non ci sia, però offre una soluzione di politica economica che dà per scontato il fatto che si voglia realmente massimizzare il benessere economico indistintamente di tutta la comunità....
Epistemologicamente si basa su una risposta di filosofia morale opposta a quella comunemente condivisa dalla classe dominante.
E parlo di keynesismo, non solo di Keynes".


d- [muovendo dalla distinzione, riconducibile a Basso, tra social-democrazia, sedicente keynesista, "subalterna" al capitalismo, e socialismo "autentico"
"Più che "keynesista" direi di stampo anglo-tedesco: quella da cui nasce il reddito di cittadinanza di neoliberista memoria: ovvero "le briciole sedative".
Ai tempi di Basso era il "consumismo" usato nelle Guerra Fredda.

Il socialismo "autentico"è quello in cui ogni uomo ha le medesime possibilità di esprimersi secondo le proprie capacità: e questo può essere ottenuto esclusivamente socializzando il potere politico tramite la socializzazione della capacità economica. 

Questo processo non può avvenire tramite il laissez-faire, ma tramite il controllo collettivo dell'economia per mezzo dello Stato.
Ovverosia, la libera concorrenza non porta "all'egualitarismo astratto dal liberalismo", ma all'asservimento di chi rimane escluso dal - o asservito al - processo produttivo a causa del fatto che, come qualsiasi competizione, anche quella del mercato ha i suoi vincitori.
(Vincitori che - come in qualsiasi competizione in cui ci sono mezzo i soldi - sono tali in quanto i migliori a "barare": da cui il liberalismo come via verso la tirannide)
Coloro che vincono a questa competizione a cui molto pochi hanno interesse a partecipare, hanno in premio il "monopolio"[ndr; o il suo equivalente, anche secondo Basso: l'oligopolio, apparentemente frammentato ma in posizioni co-dominanti concordabili]
.
Gli unici monopoli ammessi dal socialista - ossia dal democratico "sostanziale" - sono quelli di Stato.
I "socialdemocratici illusionisti" di cui parla Basso assomigliano molto ai socialisti liberali tedeschi ed italiani.

Infatti il keynesismo della nostra Carta non è quello né inglese, né tedesco, né rooseveltiano.
Il secondo comma del terzo articolo fa la differenza... portando il keynesismo alle sue estreme conseguenze [da cui, in connessione, la feroce insofferenza mediatico-culturale delle oligarchie nostrane verso l'art.41 della Costituzione, che vieterebbe la socializzazione dei costi determinati dai fallimenti del mercato, di cui assume la definitiva irrealizzabilità nella ipocrita forma "scolastica" della concorrenza perfetta].
Kalecki o la Luxemburg l'avrebbero sottoscritta la nostra Carta.
 

Con lode". 

MACCHINE OSSIDIONALI: LA MINACCIA DELLA TROJKA

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http://3.bp.blogspot.com/-p7y8VvvSwOY/UdmxPyF5wmI/AAAAAAAAB0o/u9uSqFbXj4c/s1600/nascita_capitalismo_rivoluzione_anno_mille_02.jpg
1. Oggi ho visto, su un canale televisivo in servizio permanente effettivo di talk-show di informazione ordoliberista, un espertone che, grazie all'introduzione ad hoc del conduttore, tirava fuori i "dati" che spiegherebbero la minore crescita italiana rispetto al resto dell'eurozona (in realtà anche rispetto all'UE, perché in queste trasmissioni non si distingue troppo sull'importanza di avere l'euro o no: se si è virtuosi, produttivi e competitivi, lo si è e basta. L'euro, si sa, "è solo una moneta"). Dunque, quali dati hanno estratto dal cilindro? 
Ci si poteva aspettare che fossero quelli relativi al rispetto dei limiti imposti dal trattato o, peggio, dal fiscal compact al deficit pubblico

http://www.infodata.ilsole24ore.com/wp-content/uploads/sites/82/2015/02/20150226-Bilanci-Eu.png

o quelli sul minor aumento della spesa pubblica (= calo della spesa reale), realizzato in Italia

http://1.bp.blogspot.com/-jNtRqaSTkwY/UeUwm_-dN5I/AAAAAAAAAOc/petb1-r2wEw/s1600/sp-reale.png
Dato relativo alla spesa, su cui, - come le tivvì stranamente ignorano - abbiamo pure l'interpretazione autentica del Ministro più qualificato dell'attuale governo, che è stato responsabile economico dell'OCSE e s'è occupato di Argentina quando stava al FMI:




o, ancora, quello sul calo delle retribuzioni reali (e quindi della spesa privata, cioè dei consumi, e dei risparmi e, quindi, degli investimenti):

http://1.bp.blogspot.com/-sGeN_SC-Ntw/VR_9FAP-ceI/AAAAAAAAN5g/mGWvyAkOlYw/s1600/Screenshot_3.png

No: l'espertologo si era preparato il dato sulla spesa pensionistica "mostruosa" italiana, adducendo che era la più alta d'€uropa rispetto al PIL. Conseguenza inevitabile: per tornare a crescere dobbiamo tagliare le pensioni ponendo un tetto massimo di 3000 euro, a prescindere dall'ammontare dei contributi versati nel corso della vita lavorativa. 

2. Rammentiamo anzitutto la controvertibilità del dato comparato circa la presunta "maggior" spesa pensionistica italiana (che considerata la maggior aspettativa di vita italiana, al di là degli ormai abrogati regimi di pensionamento anticipato, avrebbe pure un significato positivo, circa il funzionamento complessivo del nostro welfare...in passato); e lo faremo ricorrendo alle parole, già viste, dell'economista che studia più seriamente la questione, il prof.Pizzuti:
"Anche in Italia si è verificata la stessa illusione statistica; attualmente la spesa sociale è pari al 28,4% del Pil, in linea con i valori medi europei
Tuttavia, se confrontiamo il valore pro capite, il nostro paese registra un forte e crescente divario negativo: fatto pari a 100 il valore medio dell’Unione a 15 nel 1995, quell’anno il dato italiano era 84,1, ma da allora è calato fino a 75,8 del 2011
In tutti i paesi europei, tranne l’Irlanda, la voce di spesa più importante è la previdenza (15,1% nell’EU-16); questa voce in Italia è pari al 18,8%, in Francia al 16,5% e in Germania al 13,6%. 
La superiorità del nostro dato previdenziale di 3,7 punti rispetto alla media europea è tuttavia viziata da diverse disomogeneità presenti nelle statistiche.
I. Ad esempio, l’Eurostat include nella spesa pensionistica italiana i trattamenti di fine rapporto (pari all’1,7% del Pil) che non sono prestazioni pensionistiche
II. C’è poi che le spese pensionistiche sono confrontate al lordo delle ritenute d’imposta, ma le uscite pubbliche sono quelle al netto
Tuttavia, mentre in Italia le aliquote fiscali (sulle pensioni) sono le stesse che si applicano ai redditi da lavoro, per un ammontare trattenuto pari a circa il 2,5% del Pil, in altri paesi spesso sono inferiori e in Germania sono addirittura nulle, cosicché i confronti operati al lordo sovrastimano i nostri trasferimenti pensionistici che, in realtà, non sono affatto anomali. 
In ogni caso, dopo le riforme del 1992 e 1995, fin dal 1998 il saldo tra le entrate contributive e le prestazioni previdenziali nette è sempre stato attivo; l’ultimo dato, del 2011, è di ben 24 miliardi di euro. Dunque, il nostro sistema pensionistico pubblico non grava sul bilancio pubblico, anzi lo migliora in misura consistente (pari a sei volte le entrate Imu sulla prima casa!)".

3. Soggiungiamo che comunque la spesa pensionistica è una componente positiva del PIL e quindi appare curioso predicare una maggior crescita italiana tagliando una componente del PIL; che tra l'altro, è appunto anche una componente complessivamente attiva del bilancio dello Stato, consentendo, in teoria, ove non si dovessero realizzare continui avanzi primari, record del mondo, il reimpiego di tale surplus in altri settori di intervento pubblico. 
Ma gli avanzi primari record, quelli sì, spiegano la minor crescita italiana, cioè il maggior output-gap
MA DI QUELLI NON SI PARLA. 
Almeno in televisione (se non per illudere la massa che si tratterebbe di un evento positivo: facciamo più saldo primario e...torneremo a crescere!).



4. Senza ulteriormente approfondire, visto che nel mondo mediatico neo-orwelliano degli espertologi, i dati sono quello che sono, cioè strumenti di propaganda velenosa, priva di ogni collegamento coi meccanismi causa/effetto, in questo clima, nuovamente accelerato, si parla, come di una prospettiva ineludibile, dell'arrivo in Italia della trojka: l'unica entità dotata dell'alto profilo moralizzatore tale da poter imporre il taglio delle pensioni, la patrimonialona, e magari una disciplina stringente della contrattazione aziendale, legalmente autorizzata a regolare il rapporto di lavoro secondo le concrete esigenze della singola azienda (eliminando dal campo la stessa funzione dei contratti di solidarietà, che hanno l'immorale difetto di attenuare fiscalmente, cioè con l'odiata spesa pubblica "sociale, per un certo periodo transitorio, la brutale riduzione delle retribuzioni).

5. Ebbene, non temo l'arrivo in Italia della trojka. 
Semplicemente perché, oggi più di ieri - in tempi di referendum che rischia di andare "storto" e di ricapitalizzazione MPS che va tirata per le lunghe in modo da andare al 2017, perpetuando così un ricatto emergenziale incombente sull'intervento pubblico, (discrezionalmente già interdetto "su misura" per l'Italia)- dobbiamo rammentare che la trojka è già qui
"Ormai, infatti, mancano le risorse culturali collettive, e non esiste più quasi nulla che si opponga al dominio totalitario della versione infeudata 2.0. del Quarto partito...
Abbiamo una trojka autoctona, incorporata con la sua religione, dentro alla parte più profonda delle istituzioni, del pensiero accademico, di ogni possibile comunicazione mediatica".
http://scenarieconomici.it/wp-content/uploads/2016/01/PicsArt_01-11-09.55.24-1024x741.jpg 
6. Più semplicemente, dobbiamo considerare che l'attuale governo, partiva da una piattaforma, il cui contesto generativo riassumemmo esattamente tre anni fa, incentrata su riduzione della spesapubblicabrutta e su misure supply side. 
Ora, l'andamento della (non) crescita, - tutto sommato abbastanza scontato e connesso alla ottusa ostinazione diffusa in tutta l'eurozona nel seguire la pianificazione economica neo-ordo-liberista-, nonché il dispiegarsi degli effetti di ristrutturazione geo-economica determinati dall'Unione Bancaria, inducono a una certa circospezione nel proseguire questa linea,  inasprendola nelle forme imposte dalle regole €uropee cui abbiamo zelantemente aderito.
Quindi, ci vuole una nuova emergenza su sprechi, spesa pubblica mostruosa e "abbiamo vissuto al di sopra delle nostre possibilità", per imporre, nel terrorismo mediatico mandato al massimo della sua potenza, l'attuazione brutale "autogestita" delle condizionalità €uropee come "male minore" rispetto al mitologico "arrivo della trojka".

7. Bisognerà vedere chi gestirà questa nuova fase di inasprimento: naturalmente "al riparo dal processo elettorale".
Ma in fondo, non ha neppure troppa importanza: tutti i salmi finiscono in gloria e ogni singolo elemento della "comunicazione brutale", che ci attende nei prossimi mesi, sarà volto a risolvere la fase finale dell'assedio:
Il pericolo non è l'arrivo della trojka che, come dovremmo ormai aver capito, è, nei fatti, già qui da un bel pezzo, (Monti ipse dixit); e forse non è neppure l'inasprimento inevitabile delle politiche attualmente imposte dall'€uropa ad opera del consueto governo tecno-pop, che farebbe ciò che sarebbe stato comunque fatto, solo con un po' più di brutalità nella comunicazione.
Il problema è che non c'è nessuno, ma proprio nessuno, capace di offrire un'alternativa risolutiva a questo scivolare verso il baratro. Peggio: è che non c'è nessuno, ma proprio nessuno, che sarebbe capace di trovare una linea di resistenza diffusa ed efficace a quella"comunicazione brutale" che  sarà il perno della propaganda, già dilagante, dell'ennesima "svolta".  
Una comunicazione che, come diceva Orwell, assume la forma dell'assedio.
http://it.manuelcappello.com/wp-content/uploads/2012/03/habermas-potere-comunicativo-IMG_4868.jpg


LA N€W-GOLDEN RUL€...DENTRO IL FISCAL COMPACT. IL PRESUNTO ACCORDO TRA KEYNES E HAYEK

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http://www.radio24.ilsole24ore.com/assets/img/Radio24/_Immagini/2015/03/mix-von-hayek-keynes-1978.jpg

1. Passato abbastanza inosservato (per ora), l'intervento di Mario Monti all'ultima riunione Ecofin (consiglio europeo dei ministri economici) dell'8 settembre scorso, ci dice alcune cose fondamentali; fondamentali perché ci restituiscono alcune verità che Monti, gli va dato atto, è tra quelli che rivela con più esplicita schiettezza (da sempre: ex multis, v. p.5; anche tralasciando la Grecia come "il più grande successo dell'euro" che, a rigore, è un'altra verità ineccepibile). 

Di tale intervento, vi riproduco una delle parti più significative, aggiungendo qualche asciutto commento (oltre a quello "di sintesi" del tweet da cui è tratto):



2. E dunque:
2.1. - emerge la giusta valutazione di insufficienza dell'agiografico "piano Juncker" (quello che: "L'Esecutivo Ue ha inoltre nominato oggi i quattro membri del comitato direttivo dell'Efsi, tra cui nessun italiano. Infine è stata pubblicata una comunicazione per chiarire il ruolo delle banche promozionali a favore del piano di investimenti.
Gli stati partecipano al piano in genere attraverso queste banche (nel caso italiano la Cassa Depositi e Prestiti per un investimento di 8 miliardi di euro). La comunicazione precisa il perimetro entro il quale le banche promozionali possono operare per rimanere classificate come soggetti esterni alla contabilita' pubblica, pur essendo prevalentemente di proprieta' statale.
Se le banche operano in modo indipendente dalle autorità politiche nazionali continueranno ad essere considerate come attori esterni. Altrimenti, i loro conti saranno integrati a quelli pubblici, con conseguente incremento del debito degli stati di riferimento, precisa la comunicazione." Ergo, l'Italia è essenzialmente tagliata fuori da politiche pubbliche di investimento, legate al Piano, che non siano comunque già scontate nella "flessibilità" concedibile a qualche titolo discrezionale: si tratta del solito metodo inibitorio legato al "cofinanziamento", a carico degli Stati, e distorsivo delle loro sovrane priorità di politica economico-fiscale, che caratterizza i "fondi UE";

2.2. - si dà atto, sia pure in modo indiretto e a denti stretti, che la flessibilità (nella misura autorizzata di sforamento degli obiettivi intermedi di disavanzo annuale verso il pareggio di bilancio) è solo un sistema attenuato di austerità (qui, p.2), teso a diluirne transitoriamente gli effetti, comunque perseguiti: e, infatti, consci della inutilità di un'austerità "a metà" per...promuovere la crescita - sempre però in una rigida cornice sul lato dell'offerta- se ne propone l'abolizione;

2.3. - e dunque si cerca di far passare l'idea che ci possa essere un punto di incontro tra "stimolo della domanda" e "espansione, - naturalmente etica-, della capacità produttiva"; questa presunta convergenza tra Keynesiani e Hayekiani, tra l'altro ci conferma, se pure ce n'era bisogno, della centralità dell'austriaco nella concezione economico-politica dominante nei trattati.

