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LA "FILOSOFIA" RIFORMATRICE DELLA VENICE COMMISSION E LA RIFORMA COSTITUZIONALE

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Gesù rispose loro: “Badate che nessuno vi inganni!
Molti infatti verranno nel mio nome, dicendo:
“Io sono il Cristo”, e trarranno molti in inganno
(Matteo, 24, 4-5)

Questo splendido post di Francesco Maimone esige un chiarimento preliminare che consente di coglierne uno dei punti fondamentali. Un punto particolarmente attuale e incisivo, sulle nostre vite, in questo momento storico. 
Si tratta della distinzione tra Costituzionalismo giuridico e Costituzionalismo politico. Questa distinzione rinvia a un (inquietante) interrogativo: perché porre ossessivamente l'accento sulla libera rielaborabilità, in base ad un presunto pensiero filosofico-razionale, di qualsiasi testo costituzionale, svilendo la sua funzione di fonte normativa suprema, e quindi svincolandosi dalmetodo di interpretazione,logico-concettuale, sistematica e storica, proprio del diritto?
Perché in tal modo si costruisce un sistema a priori di politica allo stato puro, antigiuridica edapparentemente libera, il cui postulato implicito è che si possa trarre solo dalla politica e dal processo elettorale l'ambito dei "vincoli" che sarebbero accettabili (come costi) da una società; mentre la politica, a sua volta, è legittimata, a questa libertà assoluta, dal"meritotecnocratico" di chi la incarna o ne designa i rappresentanti in esede elettiva.
La risposta, in un certo senso l'abbiamo anticipata, in un passaggio di questo post, parlando del contenuto e della funzione della sovranità (che rimane altrimenti un concetto equivoco e piegabile agli scopi più eterogenei): 
Per connotare questo contenuto e questa funzione, in base al principio che ognuno ha le sue competenze commisurate all'oggetto delle indagini e della ricerca che compie, evitiamo di ricorrere alla "mera" filosofia (specie se vivente nella logica del rinvio bibliografico, reciproco e incontrollabile, interno al mainstream liberista anglosassone, cioè sussidiario e derivante dal paradigma economico instaurato dalle forze culturalmente dominanti, cioè l'oligarchia): ed infatti, risolvere un problema giuridico-costituzionale,qual è quello della definizione della sovranità, è un problema proprio della scienza (sociale) giuridica, basata sullo studio dei dati positivi costituiti dalle norme. E ciò, per quanto la "teoria generale del diritto" sia strettamente connessa alla "filosofia del diritto", senza coincidere con essa.
La filosodia...prescinde dal porsi il problema dell'interpretazione e dellasistematizzazione, effettuata in via induttiva (e non solo deduttiva, sulla base di assiomi filosofici), dell'insieme delle norme positive esistenti. Vale a dire, interpretando e sistematizzando" i "fatti sociali normativi", effettivamente rilevabili dallefonti di produzione (si dice "de jure condito") proprie del complesso degli Stati...
Un secondo aspetto va sottolineato prima di intraprendere la lettura del post (con rilettura altamente consigliata):come curiosamente appare accadere anche in altri casi (es; pareggio di bilancio, applicazione del fiscal compact, Unione bancaria con burden sharing), l'elaborazione €uropea, nel caso quella della Venice Commission, finisce per avere effetti pratici e tangibili solo...in Italia
Si parla spesso in termini generali, se non vaghi, di tali riforme; ma poi, il vero destinatario di tuttequeste algide formule (processi decisionali, governance etc...), invariabilmente riduttive dei diritti sociali e potenziatrici della decisione politica "pura", assunta in nome del "prendere comunque decisioni", legittimate  a priori dal superiore bene, tecnocraticamentepredeterminato, si riversano in cambiamenti profondi del quadro della democrazia costituzionale del 1948. E non è un caso, dobbiamo ritenere a questo punto della vicenda...

Infine, un terzo, fondamentale, aspetto: quando si afferma, da parte della Venice Commission, che il potere di revisione costituzionale, dato il "relativismo" storico-politico di ogni concetto giuridico-costituzionale, non dovrebbe esserelimitato e che non dovrebbero neppure preferibilmente sussistere disposizioni costituzionali non revisionabili, nepossiamo arguire che, come per le riforme del mercato del lavoro, quelle costituzionali, dentro l'UEM, non avranno mai fine; almeno finché non sarà espunto dalle Costituzioni ogni "diritto" che "mette in scacco il bene comune". 
Dunque, visto che, secondo questo indirizzo, affermatodall'UE in modo pressante,il "benecomune" consiste nell'abolizione del valore giuridico assoluto dei diritti - da relativizzare come subordinati a qualsiasi ragione "politica" ritenutaprevalente dall'elite tecnocratica-, l'attuale riforma costituzionale non è che una tappa, e neppure la più traumatica,del percorso di mutamenti costituzionali che ci verranno inesorabilmente imposti in nome della "governance"€uropea
Internazionalista e dei mercati.

I PRINCIPI SUPREMI DELLA COSTITUZIONE REPUBBLICANA ALLA PROVA DELLA POSSIBILE REVISIONE FORMALE (Commissione di Venezia e costituzionalismo di “Star Wars”)
1. Prove generali in attesa della soluzione finale?
Il recente e perdurante fenomeno di rappresaglia censoria opposta alla divulgazione scientifica e democratica di Quarantotto costituisce l’occasione per segnalare un incombente pericolo di obliterazione persino sul piano formale di quei principi fondamentali(ed immodificabili)sanciti nella nostra Costituzione e che da tempo ormai sono stati disattivati sul piano sostanziale. Anche una tale definitiva opzione non deve apparire come surreale, dal momento che le “finissime menti” giuridiche neo-ordoliberiste [1] l’hanno già teorizzata, paludandola in documenti ufficiali dal linguaggio orwelliano. 
E’ probabile che detta opzione venga assunta, tramite il consueto “metodo Juncker” e per il tramite degli accondiscendenti luogotenenti nazionali, allorché €SSI abbiano sentore di un ulteriore allentamento della (ottimisticamente residua) coscienza democratica, indotto per mezzo di qualche altro “shock economico” (prossima crisi bancaria?); tanto che, al riguardo, l’imminente referendum costituzionale sembra presentarsi come una delle ennesime “prove generali” approntata allo scopo. Per questa ragione una vigilanza cosciente impone la necessità continua di svelare e decriptare ideologismi omotetici con il fine di scongiurare il perpetuarsi di quella grande frod€ totalitaria spacciata per democrazia, un inganno che ormai da troppo tempo è in pista e che non accenna a retrocedere.

2. La Commissione di Venezia (a romanticismo zero)
La Commissione di Venezia (denominata “Commissione Europea per la democrazia attraverso il diritto”) é un “… organismo del Consiglio d’Europa che assiste gli Stati nel consolidamento e rafforzamento delle istituzioni democratiche … La Commissione contribuisce in modo significativo alla diffusione del patrimonio costituzionale europeo, che si basa sui valori giuridici fondamentali del continente, e garantisce agli Stati un "sostegno costituzionale” …” [2].
A chi abbia imparato a comprendere le origini e le finalità intrinsecamente antidemocratiche del progetto €uropeista [3] non dovrebbe risultare difficile realizzare come anche detto organismo sia in realtà un organo tecnocratico incaricato di definire ai popoli europei le linee di indirizzo per la loro progressiva e violenta apertura al governo sovranazionale dei mercati, mediante “suggerimento” degli opportuni adeguamenti funzionali da apportare al più alto livello della legislazione. 
Pertanto, tradotto in termini comprensibili, la Commissione – in funzione di “braccio giuridico” al servizio delle reviviscenti forze neofeudali - si è assunta il compito di fare da “bàlia” agli Stati sovrani nel consolidamento e rafforzamento del verbo neo-ordoliberista favorendo una sua diffusa costituzionalizzazione. 
E ciò sul presupposto aprioristico (ed autoritario) secondo cui i singoli Stati sovrani avrebbero tout court bisogno di tale amorevole assistenza, orientata in senso teleologico, come di consueto, alla dissoluzione dei fondamentali principi consacrati nella Costituzioni postbelliche e considerati come estremo argine da rimuovere per l’affermarsi delle supreme leggi mercatistiche. In perfetta consonanza ideologica, nondimeno, con la psicosi oligarchica di J.P. Morgan che, come noto, ha individuato proprio in quelle Costituzioni il nemico da neutralizzare in quanto ritenute di impedimento alla crescita economica [4].
Nel dicembre 2009 la Commissione ha partorito unReport on constitutional amendment(Relazione sulla revisione costituzionale) [5], informandoci di aver avuto nel corso degli anni l’opportunità di riflettere sulle procedure di revisione costituzionale nell’ambito di pareri rivolti a singoli Paesi, ma che solo con il suddetto Paper, per la prima volta, la stessa è stata chiamata a “studiare il problema in modo generale ed astratto” (punto 14) per “identificare e analizzare alcune caratteristiche fondamentali e le sfide della revisione costituzionale” nonché per offrire alcune riflessioni normative” (punto 17).
Nell’ambito del documento, alcune teorizzazioni in ordine alla funzione delle Costituzioni e, in pari tempo, ai limiti della loro revisione, confermano drammaticamente la reale natura che è insita nel consesso €uropeo al quale l’Italia, suo malgrado, si autocostringe in modo masochistico ancora a partecipare.