3. In realtà si tratta di una "pretesa" convergenza per il semplice fatto che non si vede come possa considerarsi Keynesiano un "programma di investimenti pubblici" all'interno dell'euroe del complesso (intatto) delle sue regole.
Vale a dire, all'interno di un'area valutaria che, pur con qualche imperfezione tattica, si intende debba funzionare come il gold standard e che, quindi, proprio per il principio "etico" invocato da Monti (che trova il suo chiaro antecedente in Hayek e Einaudi) priva della sovranità monetaria gli Stati, obbligandoli a sostituire l'aggiustamento del corso della valuta con la deflazione salariale. 

Questa "eccezionale" e altrettanto "presunta" misura espansiva, infatti, agirebbe solo come espansione dal lato dell'offerta, in concomitanza con la progressiva applicazione delle riforme strutturali del lavoro; un mercato del lavoro totalmente precarizzato e con livelli salariali perfettamente flessibili, in quanto orientato alla competitività, non potrebbe infatti consentire che un modesto aumento dell'occupazione localizzato solo in certi settori (e a scapito di altri).
Non si vede, cioè, come un trade-off tra settori da privilegiare, in quanto giudicati maggiormente "competitivi", e settori da asfissiare (in quanto legati alla domanda interna, ulteriormente privata del sostegno della spesa pubblica corrente), possa condurre a aumenti salariali diffusi e occupazionali consistenti e quindi alla "crescita". Dovrebbe essere chiarissimo che nessun programma di investimenti, teso a risolvere, per volume e vastità, il problema occupazionale, potrebbe risolvere il problema di divergenza di produttività, cioè di tassi di cambio reale e di competitività relativa dei prezzi all'interno dell'eurozona; mentre, per conservare in vita la moneta unica, la correzione di questa divergenza di tassi reali rimane affidata alla svalutazione salariale interna.

4. Tanto deve esserne cosciente Monti che, infatti, propone, simultaneamente alla regola permissiva del deficit per "investimenti pubblici produttivi", l'azzeramento della flessibilitàche, implica necessariamente, sia pure al netto della politica di investimenti sul lato dell'offerta, l'immediato raggiungimento degli obiettivi intermedi di pareggio strutturale di bilancio.
Si farebbe sì più spesa per investimenti, ma ampiamente compensata dal taglio immediato e divenuto inderogabile, della spesa corrente, allocata principalmente in pensioni, sanità e altre voci di consumo pubblico, già ridotte ai minimi termini (come ci accorgiamo quando vediamo lo stato del nostro territorio, non solo in occasione dei terremoti, ma percorrendo le strade dissestate, magari per portare i figli in una scuola del tutto fatiscente e carente di insegnanti di ruolo, e constatando lo stato della questione "raccolta rifiuti" in tutta Italia).
Quello che propone Monti, in "soldoni", è uno schema in cui, al netto degli "investimenti produttivi", e secondo le previsioni del fiscal compact, (di cui non chiede l'abolizione quanto, invece, la conferma "temperata" dalla regola sugli investimenti), l'Italia avrebbe dovuto avere, in teoria, un deficit dell'1,4% alla fine di quest'anno, dello 0,8 nel 2017 e il pareggio strutturale allo 0,1 nel 2018.

5. Ma anche non attenendosi (data l'evidenza dei fatti sopravvenuti, conseguente alla detestabile "flessibilità") alla appena riportata agenda previsionale del FMI e accettando lo spostamento del pareggio al 2019, come previsto dal DEF 2016, le misure del deficit strutturale - quello considerato al netto del ciclo economico e dunque scontandone, sul dato "effettivo", una certa misura aggiuntiva determinata dal livello di disoccupazione eccedente quella "strutturale", cioè la piena occupazione secondo l'€uropa, (qui, p.5)-, dobbiamo considerare che i livelli di investimento pubblico, sempre previsti dal DEF, sono decrescenti, come si può vedere, sempre ex multis, da questa tabella ritraibile dall'ultimo DEF:

http://www.unimpresa.it/wp-content/uploads/2016/04/Tabella-Def-11-apr-2016.png

6. Quindi l'incremento della spesa in conto capitale, a saldi costanti nella progressione verso il pareggio strutturale nel 2019, seguendo la regola "Monti", dovrebbe avvenire, come abbiamo detto e com'è del tutto palese, tagliando con immediatezza altre voci.

https://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/17/DOSSIER/970640/image21.png

Certo, non andrà esattamente in questo modo, dato che questi saldi (strutturali) presuppongono delle misure di crescita del PIL che si è ben lungi dal rispettare, come ci conferma (ultimo rigo: variazione del PIL nominale) quest'altra tabella ex DEF, con, tra l'altro, il maggior dettaglio dell'andamento della spesa in investimenti fissi lordi e in conto capitale, essenzialmente decrescente:

https://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/17/DOSSIER/970640/image13.png
Incidentalmente, con la flessibilità ottenuta (circa 0,8 punti di PIL), quest'anno, il deficit nominale "lordo" dovrebbe attestarsi (salvo complicazioni da mancata crescita superiore al previsto), a 2,2-2,4% del PIL, mentre, in assenza di essa, avrebbe dovuto essere dell'1,4%.
Per il 2017, prima che ricominci il balletto per ottenere una flessibilità allo stato negata (persino alla luce del terremoto), il deficit dovrebbe risultare all'1,1%, secondo l'originario target della Commissione, ovvero all'1,8% secondo il DEF
Ma la manovra prossima ventura non dovrebbe/vorrebbe puntare su questo target, bensì su un'ulteriore flessibilità, per portarlo più o meno allo stesso livello di quest'anno.

7. Nota bene: il discorso di Monti, lo ribadiamo, dice "si introduca una regola"sugli investimenti, non "si modifichi il fiscal compact", (di cui tale regola risulterebbe complementare).
E neppure dice, come pure ben avrebbe potuto, "si applichi" l'art.126, par.3, attuale del trattato (TFUE), laddove prevede che la Commissione, nel valutare lo scostamento dai criteri (imposti dall'UEM, attualmente, il fiscal compact), del debito e del disavanzo (deficit) annuale, possa, già oggi, tenere conto "dell'eventuale differenza tra il disavanzo pubblico e la spesa pubblica per investimenti" nonchè "di tutti gli altri fattori significativi, compresa la posizione economica e di bilancio a medio termine dello Stato membro". 
Questa previsione è la c.d. golden rule, tutt'ora praticamente inapplicata perché l'insieme delle condizioni di "scusabilità" legittima dello scostamento non sono - e non saranno- mai riscontrabili.
Insomma: cosa ci sia di keynesiano in questa auspicata operazione di ristrutturazione della spesa pubblica non si sa. Sostanzialmente: espando gli investimenti tagliando la spesa corrente, mantenendo, quanto ai saldi complessivi, effetti equivalenti alla "flessibilità", ma indirizzati sul solo lato dell'offerta; peraltro, una ristrutturazione non ben chiara nei suoi termini quantitativi di eventuale tolleranza, dentro le politiche imposte dal mantenimento dell'euro e dalla irrinunciabile flessibilità verso il basso dei salari.

8. Ma non possiamo e non dobbiamo sorprenderci: la proposta nasce come documento del "Council on the Future of Europe", un think tank, costola del Berggruen Institute, nella cui homepage campeggia la foto di Mario Monti e il cui scopo è elaborare la "global governance", mentre, tra i membri dello stesso Council, figurano, inter alios, vecchie conoscenze quali: Monti (ovviamente), Robert Mundell, Otmar Issing, Jean Pisani-Ferry, Prodi, Roubini, Peter Sutherland, Tony Blair, Jacques Delors e...Joseph Stiglitz. Tutti parrebbero d'accordo su "questo" futuro dell'€uropa...(?)
Per ognuno (cliccando sulla rispettiva foto), c'è anche il curriculum. E tanti altri dati sono disponibili in rete. Ad esempio:


MA DOV€ VANNO S€NZA DI NOI? NO ITALY, NO TURKEY-PARTY

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https://cibology.files.wordpress.com/2011/03/tacchi.jpg

Adde introduttivo: un tacchino che sa di essere tale, ha un enorme potere.
Dall'essere contributore netto del bilancio UE, a finanziatore della banche tedesche e francesi via ESM, a terra di acquisizioni "forzadonnechemenevadotuttoamillelire!", a mercato di sbocco (di sangue), a esportatore di manodopera qualificata, a hub di discarica e riciclaggio immigrati da tutto il cosmo...Un grande potere, che NESSUNO sa-vuole sfruttare: preferiscono, gli spaghetti-ESSI, la legge dell'offerta e dell'offerta come panacea per il dominio imperituro (in conto terzi).

No, dico...
- visto che la Francia produce orgogliona questi masterpiece di "satira", senza alcun accenno di scuse da parte del governo francese e alcuna minima obiezione delle nostre autorità diplomatiche (e guardate che il terremoto con un messaggio intitolato "Italiens" c'entra poco; mentre c'entrano molto gli italiani visti come mafia-spaghetti. Punto)...

 








Comunque ci farebbero un piacerone (ma non a se stessi).

Data l'enormità del livore-razzismo-disprezzo-paternalismo d'accatto, riversato, se non lo fanno ci sarà un motivo. No?

DRAGHI, HAYEK E LA MORAL€ DELLA DUREZZA DEL VIV€RE PER I "GLOBALISATION'S LOSERS"

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1. Traduco: 
"Tre delle principali voci del liberalismo economico hanno richiesto in separate dichiarazioni di risolvere la situazione critica di coloro che sono "lasciati indietro" dalla globalizzazione, rischiandosi altrimenti un contraccolpo politico che può far arretrare la concorrenza e l'apertura dei mercati".
Non sfuggirà, rispetto a questa resa autoesplicativa dell'essenza fenomenologica delle dichiarazioni, la scala delle priorità che emerge dal rapporto di mezzo a fine
In pratica, risolvere la situazione critica di milioni e milioni di individui, lasciati alla disoccupazione e alla miseria, mentre le "riforme strutturali", comunque irrinunciabili, gli sottraggono ogni protezione sociale pubblica, è solo un momento strumentale a garantire la riuscita e il consolidamento dell'obiettivo principale: la competizione globale e l'apertura dei mercati.



2. Che la "durezza del vivere" possa essere inflitta a dosi educative opportune, non è dunque revocato in dubbio: è solo che questa sacrosanta, "naturale" e legittima strategia deve essere condotta in modo da non provocare un contraccolpo "politico". 
Il che nasconde, nell'algido lessico del neo-liberista, la prospettiva, constatata con disgusto, del diffuso e crescente costo sociale provocato da concorrenza e apertura dei mercati e, di conseguenza, nelle condizioni istituzionali attuali, la perdita di controllo del processo elettorale
Come già s'era visto nel caso Brexit, e come si teme possa accadere sul referendum costituzionale in Italia, o in altre occasioni elettorali nei vari paesi occidentali, compresi gli stessi USA.

La logica intrinseca di questa fenomenologia del neo-liberismo, a punta di diamante €uropeista, si può riassumere in alcuni principi fondamentali che trovano la loro anteriore chiarissima formulazione nel pensiero di Hayek
2.1. Anzitutto, riguardo a quale interesse sia in ultima analisi tutelato dal provvedere per "risolvere la situazione critica di coloro che sono lasciati indietro":
a)«Nel Mondo Occidentale, fornire agli indigenti e agli affamati per cause al di fuori del loro controllo una qualche forma di aiuto è una pratica oramai accettata come dovere dalla comunità. In una società industriale nessuno dubita che una qualche forma di intervento sia in questi casi necessaria, fosse anche solo nell’interesse di coloro che devono essere protetti da eventuali atti di disperazione da parte dei bisognosi.». Evidente è il fine di non dover turbare gli "operatori del mercato globale" dal loro compito di progresso e "libertà".
2.2. Poi, riguardo al perché questi "indigenti" lo siano "per cause al di fuori del loro controllo", dato che in una Grande Società di mercati mondiali aperti, il "controllo economico"è il controllo di ogni mezzo e di ogni fine, e il neo-liberismo, come dice Mirowsky, si afferma come una "teoria del tutto":
b)«Il controllo economico non è il semplice controllo di un settore della vita umana che possa essere separato dal resto; è il controllo dei mezzi per tutti i nostri fini. E chiunque abbia il controllo dei mezzi deve anche determinare quali fini debbano essere alimentati, quali valori vadano stimati […] in breve, ciò che gli uomini debbano credere e ciò per cui debbano affannarsi».
(F. von Hayek da "Verso la schiavitù", 1944).
2.3. Infine, con riferimento a quel "contraccolpo politico" che può (ma non deve) verificarsi, allorché non si provveda in modo opportuno (cioè con il reddito di cittadinanza o simili provvidenze,  elargite e sottratte secondo la Legge inconstestabile nascente spontaneamente dall'ordine naturale del mercato):
c) Il voto, attesa la incomprensibilità, da parte dell'individuo comune-elettore, della realtà normativa naturale, è solo un processo subordinato di ratifica delle decisioni "impersonali" del mercato (questa sintesi è agevolmente ricavabile, ex aliis, da questo post e da quest'altro).
3. A completamento di questo excursus, oltre a rinviare a Gramsci, in tema di controllo del processo elettorale,  nonché a Crisafulli, circa la natura radicalmente differente del welfare nella tradizione liberal-liberista anglosassone, appare pertinente questo commento di Bazaar, che integreremo con dei links.
Va anche premesso che il suo sviluppo non è affatto svolto per "paradossi": è invece compiuto seguendo la rigorosa consequenzialità di questa "tradizione" di pensiero, che va assunto nel suo poderoso insieme di fonti, apparentemente variegate, ma imperniate tutte, con straordinaria omogeneità, sullo stesso ossessivo dogma di una "morale" continuamente sbandierata. Una morale il cui contenuto esterno, imposto a chi non ne è degno, è "la durezza del vivere":
"Purtroppo, infatti, quella che Hayek chiama "amoralità"è ciò che Nietzsche spiega essere una forma integerrima e suprema di morale: la morale dell'aristocratico radicale.
Che poi è l'humus da cui nasce il celebre ed agghiacciante articolo di Padoa-Schioppa sulla "durezza del vivere".

Costoro, esattamente come i nazisti, sono fieri di distruggere milioni e milioni di vite per avere "un mondo migliore".
Pensano di fare bene: non si può liquidare come un semplice atto di agenti razionali che per far dell'egoistico bene per sé compiono dei disastri.
La fallacia di composizione è solo una risposta parziale.
Esiste una morale degli schiavi ed una morale dei padroni.
Non si può essere "amorali".

Se non fosse così non ci sarebbe questa motivazione, questo committment nel perpetrare genocidi.
Innanzitutto è necessario essere convinti che - appunto - i propri geni siano diversi da quelli delle vittime.
La verità è che l'ideologia nazista - come già argomentato in altre occasioni - è la versione pop-nazionalista della morale elitista.

Nietzsche odiava il nazionalismo antisemita per gli stessi motivi di Coudenhove-Kalergi (il quale cita espressamente il filosofo morale tedesco).
Inoltre, ricordiamoci che a Mario Monti è andato il premio von Hayek 2005 di cui Bolkestein e Issing fanno parte del board della relativa fondazione che, guarda a caso, si trova a Friburgo.

Per questo è fuorviante sottolineare che Milton Friedman è il padre ideologico degli assurdi parametri europei senza ricordare quanto la componente giuridico-istituzionalista sia parte della ristrutturazione sociale portata dalla globalizzazione di cui la UE è parte.
Evidenziare il ruolo di Friedman senza la dimensione istituzionale di Hayek, è non permettere di cogliere il disegno alla base della costruzione europea e della globalizzazione: che non è la semplice composizione irrazionale di agenti razionali..."

LE COS€ PR€CIPITANO?...PERCIO' IL "PIANO" VA AVANTI

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"Ed infatti, a proposito di Caffè, nel sostenere che il benessere economico non elimini comunque il rischio di emarginazione dalla vita civile, in un'intervista del 1977 egli afferma:
"...se per miracolo qualche risultato si dovesse raggiungere, ma andasse nel senso di un avvicinamento della nostra situazione a quella, poniamo, della Germania, non è questo il destino che augurerei al mio paese. Si tratta, infatti, di una situazione in cui i lavoratori, pur godendo di un certo benessere, sono in una posizione fortemente subalterna. 
Non credo, in altri termini, che il risanamento della bilancia dei pagamenti e un riassetto dell'economia, SENZA L'INTRODUZIONE DI VERI ELEMENTI DEL SOCIALISMO, sia qualcosa che vale, un traguardo degno di essere indicato alla società italiana. Se ci mettessimo su questa strada, tradiremmo per la seconda volta gli ideali della Resistenza. non vorrei apparire retorico.
Ma tradiremmo l'ideale di costruire un mondo in cui il progresso sociale e civile non rappresenti un sottoprodotto dello sviluppo economico, ma un obiettivo coscientemente perseguito" [F. CAFFE', 1977b,in Federico Caffè. Un economista per gli uomini comuni, a cura di G. Amari e N. Rocchi, Roma, Ediesse, 2007, 311]". 
1. Un breve aggiornamento.
Spero sia ormai chiaro quanto sia irrealistico credere che, siccome l'economia dell'eurozona non si riprende, e la deflazione appare irrisolvibile (anzi, in riacutizzazione, nonostante qualsiasi QE immaginabile), ciò debba, necessariamente e immediatamente, condurre a qualche forma di allentamento della presa neo-liberista, monetarista e anti-Stato sociale, sulle società occidentali. 

Un indicatore ce lo danno le questioni Wolkswagen, Deutschebank e Monsanto-Bayer. Dopo anni di lambiccate analisi sulla prospettiva di un riesplodere delle ostilità tra la Germania e gli USA, dovremmo prendere atto che si tratta di episodi sempre e comunque da contestualizzare.
E il contesto è, come ci ricorda Bazaar, quello della solidarietà di classe, - rafforzata da decenni di recenti inarrestabili successi-, tra gli "operatori razionali" del capitalismo finanziario e oligopolista sovranazionale.

2. Per cui, in questo contesto, tutto sommato:
"Appunto: sono segnali contraddittori nel complesso.
E confermano che, negli USA, si ha una prevalente visione non "destabilizzante" dei rapporti con la Germania: perchè ci sono fin troppe questioni intrecciate, e convergenti visioni prevalenti, rispetto ai motivi di dissapore.

In particolare, gli USA non possono non considerare l'enorme utilità della Germania per disciplinare il resto dei paesi UEM, quelli con le "Costituzioni antifasciste", ed eliminare una volta per tutte la tutela del lavoro, flessibilizzandolo e privandolo del welfare (salario indiretto di "resistenza" alla durezza del vivere), e liquidare anche solo una parvenza di senso del sindacato.

Prima questo: poisi ragiona eventualmente sul resto.
Salvo complicazioni: che gli USA possono avere dal fronte interno, cioè dalla fine della loro mobilità sociale e dai suoi riflessi elettorali forse imminenti, ovvero da Putin. Ma non dalla Germania".

3. E noi italiani, in mezzo a tutto questo? 
Attendiamo appunto. 
Attendiamo che si completi la riforma incessante del mercato del lavoro, lo smantellamento del welfare in vista della sua privatizzazione (TTIP o meno che sia), e, in sostanzala fine della democrazia sociale (non liberale, che è invece l'obiettivo che, se siamo fortunati, ci viene riservato dal capitalismo finanziario e oligopolistico). 
Con questa nostra traiettoria rigidamente prestabilita, il referendum ha, in fondo, solo un'interferenza strumentale: la Costituzione, nei suoi principi fondamentalissimi che delineano il modello socio-economico voluto dal Potere Costituente democratico,è ormai praticamente già disattivata.
Il referendum sarebbe, se vincessero i sì, una mesta ratifica formalizzatrice di questo stato di cose. 
E servirebbe da propulsore nell'accelerazione della traiettoria.
Se vincessero i no, (solo) l'indebolimento di una serie di personalità che si sono autopromosse come "i migliori garanti" del completamento del disegno delle oligarchie sovranazionali riservato a noi italiani (ovviamente non soltanto a noi italiani, ma per noi "di più"...et pour cause). 
E servirebbe come presupposto per uno "stato di eccezione" (v. n.4 successivo) da cui rafforzare la traiettoria stessa.
Ma il disegno e la sua scansione inarrestabile (almeno da parte di forse endogene) rimarrebbero in qualsiasi dei due casi.

4. Intanto,  persino i più estremi rappresentanti-fiduciari di questa elite restauratrice, sono scettici sull'esito del referendum: 
"...la banca francese ieri ha sfornato un corposo report sul Belpaese dall’eloquente titolo “il referendum italiano sta per aprire un periodo di instabilità politica”. Sin dalle premesse il testo ci va giù duro, arrivando addirittura a prevedere “un 55% di possibilità che il referendum fallisca”.

Da qui tutta una serie di conseguenze. “Nel breve termine”, scrivono gli analisti dell’istituto transalpino, “l’Italia entrerebbe in una nuova fase di instabilità e di assenza di azione politica dopo le dimissioni di Renzi”. Nel medio termine, in ogni caso, “formare un governo e varare una qualsiasi riforma controversa sarebbe rischioso”.
In particolare, prosegue il report sempre nelle sue premesse, “anche se il Movimento 5 stelle vincesse le elezioni nel 2018, dovrebbe effettuare una completa inversione di marcia e formare alleanze in Senato”. 
E questo “non soltanto esacerberebbe dissensi all’interno dello stesso Movimento, ma limiterebbe la sua capacità di governo e incrementerebbe i rischi di nuove elezioni”. Dopodiché, tutte queste posizioni nel resto del report vengono approfondite, con tanto di tabelle. Ma il senso ultimo dell’analisi non cambia".

5. Il "senso ultimo" di tutto questo è che, comunque la si voglia mettere, il "piano" deve andare avanti e si prepara l'arrivo di una trojka, formalmente in nome dell'€uropa. Forse: dipende da quanto tra qualche mese andrà il "brand" (come direbbe Lapo).  

Per chi fosse interessato (e motivato), ci vediamo a Chianciano!

L'INCIVILTA' (AL POTERE) DI "CERTI POLITICI ESTERI" E LA MANCANZA DI RISPETTO VERSO SE STESSI (il punto sulla sovranità negletta)

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Questo post di Arturo è bellissimo e particolarmente tempestivo. 
Bellissimo lo è perché fa magistralmente il punto su una serie di fondamentali questioni (la sovranità, il "vincolo esterno", le condizioni giuridiche di principio, proprie delle Nazioni Civili, nonché di legalità costituzionale, che consentirebbero di arrestarne la geometrica potenza distruttiva di benessere e democrazia nel nostro paese); e tali questioni costituiscono uno dei filoni fondamentali affrontati su questo blog, ormai, nel corso di anni. 
Il post risponde perfettamente alla conseguente necessità di riordinare e riassumere le idee esposte per i "non giuristi", ormai divenuti "colti"nel senso più sano della parola, in quanto si sono formati su queste pagine; con grande orgoglio da parte mia per aver visto i frutti tangibili di questa crescita, nelle risposte fornite da commentatori e frequentatori del blog.

Tempestivo lo è per una ragione molto attuale e non paradossale; gli "eventi che precipitano", secondo la traiettoria che si era pre-tracciata in post che risalgono ai primi passi di questo blog, si stanno sviluppando per linee esterne, cioè sul piano internazionale, e "autoctone", cioè della politica interna (che vanno confrontate con quanto detto nella prima parte del mio intervento a Chianciano, che spero sia presto disponibile in rete). 
A una prima impressione, personalmente, devo resistere alla tentazione di cadere nel più profondo sconforto. Una condizione psicologica che porterebbe, nella sua logica "emotiva", a seri ripensamente sulla stessa utilità di proseguire l'esperienza del blog.
Ma questo sconforto non ce lo possiamo permettere: la linea di giustizia nel diritto che si è tentato qui di sostenere, impone di lasciare che i "semi" della legittimità costituzionale democratica siano ancora da preservare, nella speranza che un giorno possano comunque germogliare ("a futura memoria", come ho detto più volte). 
Perciò, continuare a rendere testimonianza di questa legittimità democratica, mentre si cercherà di "realizzare" razionalmente la portata degli eventi che si stanno dipanando in questi giorni tormentati, rimane sempre un compito che la coerenza con lo Spirito dell'Uomo rende degno di perseguire.

Per capire il fondamentale ruolo che la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha svolto e svolge nel processo di integrazione comunitaria, e quindi poter apprezzare la reazione della Corte Costituzionale italiana di fronte ad esso, bisogna necessariamente fare un po’ di passi indietro sia teorici che storici.

1.  Per prima cosa bisogna tornare sulla definizione giuridica di sovranità: i termini della questione sono stati cristallinamente chiariti in questo importante post sul Brexitche vi consiglio di (ri)leggere.

In termini generalissimi, la sovranità degli Stati ha quindi due aspetti: uno esterno, consistente nell’indipendenza, nel senso di originarietà dell’ordinamento statale; e uno interno, nel senso di supremazia rispetto alle realtà sociali e politiche interne.

2. I federalisti tuonano spesso contro “la sovranità assoluta” degli Stati la cui “malefica virtù” ha spinto “qualche cultore di diritto pubblico a compiere una costruzione elegante” («Corriere della Sera», 28 dicembre 1918; lettera a firma Junius, cioè il solito Einaudi).

Ci sentiamo di tranquillizzarli: la realtà della sovranità esternaè esattamente all’opposto di come la immaginano loro: la sovranità, lungi dall’essere incompatibile con il diritto internazionale, è anzi un concetto -  e, se si vuole, un “istituto” -  suo proprio. In primo luogo, la sovranità è riconosciuta (o denegata) precisamente da norme internazionali. In secondo luogo, la sovranità è il presupposto per l‘applicabilità di (altre) norme internazionali.
La sovranità, insomma, è non la negazione di ogni obbligo internazionale, ma al contrario il suo necessario presupposto: solo gli stati sovrani sono soggetti ad obblighi internazionali.” (R. Guastini, Lezioni di teoria del diritto e dello Stato, Giappichelli, Torino, 2006, pag. 214).

O anche, come ha detto, a me pare lucidamente, Natalino Irti (Norma e luoghi, Laterza, Roma-Bari, 2001, pag. 96): La sovranità degli Stati e le decisioni politiche sono tramiti necessari di qualsivoglia assetto internazionale. Il vago e umanitario cosmopolitismo, che nega sovranità e indipendenza degli Stati, non giova né alla cooperazione né alle pacifiche intese. Esso distrugge il reale e storico fondamento dei suoi stessi disegni. Non senza gli Stati, ma solo attraverso gli Stati, e dunque con la mediazione del volere politico, sono perseguibili gli obbiettivi di carattere internazionale.”

2.1. Il vero bersaglio di Einaudi è ovviamente un altro: “Se i parlamenti si sono rapidamente trasformati in camere di registrazione, quella trasformazione, già iniziatasi del resto prima della guerra, fu imposta dalla necessità. Quando le materie soggette a discussione ed a deliberazione hanno carattere internazionale, non possono essere discusse e decise da parlamenti municipali. Sopra agli stati, divenuti piccoli, quasi grandi municipi, ed ai loro organi deliberanti, debbono formarsi, si sono già costituiti idealmente stati più ampi, organi di governo diversi da quelli normali.

Insomma, il bersaglio della retorica del grande pennello è una certa conformazione della sovranità interna, già troppo democratica se lasciata ai Parlamenti.

Ovvio che Einaudi non si disturbi a criticare ciò che nemmeno può concepire (nel 1918, poi, figuriamoci), cioè quella specifica conformazione della sovranità interna che è la sovranità democratico-costituzionalevolta a realizzare i diritti fondamentali (sociali in primis), ma il significato antidemocratico delle sue argomentazioni è comunque chiaro.

3. Antidemocratico perché?

Come giustamente s’è osservato:
la compressione della sovranità non dipende solo dall'esistenza in sé di un potere generalizzato di interferenza con le prerogative di un certo Stato (cioè un'interferenza che può andare al di là dei settori di competenza UE elencati nei trattati, come lamenta il regno Unito col riferimento alla "Carta dei diritti", incorporata in un certo modo nel diritto europeo), ma dipende, anche e soprattutto, dal tipo e dal contenuto delle norme sovranazionali che si impongono in virtù della (supposta) prevalenza del diritto europeo.”

D’altra parte, come analizzava lucidamente in un articolo di qualche anno fa(altro consiglio di (ri)lettura) Giancarlo Montedoro: I fondamentali orientamenti normativi - eguaglianza, relazioni sociali governate da regole legali, libertà generali, rispetto per i diritti umani - anche se spesso non pienamente praticati, restano legati allo stato-nazione.
Paradossalmente, lo stato-nazione funziona anche come barriera sostanziale, nella misura in cui tali orientamenti restano mere finzioni al di fuori dei confini dello stato-nazione.
I diritti umani trovano infatti sostanza solo in quanto codificati come diritti civili entro uno stato-nazione, mentre le relazioni internazionali restano affidate alla dipendenza (coloniale), alla violenza e alla guerra.”

Penso che il ragionamento, già ripetutamente svolto, sia chiaro: la radicale diversità sociologica, e quindi politica, fra rapporti internazionali e rapporti interni allo Stato-nazione rende, almeno per il momento, la preservazioni della sovranità statale esterna requisito non sufficiente ma sicuramente necessario a una conformazione di quella interna ai principi-fini di democrazia sostanziale previsti dalla Costituzione, vale a dire, ripetiamolo ancora una volta, - visto che pare che fuori di qui nessuno ne capisca o ne ricordi il significato-, l’attuazione generalizzata dei diritti fondamentali e in primis quello al lavoro, così da renderne l’esercizio concretamente uguale per tutti realizzando l’uguaglianza sostanziale:  
"Il secondo comma dell’art. 3 fa appunto riferimento a limiti di fatto che, nei confronti di un gran numero di soggetti, impediscono la attuazione piena del principio di uguaglianza, e che devono essere eliminati mercè interventi di indole pubblicistica diretti a consentire a ciascuno la partecipazione, in condizioni di parità, a tutte le attività sociali.
Pertanto, se si coordina l’art. 1 con la disposizione citata per ultimo, appare confermata l’opinione che vede nel valore lavoro l’elemento fondamentale dell’ideologia politica informatrice dell’intero assetto statale, e perciò costitutivo del tipo di regime.” (C. Mortati, Il lavoro nella Costituzione, Il diritto del lavoro, 1954, I, pp. 149-212 ora in Scritti, vol. III, Giuffrè, Milano, 1972, pag. 235).
 Ma sarà proprio così drammatica questa differenza fra società nazionale e internazionale? 