2.1 A cosa serve una Costituzione?
Bisogna subito premettere che, in assonanza con il descritto compito della Commissione, l’intera Relazione si ispira ad una precisa dottrina giuridica ultraliberista (se non proprio anarcocapitalista) di matrice anglosassone che va sotto il nome di Costituzionalismo politico
Prendendo spunto da un interessante lavoro di M. Goldoni [6]è possibile sintetizzare di seguito quali sono i nuclei concettuali che caratterizzano la stessa:
“… Il primo riguarda un diverso rapporto fra diritto e politica, in cui, a differenza di quanto sostenuto dal costituzionalismo giuridico, la politica precede, in senso assiologico, il diritto. … questa prospettiva impone una maggiore attenzione da parte dei costituzionalisti per la filosofia politica e, viceversa, più consapevolezza da parte dei filosofi politici dell’importanza della questione che attiene alla legittimità delle procedure decisionali
Il secondoriguarda il ruolo dell1a partecipazione politica e del disaccordo nel processo democratico. La legittimazione dell’autorità si fonda sulla capacità di trovare una risoluzione al problema del conflitto nonostante la presenza di un dissenso pervasivo
Il terzo nucleo, per certi aspetti il più caratterizzante, riguarda il modello istituzionale più adatto ad un costituzionalismo politico. Esso propone, fondamentalmente, il rigetto quasi totale del controllo giurisdizionale di costituzionalità e l’adozione di un neoparlamentarismocome assetto migliore per la tutela dei diritti e per il controllo degli altri poteri[7].
La citata dottrina, a ben vedere, oltre che porsi del tutto agli antipodi rispetto al più recente ed evoluto “costituzionalismo democratico” (nel cui solco è da collocare la nostra Carta fondamentale), sovverte ancor prima i connotati più peculiari di quello liberale classico. Ed infatti, per i teorici del costituzionalismo politico non esistono i “diritti”, tanto meno fondamentali:
“… “i diritti non sono briscole che mettono sotto scacco il bene comune perché essi hanno senso solo nella misura in cui contribuiscono ad esso e forniscono un ampio ventaglio di opportunità individuali per tutti i membri della comunità” … In quanto intrinsecamente politici, i diritti hanno bisogno di essere costantemente vigilati e protetti da processi politici
Inoltre, questa condizione rimanda al fatto che il dibattito pubblico sui diritti non può accettare una loro qualificazione come beni assoluti, poiché ciò contrasterebbe con l’idea che l’agire politico sia anzitutto mosso dalla volontà di trovare una conciliazione, per quanto temporanea, al conflitto fra diverse interpretazioni. Una cultura dei diritti eccessivamente legalistica rischia di ammantare le rivendicazioni personali di un atteggiamento fortemente atomistico, poco incline al compromesso…[8].
Insomma, in una simile visione tutti i possibili “diritti”, nessuno escluso (nonché la loro ipotetica tutela) sono rimessi dinamicamente alla competizione parlamentare del contingente momento storico: 
 “… Per i costituzionalisti politici la ragion pubblica assume connotati esclusivamente proceduralie … principalmente elettorali. In una società plurale e democratica, essa viene ad identificarsi, a livello istituzionale, nel parlamento e a livello procedurale, nei cicli elettorali. L’eguale partecipazione alla risoluzione dei problemi dell’agire collettivo viene garantita attraverso l’uguale diritto di voto per ciascuno e l’adozione del principio di maggioranza come unico strumento in grado di prendere realmente sul serio la partecipazione politica. Eguale partecipazione e principio di maggioranza sono elementi fra loro strettamente collegati[9].
Secondo tale costruzione teorica, di conseguenza, la Costituzione non si identifica con quel particolare testo normativo posto al vertice di un ordinamento giuridico né tanto meno contiene principi che si elevano al di sopra del processo politico (nel cui ambito, anzi, gli stessi devono essere rigorosamente attratti per esserne a sua completa disposizione).
Proprio sulla scorta dell’individuato paradigma teorico è possibile intendere alcuni passaggi contenuti nella Relazione e che, di primo acchito, ricordano (in maniera nemmeno tanto vaga) il metodo adottato e alcune argomentazioni addotte dall’attuale Governo italiano della neo-sinistra cosmetica per imporre prima la legge elettorale (c.d. Italicum) e poi la riforma costituzionale oggetto del prossimo referendumconfermativo. Si è edotti, infatti, del fatto che per la stessa “legittimità del sistema costituzionale” la revisione talvolta risulta necessaria “… al fine di migliorare la governance democratica o di adattarsi alle trasformazioni politiche, economiche e sociali(punto 5).
La Commissione insiste altrove sul concetto e, concedendo che vi siano buone ragioni per sostenere l’esistenza di Costituzioni rigide, ne indica altrettante in presenza delle quali allo stesso tempo dovrebbe esseredesiderabile” una loro formale revisione: “… Le ragioni principali includono: - la democrazia in senso tradizionale(regola della maggioranza); il miglioramento delle procedure decisionali; - l’adeguamento alle trasformazioni nella società (politica, economica, culturale); - la regolazione nella cooperazione internazionale; la flessibilità e l’efficienza nel processo decisionale” (punto 82).
Di seguito, e facendo proprio in maniera testuale il pensiero di un certo prof. Cass Robert Sunstein (un epigono del costituzionalismo neoliberista americano), la Commissione si preoccupa al fondo di esplicitare la vera funzione di una Carta fondamentale: … le Costituzioni liberali sono progettate per aiutare a risolvere tutta una serie diproblemi politici: tirannia, corruzione, anarchia, immobilismo, problemi di azione collettiva, l’assenza di deliberazione, la miopia, la mancanza di responsabilità, l'instabilità e la stupidità dei politici. Le Costituzioni sono multifunzionali. […] Il compito è di creare un governo che è pienamente in grado di governare” (punto 84).
E’ lo stesso prof. Sunstein, a questo riguardo, che si è impegnato a precisare in maniera romanzata il suddetto enunciato in un suo libro pubblicato nel settembre 2016 ed intitolato “Il mondo secondo Star Wars”. 
Il giurista americano, in particolare, utilizzando la trama ed i personaggi della nota saga fantascentifica, si è cimentato in alcune riflessioni sull’importanza che hanno istituzioni efficienti in un regime democratico. Premettendo che “Star Wars non è un trattato politico, ma ha certamente un messaggio di natura politica” e che “in fin dei conti contrappone un Impero e una Repubblica”, questo è resoconto: “… L’Imperatore Palpatine riesce a cumulare il potere solo grazie alle incessanti e assurde baruffe tra i membri del potere legislativo repubblicano (che esercita un indubbio fascino su alcuni americani del XXI secolo, costretti ad assistere agli stessi conflitti). Padmé aveva colto il problema: “Non sono stata eletta per vedere il mio popolo soffrire e morire mentre la vostra commissione dibatte su questa invasione”. E Anakin: “Ci vuole un sistema in cui i politici si siedano attorno ad un tavolo e discutano i problemi, stabiliscano cosa fare per il bene comunee poi agiscano”. Ma, ribatte Padmé, cosa fare se non ci riescono? “E allora” replica Anakin, “bisogna costringerli”…[10].
Il messaggio che trapela non potrebbe essere più cristallino: una Repubblica può trasformarsi in dittatura se le istituzioni non sono in grado di prendere decisioni per una efficiente risoluzione dei problemi. E non è per niente singolare, in proposito, che dopo la pubblicazione del libro, la grancassa mediatica italiana abbia ovviamente colto al volo l’occasione per trarne le conseguenze e riferire in modo grottesco che “anche il maestro Yoda di Sunstein voterebbe sì al referendum(!)” [11]. La guerra neoliberista, si sa, viene combattuta con ogni mezzo.
Ora, i ragionamenti contenuti nella Relazione della Commisione di Venezia e ricalcanti simili teorie non sono affatto da assumere come originali, dal momento che gli stessi si pongono in stretta continuità con il dibattito sulla governance” messo in circolazione dal neocapitalismo sovranazionale nel celebre “Rapporto sulla governabilità delle democrazie alla Commissione Trilaterale” del 1975 ove, invero, veniva già allora epigrafato che: “… Il funzionamento efficace di un sistema democratico necessita di un livello di apatia da parte di individui e gruppi. In passato ogni società democratica ha avuto una popolazione di dimensioni variabili che stava ai margini,che non partecipava alla politica. Ciò è intrinsecamente anti-democratico, ma è stato anche uno dei fattori che ha permesso alla democrazia di funzionare bene[12].
E’ a causa di tale format che nei decenni, tramite la ben collaudata tecnica della “doppia verità” veicolata dagli accondiscendenti carrarmati mass-mediatici, si è andato via via rafforzandoquel … fuorviante connubio tra logiche decisionistiche ed esaltazione della c.d. democrazia immediata, nellambito del quale la retorica del“primato della politica” è sempre di più servita a dissimulare una situazione in cui “la politica in realtà decide poco o nulla di ciò che veramente è rilevante, e se le si chiede un incremento di efficienza, tale efficienza finisce col risultare funzionale alla sollecita realizzazione di obiettivi e disegni di riforma definiti in altre sedi. Limpressione è, in realtà, proprio che ci sia una stretta connessione tra il trasferimento delle decisioni chiave ad istanze non responsabili (nella forma del dominio del mercato, o nella forma attenuata e neutralizzata del dominio della “tecnica) e la trasformazione – rectius la semplificazione, la banalizzazione – della democrazia parlamentare nella sua versione “maggioritaria” e ultracompetitiva”. La mitologia della governabilità risponde, infatti, nel complesso allidea di un buongoverno ex parte principis e non ex parte populi, poiché, propugnando un elevato grado di separazione e di auto-legittimazione dellapparato politico-istituzionale, mette in discussione la stessa teoria democratica e il suo posto nello Stato costituzionale. Al primato della Costituzione vengono così contrapposte, secondo necessità e nei termini di un logorante “processo decostituente”, l’onnipotenza della politica ovvero la preminenza della tecnica, in virtù di schemi organizzativi e di dispositivi di funzionamento tesi a veicolare la presunta neutralità e apoliticità delle decisioni tecniche e, specularmente, a dissimulare le valutazioni e le scelte politiche nascoste dietro la facciata della tecnica[13].
Per riassumere quanto sin qui esposto, ci tocca prendere atto che la funzione di un testo costituzionale sarebbe – nel fantascientifico teorema della Commission de Venise in salsa statunitense - quella di garantire (mediante le relative e imprenscindibili riforme ad hoc) il mito della “governabilitàil quale, si badi, finisce non a caso per coincidere in tutto con quello oligarchico-elitario della democrazia idraulica di Hayek, ovvero: un Paese può essere definito governabile, per €SSI, solo in quanto il risultato elettorale consenta di adottare decisioni già assunte. 
Di conseguenza,quanto più i “rozzi cittadini” vengano estraniatidalle decisioni che li riguardano, con l’affidamento del relativo potere decisionale alle élites di illuminati proprietari, tanto più un Paese risulterà governabile ed efficiente.

Non dovrebbe sfuggire, d’altro canto, come una tale distopia faccia parte di un fenomeno involutivo ben più complesso e che Lelio Basso lucidamente intercettò già negli anni ’40 allorché avvertiva che a livello planetario  
… il mondo capitalistico … procede verso forme monopolistiche e di alta concentrazione…” e che quanto più il fenomeno va avanti in modo accelerato [14]… tanto più diventa incompatibile con un regime democratico … Le forme democratiche possono sussistere, ma sono svuotate di ogni contenuto e di ogni reale efficacia, in quanto il potere politico tende ad identificarsi sempre più col potere economicoe ad essere sempre più espressione degli interessi dei pochi gruppi monopolistici … Questo processo, che si verifica in tutti i paesi capitalistici… si trova oggi coordinato su scala mondiale dalla guida dell’imperialismo americano che tende ad unificare il mondo, sia i paesi coloniali che i paesi a economia capitalistica, sotto una comune norma di sfruttamento…”.
Lelio Basso ne traeva le conseguenze adducendo che “… in ogni singolo paese politica internazionale (e cioè vincoli di subordinazione verso l’America e di inserimento nel “grande spazio” dello sfruttamento americano), politica economico-Sociale (tendente a favorire i gruppi monopolistici più forti e quindi, in via normale, quelli di portata internazionale, garantendone i profitti a scapito del tenore di vita dei lavoratori e dei ceti medi e a scapito dell’indipendenza delle piccole, medie e talvolta anche relativamente grandi imprese), e politica interna (tendente ad escludere le classi lavoratrici da ogni reale influenza sul potere e successivamente ad eliminare ogni serio controllo parlamentare e di opinione pubblica, asservendo i sindacati, la stampa, ecc.) sono in realtà tre aspetti di un’unica politica[15].

2.2 I limiti alla revisione costituzionale. Oltre le colonne d’Ercole.
La Commissione di Venezia offre però il meglio di sé allorquando teorizza sui “limiti” della revisione costituzionale. La tesi ci viene spiegata in termini paradossalmente “marxisti”, e cioè insistendo sul fatto che è la modifica della struttura economico-sociale che richiede il conseguente mutamento della sovrastruttura.
Una revisione costituzionale, più in generale, sarebbe perciò giustificata dal fatto che a volte le Costituzioni sono imposte da regimi politici al tramonto “… al fine di proteggere i loro interessi contro la volontà democratica dei loro successori …” e, anche nei casi in cui ciò non accade, comunque tutte le Costituzioni mature rifletterebbero “… non l’impegno della generazione presente, ma piuttosto quella delle generazioni precedenti. I critici hanno fatto notare che troppa resistenza alla revisione e alla riforma implica un principio democraticamente discutibile permettendo che la società sia "governato dalla tomba" (a volte mitizzata)lasciando che siano i "padri fondatori"… a determinare i problemi politici e le sfide di oggi” (punto 87). In definitiva, “non è possibileper i creatori di una costituzione creare un testo che è eterno, e che può servire la società attraverso i processi di sviluppo e trasformazione” (punto 83).
Fissata tale premessa metodologica, la Commissione di Venezia prende altresì atto non solo che la maggioranza delle Costituzioni moderne prevedono un “procedimento aggravato” per la loro revisione (diretto riflesso della loro “rigidità”), ma soprattutto che alcune parti delle stesse (disposizioni o principi) sono dichiarate non revisionabili, come sancito, per esempio, nel caso dell’art. 139 della Costituzione italiana (punti 206-208-211). 
Ebbene, tale fenomenologia non risulta per nulla ben accetta agli occhi dei giuristi di Venezia in quanto ci spiegano che “… Una democrazia costituzionale dovrebbe in linea di principio acconsentire ad una discussione aperta sulla riforma dei suoi più elementari principi e strutture di governo. Inoltre, fintanto che la Costituzione contiene regole severe in materia di revisione, allora questa fornirà normalmente una garanzia adeguata contro l’abuso e se la maggioranza, seguendo le procedure prescritte, vuole adottare la riforma, si tratta quindi di una decisione democratica che in generale non dovrebbe limitarsi ...” (punto 218). Anche in tale espressioni sembrano risuonare recenti e sinistre voci italiche.
I Commissari giungono pertanto all’apoteosi della loro “stellare” teoria allorché senza mezzi termini affermano che 
 “… Alla luce di quanto precede, i principi e concetti protetti dalle disposizioni non revisionabili dovrebbero, in una certa misura, essere aperti all'interpretazione dinamica. Concetti come "sovranità", "democrazia", "repubblicanesimo","federalismo" o "diritti fondamentali" sono tutti concetti che nel corso degli anni sono stati oggetto di continua evoluzione, sia a livello internazionaleche a livello nazionale, e correttamente dovrebbe continuare a essere così negli anni a venire .... Ad esempio, la nozione di "democrazia" e quella "principi democratici" non è intesa nel 21° secolo come lo era nel 19 ° o 20 ° secolo. Lo stesso vale per concetti come "sovranità" e "integrità territoriale"che, secondo il diritto internazionale in maggior parte europeo, assumono un significato diverso da quello che avevano solo pochi decenni fa” (punto 221).
La cavillosità formalistica del ragionamento si sviluppa in ulteriori passaggi alla stregua di corollari null’affatto innocenti, come quello secondo cui solo alcune disposizioni costituzionali (tra tutte quelle prese in rassegna dalla Commissione) sarebbero dichiarate espressamente non revisionabili – si veda sempre l’art. 139 della Costituzione italiana - mentre la maggior parte delle rimanenti non sono esplicitamente dichiarate tali (punto 222), e quello secondo cui, di conseguenza, “… Se non vi sono disposizioni speciali sulla inemendabilità, di solito può essere arguito che tutte le parti della Costituzione sono soggetti a possibili modifiche…” (punto 223). Sull’argomento, le conclusioni della Commissione sono lapidarie:
… La modifica costituzionale dovrebbe preferibilmente essere emanata con revisione formale … Quando sostanziali modifiche informali (non scritte) si siano sviluppate, queste preferibilmente dovrebbero essere confermate da successive modifiche formali” (punto 246). I principi fondamentali sono stati disattivati di fatto? Tanto vale ratificare sul piano formale tale “sviluppo”
Dovrebbe essere possibile discutere e modificare non soltanto le disposizioni costituzionali sul governo (cioè gli assetti istituzionali),ma anche disposizioni in materia di diritti fondamentali e tutte le altre parti della Costituzione (punto 248)
Principi e disposizioni di inemendabilità dovrebbero essere interpretati e applicati in modo restrittivo (punto 250)”.
Ora, l’analisi contenutistica della Relazione redatta dalla Commissione di Venezia (che, non bisogna mai dimenticare, è un organo ufficiale dell’UE) ci svela - in termini fenomenologici e qualora ve ne fosse ancora di bisogno – la natura pericolosamente regressiva di quest’istituzione €uropea dal volto buono.
L’ideologismo giuridico esaminato, e ritagliato in tutto “a misura di mercato”, dimostra infatti come i redattori della Relazione siano probabilmente contaminati, nella migliore delle evenienze, da un grave analfabetismo (non solo) giuridico di ritorno e, nella peggiore, da irresistibili e coscienti pulsioni reazionarie. Non è questa la sede né l’ambito per affrontare in profondità temi di diritto costituzionale ad elevata complessità tecnica che sarebbero aggravati altresì da approfondimenti comparatistici. Tutto ciò non impedisce tuttavia di inviare a quei redattori della Relazione (nonché alle loro altolocate “muse" anglosassoni) un’ideale cartolina sul significato e la funzione della nostra Costituzione, argomento i cui nuclei tematici sono stati già ampiamente approfonditi da Quarantotto nel corso di questi anni, ma che sinteticamente ripetuti in questa sede di certo non possono nuocere.