Non bastasse quanto già riportato, sentiamo anche un economista (il solito, ma non è mai troppo, Caffè: Cooperazione economica o vassallaggio?, “Il Messaggero”, 7 novembre 1977 ora in Contro gli incappucciati della finanza, a cura di G. Amari, Lit Edizioni, Roma, 2013, s.p):  
È bene premettere, a scanso di equivoci, che una cooperazione economica come quella che si manifesta nel «Comecon», l’associazione tra i Paesi dell’Est europeo e l’Unione Sovietica, non può incontrare l’approvazione di chi ritenga che la cooperazione costituisca qualcosa che vale soltanto se implichi fondamentale uguaglianza tra le parti e non rapporti di sudditanza. Del resto, l’esplicita insofferenza che è stata manifestata in varie occasioni da alcuni membri del «Comecon» sta a indicare che i rapporti di sudditanza possono essere subìti, ma non graditi.
Ciò detto, sarebbe soltanto un voler autoilludersi se si pensasse che le forme di collaborazione esistenti tra i Paesi a economia più o meno di mercato non comportino rapporti di dominazione, assoggettamento a posizioni egemoniche, tendenze involutive miranti a trasformare una ideale cooperazione tra uguali in un concreto assoggettamento a regole imposte, talvolta con pesante brutalità, da un ristretto direttorio di potenti.
[…]
Malgrado ciò, una economia di mercato in vario modo imputridita può essere considerata preferibile a una pianificazione centrale burocratizzata. Ma si tratta, allora, della scelta di un male minore, che non giustifica in alcun modo una idealizzazione mistificatoria della «economia di mercato», come se ciò che essa è nella realtà coincidesse con le astrazioni dei libri di testo. Né la scelta di un simile sistema, qualora sia posta come una «scelta di civiltà», significa necessariamente l’accettazione della inciviltà di personaggi politici esteri che, ospiti del nostro Paese, distribuiscono elogi e rimproveri, invitano a filar dritto se si desiderano investimenti di capitalisti stranieri e, in un momento in cui era in discussione la possibilità di un qualificato rilancio economico nel nostro Paese, intervengono con pesante rudezza per dire che questo rilancio non si ha da fare. Questo, in tema di ricordi, può rievocare la «cupidigia del servilismo», non alimentare uno spirito di cooperazione.
In sostanza, sia il «mercato», sia la «cooperazione internazionale» non sono cose la cui connaturale bontà debba darsi per scontata. La loro validità va verificata nell’esperienza quotidiana e dando peso adeguato alle vicende storiche.
Valutate voi se, da ultime, le vicende grechee italiane confermano o meno le considerazioni di Caffè e Montedoro.

3.1. E non è davvero che i trattati di libero scambio meritino una considerazione più benevola, anzi! A conforto di quel che è già stato spiegato più volte, vi riporto questo giudizio, ancora lui, di Caffè (E’ consentito parlare di protezionismo economico? “L’astrolabio”, XV, n. 12 (28 giugno 1977) ora in La solitudine del riformista, Bollati Boringhieri, Torino, 1990, pag. 238 e ss.):

Non si riesce a comprendere perché lo stesso senso di pudore e di autocontrollo non debba essere avvertito da coloro che evocano la «follia autarchica», di fronte a ogni modesta proposta ispirata al fatto che, da che mondo è mondo, le politiche commerciali sono state informate a un dosaggio, non sempre raffinato ma reale, tra protezionismo e liberismo. La mancanza di rispetto verso se stessi, più che verso gli altri, da parte di coloro che con tanta stravaganza stabiliscono l’identità tra protezionismo e autarchia è rafforzata dal fatto che essi, di certo, non ignorano in quanti modi subdoli il protezionismo sia praticato proprio dai paesi che occupano posizioni di egemonia sul piano mondiale.”

Vi riporto anche una fonte poco frequentata, le “lucide considerazioni” (così secondo Caffè) formulate “a caldo”, quindi senza senno di poi, da Marco Fanno (Note in margine al trattato del Mercato Comune Europeo, apparso in II Mercato Comune(Problemi attuali di Scienza e di Cultura, Quaderno n° 44), Roma, 1958 ora in L’Europa e gli economisti italiani, a cura di Gabriella Gioli, Franco Angeli, Milano, 1997, pag. 187):

Riassumendo queste indagini preliminari possiamo quindi concludere che la creazione del Mercato Comune:
1) è bensì destinata a modificare la distribuzione delle varie produzioni tra i paesi partecipanti nel senso di una maggiore spe­cializzazione e a modificare l’ampiezza delle zone di smercio delle loro industrie, ma tutto questo in misura minore di quella della soluzione ottima, che si compendia nello slogan di un Mer­cato Comune di 160 milioni di consumatori; e precisamente in misura tanto minore quanto minore è il grado di complementa­rietà delle economie dei paesi partecipanti;
2) che essa è pertanto destinata a recare alla Comunità global­mente considerata benefici minori di quelli della soluzione ottima, e anche questi tanto minori quanto minore è cotesto grado di complementarietà;
3) che perché essa risulti in definitiva vantaggiosa a tutti i paesi partecipanti è necessario, qualora alcuni di questi sieno prevalen­temente industriali ed altri prevalentemente agricoli, che la redi­stribuzione intemazionale delle produzioni da essa promossa si fermi al di qua del limite al quale i paesi meno industrializzati comincerebbero a deindustrializzarsi.”
Insomma, qualsiasi “apertura” al diritto internazionale, e il diritto comunitario è e resta diritto internazionale (affermazione che mi riservo di argomentare più avanti), dev’essere considerata con estrema cautela e ne dovrebbe essere puntualmente verificata la compatibilità con i compiti di attuazione dei diritti fondamentali che lo Stato è costituzionalmente obbligato a perseguire.

4. Si può intuire che lo Stato ha potuto svolgere quella funzione di “barriera sostanziale”, come la chiama Montedoro, perché è esistita, e ancora esiste, una soluzione di continuità giuridica fra diritto internazionale e diritto statale. E’ proprio questa barriera che il diritto comunitario pretende di aver superato.

Si parla a questo proposito di superamento del dualismodel diritto internazionale.

Occorre fare molta attenzione perché di dualismo si può parlare in due sensi: dal punto di vista del diritto internazionale; dal punto di vista del diritto costituzionale.

4.1. Il diritto internazionale è dualista nel senso che le norme interne sono prive di rilevanza per il diritto internazionale: esse sono, dal punto di vista del diritto internazionale, meri “fatti”. La sola conseguenza, che il diritto internazionale prevede per il caso della emanazione o promulgazione di norme interne incompatibili, è la responsabilità internazionale dello Stato interessato: non mai l’abrogazione o l’invalidità delle norme in questione.” (Guastini, op. cit., pag. 202).

Quando lo stesso fenomeno è osservato dall’interno degli Stati si parla di“impenetrabilità” dell’ordinamento Stataleda parte dell’ordinamento internazionale (e di qualsiasi altro ordinamento).
Lo spiega con la consueta chiarezza Crisafulli: “Ma siffatta soggezione alle norme[del diritto internazionale]non menoma l’indipendenza degli Stati, quanto al rispettivo ordinamento interno, giacché i limiti che essi incontrano nell’ordinamento internazionale non producono effetti all’interno se non per libera determinazione degli Stati medesimi. È ben vero quanto osserva il Kelsen, che, cioè, nell’ordinamento internazionale, “uno Stato può esser vincolato contro la propria volontà”; ma è anche vero che, nel diritto interno, tutto dipenderà poi dalle scelte politiche operate dall’autorità statale, vale a dire – salvo che sia diversamente disposto dal diritto statale – atti contrastanti con gli obblighi internazionali saranno egualmente validi, oltre che efficaci, sebbene, dal punto di vista del diritto internazionale, possano integrare un “comportamento illecito” dello Stato”. (V. Crisafulli, Lezioni di diritto costituzionale, I, CEDAM, Padova, 1970, pag. 66).

4.2. Credo a questo punto si intuisca anche che cos’è il dualismo, oppure il monismo, in diritto costituzionale: è appunto il contenuto di quella “libera determinazione degli Stati medesimi” circa l’efficacia interna delle norme internazionali, fissato nelle rispettive Costituzioni.

Ovvero (Guastini, op. cit., pagg. 198 e ss.): È “dualistica” ogni costituzione per la quale: (a) solo il diritto interno è applicabile, mentre (b) le norme internazionali -  consuetudinarie e convenzionali -  non sono applicabili se non quando siano state recepite mediante atti normativi interni.

È “monistica” ogni costituzione per la quale le norme internazionali -  tutte: consuetudinarie e convenzionali -  sono direttamente applicabili, al pari del diritto interno.”

Sono “miste” quelle costituzioni che combinano una norma monistica per ciò che concerne il diritto internazionale generale consuetudinario con una norma dualistica per ciò che concerne il diritto internazionale convenzionale, o viceversa (ma il primo caso è assai più frequente).”

Chiariamo con riferimento alla nostra Costituzione: leconsuetudini internazionaliobbligano lo Stato nell’ordinamento internazionale che egli lo voglia oppure no, ma sono immediatamente efficaci nell’ordinamento italiano solo in forza del rinvio contenuto nell’art. 10 della Costituzione, da un lato (e quindi rispetto alle consuetudini internazionali la nostra Costituzione è monista); ma nei limiti contenutistici della loro compatibilità con i fini supremidell’ordinamento italiano, stabiliti dalla stessa Costituzione, dall’altro. La sentenza n. 238 del 23 ottobre 2014 di cui si è più volte parlato riguardava proprio l’art. 10 (anche, se significativamente, estendeva apertamente il principio così riaffermato anche nei riguardi del diritto europeo che, pure, non era direttamente coinvolto nel caso risolto dalla Corte).

E’ quindi prima di tutto la Costituzione di ogni paese il filtro attraverso cui passa (o non passa) l’efficacia interna delle norme internazionali. (Chiaramente anche altre fonti, come la legge, possono introdurre negli ordinamenti statali norme internazionali…nel rispetto delle Costituzioni, e, dunque, in concreto, sempre sul presupposto del rispetto delle "competenze" delle varie fonti normative, a disciplinare certi contenuti e materie, stabilite dal sistema costituzionale delle "fonti" stesse).

La Corte di Giustizia dell’Unione Europea sostiene che, nei rapporti col diritto comunitario, questo filtro per i paesi membri dell’Unione non esiste e quindi qualsiasi norma comunitaria suscettibile di essere efficace sulla base delle regole comunitarie, sia pure nei limiti delle competenze formali e materiali dei Trattati - il cui rispetto sarà però sempre e solo la stessa Corte Europea a valutare-, lo sarà ipso facto anche all’interno degli ordinamenti statali e dovrà essere applicata dai giudici interni a preferenza di qualsiasi norma statale, anche di livello costituzionale, con essa contrastante: è questo il modo in cui opera tecnicamente quello che Lordon chiama “diritto internazionale privatizzato” in Europa (qui p. 8), e che del tutto logicamente viene indicato come modello globale da quegli autori che auspicano un’attuazione del diritto internazionale in grado di garantire “diritti di pace, sicurezza e vantaggi economici direttamente agli individui” (pag. 1697). Insomma, il fogno.


Come e perché la Corte abbia avanzato queste straordinarie affermazioni, quale ne sia la plausibilità e la reazione degli Stati di fronte ad esse sarà oggetto delle prossime puntate.

IL TRILEMMA DE "L'EURO NON E' IL PROBLEMA MA L'AUSTERITA'." E IL DIFFERENZIALE MEDIATICO

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1. Per chi dice che l'euro non è il problema ma che lo sono (solo) l'austerità e il fiscal compact.


Inutile precisare che chi, a questo punto, non è in grado di comprendere il senso dei grafici che vedremo più sotto non dovrebbe più intervenire a cuor leggero nel dibattito mediatico e, ancor più, politico.
Questo perché, sull'euro-che-non-è-il-problema-senza-austerità-brutta, basta vedere i dati più significativi,  e confermativi delle dinamiche INEVITABILI illustrate dal rapporto Werner - e che Carli, dico Carli, ben comprendeva

2. Questi dati illustrano come funziona(va) l'Unione monetaria con il mero "valore di riferimento" del disavanzo pubblico al 3% e in assenza di una disoccupazione strutturale indotta in via fiscale, che debba attestarsi a livelli, (come tali irreversibili), tali da consentire un'intensa svalutazione interna. 
Cioè indicano quali sono gli inevitabili problemi di a/simmetrie che discendono da una disciplina della moneta unica che, in assenza dei vietatissimi (dai trattati) trasferimenti federali, non si doti di criteri automatici di correzione improntati alla logica del gold standard (tanti euro-oro escono, tanti vanno recuperati e, se non lo si è fatto, occorre che il pareggio di bilancio fiscale dreni liquidità in modo da non consentire l'accumulo ulteriore di debito commerciale con l'estero via spesa privata, limitando le importazioni e sperando, in un secondo tempo, che la conseguente deflazione porti a una miglior competitività di prezzo relativo, ottenuta riducendo il costo del lavoro).
E, naturalmente, tutto ciò vale in presenza del dato istituzionale, fondamentale: una banca centrale indipendente "pura" che non solo non può svolgere funzioni di tesoreria, e quindi rifornire di liquidità l'economia reale - cioè l'ente politico generale "Stato"- in funzione anticiclica, ma a cui è vietato anche di svolgere politiche monetarie differenziate per aree che presentano diversi saldi dei conti esteri con il resto dell'UE (e del mondo).

3. E dunque.
Questo è stato il saldo della BdP col tetto del 3% e in assenza di incentivazione (per via legislativa di"riforme strutturali") alla disoccupazione, in funzione svalutativa e correttiva degli squilibri commerciali:

http://3.bp.blogspot.com/-3IjKT4o45ls/VnQ8LNckjkI/AAAAAAAABFc/Hf92pqJYV6k/s1600/italia%2BCA%2B%2525%2Bpil%2B1990-2013%2Bpiccola.jpg

Una situazione che ha anche questa implicazione sugli "enormi vantaggi" in termini di reciproca apertura delle economie nell'eurozona.
3.1. Questo è il correlato andamento della disoccupazione e dell'inflazione, prima e dopo lo shock esterno del 2008, a seguito delle inevitabili politichecorrettive imposte dalla semplice, e insufficiente, adozione del tetto del 3%, (dunque) in assenza della imposizione normativa (internazionalistica) delle riforme strutturali e fiscali di accelerazione deflattiva e, quindi, delle loro conseguenze sociali (cioè quello che è il "Fogno" della pace, da vendere agli italiani, ancora oggi, come cosa bella e irreversibile). 
E' evidente che, vigente il tetto al 3%, sia stato un errore imperdonabile (cioè "avete vissuto al di sopra delle vostre possibilità" e quindi "FATE PRESTO"), non forzare il livello della disoccupazione - e quindi della deflazione- verso il bench mark medio dell'eurozona. Poi abbiamo provveduto ma solo perché era condizione priva di alternative per mantenere l'euro-che-non-è-il-problema.

http://www.programmazioneeconomica.gov.it/wp-content/uploads/2015/06/42.png

http://www.programmazioneeconomica.gov.it/wp-content/uploads/2015/05/3.11.png

4. Ma...un momento: tutte queste cose le avete sentite fino allo sfinimento. Vi, e mi, chiederete: che ce le dici a fare?
In realtà, assunta una "realtà parallela" composta da una comunità di persone "informate sui fatti", e non sul "sogno", avreste completamente ragione.
Ma il punto è che tale comunità non è massa critica. Potremmo discutere a lungo di quello che ciò significhi in termini scientifico-sociali; ma tale assunto rimane veritiero.
Il riscontro è facilmente acquisibile: i media italiani stanno addirittura intensificando la campagna di censura (della) e di narrazione del tutto opposta alla realtà macroeconomica; che èinvece sempre più evidente sul piano scientifico internazionale (ma anche nell'immediato post-shock del 2011 la letteratura economica non "scherzava"nell'evidenziare i problemi delle a/simmetrie sistemiche dell'eurozona, richiamando, a sua volta, illustri precedenti di "avvertimento" che le cose sarebbero andate così come sono andate: non ci sarebbe stato alcun dividendo o "enorme vantaggio" della moneta unica). 