3. Brevi chiarimenti alla Commissione di Venezia ed allo “Jedi” Sunstein
Per comprendere la vera essenza della nostra Costituzione non possono essere ignorati alcuni presupposti storici ed economici che la precedono.
La Costituzione italiana, infatti, non si atteggia solo come un momento di soluzione contingente e transeunte rispetto agli avvenimenti della seconda guerra mondiale, dal momento che quest’ultima - con i suoi totalitarismi nazi-fascisti - ha rappresentato, a sua volta, la degenerazione dialettica di un problema ben più basilare che è quello riguardante gli assetti ed i conflitti della c.d. società capitalistico-borghese (laddove per borghesia deve intendersi la classe antenata del capitalismo moderno ed oggi globale finanziarizzato, detentrice dei mezzi di produzione latamente intesi ed ispirata alle teorie classiche dell’equilibrio economico e alle sue successive elaborazioni).
Lotta di resistenza, Assemblea Costituente e Costituzione sono, in tal senso, lo sviluppo logico di un unico processo che vide il Popolo italiano impegnato - in un raro e nobile momento di autocoscienza – nel tentativo di risolvere in modo definitivo quei conflitti pluridecennali.
In chiave storica, la Resistenza italiana non può perciò essere letta esclusivamente come opposizione eroica della comunità nazionale ad un particolare regime autoritario storicamente denominato “nazi-fascismo”

Una siffatta interpretazione, proprio per quanto sopra anticipato, sarebbe riduttiva e superficiale. Nella Resistenza italiana, di contro, si condensò soprattutto la volontà popolare di tagliare definitivamente i ponti con gli istituti politico-istituzionali del liberalismo economico-autoritario e del dominio di classe del capitalismo, per sostituirvi una società democratica che fosse improntata certamente sui diritti di libertà, ma che fosse basata ancor prima sui diritti sociali (c.d. di terza generazione) [16] e sulla perequazione economica di tutti i cittadini.
E’ Lelio Basso che meglio ci spiega senza equivoci il sentimento che animò i Resistenti: 
“… La lotta contro il fascismo condotta per un ventennio dalla classe operaia e dagli intellettuali di avanguardia, divenuta nel 1943 la lotta dell'immensa maggioranza del popolo italiano era una lotta per la conquista di un regime di democrazia. Anche se la nuova generazione, nata cresciuta ed educata sotto il fascismo non sapeva che cosa veramente fosse un regime democratico, che cosa veramente significasse democrazia, tutti coloro che combatterono veramente il fascismo, sapevano che essi combattevano per un rinnovamento totale, della vita italiana. Essi avevano tutti, almeno confusamente, una grande speranza nel cuore: che i mali di cui l'Italia aveva sofferto durante il fascismo avessero definitivamente a cessare e che una nuova fase si aprisse per la storia del nostro Paese. E poiché il fascismo era venuto sempre più svelandosi per un regime di dittatura e di oppressione poliziesca, di sfruttamento economicoe miseria, e infine di guerra, l'antitesi del fascismo appariva come un regime di vera libertà, DI PROGRESSO SOCIALE E BENESSERE ECONOMICO e di pace. Era questa, del resto, l'aspirazione comune alla grande maggioranza dei popoli d'Europa che nel corso di una generazione avevano conosciuto due guerre mondiali e, bene spesso, un regime di dittatura fra le due guerre …[17].
Ed ancora, “il sentimento più comune agli uomini della Resistenza fu certamente quello di un popolo chiamato a prendere in mano i propri destini… Ricostruzione dal basso, impegno e responsabilità di ciascuno per assolvere nel miglior modo il proprio compito, liquidazione definitiva del passato: questo fu il lievito della Resistenza… un altro, forse più profondo valore, fu conquistato quasi d’impeto in quei mesi: il senso della responsabilità personale, principio e fondamento di ogni vita democratica. Il fascismo aveva non solo soffocato colla costrizione esterna ogni forma democratica, ma, quel che è peggio, aveva cercato di soffocare e di spegnere nel conformismo, nell’indifferentismo o nell’ipocrisia, il senso dell’autonomia e della dignità individuali la coscienza che ciascuno deve avere del proprio diritto e dovere di scegliere, di decidere, di assumere delle responsabilità... il popolo sentì di nuovo la propria tremenda responsabilità, sentì che nessuno poteva rimanere estraneo o indifferente, sentì il dovere di impegnarsi per sé e per i figli, per i vicini e per i lontani, per il presente e per il futuro. Se la democrazia è la maturità dei popoli, la Resistenza è stata una vera scuola di democrazia… Il fascismo era stato dittatura tirannica, centralismo burocratico: l’Italia di domani avrebbe dovuto per contro sviluppare al massimo il senso dell’autonomia, delle autonomie locali e delle autonomie istituzionali, sbarazzarsi dei prefetti, della tutela burocratica, dell’accentramento statale. Il fascismo aveva introdotto dappertutto il comando, la gerarchia, l’autorità, aveva rafforzato enormemente il prepotere padronale nelle aziende, aveva degradato i lavoratori: l’Italia di domani avrebbe dovuto dare nuovo slancio all’organizzazione sindacale, alle lotte operaie, avrebbe dovuto soprattutto riaffermare la dignità dei lavoratori all’interno della fabbrica, farne dei soggetti coscienti dello sforzo produttivo, partecipi alla gestione delle aziende e alla responsabilità della produzione. Il fascismo aveva favorito scandalosamente i “padroni del vapore”, i grandi magnati dell’industria e della finanza, ne aveva moltiplicato i profitti a detrimento della condizione operaia, aveva imposto i patti di lavoro, aveva imposto i salari e gli stipendi, aveva aggravato e legalizzato lo sfruttamento: l’Italia di domani avrebbe dovuto essere invece l’Italia dei lavoratori, avrebbe dovuto assicurare a tutti nuove condizioni umane di vita, dare piena attuazione alle esigenze sociali dei tempi nuovi, spezzando il prepotere delle oligarchie finanziarie... 
Su questi punti essenziali: SOVRANITÀ E RESPONSABILITÀ DIRETTA DEL POPOLO, MASSIMO SVILUPPO DELLE AUTONOMIE, DEMOCRAZIA ANCHE SUI LUOGHI DI LAVORO, VASTE RIFORME SOCIALI, si può dire che vi fosse un orientamento comune delle più varie correnti, ed esso formava il contenuto di quella rivoluzione dal basso che era nell’animo di tutti ...[18].

A guerra conclusa, pertanto, la soluzione radicale a quei conflitti e la realizzazione delle aspirazioni della Resistenza non avevano bisogno di espedienti, bensì di soluzioni “… Si vuol sapere dove si va, perché e per chi si lavora e si patisce ancora. Sta bene un altro inverno di miseria, di freddo e di fame, ma poi? Che cosa ci attende? Ancora la vecchia società borghese più marcia di prima, ancora il vecchio mondo capitalistico più reazionario di prima, ancora la vecchia burocrazia, il vecchio stato, tutto il vecchio mondo più fascista di prima? QUESTO SI CHIEDE IL PAESE,QUESTO SI CHIEDONO LE MASSE che hanno lottato e sofferto per venti mesi, che hanno sopportato i più generosi sacrifici di sangue proprio perché il loro paese fosse finalmente libero, proprio perché il sudore loro e dei loro figli non servisse più ad impinguare una classe dirigente che aveva fatto così clamoroso fallimento[19].

Questi di seguito descritti sono infatti lo stato d’animo e le attese degli Italiani come riportati da Lelio Basso in quel particolare momento storico allorché si insediò la Costituente, momento eccelso di auto-identificazione primigenia del Popolo e di incardinazione di ogni futura legalità: “… oltre la situazione economica obiettiva, è da prendere in considerazione anche la situazione psicologica delle masse, tenute per molti mesi a freno nelle loro anche urgenti rivendicazioni, in vista della grande conquista politica della Repubblica e della Costituente. Non c’è dubbio che le masse, che a questo evento hanno sacrificato ogni altra richiesta, si aspettavano di ricavarne qualche miglior risultato per le proprie elementari esigenze di vita. Non per nulla su molti muri della penisola si sono viste delle grandi scritte con le parole “Pane, lavoro e Costituente o altre simili che associavano le rivendicazioni economiche a quelle politiche… Le masse si sono battute per la repubblica, ma per una repubblica che fosse effettivamente una conquista democratica, vigilante sulle necessità del popolo, e non uno strumento di difesa dei ceti privilegiati. La repubblica l’han fatta strappandola ad una formidabile coalizione di interessi che si era stretta intorno alla monarchia; come potrebbero non chiedere a questa repubblica che si preoccupi almeno di non lasciarle morire di fame? …[20].

L’Assemblea Costituente si assunse pertanto, portandolo egregiamente a termine, un preciso compito, quello di tradurre gli ideali della Resistenza in principiche avrebbero dovuto impedire una volta e per tutte all’Italia di rivivere in futuro le sofferenze causate da un sistema liberoscambista senza controlloe dedito in modo spietato allo sfruttamento illimitato della forza lavoro. Fu così che nel “tabernacolo” dell’Assemblea Costituente nacque la Costituzione italiana che decretò, si ribadisce, la sconfitta del nazi-fascismo, ma come uno dei tanti epifenomeni di rovine associate all’archetipo onnimercificante del liberalismo economico.
Ecco perché, nell’instaurare un ordine nuovo, il Popolo italiano aveva decretato che la sua sovranità (art. 1 Cost.) [21] in tanto avrebbe avuto veramente senso in quanto fosse stata finalizzata alla realizzazione dei diritti sociali (con il lavoro in primis, art. 4 Cost.) o, che è lo stesso, in quanto fosse stata diretta con ogni sforzo all’attuazione della democrazia sostanziale (art. 3, comma II, Cost.), cioè redistributiva e pluriclasse, il tutto veicolato da politiche di pieno impiego d’ispirazione keynesiana. Erano le nuove forze sociali e politiche organizzate (mediante i partiti e i sindacati) che si erano finalmente assunte l’impegno di elaborare – immettendosi nel circuito delle rinnovate istituzioni di governo – gli indirizzi politici, economici e sociali contrastanti con il ristretto interesse di una sola classe che tradizionalmente ha visto contrapposto il meccanismo di accumulazione della ricchezza al lavoro.

Tale è l’incontrovertibile essenza e ragion d’essere della Costituzione italiana, la cui funzione, quindi, è da ricercare non tanto nell’arida disciplina giuspositivistica delle “geometrie istituzionali” dello Stato-apparato e nella governance idraulico-sanitaria così predilette dagli €urordoliberisti americanizzati (interessati a svuotare del suo contenuto sociale le speranze della Resistenza), quanto quella di fissare i principi fondamentali nella costruzione dell’unità politica e nella realizzazione indefettibile dei fini che il Popolo sovrano si è incondizionatamente prefisso. I principi non sono “fondamentali” o “supremi” solo perché contenuti formalmente in disposizioni dal rango gerarchico sovraordinato, ma perché sottendono un COMPLESSO DI VALORI consensualmente posti a fondamento di una determinata società quali fattori giuridici di identità collettiva (e di progresso).
I principi supremi sono quindi la traduzione sul piano normativo di quel complesso di valori (= essenza e ragion d’essere della Costituzione) caratterizzato per la sua natura prenormativa, tanto che le norme contenenti principi/valori possono essere definite metanorme. Ciò non significa, come bene è stato sottolineato, che la lettura “per valori” della Costituzione determini “… l’emigrazione dal campo della indagine giuridica ed il necessario ingresso nell’incerto mondo della speculazione politico filosofica…”, ma è “… la conferma che anche i valori vogliono evocare il punto di arrivo del processo di crescitae di perfezionamento di una tradizione culturale che …si è tradotto in un progetto di civilizzazione dei rapporti umani attraverso il diritto ed i suoi paradigmi la cui irreversibilitàè attestata … dalle costituzioni europee…[22].

Insomma, per i principi supremi della Costituzione non vale la relazione “struttura-sovrastruttura” così come semplicisticamente (ed in modo più che interessato) vuol farci credere la Commissione di Venezia
La norma sulla normazione … è fonte stessa delle istituzioni (che sono regola organizzativa della società): non è mera fonte di "legittimazione" delle istituzioni, tipizzate in precedenza dall'assetto sociale, cioè dalla struttura pregiuridica. Quindi, il fenomeno normativo, in tale (unica) ipotesi, trascende la sua stessa ordinaria funzione di "dare regola stabile" all'assetto comunque precostituito, e dà una regola che determina l'assetto delle istituzioni e delle regole che esse possono produrre”, come pure è stato spiegato a più riprese da Quarantotto con il conforto di autorevoli basi dottrinali [23].
Di conseguenza, dovrebbe comprendersi perché quei “principi-valori supremi” contenuti negli artt. 1-12 della Costituzione (frutto della “diretta azione costituente del popolo[24]) ed alla luce dei quali vanno interpretate tutte le altre, non sono soggetti a revisione, sono cioè sottratti alla disponibilità del legislatore-potere costituito (nonché dell’interprete), come affermato dalla Consulta che ha fatto riferimento sul punto proprio ai principi che appartengono all'essenza dei valori supremi su cui si fonda la Costituzione italiana” o, ancora più sinteticamente, esprimendosi in termini di “valori primari dell'ordinamento[25].

Nel delirio avvolto dal relativismo etico-morale e dal realismo mercatistico, alla Commissione di Venezia non potrebbe ovviamente essere richiesto di andare al di là della concezione di un mondo del tutto reificato.
A questo punto, però, un’ultima ed inquietante domanda si pone a valle dell’intero discorso che potrebbe aprire scenari veramente inauditi: nel caso in cui il virus incubato nelle pieghe della Relazione veneziana dovesse manifestarsi con i suoi distruttivi sintomi neo-ordoliberisti, saprebbe oggi il Popolo italiano opporre i necessari anticorpi?
__________________________
[3] http://orizzonte48.blogspot.it/search?updated-max=2016-08-30T13:11:00%2B02:00&max-results=6&start=15&by-date=false; http://orizzonte48.blogspot.it/2016/08/ventotenes-vaudeville-la-penosa-agonia.html
[5] Il testo, solo in lingua inglese, è reperibile all’indirizzo http://www.venice.coe.int/webforms/documents/default.aspx?pdffile=CDL-AD(2010)001-e
[7] Così M. GOLDONI, Cos’è il costituzionalismo politico?, 2-3, reperibile all’indirizzo http://www.dirittoequestionipubbliche.org/page/2010_n10/3-05_studi_M_Goldoni.pdf.
[8] Così M. GOLDONI, op.cit., 10-11
[9] Così M. GOLDONI, op.cit., 14
[10] Così C. R. SUNSTEIN, Il mondo secondo Star Wars, EGEA, Milano, 2016, 117 e 119
[12] La crisi della democrazia, Rapporto sulla governabilità delle democrazie alla Commissione Trilaterale, Franco Angeli, Milano, 1977, 109, reperibile all’indirizzo http://www.mauronovelli.it/La.crisi.della.democrazia_HUNTINGTON.pdf.
[13] Così E. OLIVITO, Le inesauste ragioni e gli stridenti paradossi della governabilità, 9-10, su Costituzionalismo.it, reperibile all’indirizzo http://www.costituzionalismo.it/articoli/543/
[15] L. BASSO, Ciclo totalitario III, in Quarto Stato, 1-31 luglio-15 agosto 1949, 3-6
[16] Si veda L. BARRA CARACCIOLO, Euro e(o) democrazia costituzionale, Roma, 2013, 53 e ss.
[17] L. BASSO, La relazione Basso sulla lotta socialista per la democrazia, Avanti, 14 dicembre 1947
[18] L. BASSO, Il principe senza scettro, Milano, 1958, 90-93
[19] Così L. BASSO, Due Totalitarismi - Fascismo e Democrazia Cristiana, La liberazione, Milano, 1951
[20] Così L. BASSO, Due Totalitarismi, cit., La Repubblica
[22] Così R. NANIA, Principi supremi e revisionecostituzionale (annotazioni sulla progressione di una controversia scientifica), 8, reperibile all’indirizzo http://www.nomos-leattualitaneldiritto.it/wp-content/uploads/2016/03/R-Nania-Principi-supremi-e-revisione-costituzionale.pdf
[24] Così R. Nania, op. cit., 5
[25] Corte Costituzionale sentenze nn. 1146 del 1988 e 35 del 1997

LA RICOSTRUZIONE POST TERREMOTO NELL'ERA DELL'EURO: USER'S GUIDE

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https://i2.wp.com/carlasalemusio.blog.tiscali.it/files/2011/06/doppio-paesaggio1.jpg
Dopo il terremoto di fine agosto, per alcune settimante, al di là della giaculatoria mediatica in diretta no-stop e alla ricerca del "caso umano", qualche interrogativo sulla ricostruzione era stato posto: oggi, non è più all'ordine del giorno.
Parrebbe, a leggere i giornali, che dipenda dall'€uropa. 
Moscovici, l'altro ieri, ha "aperto" alla flessibilità per il terremoto (tra l'altro), rammentando che la "flessibilità"è solo un'attenuazione controllata e modesta della dose aggiuntiva "dovuta" di austerità: ma si tratta, a stare ben attenti alla vaghe frasi riportate, di una concessione, oltre che di entità limitatissima (rispetto alle esigenze effettive di teorica ricostruzione), postulata come una tantum (cioè potrà valere, allo stato, per il prossimo esercizio fiscale, non potendo estendersi all'orizzonte temporale connaturato a un intervento strutturale che possa dirsi di ricostruzione)
Ed è del tutto ovvio che sia così, dato che l'€uropa, della pace e della solidarietà tra i popoli, considera legittima, in occasione delle grandi calamità, essenzialmente la spesa pubblica di primo intervento (coperte, cibo, allestimento di tendopoli, riparazione di infrastrutture essenziali e spese correlate). 
A tale titolo, oltretutto, è utile rammentarlo, si attinge a un esiguo fondo che vale per tutta l'UE e che viene distillato con parsimonia occhiuta (nella maggior parte dei casi, i fondi sono stati rifiutati al nostro paese, come vedrete); e questo, laddove l'Italia è un contribuente netto e, ove non vi fosse l'obbligo di contribuzione al bilancio UE, avrebbe comunque a disposizione in media circa 6 miliardi in più all'anno di fondi pubblici (e la totalità della sua ben maggiore contribuzione totale, in termini di libertà di finanziare politiche del territorio di interesse pubblico effettivo, ove non dovesse seguire i bizzarri programmi di impiego, - in cofinanziamento!-, dei fondi europei).
L'articolo che segue è il sunto, redatto appositamente per i lettori del blog, che Sofia ha fatto di un più vasto articolo di rassegna della legislazione, italiana ed europea, in materia di protezione civile e interventi (teorici, ma a condizioni sempre più restrittive) di "ricostruzione". 

La ringraziamo per la chiarezza con cui ha esposto un intricata storia di norme che, tra le righe, hanno progressivamente affermato un principio: qualsiasi intervento si fa a risorse invariate. La "prevenzione"è una funzione informativa svincolata da ogni intervento pubblico di ordine strutturale; il "primo intervento"è contrassegnato da limiti invalicabili di scarne risorse già stanziate; la ricostruzione, in qualsiasi accezione la si voglia concepire, è soggetta alla facoltatività di future leggi che, comunque, devono essere finanziate tagliando altra spesa sociale. Qualunque altra voce di spesa sociale. 
Il resto sono chiacchiere... 

L’Italia, le calamità naturali ed effetti dei vincoli europei sulla ricostruzione.
  
    1. L’Italia e i rischi di calamità naturali.
L’Italia è un paese in cui esiste il rischio elevato di calamità naturali, di natura sismica e alluvionale. Si stima che il 67% dei comuni italiani sia collocato in zona sismica, il 50% delle imprese in aree a pericolo di frane e alluvioni e due milioni di persone vivono in aree ad alto rischio vulcanico.
Su 57 milioni di italiani, insomma, oltre la metà vive in zone a rischio. 

Secondo quanto riferito dal World Risk Report 2016, l'Italia è tra i Paesi a più alto rischio in Europa e si trova al 119° posto di una classifico mondiale (seguita da Usa al 127° posto, Regno Unito al 131°, Germania al147° e Francia al152°).
La stessa Commissione europea, conferma che il numero degli eventi (ben 36 di grandi dimensioni negli ultimi cinquant’anni), è superiore al doppio della media degli stessi calcolata nel resto dei Paesi comunitari (ulteriori dati sono riportati anche nel Libro verde sull’assicurazione contro le calamità naturali e antropogeniche del 2013).
Questi dati sono considerevoli non soltanto per gli effetti disastrosi che ad essi, inevitabilmente, si associano, per gli effetti sulle popolazioni ivi esistenti, per lo sviluppo economico (necessariamente limitato o condizionato) di quelle stesse aree, per la normativa da applicare e da emanare, ma sono significativi anche nell’ottica di una necessaria programmazione e strategia di sviluppo che il Paese dovrebbe attuare. O almeno sarebbero rilevanti nella misura in cui ciascun Paese mantenesse la propria libertà di manovra fiscale e di scelta delle politiche da attuare, e nella misura in cui mantenga la propria sovranità monetaria e, con essa, la libertà di finanziare i propri impegni di spesa tesi a prevenire quegli eventi oppure ad arginare o a porre rimedio agli effetti negativi prodotti dalle calamità naturali una volta che siano note le caratteristiche strutturali, geomorfologiche e sismiche dei suoli.
Purtroppo però, questa libertà risulta fortemente limitata e condizionata dall’adesione dell’Italia alla moneta unica e all’UE, con la conseguenza che, non solo (come del resto emerge dallo stato di cose) non vi sono risorse sufficienti per poter attuare idonei piani di sviluppo, né di adeguata manutenzione del territorio anche a fini di prevenzione, maè pressoché impossibile reperire risorse aggiuntive per fronteggiare il post-calamità se non togliendole da quanto è necessario a sostenere altri servizi essenziali o aumentando l’imposizione.
Che questa sia la situazione che si viene a determinare in conseguenza del rispetto dei rigidi vincoli dei Trattati, ormai non stupisce neanche più, anche perché quegli stessi Trattati, nell’ottica prevalente di eliminare qualsiasi elemento che possa agevolare uno Stato membro rispetto ad un altro nella libera concorrenza dei mercati, mostrano un totale disinteresse - ad eccezione di meri obiettivi ed interventi di natura cosmetica -  nei riguardi delle differenze territoriali, morfologiche, strutturali e sismiche e che pure (necessariamente) incidono sugli equilibri concorrenziali.
Sostanzialmente l’UE non solo detta disposizioni uguali per tutti i Paesi dell’area senza tenere conto delle suddette differenze, ma nel limitare la sovranità degli Stati (e privandoli della sovranità monetaria) ed imponendo agli stessi specifici limiti al deficit di bilancio, non consente a questi stessi Stati di recuperare competitività (termine usato assiduamente dall’UE – in luogo di un termine che sarebbe più corretto, ossia “equilibrio”) attraverso specifiche ed adeguate politiche economiche di sostegno, così aggravando le situazioni di disparità già implicite nella maggiore soggezione ad eventi calamitosi di alcuni paesi rispetto ad altri.