5. Potreste, altrettanto brillantemente, replicarmi: ma si sa che il problema dell'euro è sempre stato "politico" (e ce lo hai tante volte evidenziato). 
Sì, infatti: perché nessuno si è messo a parlare (alle "genti", alle "masse", oggettivamente umiliate e disprezzate), del problema del "moltiplicatore fiscale", - neppure in "pareggio di bilancio"-, come di un fattore con cui fare i conti quando si svolgono politiche correttive degli squilibri esterni in ottica gold-standard, nonché della conseguente impossibilità di politiche fiscali espansive, dentro la moneta unica, che non tengano conto del balance of payment constraint.

Ma dire che il problema non è l'euro bensì l'austerità, vecchio cavallo di battaglia, misura la distanza tra la realtà dei dati economici e delle loro correlazioni e quella dell'orchestrazione mediatica, (o grancassa),  relativa alla narrazione delle cause della interminabile crisi italiana. Nel secondo frame, questa posizione potrebbe persino passare per coraggiosa.

6. Solo che non lo è: essa implica la premessa che sia scontato un trilemma. Non quello stranoto, e ormai abusato, di Rodrik. Piuttosto quello che, avevamo segnalato, di Bibow, o qualcosa che gli assomigli in termini più ampiamente sistemici (di neo-macroeconomia classica, in gran parte neo-keynesiana, laddove convenga così qualificarla in termini...di comunicazione sedativa della destabilizzazione sociale). 
Il trilemma di Bibow riguarda la Germania e la impraticabilità di avere simultaneamente, all'interno della moneta unica, un surplus enorme della partite correnti, il divieto nei trattati dei trasferimenti e una banca centrale indipendente "pura": ma non avrebbe senso fermarsi al punto di vista tedesco, una volta che si affermi che "il problema non è l'euro ma l'austerità".
Questa è una fortissima scelta politica che, appunto, presuppone, la precisazione del trilemma in termini più generali: siccome il mantenimento dell'euro implica la correzione via svalutazione interna da parte dei paesi debitori "commerciali" (essenzialmente verso la Germania), non si possono avere contemporaneamente l'euro stesso, una disoccupazione inferiore a quella strutturale ritenuta "competitiva" dalle formule del fiscal compact e una politica fiscale espansiva.
Ovvero: non si possono avere contemporaneamente l'euro, politiche fiscali espansive in misura tale da ridurre la disoccupazione verso l'equilibrio keynesiano(che esclude la logica della domanda interna piegata all'equilibrio esterno in condizioni di assenza di flessibilità del cambio), e una banca centrale indipendente unica e vincolata a politiche monetarie che escludono trattamenti differenziati tra Stati aderenti all'UEM e vietano le funzioni di tesoreria, cioè di rifornimento di liquidità all'economia reale.

7. L'euro non è un problema solo se si accetta dunque che sia irreversibile il mercato del lavoro-merce, cioè la totalitaria (e apparentemente multiforme, dal punto di vista contrattuale e "offertista") precarizzazione e flessibilizzazione del lavoro, con conseguente stabilizzazione della riduzione dei salari reali e di sacrificio della domanda interna a favore della competitività esterna.  
L'euro non è un problema, in altri termini, se accetto la istituzionalizzazione della disoccupazione strutturale (al momento, per l'Italia, in un target di "piena occupazione" neo-liberista del 10,5%), la riduzione permanente della domanda interna rispetto al pieno impiego dei fattori (ovvero un grado di deindustrializzazione inevitabilmente crescente, come ben evidenziava Nuti sopra citato), e politiche espansive nei limiti, ristrettissimi, di quanto mi consente, transitoriamente, l'utilizzo dei margini di surplus delle partite correnti realizzato pro-tempore

Ma un surplus destinato a scomparire non appena avrò forzato, attraverso politiche fiscali di moderato aumento del deficit, - divergenti dal fiscal compact, beninteso-, le maglie dell'equilibrio esterno possibile in situazione di fissità dei cambi.
Intanto, all'interno di questo paradigma, non avrò necessariamente potuto realizzare unsufficiente ciclo di crescita tale da correggere il simultaneo problema della insolvenza di famiglie, soggette a indebitamenti che non possono più restituire a causa di disoccupazione diffusa e perdita di salario reale, e imprese, che non possono più contare, e in misura divenuta strutturale (come la disoccupazione e la deflazione salariale), su una crescita affidabile e consistente della domanda interna. 

8. Perché l'euro non è "solo" l'euro e(cioè "più") il fiscal compact, che abbiamo visto non essere separabili all'interno del paradigma economico che sostiene l'euro. E questo fin dal rapporto Werner e da Einaudi e...Hayek-Roepke: e non si comprende perché non si sappia affrontare questa minima operazione di ricostruzione storico-economica, così agevole e utile da compiere.
L'euro è anche l'Unione bancaria. E intanto che si discute, (candidamente?) della pleonastica "stupidità" del fiscal compact, la realtà normativa dell'Unione bancaria continua ad agire.

Il problema non sarebbe dunque l'euro solo se fingessimo, in base a una magica e "irenica" concezione del mondo senza capitalismo oligopolistico nazionale,che non esistono più i rispettivisaldi delle partite correnti di ciascun Stato aderente e che, più sistemicamente, i saldi settoriali non siano più rilevati su base nazionale
Ma la Germania, e per la verità l'elite italiana che invoca oggi, con ancor più convinzione, il "vincolo esterno", non hanno alcuna intenzione di ricorrere, nella linea politica implacabile che impongono alle politiche €uropee e nazionali, al "pensiero magico".

Quest'ultimo, il "pensiero magico", così come la serena visione irenica dell'euro, appartengono solo alla propaganda politica. Oligarchica (o delle elites, visto che oggi va di moda chiamarle così).
Ma sempre di propaganda si tratta.

COMUNICAZIONE DI...CENSURA KAFKIANA

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http://www.ukizero.com/wp-content/uploads/2014/03/Franz-Kafka-Il-Processo.jpg

Sono soggetto a censura su twitter: non solo non posso inserire links al blog, ma chiunque lo faccia viene bloccato. 
E i c.d. followers non ricevono più le notifiche dei miei tw e di chiunque retwitti orizzonte48.
Il tweet che contenga un link al blog orizzonte48, da alcuni giorni, è considerato da Twitter in questi termini:
"Questa richiesta sembra essere automatica. Per proteggere i nostri utenti da spam e altre attività malevole, al momento non possiamo completare questa azione. Per favore, riprova più tardi".
Dato che queste circostanze fanno pensare a una manovra articolata e studiata, in puro stile kafkiano di impenetrabile censura (ho esperito invano, più volte, le procedure "automatiche" di segnalazione del problema ai servizi account di Twitter), vi chiedo cortesemente di segnalare se la visione del blog e la possibilità di inserire commenti siano, negli ultimi giorni, "insolitamente" ostacolate per qualsiasi "impedimento" on web.
Grazie per la cooperazione.

E, se potete, per chi non l'avesse fatto, createvi un account su twitter e retwittate i links ai post e ai commenti più importanti: avranno difficoltà a "sterminare" molti utenti
Ovviamente, questa strategia implica un buon numero di aderenti: mentre invece siamo quattro gatti e pure non particolarmente motivati a lottare.
Spero di essere smentito, peraltro...

LA COSTITUZIONE DEMOCRATICA-KEYNESIANA E L'INCUBO (NAZIONALE) DEL CONTABILE

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http://www.bibliotecapersicetana.it/files/asocc/02.jpg

Alberto non me ne vorrà. E d'altra parte voi ormai conoscete le difficoltà che incontra orizzonte48 nella diffusione delle sue analisi (macroeconomiche del diritto pubblico, compreso quello internazionale).
Ma questa sua sintesi è troppo nitida ed esatta per non farne una "ripercussione" anche in questa sede: riassume infatti sia il senso di anni di goofynomics-work-in-progress che l'essenza fenomenologica di ciò che si sta cercando di far capire in questa sede. 
Grazie Alberto della tua solidarietà: che va ben oltre a quella manifestata su un social che shadow-banna selettivamente.


Ma ora lascio la parola a Alberto (ho solo aggiunto un po' di "inevitabile" neretto e un link che ritengo importante ad autorevole conferma del tuo pensiero): una "parola" chirurgica, essenziale; fenomenologia pura della parodia dell'incubo del contabile, che ci aspetta a coltivare l'illusione che ci possano essere libertà e sovranità senza la Costituzione democratica e keynesiana del 1948 (spero che cogliate l'occasione per rileggere il post appena linkato):

"Sono un liberale?

(...qui l'originale. Segue traduzione...)

L'idea che per non farci mandare la troika usciamo dall'Eurozona e facciamo l'Italia federale, così poi mandiamo la troika in Calabria se questa non rispetta il pareggio di bilancio pubblico, può essere estremamente attraente per i gonzi, può costituire una sintesi politica di un discreto valore tattico per mettere temporaneamente a tacere i riottosi camuni o gli industriosi insubri, ma non sposta minimamente i termini del problema, che sono questi: oggi, solo un rigoroso keynesismo, come quello iscritto nella nostra carta costituzionale del 1948, può garantire la nostra libertà, e la vera libertà, prima ancora che quella di espressione (per la quale vedete cosa sta succedendo su Twitter, lo strumento delle varie primavere arabe e rivoluzioni colorate...), è quella dal bisogno (qui, p.6.4), come imparai da Lello, ex macchinista comunista che conobbi, quando avevo l'età di mio figlio, al Dopolavoro Ferroviario di ponte Margherita, lì dove conobbi anche Spartaco, Giuliano, persone alle quali fu possibile morire con dignità, perché avevano acquistato, lottando, il diritto di vivere con dignità."



(EU)GENETICA: UNA F€DE PER RIPLASMAR€ L'UOMO (PERCHE' ESSI VIVONO-2)

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1. Questo è un post di "recupero" dell'interessante materiale fornito da Stopmonetaunica nei commenti al post precedente.
Ma per inquadrarne l'attualità occorre una premessa: la cinghia di trasmissione delle idee totalitarie, nel senso qui precisato (cioè non solo concettualmente, ma attivamente e istituzionalmente instauratore della "vera natura" dell'uomo),è la propensione di chi stia in cima alla gerarchia strutturale della società ad investire una parte, tutto sommato modesta, delle risorse accumulate,al fine di rendere accettabili e prevalenti tali idee presso la maggioranza degli esseri umani assoggettati(il "paradosso €uropeo"è un mero corollario localizzato e specializzato in una certa area economico-culturale, di tale principio di controllo sociale).  
Questa direzione dell'investimento che potremmo definire "cultural-conservativo"ha a che vedere con l'idea, connaturata ad un certo grado di involuzione del consorzio umano, della cristallizzazione (scientificizzata o magico-religiosa) dei rapporti di forza economici comunque instauratisi in un certa fase storica.

"Chiunque può nutrire pensieri malvagi, orribili e disgustosi. Ma questi restano dei semplici fantasmi a meno che trovino un mezzo di manifestarsi in concreto nel mondo che ci circonda. Così, per comprendere come l'ideologia che anima lo Stato islamico sia riuscita a raccogliere le risorse materiali necessarie per conquistare un territorio più vasto del Regno Unito, dobbiamo indagare più da vicino il suo contesto materiale".
Nella presente situazione, il maglio del controllo sociale basato su queste idee, già più volte evidenziate, colpisce secondo una logica sempre più evidente e apertamente dichiarata:





3. In sintesi, esiste un continuo flusso di idee deragliate dalla razionalità umana, che limiterebbe le ragioni di conflitto tra individui della stessa specie all'indispensabile e si servirebbe, normalmente, di elementi rituali abbastanza riconoscibili, capaci di stabilizzare la convivenza umana: e questo, affinché l'esistenza di ciascuno possa essere dedicata ad attività che veramente gli danno un senso, piuttosto che al doversi difendere dalla costante aggressione di altri esseri umani (divenuti in pratica dei sociopatici), agenti per finalità miopemente egoistiche. 
Queste idee deragliate si diffondono per grandi filoni, capaci di plasmare il "senso comune", e si arricchiscono di corollari che sottendono tutti uno stesso messaggio: esistono individui "dominanti" cui spetta il governo, possibilmente mondiale, del consorzio umano e una moltitudine di soggetti unfit e recessivi, che non solo non possono sindacare la manifesta illogicità di queste idee, ma che vengono indotti a condividerle...o a essere "terminati" in quanto superflui. 
4. Svolta questa premessa, lascio la parola all'interessante report svolto da Stopmonetaunica:
"Dall'eugenetica non solo nacque il settore della genetica, largamente finanziato dagli stessi interessi danarosi alla ricerca del controllo sociale, ma fu così anche per il settore del controllo della popolazione. 
Nella letteratura ambientale e nella retorica, un concetto che gioca una parte significativa, emerso nel corso degli anni, è quello del controllo della popolazione
La popolazione è vista come un problema ambientale, in quanto maggiore è la popolazione, più risorse essa consuma e maggiori terre occupa. All'interno di questo concetto, più persone ci sono e peggio diventa per l'ambiente. Così, i programmi volti a controllare la crescita della popolazione sono spesso concepiti sotto la lente ambientalista. Vi è in questo settore anche un elemento decisamente radicale, che vede la crescita della popolazione non semplicemente come una preoccupazione ambientale, ma che invece inquadra la gente, in generale, come un virus che deve essere eliminato se la Terra vuole sopravvivere.
 