     2.   Evoluzione normativa nel settore delle calamità naturali in Italia.
Nel ripercorrere la regolamentazione nazionale della materia e la sua evoluzione nel tempo si evince che, se è vero che questa mancava di una certa organicità e completezza, occupandosi, ad esempio, solo della fase emergenziale, trascurando sia la fase di prevenzione che di ricostruzione susseguente ad un evento calamitoso, queste stesse fasi erano poi supportate da norme ad hoc.
Soprattutto, poi, quelle stesse fasi potevano essere attuate attraverso una libertà di iniziativa politico-economica del Paese la cui efficacia era tanto maggiore quanto più era sorretta da una ideologia politico-culturale caratterizzata dalla volontà di andare oltre l’evento calamitoso, cogliendo finanche l’occasione per riportare benessere e sviluppo nelle zone colpite (contrariamente a quanto avverrebbe oggi dove ogni ipotesi di ricostruzione è sempre adombrata da supposizioni di probabili infiltrazioni criminali e corruzione, nonché sprechi di risorse pubbliche).   
Non è un caso, quindi, che la prima normativa organica, la legge 473/1925, preveda che il soccorso alle popolazioni colpite da eventi calamitosi venga delegato al Ministro dei LL.PP e al suo braccio operativo rappresentato dal genio civile, con il concorso delle strutture sanitarie.
Si susseguono diverse leggi, ma soltanto con la legge 24 febbraio 1992, n. 225, viene istituito il Servizio Nazionale della protezione civile, con l'importante compito di "tutelare la integrità della vita, i beni, gli insediamenti e l'ambiente dai danni o dal pericolo di danni derivanti da calamità naturali, da catastrofi e da altri eventi calamitosi".
Rispetto alla disciplina precedente, prevalentemente incentrata a supplire alla situazione emergenziale che si veniva a determinare in conseguenza di un evento calamitoso, l’attività della protezione civile è ora impostata su quattro linee fondamentali: previsione; prevenzione; soccorso; superamento dell’emergenza.
Anche questa norma subisce gli effetti di una legislazione che cambia nel tempo, sino ad arrivare alla riforma Monti (con il D.L. 59/2012) che modificala legge sulla protezione civile, improntandola interamente sulla "neutralità di bilancio" e sulla copertura -a legislazione vigente- senza ulteriori oneri di bilancio.
Innanzitutto, quanto alle competenze (previsione; prevenzione; soccorso; superamento dell’emergenza) benché la norma sembri conferire maggiori poteri alla protezione civile, in verità, quanto a previsione e prevenzione, si occupa di aspetti solo marginali.
Come si evince dall’art. 3 infatti, la previsione consiste nelle attività (con l’ausilio di soggetti scientifici e tecnici competenti in materia) dirette all'identificazione degli scenari di rischio probabili, al preannuncio, al monitoraggio, alla sorveglianza e alla vigilanza degli eventi e dei conseguenti livelli di rischio attesi. Mentre l’attività di prevenzione consiste nelle attività volte a evitare o a ridurre al minimo la possibilità che si verifichino danni conseguenti a eventi catastrofici.
La stessa norma, inoltre, chiarisce che la prevenzione si esplica in attività non strutturali(concernenti l'allertamento, la pianificazione dell'emergenza, la formazione, la diffusione della conoscenza della protezione civile nonché' l'informazione alla popolazione e l'applicazione della normativa tecnica, ove necessarie, e l’attività di esercitazione), quindi resta inteso, laddove ve ne fosse bisogno, che la vera e propria attività di prevenzione, intesa nel senso di attività in grado di limitare al massimo i danni conseguenti al verificarsi di un evento naturale, resta di competenza degli enti territoriali, attraverso le proprie risorse finanziarie. Anzi, l’art. 3 comma 7, specifica che alle attività suddette le amministrazioni competenti provvedono nell'ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili.
La Protezione civile, quindi, al di là di attività di studio di dati e messa a disposizione di risorse competenti quanto all’attività di previsione e prevenzione, svolge i propri compiti più delicati nell’attività tesa al superamento dell’emergenza nel caso in cui vi sia una dichiarazione di stato di emergenza e quindi a fronteggiare l’emergenza nei primi 180 giorni (oltre ad ulteriori 180 se necessario).
Questa attività della protezione civile è finanziata con le risorse di cui al “Fondo per le emergenze nazionali” (che opera unitamente a un Fondo per la protezione civile, e a un Fondo di riserva per le spese impreviste) con provvedimenti emanati ad hoc  ma pur sempre entro i limiti delle risorse finanziarie disponibili.
L’inderogabilità dei limiti delle risorse finanziarie disponibiliè ribadita anche con riferimento alla realizzazione di lavori e servizi da effettuarsi subito dopo la scadenza della dichiarazione dello stato di emergenza e a tal fine la Regione può elevare la misura dell'imposta regionale sulla benzina fino a un massimo di cinque centesimi per litro, ulteriori rispetto alla misura massima consentita.
Così come è previsto che i Fondi su visti debbono essere reintegrati con riduzione delle voci di spesa indicate nell'elenco allegato alla legge 225 (e si tratta delle voci di spesa di competenza di ciascun Ministero, la cui riduzione, quindi, si riduce in riduzione di spesa per altri specifici servizi pubblici di competenza dei Ministeri stessi: sanità, istruzione ecc). 
Sostanzialmente, quindi, non è previsto che ad una situazione di emergenza si supplisca con risorse aggiuntive:può essere fronteggiata solo con risorse già stanziate ed introdotte nel bilancio previsionale, attraverso la sottrazione di quelle stesse risorse ad altri servizi con modifiche degli obiettivi del patto di stabilità interno, tali da garantire la neutralità in termini di indebitamento netto delle pubbliche amministrazioni. 
Oppure la reintegra dei Fondi deve avvenire con maggiori entrate (aumento dell'aliquota dell'accisa sulla benzina e sulla benzina senza piombo, nonche' dell'aliquota dell'accisa sul gasolio usato come carburante).
In ogni caso è evidente che la "ricostruzione"è esclusa da ogni intervento pubblico, "a legislazione vigente". 
Così che ogni eventuale attribuzione di fondi pubblici per danni individuali privati è soggetta a future ed eventuali "disposizioni legislative specifiche" che, però, come risaputo, anche in base all'art.81 Cost., devono avvenire senza nuovi oneri per lo Stato o con copertura su altre voci di spesa (o con nuove entrate tra cui, come si è visto, l'accisa aggiuntiva sui carburanti).
Se si guarda al passato infatti, per la ricostruzione, si sono succedute specifiche norme: il Decreto legge 6 giugno 2012, n. 74, ad esempio è intervenuto per il sisma in Emilia Romagna, ed il “Fondo per la ricostruzione delle aree colpite dal sisma del 20-29 maggio 2012” è stato costituito da risorse provenienti dall'aumento, dell'aliquota dell'accisa sui carburanti, da risparmi ottenuti in altri settori (risparmi da taglio del finanziamento ai partiti e provenienti da spending review), dal Fondo di solidarietà dell'Unione Europea (si tratta di risorse solo eventuali), da ulteriori risorse cui può provvedersi mediante corrispondente riduzione delle voci di spesa indicate nell'elenco allegato alla legge 24 febbraio 1992, n. 225.

     3.   Tentativi di introduzione delle assicurazioni volontarie/obbligatorie.
Le principali problematiche che, ovviamente, attengono agli eventi calamitosi sono il reperimento delle risorse economiche necessarie a sostenere i costi di tutte quelle opere che dovrebbero avere l’effetto di eliminare o limitare i danni alle popolazioni in conseguenza di una calamità naturale.
Probabilmente proprio a causa della difficoltà di reperire le risorse in quegli anni (nei quali il debito pubblico era salito a livelli vertiginosi in conseguenza dell’adesione allo SME e del divorzio tesoro-banca d’Italia) in successione, sia durante il Governo Amato (giugno 1992) che quello Ciampi (aprile 1993) vengono avanzate delle proposte di legge tese ad introdurre forme di assicurazione obbligatoria, per loro natura imposte ex ante, per far fronte a simili eventi, sull’onda della propagandata idea (alimentata da Tangentopoli che esplode in quegli stessi anni) che nella ricostruzione (e nell’utilizzazione delle risorse pubbliche) potessero infiltrarsi associazioni malavitose, che la spesa pubblica, soprattutto se attuata attraverso interventi a pioggia e con (presunti) inadeguati controlli, desse luogo a forme di sostegno inefficienti.
È così che il primo disegno di legge (1164/93), riproposto l’anno successivo (800/1994), prevedeva l’istituzione di un Fondo per l’assicurazione dei privati alimentato da una addizionale obbligatoria all’ICI dell’1% riscossa dai comuni chiamati a stipulare per i cittadini una polizza con un consorzio assicurativo obbligatorio. 
Si susseguono diversi progetti di legge negli anni, con i quali si ripropone l’introduzione dell’assicurazione obbligatoria (nel 1996, nel 1999, nel 2001,nel 2004 e 2005, nel 2009 su pressione del Consiglio nazionale dei geologi, nel 2012 prima nel D.L. Sviluppo e poi con Monti nel D.L. 59/2012, nel 2014, conRenzi, e infine nel 2016 la proposta viene rilanciata da Brunetta) a cui si aggiungono anche le proposte in tal senso dell’ANIA (nel 2013 e nel 2016), che fa riferimento alle raccomandazioni dell’OCSE.
Secondo l’ANIA, si tratterebbe della soluzione più efficace, come suggerito dall’OCSE, perché incentiverebbe implicitamente comportamenti virtuosi, ovvero l’adozione di misure preventive e di riduzione del rischio, comporterebbe risparmi della spesa pubblica.
Ovviamente non potevano mancare le richieste della Commissione Europea (in relazione anche alla Direttiva 2007/60/CE). Nella Comunicazione della Commissione al Parlamento Europeo del 23 febbraio 2009 la Commissione chiarisce che in occasione del riesame di talune disposizioni legislative, “dovranno essere considerati maggiormente i vincoli legati alla gestione dei rischi di catastrofe. Ci si riferisce in particolare alla direttiva VIA sulla valutazione dell'impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati, alla direttiva SEVESO sui rischi tecnologici e le disposizioni relative alle norme tecniche di costruzione antisismica”
Il Libro Verde della Commissione Europea del 16/04/2013 sull’assicurazione contro le calamità naturali ed antropogeniche riconosce la necessità di aumentare la penetrazione sul mercato delle assicurazioni contro le catastrofi naturali e di “…..sviluppare appieno le potenzialità dei premi delle assicurazioni e di altri prodotti finanziari per la sensibilizzazione sulla prevenzione e l’attenuazione dei rischi e per la resilienza a lungo termine degli investimenti e delle decisioni commerciali”.
Sono significativi, inoltre, alcuni passaggi della Relazione del 6.1.2014sull'assicurazione contro le calamità naturali e antropogeniche (Proposta Di Risoluzione Del Parlamento Europeo) nei quali si dà atto chela situazione del mercato assicurativo dell'UE è eterogenea, a causa del fatto che gli Stati membri sono esposti a rischi e catastrofi naturali diversi, e che la prevedibilità di una catastrofe naturale dipende da svariati fattori (meteorologici, idrologici, geofisici, ecc.); che, ovunque si producano, le calamità naturali e antropogeniche costituiscono un rischio finanziario.
Quindi ogni intervento statale per far fronte alle calamità naturali è visto con disapprovazione perché va ad incidere su posizioni di mercato in cui la situazione di equilibrio concorrenziale (da questo specifico punto di vista) è mantenuta dei diversi eventi calamitosi che colpiscono più o meno tutti gli Stati.
Ed infatti nella relazione si conclude sostenendo che non esiste alcuna distorsione di mercato che giustifichi un intervento neppure a livello europeo.
Conseguentemente si richiede agli Stati membri e alle autorità pubbliche di adottare adeguate misure di prevenzione al fine di attenuare le conseguenze delle calamità naturali.
Quindi, proprio perché gli Stati vengono considerati nell’ambito dell’UE solo alla stregua di meri competitors (piuttosto che come delle collettività di persone), purchè non si determinino situazioni che possano incidere sulle propensioni concorrenziali, la spinta delle istituzioni europee verso l’introduzione di assicurazioni private obbligatorie (in luogo di aiuti di stato o spesa pubblica eccessiva) per ripagare i danni susseguenti a calamità naturali è molto forte (e fa leva sugli esempi di paesi che tale assicurazione hanno già introdotto: Stati Uniti, Francia, Spagna,  Norvegia, Ungheria, Regno Unito).

Al di là di quelle che sono le soluzioni adottate dai vari Paesi, comunque, il ricorso alle assicurazioni è l’altro lato della medaglia costituito dall’intervento pubblico da operarsi in pareggio di bilancio. La "guerra" fra settori economicamente deboli, per contendersi le scarse risorse pubbliche, viene cioè innnescata automaticamente a ogni evenienza disastrosa.
In tutti i casi in cui si pensa di sostituire all’intervento dello Stato, delle pseudo forme assicurative private, si dimostra una certa miopia nella visione d’insieme se queste stesse assicurazioni non sono accompagnate anche da politiche di sostegno statali dell’economia e, soprattutto, del lavoro.
In situazioni di crisi economica, di stagnazione dell’economia, di bassi salari, nella migliore delle ipotesi, si finisce per aggravare la situazione reddituale dei privati su cui finiscono per gravare anche le polizze assicurative; nella peggiore delle ipotesi, coloro che non stipulano alcuna assicurazione perché non se lo possono permettere, rischiano di perdere anche un bene essenziale come la casa senza vedersi assegnato alcun contributo statale.
Ed anche se, a prima vista, parrebbe che la ricaduta degli effetti degli eventi catastrofici avvenga solo sui privati, il venir meno di una importante forma assistenziale cui lo Stato è costituzionalmente preordinato non solo viola specifici principi costituzionali, ma finisce per avere innegabili effetti sulla gestione dello Stato stesso, quanto a perdita di posti di lavoro, di imprese e produttività e, conseguentemente, di entrate fiscali.

     4.   I fondi comunitari.
Sono in molti a ritenere che importanti fonti di finanziamento, in caso di eventi naturali, si possano reperire attraverso l’UE attraverso il ricorso al Fondo di Solidarietà dell'Unione Europea (Fsue) istituito con regolamento (CE) n. 2012/2002, dell'11 novembre 2002, e allo Strumento Finanziario per la Protezione Civile (Sfpc).
Si ritiene che queste misure finanziarie siano espressione della dimensione sociale assunta dall'Unione, in base alla clausola di solidarietà, introdotta dal Trattato di Lisbona nell'art. 222, 1 co.,Tfue, secondo cui “l'Unione e gli Stati Membri agiscono congiuntamente in uno spirito di solidarietà qualora uno Stato Membro... sia vittima di una calamità naturale o provocata dall'uomo”.
In base alla normativa Europea attuativa il Fondo di Solidarietà interviene in caso di rilevanti calamità con un unico e complessivo finanziamento, concepito e quantificato come complementare rispetto agli impegni di finanza pubblica gravanti sullo Stato che deve utilizzarlo per operazioni di prima emergenza.
Tra i vari presupposti per poter usufruire dei fondi, deve essere dimostrata l’esistenza di profonde e durature ripercussioni sulle condizioni di vita e la stabilità economica.
Questo significa, per la Commissione, un impatto negativo diretto sulla popolazione, ad esempio la sistemazione durevole in alloggi provvisori, l’indisponibilità durevole delle normali infrastrutture (acqua, elettricità, principali infrastrutture di trasporto, telecomunicazioni, ecc.), pericoli durevoli per la salute.
Non possono essere considerati, invece, i danni indiretti come ad esempio le perdite in termini di reddito e produzione dovute all’interruzione delle attività economiche (stipendi, ricavi delle società, cancellazioni nel settore turistico), i contributi ridotti al sistema di previdenza sociale e la perdita di raccolti futuri (mentre sono accettati i raccolti presenti andati distrutti).
L'accantonamento effettuato per tale Fondo, a copertura delle eventuali richieste, è di circa un miliardo di euro per anno; cifra che si rivela insufficiente dal momento che a fronte di danni, subiti in Italia, stimati in oltre 10 miliardi di euro (in circa un decennio) il Fondo di Solidarietà ha erogato un contributo di 493 milioni.
L’ultima erogazione avvenuta in favore dell’Italia è quella per l’alluvione del 2014 (beneficiarie Emilia Romagna, Liguria, Lombardia, Piemonte e Toscana),  per un importo di 56 milioni.
In definitiva, queste risorse finanziarie, sono certamente un valido supporto in caso di eventi catastrofici, ma non possono essere ritenute determinanti e non solo per l’entità esigua in rapporto ai danni solitamente conseguenti a questi eventi, ma anche per le condizionalità sulla cui base vengono erogate, i tempi  di erogazione piuttosto lunghi, nonostante le risorse siano destinate a fronteggiare la prima fase di emergenza, i numerosi parametri da rispettare e la documentazione da fornire (tanto che l’Italia ha inoltrato 10 domande per utilizzare il FSUE: 8 volte per catastrofi regionali straordinarie e due volte per catastrofi naturali gravi.Di queste 4 sono state accolte e sei respinte).

5.   Aiuti di Stato
Qualunque misura che finisca per impattare sulla dimensione economica dell'Unione, incidendo sulla concorrenza e sul mercato, pone innanzitutto dei problemi di compatibilità con il divieto di Aiuti di Stato anche se l’art.107 Tfue preveda come legittimi “gli aiuti destinati a ovviare ai danni arrecati dalle calamità naturali oppure da altri eventi eccezionali” (lett. b, 2 co.).
Nonostante questa chiara disposizione, alcuni interventi operati dall’Italia in conseguenza di calamità naturali sono stati oggetto di indagine da parte della Commissione Europea perché non obbligavano le imprese a dimostrare di avere subito un danno, contestandosi che le stesse ricevessero contributi per il solo fatto di ricadere in un’area nella quale si era verificata la calamità naturale.
In conclusione, secondo la Commissione, tutto ciò ha conferito alle imprese italiane un indebito vantaggio economico rispetto alla salvaguardia della concorrenza e del mercato interno, dando corpo ad Aiuti di Stato incompatibili.
Ed in generale tutte le misure di sviluppo che promuovono la crescita economica nel medio-lungo termine, favorendo gli incrementi reddituali delle imprese risultano vietati perché incompatibili con il mercato interno.
A ciò devono aggiungersi ulteriori profili di criticità circa la possibilità di ricorrere agli aiuti di Stato: la nozione di calamità, che le istituzioni Europee tendono a delimitare e contenere, mentre gli Stati Membri tendono ad ampliare; l’ampia discrezionalità di cui gode la Commissione nel ritenere compatibili o meno gli aiuti di Stato.

    6.   Considerazioni conclusive sull’intervento pubblico.
In conclusione, destinare risorse pubbliche, adeguate alla dimensione del danno socio-economico effettivo, alla ricostruzione post evento, è impresa difficile, se non impossibile (a meno che non vi sia una diversa distribuzione di risorse già stanziate).
A ciò si somma l’idea diffusa nell’opinione pubblica che le risorse da destinare alla ricostruzione post evento siano troppo facilmente accessibile a faccendieri e corrotti, con conseguente sperpero di risorse, con conseguente alimentazione dell’idea di introdurre le assicurazioni obbligatorie.
Eppure, studiosi di varia estrazione, concordano nel ritenere che un disastro naturale non solo può rappresentare un fattore di sviluppo nel medio-lungo termine, ma esso si pone anche come indicatore di una identità collettiva, misurando la capacità di risposta dello Stato colpito.
Laddove lo Stato colpito dal disastro risulti capace di rispondere, determinerà in quelle stesse zone occasioni di sviluppo, cambiamento ed innovazione, per cui la capacità di rispondere si pone anche come chiave di lettura per valutare l'effettività/efficienza della leadership istituzionale e delle misure finanziarie adottate.
Così che diventa essenziale focalizzarsi non solo sulla reazione immediata per fronteggiare il disastro, ma anche su la reazione di medio-lungo termine, che si configura come vero e proprio indicatore della efficienza e della capacità d'innovazione dello Stato colpito.
A tale proposito il prof. Roger Pielke, pubblicava un grafico ricavato dai dati del Munich Re e dell‘ONU , nel quale si evince che le perdite economiche dovute ai disastri naturali di origine meteorologica, rapportati al PIL, appaiono in costante diminuzione.


Ovviamente, i costi provocati dai danni di un disastro naturale dipendono quasi sempre dalle condizioni economiche antecedenti all’evento catastrofico.
Alcuni economisti hanno analizzato le interazioni tra fluttuazioni economiche e disastri naturali appoggiandosi all’EnBC (Endogenous Business Cycle) utilizzando il Non-Equilibrium Dynamic Model (NEDyM) di Hellgate (2008), evidenziando che le perdite complessive dovute ad un disastro naturale dipendono fortemente dalla fase in cui si trova il business cycle al verificarsi dell’evento: il costo può essere minimo quando l’economia si trova in uno stadio recessivo, mentre è massimo (arrivando al 3% del PIL) quando avviene in una fase di grande espansione economica, quando il tasso di crescita è attorno al suo livello massimo.
Hellgate, inoltre, aveva dimostrato anche che i dati sono fortemente influenzati dalla flessibilità degli investimenti.
Se la flessibilità è nulla, l’economia non riesce a reagire ai danni che subisce per la difficoltà di aumentare gli investimenti per la ricostruzione, e la perdita totale di Pil si aggira attorno allo 0,15%.
Quando gli investimenti possono rispondere agli stimoli di profittabilità senza destabilizzare l’economia, ossia quando il coefficiente di flessibilità è inferiore a 1,39 ma non nullo, allora quest’ultima può rispondere positivamente allo shock di capitale produttivo generato dall’evento catastrofico.
Se il coefficiente di flessibilità è uguale a 1 la perdita di Pil si aggira attorno allo 0,01%, grazie alla migliore flessibilità degli investimenti.
Quando il coefficiente di flessibilità è maggiore di 1,39 l’economia subisce gli effetti dell’Enbc (endogenous business cycle), rischiando di trovarsi in fasi di alta vulnerabilità alternate ad altre di bassa (nel primo caso quando si trova in una fase di forte crescita economica, nel secondo quando si trova in una fase di bassa crescita economica).
La perdita totale di Pil, in media, dovrebbe aggirarsi attorno allo 0,12%, quindi fortemente negativa.
Vi sono vari esempi di questo andamento in Italia (dal terremoto del Friuli del 6 maggio 1976 a quello dell’Irpinia del 1980), da cui si evince che il Pil ha avuto un andamento tendenzialmente crescente dal dopo terremoto e sino al 2007-2008, anni in cui si accusano gli effetti della crisi economica che sta colpendo l’economia mondiale.
Rispetto a questo quadro del passato, invece, il quadro legislativo attuale presenta degli aspetti inverosimili se si considerano tutte le disposizioni che impongono il rispetto del patto di stabilità interno e che, quindi, impediscono quegli spazi di manovra (sia Statale che dei singoli enti locali, tutti chiamati a rispettare il saldo finanziario) che in passato hanno consentito la ripresa economica nelle aree colpite.
Quelli che si sono analizzati in queste pagine, quindi, altro non sono che gli ulteriori effetti conseguenti all’adesione del Paese all’UE e alla cessione della propria sovranità monetaria.
Il rispetto dei vincoli di bilancio non solo non consente di avere risorse economiche sufficienti a prevenire effetti catastrofici conseguenti alle calamità naturali, attraverso azioni di manutenzione straordinaria del territorio, adeguamento alle norme anti-sismiche, realizzazione di solide infrastrutture e di tutto quanto necessario ad innalzare il livello di benessere e qualità di vita degli abitanti di quegli stessi territori (che come su visti minimizzano gli effetti delle calamità naturali), ma non consente neppure di porvi rimedio una volta che gli eventi calamitosi si sono verificati se non a costo di rinunciare ad altri servizi essenziali quali sanità, trasporti, istruzione. Il che non solo non è previsto dalla Carta costituzionale, ma ne rappresenta una espressa ed indiscutibile violazione.

STIGLITZ TRA "RIFORME" E "LE RIFORM€": UN PROBLEMINO DI DEMOCRAZIA NO?

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Sole24Ore in crisi irreversibile? Ecco i retroscena- Il quotidiano economico di Confindustria ha perso il 95% del suo valore in Borsa dal 2007. Le responsabilità di Marcegaglia, Montezemolo e Squinzi.