4.1. Tuttavia, visto dall'elite, il controllo della popolazione riguarda più il controllo del popolo piuttosto che la salvezza dell'ambiente. Le elite sono sempre state attratte dagli studi sulla popolazione che hanno aiutato a costruire, in molti settori, la loro visione del mondo. 
Le preoccupazioni sulla crescita della popolazione furono realmente prese in considerazione con Thomas Malthus alla fine del XVIII secolo. 
Nel 1798, Malthus scrisse una "teoria sulla natura della povertà" e "chiese il controllo della popolazione senza vincoli morali", citando la carità come promotrice di "povertà di generazione in generazione che semplicemente non aveva alcun senso nel sistema naturale di progresso umano." Così, l'idea di carità divenne immorale. Il movimento eugenetico stesso si legò alla teoria di Malthus per quanto concerne il "rifiuto del valore dell'aiuto dei poveri."[28]
Le idee di Malthus e più tardi quelle di Herbert Spencer e Charles Darwin furono rimodellate all'interno dell'etichetta dell'ideologia d'elite di "Darwinismo Sociale", che era "l'idea che nella lotta per sopravvivere all'interno di un mondo duro, molti esseri umani erano non solo meno degni, ma erano in realtà destinati a scomparire come un rito del progresso. 
La conservazione dei deboli e dei bisognosi, era, in sostanza, un atto contro natura."[29] 
4.2. Questa teoria ha semplicemente giustificato l'immensa ricchezza, potere e dominio di una piccola elite sul resto dell'umanità, perché queste elite si sono sempre viste come gli unici esseri veramente intelligenti, degni di possedere tale potere e privilegio."
http://nwo-truthresearch.blogspot.it/2010/07/la-rivoluzione-tecnologica-e-il-futuro_23.html
Oggi la cesoia è stata usata invece per tagliare il welfare, componente essenziale della socialdemocrazia keynesiana, ed è rimasta invece, anzi è fiorita, la carità stracciona del dare due centesimi ai poveri tanto per far vedere che si è tanto BBBUUONI...una carità che, alla luce dei fatti, non migliora per nulla la condizione di povertà in cui si trovano gran parte delle persone negli strati sociali più bassi...anzi, questa carità sembra essere una morte assistita...
4.3. "Francis Galton coniò poi il termine di "eugenetica" per descrivere questo settore emergente. I suoi seguaci credettero che il 'geneticamente inadatto'"dovrebbe essere spazzato via", usando tattiche come "la segregazione, la deportazione, la castrazione, il divieto di matrimonio, la sterilizzazione obbligatoria, l'eutanasia passiva - e in definitiva lo sterminio."[30] 
La reale scienza eugenetica mancava di prove evidenti, e in definitiva Galton "sperava di rielaborare l'eugenetica come una dottrina religiosa," che doveva "essere presa come fede, senza nessuna prova."[31]
Mentre era in corso il tentativo di rietichettare "l'eugenetica", un'edizione del 1943 di Eugenical News pubblicò un articolo intitolato "L'eugenetica dopo la guerra", che citava Charles Davemport come uno dei fondatori e principali progenitori dell'eugenetica, nella sua visione "di una nuova umanità divisa in caste biologiche, con la razza superiore che controlla e schiavizza le razze che sono al suo servizio."[32]
4.4. Un articolo di Eugenical News del 1946 affermava che: "Popolazione, genetica [e] psicologia sono le tre scienze verso le quali gli eugenetisti devono guardare per l'effettivo occorrente su cui costruire una filosofia eugenetica accettabile e sviluppare e difendere proposte pratiche di eugenetica."[33]
Nel periodo post-bellico, dagli anni '50 fino ad arrivare agli anni '60, le colonie Europee, si stavano ritirando in qualità di nazioni dal "Terzo Mondo", che stava conquistando l'indipendenza politica. Questo in molti circoli rinforzò il supporto per il controllo della popolazione, perché: 
"Per coloro che hanno tratto maggior beneficio dallo status quo a livello mondiale, le misure di controllo della popolazione erano un'alternativa molto più appetibile per porre fine alla povertà del Terzo Mondo o per promuovere un autentico sviluppo economico."[34]
Nel 1953, "John D. Rockefeller III convocò un gruppo di scienziati per discutere le implicazioni del drammatico cambiamento demografico. Essi si incontrarono a Williamsburg, in Virginia, sotto gli auspici dell'Accademia Nazionale delle Scienze, e dopo due giorni e mezzo convennero sulla necessità di una nuova istituzione che poteva produrre una scienza solida per orientare i governi e gli individui nell'affrontare le questioni della popolazione."[35] 
Questa nuova istituzione diventò il Population Council (Consiglio sulla Popolazione). Sei dei dieci membri fondatori del Consiglio erano eugenetisti. 
4.5. "Nel 2008, Matthew Connelly, professore alla Columbia University, scrisse un libro intitolato "Fatal Misconception: The Struggle to Control World Population" (Equivoco Fatale: la lotta per il controllo della popolazione mondiale), nel quale analizzava criticamente la storia del movimento per il controllo della popolazione. Egli documenta la crescita nel settore avvenuta attraverso il movimento eugenetico.
Nel 1927 uno studio sulla contraccezione finanziato da Rockefeller ricercò "qualche semplice misura che sarà disponibile per la moglie di un abitante dei quartieri poveri, di un contadino, di un operaio, anche se sordi di mente." 
Nel 1935 un rappresentante disse al Consiglio di Stato Indiano che il controllo della popolazione era una necessità per le masse, aggiungendo che "Non è quello che vogliono, ma è un bene per loro". Un funzionario della sanità pubblica nell'Indocina francese disse nel 1936 che il problema con gli indigeni era che "sono nati in troppi e non ne muoiono abbastanza".[38]

La tesi generale di Connelly era di "come alcune persone abbiano lungamente cercato di ridisegnare la popolazione mondiale riducendo la fertilità degli altri." 
Inoltre: Connelly esamina il controllo della popolazione come un movimento globale, transnazionale, perchè l'obiettivo dei suoi principali sostenitori e praticanti era quello di ridurre la popolazione mondiale attraverso la governance globale e spesso i governi nazionali venivano visti come un mezzo per raggiungere questo fine. Fatal Misconception è perciò un'intricata relazione del network di individui influenti, organizzazioni internazionali, organizzazioni non governative e governi nazionali.[39]".
4.6. "Come riportato dal New Scientist, mentre la contraccezione e i diritti di fertilità delle donne erano in fase di espansione: "Per gran parte dell'ultimo mezzo secolo, il controllo della popolazione venne prima dei diritti umani che furono sacrificati." 
Inoltre, il New Scientist scrisse che Connelly "mette a nudo gli oscuri segreti di un ethos autoritario neo-malthusiano che ha creato un programma internazionale sulla popolazione costruito attorno al controllo." Uno dei concetti orribili fu che "le politiche ufficiali che resero accettabili la distribuzione degli aiuti alimentari alle vittime di carestie solo se le donne accettavano di essere sterilizzate."[43] In una triste ironia, questo movimento dei diritti delle donne apparentemente progressista, in realtà, ebbe l'effetto di tradursi in una catastrofe umanitaria, con forti ripercussioni sulle donne dei paesi in via di sviluppo. 
Nel 1969 il biologo Paul Erlich scrisse il libro, molto influente, "The Population Bomb", in cui predisse che la sovrappopolazione mondiale avrebbe causato carestie di massa già negli anni '70."[44] 
Nel suo libro, egli si riferisce al genere umano come ad un "cancro" per il mondo:
"Un cancro è una moltiplicazione incontrollata di cellule, l'esplosione demografica è una moltiplicazione incontrollata di persone. Trattare solo i sintomi del cancro può rendere più confortevole la vita della vittima in un primo momento, ma alla fine essa muore - spesso orribilmente. Un destino simile attende un mondo con l'esplosione della popolazione, se vengono trattati solo i sintomi. 
Dobbiamo spostare i nostri sforzi dal trattamento dei sintomi all'asportazione del cancro. L'operazione richiederà molte decisioni apparentemente brutali e senza cuore. Il dolore può essere intenso. Ma la malattia è molto avanzata di modo che solo con la chirurgia radicale il paziente ha la possibilità di sopravvivere.[45]"
http://nwo-truthresearch.blogspot.it/2010/07/la-rivoluzione-tecnologica-e-il-futuro_23.html

4.7. Ma anche qui:
"Reardon documenta quindi il discredito dell'eugenetica e il viraggio verso il basso della retorica proveniente dai suoi sostenitori. Uno dei fattori, citato da Reardon, che frenò l'entusiasmo, fu l'obiettivo della sterilizzazione delle classi superiori, dovuto alla loro detronizzazione finanziaria a causa della Grande Depressione
Reardon scrive:
"Improvvisamente, molti degli appartenenti alle classi medie e alte, che avevano precedentemente giudicato la "non idoneità" ereditaria sulle basi della povertà economica, adesso si trovarono impoveriti. Questi "nuovi poveri" temevano che la selezione della "non idoneità" potesse essere confusa. Trovandosi classificati dagli eugenetisti come "l'aristocrazia dei non adatti", temevano di poter diventare coloro a cui è applicata la sterilizzazione obbligatoria, non solo ad appannaggio del "veri inadatti". [3]

4.8. James Lovelock, un importante attivista ambientalista, recentemente ha fatto notizia con i suoi commenti su ciò che egli considera come un'imminente catastrofe ambientale. 
E' interessante notare che Lovelock afferma che il mondo affronta una crisi ambientale che è in gran parte causata dalla sovrappopolazione dalla quale egli vorrebbe vedere sopravvivere "il meglio della nostra specie".[4] 
Questo ci porta all'era dell'eugenetica post Seconda Guerra Mondiale. 
Gli eugenetisti che mettono in conto il discredito dei principi eugenetici, adesso si affezionano a queste idee dell'ambientalismo e del controllo della popolazione in un tentativo di portare avanti l'eugenetica in una forma più velata. Adesso veniva enfatizzato il controllo Malthusiano della popolazione.

4.9. I Rockefeller e gli Osborns.
Frederick Henry Osborn (1889—1981)
Un'importante puntualizzazione da fare, quando si affrontano tali questioni, è che le stesse famiglie che in precedenza avevano finanziato e reso popolare l'eugenetica in America prima della Seconda Guerra Mondiale, nell'era post seconda guerra mondiale spostarono le loro risorse e i loro finanziamenti verso la promozione della riduzione e del controllo della popolazione
Diverse importanti famiglie furono responsabili del finanziamento e della promozione dell'eugenetica in America, vale a dire le famiglie Rockefeller, Carnegie, Harriman e Osborn. Due famiglie, i Rockefeller e gli Osborns, furono particolarmente significative. John D. Rockefeller Sr. contribuì con una gran quantità di denaro alla costruzione del Cold Spring Harbor Laboratory nei primi anni del '900, che ospitò l'Eugenics Records Office dal 1910 al 1944. L'influenza di Rockefeller si diffuse anche all'estero in Germania, dove risiedevano il Kaiser Wilhelm Institute per la Psichiatria, e il Kaiser Wilhelm Institute per l'Eugenetica, l'Antropologia e l'Eredità Umana. Gran parte del denaro utilizzato per far funzionare queste strutture venne da Rockefeller.[5] 
Questi istituti divennero i centri dei programmi eugenetici nazisti durante il regno di Adolf Hitler."etc etc...
su: http://nwo-truthresearch.blogspot.it/2010/11/eugenetica-e-ambientalismo-dal.html  

QUAESTIONES D€ REFERENDI SUBTILITATIBUS (1...?)

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https://chs.revues.org/docannexe/image/382/img-7.png
(Il punto interrogativo nel titolo è dovuto all'incertezza sulla proseguibilità del lavoro svolto sul blog: la shadow-censura  dei links permane...)

1. Cominciamo dal quesito: secondo alcuni costituzionalisti, il quesito al referendum sulla riforma costituzionale sarebbe "corretto".
Ceccanti, utilizza un argomento formale-testuale: "le prassi seguite finora sui referendum che riguardano la conferma di riforme costituzionali sono chiare. Il quesito ha sempre riprodotto testualmente il titolo della legge di modifica approvata". 
Ma questo costituzionalista, ordinario di diritto pubblico comparato, già senatore per il partito principale proponente della riforma:
"oltre ad essere uno tra gli ispiratori del progetto del Partito Democratico ed eletto all’Assemblea Costituente (ndr; di tale partito), è anche uno dei principali autori dello Statuto del PD... 
Da sempre[3] sostenitore della necessità di riformare la Costituzione[4], prende più volte posizione a favore del sì al referendum costituzionale dichiarando, tra l'altro, agli inizi del 2016: "Dubito che l'opinione pubblica, al di là delle appartenenze politiche e culturali, voglia tenersi un sistema che ci potrebbe far ricadere nell'impasse del 2013 per la formazione del Governo e che in assenza di una Camera delle autonomie scarica i conflitti sulla Corte costituzionale. Il Presidente del Consiglio ci ha messo la faccia perché è la riforma che giustifica la prosecuzione della legislatura, ma il quesito è soprattutto su una indifferibile riforma, giusta nel merito che resterà anche dopo Renzi e che in realtà nella sua elaborazione era stata condivisa, sin dai lavori della Commissione di esperti del Governo Letta, anche dall'intero centro-destra" (sic, ex multis, il sunto di Wikipedia). 

2. Più improntata a una ricostruzione problematica del quesito, in virtù della maggior distanza da propensioni politiche personali, risulta dunque la valutazione di Ainis:  
"Purtroppo il vizio, se così si può dire, è all'origine. Risulta dalla tendenza ad attribuire alle leggi titoli accattivanti, con intuizioni che hanno solo un obiettivo di resa comunicativa
I precedenti ci sono e i primi che mi vengono in mente sono il decreto definito Salva Italia o la legge sul mercato del lavoro chiamata Jobs Act. Ma anche il governo Monti si distinse con un nome particolarmente ammiccante come il decreto Crescita Italia. L'effetto, quando si passa al referendum su modifiche costituzionali, è che come in uno specchio il quesito riporta il titolo della legge...
All'origine dovevano accorgersi in parlamento anche di quale titolo andavano approvando. Non si può obiettare ora quando, purtroppo, tutto è stato fatto". 
Dubitiamo, per come sono andate le votazioni nelle due camere, che qualcuno, anche volendo, potesse far notare, e formulare diversamente, la natura "comunicativa e accattivante" del titolo.

3. Però è vero che ormai quello che troverete sulla scheda elettorale è questo:

http://www.ilpost.it/wp-content/uploads/2016/09/refe1.png

Mentre, per fare un esempio, altrettanta verosimiglianza e "resa" di quel che i cittadini saranno chiamati a decidere, avrebbe potuto rivestirla questa versione alternativa del quesito che trovate subito sotto; che, tra l'altro, non condivido pienamente, perché fa risaltare aspetti casta-cricca-corruzione-spesa-pubblica-improduttiva-per-la-politica, e non ne emerge, invece, il punto fondamentale della riforma, cioè la €uropean connection, cioè la vera posta in gioco nel referendum:


4. Ma il "vizio" di impostazione logico-giuridica del fronte del "no", è cosa di cui non ci si può stupire.
Fa parte di un frame sempre più radicato e inestirpabile nell'opinione di massa: scollegare la riforma costituzionale dalla questione europea,è l'altra faccia dell'atteggiamento per cui l'euro è sbagliato e porta all'austerità "cattiva", ma rimane comunque una scelta irreversibile a fronte dei presunti "costi" dell'€xit, che vengono regolarmente sovrastimati, mentre si tace sui costi, in crescita esponenziale, del rimanere nella moneta unica.

5. Come rendersi conto della €uropean connections, ve lo indico in una breve sintesi suddivisa in semplici steps:

b) verificate il testo dei "nuovi" articoli artt. 55 - "Le Camere": cioè conformazione, struttura e "mission" istituzionale delle Camere- e70 - "La formazione delle leggi": cioè procedure e contenuti generali, ma anche "tipizzati", della funzione legislativa, ripartiti per competenze tra le due "nuove" Camere; e quindi definizione delle procedure in base a cui, certe leggi, con certi contenuti, devono esserci immancabilmente, violandosi altrimenti il dettato costituzionale, sia quanto alla mission che all'oggetto deliberativo delle Camere stesse-;

c) vi accorgerete, dunque, che l'effetto aggiuntivo più eclatante, rispetto alle previsione della Costituzione del 1948 è che "la partecipazione dell'Italia alla formazione e all'attuazione della normativa e delle politiche dell'Unione europea"è divenuta un contenuto super-tipizzato e dunque, potere-dovere immancabile, della più importante funzione sovrana dello Stato (quella legislativa): ergo, la sovranità italiana è, per esplicito precetto costituzionale, vincolata, per sempre, ad autolimitarsi attraverso l'adesione alla stessa UE che, per logica implicazione, diviene un obbligo costituzionalizzato

d) Non potrebbe dunque non essere, lo Stato italiano, parte dell'Unione, così com'è (dato che la previsione costituzionale non parla di alcuna iniziativa tesa alla revisione e al dinamico aggiornamento dei trattati stessi), altrimenti il parlamento, cioè il teorico massimo organo di indirizzo politico-democratico, non sarebbe in grado di adempiere al suo dovere costituzionalizzato.

ADDENDUM: sottolinerei, senza perderci troppo tempo, che se si è sentito il bisogno di questa interpolazione costituzionale su mission e configurazione contenutistica della funzione legislativa, evidentemente una ragione c'è (v. infatti il successivo n.4):


6. E, infatti, questo non può che avere riflessi sulla stessa propensione della Corte costituzionale a sindacare, con effettività e concreta comprensione della natura delle politiche che ci impone l'Unione europea, la violazione dei principi immodificabili della Costituzione (da parte dell'imposizione di tali politiche). 
Queste nuove formulazioni appaiono avere una potenziale funzione omogenea a quella già avutasi con l'altra "grande" riforma imposta dall'Unione €uropea: il nuovo art.81 con il "pareggio di bilancio". 
E, rispetto alla "consapevolezza" mostrata finora dalla Corte, il rischio è del tutto identico: nel costante conflitto tra tali previsioni costituzionali e i principi fondamentali che definiscono i diritti indeclinabili dei cittadini in una Repubblica fondata sul lavoro (cioè sull'obbligo statale di perseguimento di politiche economiche e fiscali di "pieno impiego"), la Corte non scorgerà alcuna esigenza di ristabilire una gerarchia", tra le fonti (dato che la Costituzione primigenia è superiore a quella derivante da revisione) nonché tra i valori storici della democrazia (norme "economiche", secondo una consolidata giurisprudenza della Corte, non sarebbero, infatti, capaci di incidere sui rapporti sociali e politici. Cioè l'ordine politico-sociale sarebbe indifferente all'assetto economico, lasciato alla insindacabile ideologia perseguita dai trattati!).

7. Concludendo (sul punto riforma & €uropa), autocito una mail inviata a un amico con cui ci dolevamo delle difficoltà "a sinistra" - incluse quindi le ragioni esposte dai comitati per il "no"- a trattare con consapevolezza e senso della realtà la questione €uropea:
Non era affatto difficile portare all'attenzione dei non-colti e dei semicolti il legame cogente della riforma con l'€uropa. Era certamente più facile rispetto a qualsiasi altro aspetto: risparmi di spesa, semplificazione istituzionale, potenziamento dell'esecutivo e "governabilità: tutti elementi su cui infatti si litiga strenuamente perché oggettivamente contraddittori nel testo.
Ed infatti: basta vedere gli artt.1 e 10 della riforma (che ne sono il clou): si costituzionalizza l'obbligo di attuare il diritto UE come mission del parlamento e sostanza immancabile della funzione legislativa.
E' probabilmente l'unico aspetto precettivo non controvertibile di tutta la riforma.
Ergo, l'adesione all'UE-M, COSI' COM'E', risponde ora a un obbligo costituzionale, dato come presupposto indefettibile (superando le "giustificazioni" imposte dell'art.11 Cost. che si tenta di bypassare definitivamente): ciò impedirà, con forza ancor più travolgente, alla Corte cost. di sindacare qualsiasi aberrazione proveniente dall'UEM e renderà il diritto UEM integralmente e incondizionatamente superiore a ogni fonte nazionale.

Ma i "nostri" per evidenziare questo aspetto assolutamente centrale della riforma, avrebbero dovuto litigare con tutto lo Stato maggiore dei costituzionalisti ventoteniani (dalla Z. di Zagrelbesky...etc).. Invece se ne sono altamente strafregati: et pour cause.
Faccio notare, cosa che rileva rispetto allo stesso Lapavitsas, che neppure in Grecia sono giunti a manipolare il testo costituzionale per rendere irreversibili l'UE e l'euro.

8. Magari, un una prossima occasione, - essendo il referendum ormai fissato per il 4 dicembre (concomitante, pensate un po', col rinnovo del voto presidenziale in Austria), e quindi non mancando il tempo a disposizione- approfondiremo la "sostanza" della legittimità costituzionale della revisione..."costituzionale".
Una riforma il cui oggetto referendario non solo è vincolato da un quesito prestabilito nella versione "accattivante e comunicativa" sopradetta, non solo ha oggetti talmente multipli e diversificati, nonché sfuggenti agli stessi elettori (come quello attinente all'€uropa), da non poter essere riassumibili in alcun modo in un unico quesito ragionevole e intelleggibile; ma una riforma che, in più, ha un contenuto e un titolo-quesito che sono anche stati prestabiliti dall'Esecutivo
Un Esecutivo che gestirà la campagna referendaria come una prova, una vera e propria "ordalia", per la prosecuzione del suo mandato e della legittimità della maggioranza parlamentare che lo sostiene.

MA COME SI FA AD ANDARE AVANTI COSI'?

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http://www.bonsai.tv/articolo/citazioni-memorabili-di-house-of-cards-le-frasi-piu-belle/78871/

1. Ci siamo più volte posti delle domande di portata sistemica che, nell'attuale crisi italiana, sempre più senza vie d'uscita, assumevano la funzione di richiamo retorico sul cuore del problema: il condizionamento mediatico come mezzo di controllo sociale, contrario ad ogni evidenza fattuale e ad ogni residuo di dignità e cura dell'interesse della società italiana.

Ora formulerei un altro interrogativo che, a prima vista, appare espresso nel linguaggio della lamentela più popolare: 
"Ma come si fa ad andare avanti così?"

2. Mi spiego: la domanda esige una precisazione che riassume, invece, una dura realtà che viene, more solito, celata nella sua integrale portata dal sistema dei media ordoliberista e €uro-addicted, e che invece presuppone un'adeguata conoscenza dei meccanismi economici e istituzionali che derivano dall'appartenenza all'€uropa. Dal sogno che si materializza in un incubo
Riformulo perciò l'interrogativo incorporando tale precisazione:
"Come si fa ad andare avanti così se, per il solo fatto di  essere italiani e costretti (dal 1978) ad appartenere alle varie forme di europa (monetaria) dal "terrorismo ideologico europeista" (L.Spaventa dixit, in Parlamento, proprio nel 1978), siamo costretti a subire il decurtamento attuale dei nostri risparmi, per via di mutamento unilaterale delle condizioni contrattuali dei nostri c/c, la molto concreta prospettiva di un incisivo prelievo fiscale patrimoniale  sugli stessi, e la quasi certezza che, se non subiamo tali prelievi, perderemo del tutto tali risparmi?"




3. Alla crescente aliquota di italiani che, loro malgrado, non posseggano tali risparmi e fronteggino la prospettiva di non poterli mai avere, diciamo due cose. 
La prima è che dovrebbero seriamente chiedersi quali siano le cause di ciò e non colpevolizzare se stessi, una volta riusciti a capirle, né colpevolizzare i presunti "ricchi possidenti" che tali risparmi li abbiano faticosamente accumulati (senza esportarli in conti esteri), del cui impoverimento non si avvantaggerebbero.

La seconda cosa è che, al contrario di quanto in base al livore profuso mediaticamente  si induce credere, la distruzione, per via fiscale e/o per via di bail-in (burden sharing), degli altrui risparmi, non solo non li avvantaggerebbe ma, anzi, li danneggerebbe, portando ad una ovvia contrazione del PIL, come riflesso della c.d. propensione marginale al consumo dello stesso risparmio
Il che comporta ulteriore fuoriuscita dal mercato di imprese, conseguente maggior disoccupazione e connessa ulteriore deflazione salariale: con l'aggravarsi della situazione di tutti, ma proprio tutti, gli italiani cui, sempre più, in massa, sarà precluso di poter pensare non solo di avere un decente reddito e un proporzionale risparmio, ma persino di poter far fronte ai debiti già contratti (per acquisire un'abitazione o un'automobile...o la lavatrice).

4. Se questo è il quadro, - quello dell'ital-tacchino da spennare in nome del sogno €uropeo-, una magra consolazione ci viene dal sapere che, persino sul Financial Times, si ammette, di fronte alla disperazione diffusa in elettorati sempre più "indisposti", le favole paurose non funzionano più: "...Queste favole paurose hanno contribuito alla generalizzata perdita di fiducia nella professione economica e nella sua reputazione di indipendenza di giudizio. E insieme a questa si perde anche il rispetto per le istituzioni internazionali come l’OCSE e il Fondo monetario internazionale, tutti volenterosi collaboratori nel costruire le paure anti-Brexit".
In Italia, per primi, data la situazione €uro-bancaria così impellente, - quasi quanto in Germania tra Deutschebank e, ora, anche il Landesbank sector-, abbiamo, o dovremmo avere, dunque, la impellente sensazione di non poter più andare avanti così.


"...E ciò, vista anche l'evoluzione della situazione mondiale, che implica un progressivo cedimento della "facciata" marmorea di una governance mondiale affidata alla grande finanza, ormai irreversibilmente screditata. 
In una situazione, cioè, in cui il capitalismo finanziario finisce per essere come un condannato con la "condizionale",  questa sorta di "epigrafe", vale nell'orizzonte del breve periodo. 
Al massimo,può ancora durare fino a quandouna probabile nuova crisi finanziaria imporrà di prendere quelle misure che dopo il 2008 non si ebbe il coraggio di attuare: limitazione della libera circolazione dei capitali e superamento del modello di banca universale e della ossessione dei "cambi fissi" (almeno). 
Certo non sarà senza traumi un simile "rappel a l'ordre", ma almeno implicherà la profonda revisione della composizione della governance mondiale: ne verranno travolti e dunque ripensati, FMI, WTO e la stessa UEM.
E si dirà basta con i banchieri al potere...ovunque
Avranno perso ogni legittimazione anche di mera facciata, e il controllo mediatico non basterà più: come potranno i giornalisti di regime e i banchieri istituzionalizzati chiedere ancora alle masse di disoccupati e lavoratori precari, spogliati di ogni sicurezza sociale e dei loro risparmi (e prospettive di risparmio) di sopportare ancora i costi della crisi che "loro" avranno nuovamente provocato?
Nel medio-lungo periodo, dunque (quando ancora non "saremo tutti morti", si spera), questa incomprensione, o incompleta comprensione, degli effetti del neo-liberismo, porterà inevitabilmente a ripensamenti e revisioni da parte di tutti gli attori (USA in primis): tanto più traumatici per tutti, quanto più sarà ritardata l'espulsione dai processi decisionali degli attuali componenti della stessa governance "globale".  
Ci sarà da divertirsi (in un senso del tutto eufemistico), perchè "alla prossima" salteranno anche "loro".
 

ANTISTATALISMO E..."RIMBALZINI&AIUTINI" NELL'ERA DELLA GRANDE RIFORMA: DEUTSCHEBANG!

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1. Nell'autunno del grande ricatto sulla grande riforma... 
Financial Times: con il no al referendum conseguenze per la crescita dell'Italia e per l'Eurozona

...per instaurare la Grande Società internazionalizzata...
"Perché mai pochi uomini al governo dovrebbero saperne più dei molti che ogni giorno lavorano, producono, scambiano merci, servizi e moneta in tutto il mondo? E’ la candida obiezione con la quale Friederich von Hayek mise con le spalle al muro gli statalisti. E da qui prende le mosse Franco Debenedetti per bocciare senza appello l’“insana idea”.
Franco Debenedetti ha trascorso la sua carriera tra l’industria e la politica, dalla Olivetti alla Fiat a una lunga esperienza parlamentare nella sinistra politica; oggi presiede l’Istituto Bruno Leoni, il principale pensatoio liberista italiano e uno dei più stimati a livello internazionale".
Debenedetti)[2], si laurea in ingegneria al Politecnico di Torino nel 1956. Lavora inizialmente nell'azienda di famiglia, per passare poi all'Olivetti nella quale rivestirà anche le cariche di vicepresidente e amministratore delegato.
Per tre legislature è stato eletto al Senato della Repubblica, rispettivamente del 1994, 1996 e 2001 per le liste del PDS e DS, dove ha fatto parte della Commissione Industria, Commercio e Turismo.
Attualmente siede in alcuni consigli di amministrazione di società, enti e fondazioni, tra cui CIR, COFIDE, Piaggio, Fondazione Rodolfo Debenedetti, Fondazione Italia USA, Progetto Italia. È stato insignito di numerosi riconoscimenti, tra cui il Premio Ezio Tarantelli (1996) e il Premio Capalbio per l'Economia (1999). Ha pubblicato alcuni volumi tra i quali Sappia la destra (Baldini & Castoldi, 2001), Non basta dire no (Mondadori, 2002), Grazie Silvio (Mondadori, 2006).
Dal 2008, insieme con Alberto Mingardi, conduce Blue-liberisti in Red per l'emittente privata Red Tv[3]. Nel 2009 pubblica, insieme ad Antonio Pilati, il libro La guerra dei trent'anni - Politica e Televisione in Italia 1975 - 2008 (Einaudi2009).
In occasione delle elezioni politiche italiane del 2013 non ha preso posizione nel PD, ma ha dichiarato una preferenza per il partito Fare per Fermare il Declino, guidato da Oscar Giannino[4].
Nell'ottobre 2015, insieme al fratello Carlo, è rinviato a giudizio per l'indagine sulle morti per amianto alla Olivetti: il processo di primo grado si conclude nel luglio dell'anno successivo con la condanna, identica a quella del fratello, a cinque anni e due mesi di reclusione [5].

2. I problemi nazionalistici, e proprio tra produttori di moneta (quelli che dovrebbero capire ben di più di tutti gli altri esseri umani, che vanno ottusamente a votare per eleggere governi, pensate un po', che li rappresentino!), però si manifestano ancora, chissà perché; e proprio dentro all'€uropa, modello e fine ultimo della Grande Società.
Ma vengono affrontati con grande orgoglio e dignità da parte di chi "comanda"nell'irenica paneuropa.
La Germania fa quadrato intorno al suo "miracolo" industrial-finanziario, infatti, contro tutto e contro tutti:
http://scenarieconomici.it/wp-content/uploads/2016/01/FireShot-Screen-Capture-108-Class-action-negli-Usa-contro-Deutsche-Bank_-%C2%ABCos%C3%AC-guadagnava-truffando-i-clienti_-%C3%88-come-per-Vw%C2%BB-Il-Sole-24-ORE-www_ilsole24ore_com_art_finanza-e-mercati_2016-01-1.jpg
Poi, come sapete, a settembre:

Deutsche Bank Is Asked to Pay $14 Billion to Resolve U.S. Probe Into Mortgage Securities.