1. Fingiamo per un attimo che Stiglitz non sia parte di un establishment USA, storicamente connotato dal nuovo modo di essere "democrat" (e cioè liberal, ben radicato nella upper middle class); e fingiamo pure, per un attimo che Stiglitz non sia il terminale spendibile, - in un'€uropa sempre più squassata dal dramma della disoccupazione e della dottrina ordoliberista al potere-, di un blocco di potere che, pur annoverando tra le sue fila, per l'appunto, persone di oggettivo valore, non riesce a produrre altro che Hillary Clinton come sua punta di diamante politica e la prospettiva, sempre più concreta, di una guerra globale nucleare
Forti (...) di questa "ipotesi" di laboratorio, andiamo dunque a esaminare senza pregiudizi (determinati dal contesto che abbiamo scartato), le interessantissime risposte date da Stiglitz a questa intervista (disponibile fortunatamente in italiano): Referendum, Stiglitz: "Se Renzi perde parte fuga dall'euro".

2. Esaminiamo la prima risposta del Nobel per l'economia, che segue ad una domanda circa la pericolosità(addirittura!) del suo ultimo libro, per aver "fornito munizioni a tutti i populismi", ripiombando l'€uropa nella sue "paure" (cioè la domanda tendeva ad affermare che senza l'euro gli europei non sarebbero capaci di mantenere rapporti civili e cooperativi nei reciproci confronti!!!):  
"Si riferisce al mio libro, L’euro e la sua minaccia sul futuro dell’Europa? L’ho presentato ovunque – risponde Joseph Stiglitz, premio Nobel per l’economia nel 2001, consigliere di Hillary Clinton, a Bologna per la Biennale dell’Economia cooperativa – da Friburgo alla Francia, dalla Gran Bretagna a Amsterdam, discutendo con il ministro olandese Dijsselbloem ( presidente dell’Eurogruppo e dell’European Stability Mechanism , ndr) e con altri vertici europei.Tutti hanno detto che sbagliavo, ma si sono dichiarati d’accordo sulle mie analisi. L’economia europea rallenta, la disoccupazione è in aumento, la produzione industriale ristagna e sempre più gente si scaglia contro l’euro. Tutti hanno detto che sanno bene quali riforme bisognerebbe fare, ma sono molto difficili da realizzare. ‘E comunque l’euro ce lo teniamo’, è la loro conclusione unanime".
Intendiamoci: le "riforme" cui si riferisce Stiglitz non sono quelle che vogliono proseguire i governi attualmente in carica nell'eurozona, come obiettivo irrinunciabile, che, ovviamente, sarebbero agevolate dal "sì" alla riforma costituzionale in Italia. Quelle "riforme", lanciate sull'altra parte dell'Atlantico proprio dalla guida neo-(anarco)-liberista apprestata dagli USA, sono il problema perché sono praticate all'interno di un'area valutaria volutamente imperfetta. Stiglitz se n'è accorto e ci ha scritto un libro su. 

3. Le riforme che egli indica come un rimedio alla crisi €uropea sono invece relative ai trattati: ma non proprio a tutta l'impostazione dei trattati, quanto, in concreto, relativamente alle regole applicate nell'eurozona. Si tratta in pratica del governo fiscale, federale, capace di operare i trasferimenti in modo che l'unione monetaria sia connessa ad un'unione politica compiuta, capace di provvedere ai bisogni territorialmente differenziati (dagli squilibri economici determinati proprio da "questa" moneta unica) delle popolazioni coinvolte nell'eurozona.
Come abbiamo anticipato varie volte, e da anni, Stiglitz prende atto che "i vertici europei" sono ben consci che queste "riforme" sarebbero necessarie ma che siano difficili da realizzare. Quindi si deve andare avanti così.
Ovvio: il giochino sottinteso nel linguaggio diplomatico (in senso lato) utilizzato da Stiglitz e dai suoi interlocutori è che le riforme (dei trattati) sono impossibili, in quanto fuori da ogni agenda e concretezza politica

Il presidente della Commissione Ue: «Non ci saranno mai, nazioni e popoli amano le proprie tradizioni»


4. Seriamente: riformare l'UEM è politicamente impensabile. Sia perché non lo vuole la Germania (anche per i chiari vincoli della sua Costituzione al riguardo (qui. p.2)), una Germania che ha assunto il ruolo di azionista di maggioranza nella Holding imperial-€urista, sia perché non lo vogliono i responsabili di governo, e quindi le elites, dei vari Stati dell'eurozona.

E di questo Stiglitz appare tanto cosciente che a una successiva domanda sull'euro a due velocità, risponde:  "Non credo sia possibile in Europa. L’ideologia dei banchieri centrali e della Commissione Europeaè fortemente contraria alla doppia valuta. Ma nel mio libro indicavo la strada di una valuta diversa per il mercato dei beni e per quello dei capitali".
In questa risposta, Stiglitz, che pure è uno dei più autorevoli e approfonditi critici delle banche centrali indipendenti, rende atto che i banchieri centrali e gli omogenei tecnocrati della Commissione UE sono quelli che decidono: anzi, gli unici che decidonoquali politiche monetarie e fiscali adottare. E in definitiva, sono già stati gli "autori" dei trattati: sicché, non hanno alcuna intenzione di smettere di difenderli (anche perché, ai loro occhi, stanno funzionando fin troppo bene).
Rammentiamo come sia sempre di stretta attualità l'essersela presa col solo Barroso per i suoi futuri rapporti professionali con Goldma&Sachs dopo essere stato presidente della Commissione, dimenticando completamente che l'emergere di un conflitto di interessi getta un'ombra, proprio e principalmente, sui passati rapporti con il potere economico al quale si rivela ex post la propria vicinanza, e in relazione agli atti di governo e alle prese di posizione adottati mentre si era in carica.
Ma le "porte girevoli" (v. qui, nel gran finale)sono una specialità molto americana, e Stiglitz ha imparato a proprie spese che è meglio non sollevare troppo apertamente questo genere di problemi (rammentiamo in proposito "l'epopea" Stiglitz vs. Summers, sulle politiche imposte dal FMI).

5. Ma è la successiva risposta di Stiglitz che ci fornisce un chiarimento, "di merito", sulla sua visione delle riforme intraprese sotto l'egida (formale) dell'€uropa di Maastricht- riforme che, come abbiamo visto innumerevoli volte, sono incentrate sulla flessibilizzazione neo-classica (o neo-keynesiana) del mercato del lavoro e sulla connessa privatizzazione del welfare: 
"La Germania ha imposto il rigore che ha ucciso la crescita in Europa. Credo sia molto difficile fare le riforme quando il popolo soffre. Molti tedeschi, invece, credono che il tempo migliore per fare le riforme sia proprio quando c’è crisi. Secondo me, quando le riforme sono fatte con la pistola puntata alla testa vengono partorite male, non sono accettate dai cittadini e diventano insostenibili".
Sintesi fenomenologica della posizione assunta da Stiglitz e alla quale appare funzionale il suo libro: il rigore fiscale, in una situazione in cui non è permessa la svalutazione del cambio perché si è in una moneta unica (e per di più con i tedeschi!), porta a un grado di "sofferenza" popolare - oltre che....bancaria, elemento da non trascurare e che Stiglitz, proprio lui, non può non avere ben presente-, tali da divenire "insostenibile".
Quindi, almeno per l'Europa, le riforme, cioè l'abolizione della tutela del lavoro, dell'autonomia collettiva del sindacato, la drastica riduzione pro-mercati (finanziari) di tutela sanitaria e previdenziale, non sono un male in sè, ma risultano esserlo per l'eccesso di "durezza del vivere", concentrato nel tempo, di cui sono portatrici quando sono adottate dentro un'area valutaria cui non corrispondano istituzioni politico-economiche comuni adeguate.

Implicita, ma necessaria, in questa visione di Stiglitz, è la logica del "sapersi fermare quando i risultati ottenuti sono ragionevolmente buoni": usare in dosi aggiuntive (e letali) lo strumento dell'euro per mettere in pericolo, per via di un collasso economico e del consenso, questi stessi risultati, rischiando un arretramento della linea restaurativa dello Stato "ridotto", per arrivare allo "Stato minimo", non ha mai portato fortuna. Ed è comunque un rischio troppo alto visti i precedenti analoghi in Europa (basti citare la seconda guerra mondiale).

6. In tutto questo discorso, dunque, riemerge il clou del neo-keynesianesimo a epicentro USA: l'unione europea risponde a dei vantaggi geopolitici di lungo ed ampio scenario, e consente più efficacemente di rendere il vecchio continente simile all'America
L'omogeneità raggiunta (considerando l'effettiva situazione di paesi, citati da Stiglitz, come Grecia e Italia), è già un risultato notevole: perché "esagerare" (benedetti tedeschi)?
Il problema di "democrazia", in tutto questo, non è presente: tanto che in una successiva risposta Stiglitz aggiunge, un po' genericamente e cripticamente, se non in modo incoerente, che di fronte alla Brexit, Juncker:  
"avrebbe dovuto spiegare i fattori positivi e le opportunità dello stare insieme, piuttosto che puntare sulla paura".
Sì però, a Juncker la lista delle cose non terroristiche che dovrebbero tenere insieme l'€uropa proprio non gli viene in mente: è troppo abituato a mettere le scelte sul tavolo, attendere che la gente non ci capisca un tubo e poi portare la decisione già presa al "punto di non ritorno".
Elementi del quadro €uropeo, storicamente molto abusati ormai, che Stiglitz pare del tutto ignorare: per lui le riforme non sono un male in sè e la teorizzazione che possano comunque, euro o non euro, rigore o non rigore, essere accettabili solo se alla gente non viene fatto capire nulla, pare sfuggirgli nella sua fondamentale importanza.

7. Al termine di questo commento ad uno Stiglitz in missione €uropea, dunque, mi permetto un piccolo commento finale sul problemino di democrazia: pensare a un'uscita dell'euro "da sinistra", è un controsenso, perché questa uscita automaticamente ripristina la potenziale e recuperata applicabilità del modello costituzionale. E, quindi, determina la possibilità di porre in fuorigioco, cioè di far riemergere la illegittimità costituzionale, delle riforme, antisociali e antilavoristiche imposte dall'appartenenza all'Unione europea. In nome dell'euro: che non è "solo una moneta" (come dicono gli spaghetti-liberisti più estremi) e neppure, "solo" il nemico della crescita, come nota Stiglitz...nel 2016. E' il disegno da lungo tempo perseguito dalla oligarchia per abbattere le Costituzioni democratiche.

8. Stiglitz, semplicemente, non risulta (voler essere) cosciente di questo ordine di problemi, pur potendo vantare un "realismo" di visione sociale certamente molto più avanzato della media della ruling class d'oltreoceano (inclusa la Clinton, ovviamente): la parte più importante del malcontento che viene definito "populismo" non è altro che l'aspirazione ad una democrazia inclusiva dei più deboli che non è più compatibile con ulteriori dosi di riforme
Riforme che, tra l'altro, negli USA stanno già manifestamente portando all'apice della instabilità finanziaria e, più ancora, sociale, di cui lo stesso Stiglitz dovrebbe preoccuparsi. Molto(e probabilmente già se ne preoccupa: per questo gira l'€uropa in tempo di elezioni presidenziali...).

L'€URO-RIFORMA DELLA COSTITUZIONE: LA PISTOLA FUMANTE...

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1. Allora: l'8 aprile 2014, il presidente del consiglio si presenta al Senato della Repubblica italiana e legge la relazione di accompagnamento al testo del disegno di legge (di riforma) costituzionale (la cui intitolazione figura oggi nel quesito referendario).Dopo una breve premessa sulla insufficienza dei mutamenti costituzionali intrapresi negli ultimi anni per delineare in modo sistematico una riforma adeguata alle “potenti trasformazioni” già intervenute nel quadro istituzionale, espone le
Lo spostamento del baricentro decisionale connesso alla forte accelerazione del processo di integrazione europea e, in particolare, l’esigenza di adeguare l’ordinamento interno alla recente evoluzione della governance economica europea (da cui sono di-scesi, tra l’altro, l’introduzione del Semestre europeo e la riforma del patto di stabilità e crescita) e alle relative stringenti regole di bilancio (quali le nuove regole del debito e della spesa); le sfide derivanti dall’internazionalizzazione delle economiee dal mutato contesto della competizione globale; le spinte verso una compiuta attuazione della riforma del titolo V della parte seconda della Costituzione tesa a valorizzare la dimensione delle Autonomie territoriali e, in particolare, la loro autonomia finanziaria (da cui è originato il cosiddetto federalismo fiscale), e l’esigenza di coniugare quest’ultima con le rinnovate esigenze di governo unitario della finanza pubblica connesse anche ad impegni internazionali: il complesso di questi fattori ha dato luogo ad interventi di revisione costituzionale rilevanti, ancorché circoscritti, che hanno da ultimo interessato gli articoli 81, 97, 117 e 119, della Carta, ma che non sono stati accompagnati da un processo organico di riforma in grado di razionalizzare in modo compiuto il complesso sistema di governo multilivello articolato tra Unione europea, Stato e Autonomie territoriali, entro il quale si dipanano oggi le politiche pubbliche".