"The financial pressure on Deutsche Bank has already spilled into German politics, stirring speculation Chancellor Angela Merkel’s government might be forced to offer support. Cryan told Bild newspaper this week that the firm doesn’t plan to raise capital and that government aid was “out of the question.” Any taxpayer-funded solution for the bank’s troubles would be Merkel’s downfall, said the leader of Germany’s biggest opposition party".
http://static.dagospia.com/img/patch/02-2016/deutsche-bank-weidmann-schaeuble-762450.jpg

Le dichiarazioni del “Club Merkel” sull’argomento sono del tutto irrilevanti e servono solo a cercare di evitare altro panico sui mercati, e tuttavia il destino di Deutsche Bank è segnato.
La banca tedesca ha un enorme deficit di capitale che è dovuto a:
E non cito il problema del valore nominale dei Derivati per cui Deutsche Bank agisce come market maker, diciamo che su questo argomento concedo il beneficio del dubbio e ipotizzo che nel complesso il valore reale di esposizione di Deutsche Bank, ovvero elise le operazioni di segno opposto sia vicino allo zero e dunque non sia un pericolo".


4. Oggi, momentaneo rimbalzino del titolo DB, che non deve essere estraneo all'aspettativa dell'inevitabile intervento pubblico.
In effetti, ci sarebbe pure questo prevedibilissimo aiutino tra amici, considerata l'enorme utilità della Germania nella strategia delle elites capitaliste USA che hanno "creato" l'€uropa; dunque un aiutino, non certo inatteso per i "mejo informati":

FOLLIE DI MERCATO - LA DEUTSCHE BANK QUESTA MATTINA ERA SULL’ORLO DEL DEFAULT, E GIA’ PARTIVANO I CONFRONTI CON QUELLO DELLA LEHMAN BROTHER - POI, DOPO UNA TELEFONATA OBAMA-MERKEL, SI DIFFONDE LA VOCE CHE GLI USA RIDUCONO DA 14 A 5 I MILIARDI DI MULTA ALLA BANCA TEDESCA PER I MUTUI SUBPRIME - ED A WALL STREET IL TITOLO SCHIZZA A +6% -

Ma...un momento: il problema non è riducibile al pagamento di questa o quella somma a titolo di sanzione inflitta dalla Fed...

"Ultimo bilancio di Deutsche Bank si è chiuso con una perdita di 6,8miliardi contro un patrimonio netto tangibile di 5,8 miliardi...
Citigroup dice "fa notare che Deutsche Bank, con un “leverage ratio” del 3,4%, “appare in condizioni peggiori anche rispetto al target prefissato per la fine del 2018″ e calcola che, con spese legali di appena 2,9 miliardi di euro e in caso di successo della smobilizzazione, alla fine del 2017, della quota del 70% detenuta in Postbank, il CET 1 ratio risulta pari all’11,6% entro la fine del 2018. 

Tutto ciò implica che la banca farà fronte a un buco di 3 miliardi di euro rispetto al suo target pari al 12,5%, e a un leverage ratio al 3,9%: e, dunque, a un buco di capitale di 8 miliardi di euro rispetto al target del 4,5%." 
Nel mentre Soros si sfrega ampiamente. 
Nessuno però menziona le uniche tre parole che servirebbero per rimettere in sesto l'economia: Glass Steagall Act. E una quarta: GALERA". 

6. Insomma, per tornare all'Italia, nulla di rassicurante in ogni caso. Esito del referendum bello o brutto che sia:
"...il BundeStaat interverrà massicciamente in salvataggio e ricapitalizzazione di DB (e Commerzbank und Landesbanken varie e avariate), per non guastare la festa delle presidenziali USA; e mi pare il minimo.

Ergo, "l'ondata di vendite sui titoli bancari" attualmente in corso servirà, alla fine, solo all'accelerazione dell'insolvenza, con burden sharing, del sistema bancario italiota. Che passerà di mano, sul "residuo" rimasto dopo apposita tosatura dei risparmi dei correntisti. (Certo, a ogni rimbalzino si griderà istericamente allo scampato pericolo...per spontanea "bontà" dei mercati efficienti...).

Naturalmente, non c'è bisogno di dirlo, per l'intervento pubblico tedesco verrà ritenuta applicabile l'ipotesi di instabilità finanziaria sistemica, (p.45 direttiva BRRD) che rende "sproporzionati" gli effetti del burden sharing sui correntisti crukki: ma non altrettanto per gli effetti della crisi bancaria tedesca sul sistema italiano.
E forse è pure meglio così, si fa per dire, visto che, comunque, gli istituti devono finire in mani estere, (preferibilmente americane, ma anche franco-tedesche non guastano), e che, col pareggio di bilancio, l'intervento pubblico di ricapitalizzazione accelererebbe, per finanziarlo, lo smantellamento di pensioni e sanità (e territorio; anche se al M5S credono che sia dovuto alla corruzione e alla casta).

Ma a pensarci bene, l'occasione è talmente ghiotta che mi sa proprio che la coglieranno: troppi segnali mediatici sono in tal senso.
Naturalmente, appena passato il referenudum.
Qualunque esito abbia...."

7. E per riallacciarci all'incipit, sulla Grande Società dei vincenti (autoproclamatisi tali), che non possono perdere tempo coi perdenti, pare che i mercati globalizzati e le istituzioni internazionali, - che devono imporre il super-razionale "diritto internazionale privatizzato", in luogo del clientelare diritto nazionale, che ci si assicura, con apposite riforme costituzionali,  non possa essere altro che mera esecuzione vincolata del primo-, abbiano sempre più "grandi" problemi. 
Ma gli anti-statalisti neo-liberisti, non ascoltano nessuno; si sa, sono "economisti". Non si fanno impressionare da nulla:




8. Sapendo che la "domanda" non è rilevante o tutt'al più si può distruggere per sacre finalità di mantenimento della moneta unica, (salvo qualche vago ripensamento):
http://icebergfinanza.finanza.com/files/2014/01/treeeeeeeeee.jpg
e sapendo che conta solo "l'offerta", - la cui connessione con la riforma costituzionale è misteriosa quanto la correlata profezia di "crescita"-  si può tranquillamente "promuovere" l'Italia in questi termini:

DEUTSCHEBANG: SCELTE "CONSIGLIATE" TRA ELEZIONI PRESIDENZIALI E BOLLE VECCHIE E NUOVE

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1. Sono cose che ben sapevamo, e da molto tempo; però che in queste ore Zerohedge senta il bisogno di ribadirlo con tanta dovizia di particolari è certamente significativo:
"Dovrebbe esserci una connessione tra gli investimenti del settore economico e i prestiti contratti per attività commerciali e industriali. Gli operatori tipicamente prendono in prestito fondi per l'acquisto di macchinari o per finanziare la realizzazione di impianti fisici.
Dal 1999 fino al 2014, questi prestiti si sono approssimativamente mossi in modo coordinato con gli investimenti delle imprese. Non soltanto la tempistica ma anche la direzione erano simili. 
Ma nel 2012 le direzioni relative delle curve delle due serie hanno cominciato a divergere laddove la crescita in investimenti di impresa ha rallentato mentre i prestiti contratti decollavano.
Nel 2014-2015, tale normale relazione si è completamente scardinata.
Le imprese sono state super-caute nel fare investimenti reali, ma hanno continuato a incrementare esponenzialmente i prestiti.
I prestiti delle imprese avevano sempre seguito l'economia reale fino al 2014.
Poi, le imprese hanno cessato di investire in impianti e macchinari. Ma hanno proseguito a contrarre debiti a rotta di collo. Pare quasi che i fondi siano scomparsi in un buco nero. Ma nonostante non risultino nuovi assets tangibili a fronte dei nuovi prestiti, le banche sono state ben contente di proseguire tali affari. Come risultato, la bolla creditizia si è espansa a livelli da togliere il fiato.
A un certo punto, all'inizio del 2015, il credito (per costruzioni e impianti) cresceva al rateo annuale del 13%. Che è rallentato a una crescita solo del 9,5% attuale, mentre gli investimenti reali si sono ridotti.
Dove va questa massa di denaro in prestito? 
Dovremmo ormai conoscere la risposta.
Sospinte dagli interessi nominali prossimi allo zero e dal massiccio volume di liquidità in eccesso nel sistema, le grandi imprese prendono in prestito per riacquistare le loro stesse azioni. 
Gli amministratori delegati e i loro colleghi executives si concertano per garantire a se stessi consistenti premi di stock options. Quindi inducono le società a prendere fondi praticamente gratis per acquistare le azioni emesse a fronte di queste gratifiche di opzioni. Riducono così le quote di azioni in mano al pubblico e alla proprietà e spingono con ciò più in alto i prezzi delle azioni. E quando prendono il controllo delle loro stesse società, ognuno è contento perché i prezzi delle azioni salgono.
I consigli di amministrazione e le autorità di vigilanza non fanno nulla per fermare questo saccheggio, perché questo schema fraudolento appare win-win per tutti.

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Ma non lo è. E' solo un'altra gigantesca bolla, una bolla dell'ingegneria finanziaria. E' una bolla guidata dal freddo calcolo delle menti criminali degli executives della corporations americane. E' una bolla messa in atto e finanziata dalla follia di massa di banchieri centrali e investitori ignari in tutto il mondo. Ed è una bolla sospinta dalle cheerleaders di Wall Street e dalle loro cameriere nei media finanziari". 

2. Ora, a voler essere "lucidi", in questo scenario, che si va di per sé aggravando, si può comprendere come il teatrino del "settlement" (accordo bonario di riduzione) sulla mega multa inflitta dal Dipartimento di Giustizia USA a Deutschebank,


un accordo da cui, in superficie, pare dipendere la tenuta dell'intero settore bancario €uropeo e, di riflesso, di tutti i mercati finanziari globali, equivalga a fumare dentro un deposito di carburanti con una perdita nelle tubature.


3. Il governo tedesco può anche decidere di non intervenire, e reagire con apparente "fermezza" nazionalistica (sì, molto nazionalistica: come si conviene sempre tra players dominanti nel liberoscambismo a concorrenzialità imperialistiche).


Ma non può ignorare di essere prigioniero di un'opinione degli elettori che, a sua volta, è il frutto della propria stessa propaganda ordoliberista (ab origine monetarista e deflazionista).

4. Tuttavia, prima ancora che possa stabilizzarsi questa posizione politica assunta in proiezione dei suoi effetti deterrenti sull'eurozona (leggi: intervento pubblico sul settore bancario italiano), i mercati, - quegli stessi mercati che l'ordoliberismo considera i regolatori inappellabili che l'intervento pubblico deve assicurare nella loro preminenza politico-sociale-, potrebbero "intervenire" in un modo che renderebbe questa posizione comunque insostenibile. A pena di vedere un 1929 a epicentro Germania invece che Wall Street. Una situazione che costituirebbe una sorpresa per quello stesso elettorato che, ormai, è stato privato di ogni elementare strumento cognitivo per interpretare la propria situazione reale.

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"Come mostra il grafico, l'indice della Borsa tedesca è attualmente sotto il picco della tendenza rialzista post-2011 e sopra la tendenza al ribasso post-2015.
Ha in pratica toccato entrambe le linee di tendenza nel caotico trading di venerdì scorso. Possiamo attenderci che il DAX rimanga in questo "limbo" tra tendenze fino a che decide dove vuole andare in ultima analisi. E, sebbene abbiamo visto molte situazioni di false notizie dell'ultima ora, quando l'indice si muoverà decisamente in una direzione o in un'altra, crediamo che ciò possa stavolta condurre ad una direzione più sostanzialmente significativa".

5. Nota in calce non superflua: questo genere di analisi previsionali dei trend di Borsa sono cosa comune nell'informazione finanziaria. Quello che appare rilevante è che il mercato finanziario - e il sistema bancario- tedeschi siano "attenzionati" in questi termini da una fonte USA.
L'impressione è che "si voglia" che il governo tedesco faccia qualcosa...
E questo qualcosa non è certo lasciar andare la logica del mercato insita nel bail-in e nel burden sharing, con il collasso del risparmio privato tedesco già duramente "provato" dai tassi negativi conseguenti alle "mosse" della BCE. Non alla vigilia delle elezioni presidenziali negli Stati Uniti, situazione che, già di per sè, implica di tirare un grosso calcio al barattolo della bolla finanziaria che oggettivamente pende su Wall Street.
Ma questo "qualcosa" equivale a un colpo imparabile per la linea Merkel-Schauble-Weidman rispetto ai propri partners UEM e, più ancora, rispetto alle menzogne con cui hanno raccolto il consenso in Germania.
Pare dunque che ambienti indubbiamente influenti, da oltreoceano, siano stanchi di qualcosa che in €uropa è già andato fin troppo avanti
Poi i tedeschi decidano quale compromesso sia meglio adottare. E non solo sulla megamulta di Deutschebank: ma non pare che abbiano molta scelta. Quantomeno sul fare i duri nell'applicare le regole dell'eurozona che loro stessi hanno imposto così spietatamente ai propri debitori....

CONTRADDIZIONI APPARENTI E...QUALCHE EVENTO.

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1. La "notizia" relativa all'immagine soprastante, ripercossa in sede ital-media, viene data ponendo in rilievo che il Financial Times, a giugno e, come abbiamo visto in questo post, ad agosto, aveva sostenuto, sulla riforma, esattamente l'opposto.
Questo cambiamento di valutazione, in un certo senso, può apparire sorprendente: le riflessioni sul relativo scenario si sono già aperte. 
Ma, grazie anche all'apporto di Francesco Maimone, verrà presto pubblicato un post dove, disponendo delle adeguate conoscenze sulle premesse ideologico-istituzionali del globalismo dei mercati, si potrà tutto sommato dare una spiegazione su come, questa diversa valutazione, non sia una vera "contraddizione".
Intanto, il "dibattito" sulla questione referendaria prosegue ed esige un continuo approfondimento che consenta di separare gli argomenti puramente dialettici e comunicativi, tipici della propaganda pre-elettorale (in senso lato), da serie riflessioni tecnico-giuridiche e istituzionali, sempre più difficili da far arrivare all'opinione di massa.

2. Nel mio (oggettivamente) "piccolo", domani sarò a questo convegno: 


Relatori insieme a me saranno Guido Ortona (Professore Politica economica università del Piemonte orientale) e Ines Ciolli (Professore di Diritto costituzionale università ‘La Sapienza’ di Roma.

3. Venerdì, invece sarò a Grosseto per una presentazione del libro "La Costituzione nella palude"
CULTURA E COSTITUZIONE
GIORNO 07/10/2016 VENERDI' ORE 17.00
TITOLO: Presentazione del libro:
LA COSTITUZIONE NELLA PALUDE
Indagine sui Trattati internazionali al di sotto di ogni sospetto

INCONTRO CON L 'AUTORE
Intervengono:
Prof. LUCIANO BARRA CARACCIOLO
Luogo: Fondazione Bianciardi - Via De Pretis 32 - Grosseto
- Organizzato Forum Cittadini del Mondo RA e Attac Grosseto
- SCHEDA EVENTO
http://bit.ly/2dQ3Knl
- ISCRIVITI ALL EVENTO
http://bit.ly/2dtYSVO
- SCARICA VOLANTINO
http://bit.ly/2dcrBMD

Naturalmente mi reco dovunque mi invitino e il contesto risulti consono a una sede di discussione scientifica di livello oggettivamente "attendibile".
Spero di vedere qualcuno dei "coraggiosi" lettori del blog in entrambe le occasioni...
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