 2. Il 3 aprile 2014, senza aver potuto conoscere questo testo, disvelato al Senato 5 giorni dopo, basandoci esclusivamente sulla imponente “comunicazione” mediatica che preannunziava la presentazione della riforma, avevamo così anticipato la “ratio” della riforma
"si individua uno pseudo-rimedio- cioè la possibilità "monocameralista" di fare leggi, tante leggi "veloci", e possibilmente di taglio alla spesa pubblica- come risposta alla crisiInsomma il sondaggismo arriva a sostituirsi al Potere Costituente primigenio, nato dalla Resistenza, rafforzando un "potere costituito"- cioè di revisione in via solo derivata della Costituzione, fortemente condizionato dall'attenersi necessariamente a interventi "puntuali"- il cui unico scopoè agevolare I TAGLI ALLA SPESA PUBBLICA
E, quindi, quello di ACCELERARE LO SMANTELLAMENTO DELLA CAPACITA' DI INTERVENTO DELLO STATO A PROTEZIONE DEI DIRITTI FONDAMENTALI SOCIALI, quelli non revisionabili e previsti nella prima parte della Costituzione".

3. La €uropean Connection, che caratterizza la “ratio” giustificatrice essenziale della riforma, è stata individuata nei suoi tratti fondamentali con un successivo post: costituzionalizzazione implicita ma inevitabile dell’obbligo di appartenere all’Unione europea, attraverso l'introduzione nella mission fondamentale delle Camere dell'inscindibile oblbigo conseguente di “attuare le politiche europee”, nonché attraverso la tipizzazione del contenuto obbligatorio della stessa funzione legislativa, nel senso di attuare tali politiche.
Al post appena citato è seguito quello che individua nel "Report on constitutional amendment" del 2009 della Venice Commission il presupposto ideologico della stessa riforma, cioè il costituzionalismo politico neo-liberista. 
Dal Report, con formulazioni che ricalcano quasi alla lettera la relazione governativa presentata al Senato, “si è edotti, infatti, del fatto che per la stessa “legittimità del sistema costituzionale” la revisione talvolta risulta necessaria “… al fine di migliorare la governance democratica o di adattarsi alle trasformazioni politiche, economiche e sociali(punto 5) e che “… le Costituzioni liberalisono progettate per aiutare a risolvere tutta una serie diproblemi politici: tirannia, corruzione, anarchia, immobilismo, problemi di azione collettiva, l’assenza di deliberazione, la miopia, la mancanza di responsabilità, l'instabilità e la stupidità dei politici. Le Costituzioni sono multifunzionali. […] Il compito è di creare un governo che è pienamente in grado di governare” (punto 84).

Lo stesso Report, dopo aver teorizzato che:
“… Una democrazia costituzionale dovrebbe in linea di principio acconsentire ad una discussione aperta sulla riforma dei suoi più elementari principi e strutture di governo. Inoltre, fintanto che la Costituzione contiene regole severe in materia di revisione, allora questa fornirà normalmente una garanzia adeguata contro l’abuso e se la maggioranza, seguendo le procedure prescritte, vuole adottare la riforma, si tratta quindi di una decisione democratica che in generale non dovrebbe limitarsi ...”, 
preannuncia che:
… La modifica costituzionale dovrebbe preferibilmente essere emanata con revisione formale … Quando sostanziali modifiche informali (non scritte) si siano sviluppate, queste preferibilmente dovrebbero essere confermate da successive modifiche formali” (punto 246)
Dovrebbe essere possibile discutere e modificare non soltanto le disposizioni costituzionali sul governo (cioè gli assetti istituzionali),ma anche disposizioni in materia di diritti fondamentali e tutte le altre parti della Costituzione (punto 248). Principi e disposizioni di inemendabilità dovrebbero essere interpretati e applicati in modo restrittivo (punto 250)”

4. Il quesito da sottoporre al popolo italiano, in funzione di integrazione “Costituente” delle decisioni in tema costituzionale assunte dalla maggioranza parlamentare, dunque, in coerenza con tali presupposti ideologici di derivazione €uropea e con le conseguenti “ragioni della riforma”, indicate dal governo, avrebbe dunque dovuto essere, (dunque, in modo più aderente all’oggetto ed alla finalità della revisione ad adottare): 

"Approvate il testo della legge costituzionale concernente l’esigenza di adeguare l’ordinamento interno alla recente evoluzione della governance economica europea (da cui sono discesi, tra l’altro, l’introduzione del Semestre europeo e la riforma del patto di stabilità e crescita) e alle relative stringenti regole di bilancio (quali le nuove regole del debito e della spesa) e alle sfide derivanti dall’internazionalizzazione delle economie e dal mutato contesto della competizione globale, anche, per quanto riguarda le Autonomie territoriali, in relazione alle rinnovate esigenze di governo unitario della finanza pubblica connesse anche ad impegni internazionali?

Il quesito così riformulato è piuttosto lungo, ma ciò sarebbe giustificato dalla stessa “lunghezza” del testo di riforma e dal suo oggetto che abbraccia diversi titoli e diposizioni della Costituzione.
5. La “eterogeneità” di oggetti e la difficoltà di esprimersi con un unico “sì” o “no” su tutto questo, sarebbero oltretutto superate alla luce della coerenza “organica”, e quindi unificante, del disegno di revisione quale enunciata dallo stesso governo.
Questo aspetto di difficoltà di esprimersi su oggetti multipli e non sempre coerenti tra loro, - ma prescindendo dalla legittimità di una tale ampiezza di intervento alla luce dell’art.138 così come effettivamente elaborato dai lavoridella Costituente- è stato denunciato in vari ricorsi proposti da Valerio Onida, presidente emerito della Corte costituzionale. 
Chiarita la “ratio” riformatrice qui evidenziata, tale aspetto (dell'ampiezza praticamente illimitata di oggetti della revisione) dovrebbe, invece, essere considerato proprio sotto il pregiudiziale profilo della sua compatibilità con la chiara volontà dei Costituenti e con il parametro del “procedimento in frode alla legge”, ipotizzato a suo tempo da Vincenzo Caianiello(altro presidente emerito della Corte).
Rimangono problematici i profili, sempre denunciati da Onida, relativi alla conformità alla legge che disciplina i referendum, anche quelli sulle revisioni costituzionali, di un quesito ancorato all’attuale “intitolazione della legge” (che abbiamo visto comunque non riflettere le effettive “ragioni della riforma”), e circa la proposizione del referendum come “confermativo” laddove il sistema costituzionale lo prevede, piuttosto, come “oppositivo”.

"SI" VIS B€LLUM PARA "PAC€M"... E CAMBIA LA COSTITUZIONE

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http://img10.deviantart.net/cb9e/i/2015/110/2/9/si_vis_pacem_para_bellum_bg_by_tylersteele-d6nr2gh.png
(sì, il titolo inverte il brocardo dell'antica saggezza: proprio perché nell'invertirlo non c'è alcuna saggezza...)

1. Sapreste trovare lo stretto legame tra queste due notizie? 

2. Chi segue questo blog, in realtà, non dovrebbe avere difficoltà a istituire l'evidente connessione. Una serie di problemi che abbiamo evidenziato più volte in vari modi:
- parlando della "difesa €uropea" e della sua  stretta relazione col trattato Nato, che emerge da norme fondamentali del TFUE, che prefigurano, infatti, "il conto da pagare" per l'appartenenza all'Unione. Questa stretta relazione e, anzi subordinazione della politica di difesa €uropea, alle esigenze della Nato è ben espressa nel "notorio" art.42, paragrafo 7, del TFUE:
"7. Qualora uno Stato membro subisca un'aggressione armata nel suo territorio, gli altri Stati membri sono tenuti a prestargli aiuto e assistenza con tutti i mezzi in loro possesso, in conformità dell'articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite. Ciò non pregiudica il carattere specifico della politica di sicurezza e di difesa di taluni Stati membri.
Gli impegni e la cooperazione in questo settore rimangono conformi agli impegni assunti nell'ambito dell'Organizzazione del trattato del Nord-Atlantico che resta, per gli Stati che ne sono membri, il fondamento della loro difesa collettiva e l'istanza di attuazione della stessa."

- quando abbiamo parlato della "caduta del Muro di Berlino e della logica elementare":
d) perchè poi, proprio successivamente al trattato che istituisce l'Unione politica e monetaria, invece di una maggiore pace si sono verificati, per la prima volta in Europa dal tempo della seconda guerra mondiale, episodi di guerra,  MA TUTTI PROMOSSI DAL BLOCCO NATO CONTRO PAESI DELL'EX AREA DEL SOCIALISMO REALE E CON L'APPOGGIO POLITICO E MILITARE DEI PAESI ADERENTI ALLA PREDETTA UNIONE? E ciò fino alla crisi Ucraina, dove una sanguinosa guerra civile è stata obiettivamente occasionata dall'espansione a Est dell'area di influenza politico-economica dell'UE?

-  quando abbiamo passato in rassegna le stesse fondamenta della c.d. "pace" implicata dal federalismo €uropeo:
[Ecco] la reale visione di Spinelli sulla costruzione €uropea, ritraibile da un discorso (del 1985) che, nell'attualità, - e quando le dinamiche che erano auspicate esplicitamente (e implicitamente ma necessariamente) nel "Manifesto" si sono consolidate in modo coerente -, costituisce una sorta di interpretazione autentica dell'ideologia e della prassi politica concepita a Ventotene...
"Ci sono essenzialmente due metodi che sono contemporaneamente in opera; c'è il tentativo che fa perno intorno alla Comunità e a tutti i suoi successi ed insuccessi, e c'è il tentativo di un'Europa che sia fatta dagli europei. E c'è contemporaneamente il tentativo di un'Europa che sia fatta dagli americani. E vorrei che non ci sdegnassimo inutilmente, e in fondo non seriamente, di questa seconda alternativa. L'unità imperiale sotto l'egida americana è certo anche assai umiliante per i nostri popoli ma è superiore al nazionalismo perché contiene una risposta ai problemi delle democrazie europee, mentre il ritorno al culto delle sovranità nazionali non è una risposta.".
Passaggio eloquente al quale è da aggiungere questo:
3. Potremmo citare altre fonti, ma ci limitiamo a rinviare alla lettura del post, già linkato, "Grandi disastri, pace e corruzione: Spinelli e Hayek enunciano la via" (a sua volta riassuntivo di vari importanti interventi di Arturo).

Per capire il quadro che definisce la correlazione tra le due notizie, ci pare poi giusto enfatizzare un recente commento di Bazaar che ci fornisce la sintesi dello scenario innescato dal federalismo €uropeo, nei suoi complessivi tratti di tappa fondamentale verso il "mondialismo" delle elites dei "mercati" (ho aggiunto qualche link per chi non si accontenta e ha voglia di approfondire):
"Se si comprende che si sta andando verso una privatizzazione del diritto internazionale, va sottolineato che la distruzione dello Stato non implica l'annullamento dello "archè".
Significa semplicemente che le organizzazioni private - ossia i "marchi globali" - faranno le veci dello Stato e produrranno diritto internazionale ex-nihilo come nell'esperienza del cattolicesimo romano (ndr; la Sassen chiama tale processo di privatizzazione del diritto "denazionalizzazione").

È quindi evidente che il controllo territoriale sarà macroregionale - ossia non sarà fatto a misura d'uomo con quell'omogeneità culturale e linguistica che qualsiasi "leghista" potrebbe desiderare sperando di conservare le proprie radici culturali (ctonie) - ma sarà fatto ad uso e consumo dei "marinai" del capitale, ovvero aumentando i sezionalismi(qui p.4) il più possibile.

Come diceva Hitler: "ogni campanile una religione" (qui, p.2.4).

Il trust, il cartello, gli oligopoli devono poi avere delle superstrutture che ad un livello più alto, geograficamente continentale, producano diritto privato e si occupino di risolvere i conflitti (fin che ce ne saranno: quando ci sarà un unico monopolio avremo che la legge sarà l'arbitrio dell'imperatore).

(Il monopolio porterebbe alla pianificazione e razionamento dei prodotti, strozzandoli costantemente dal lato dell'offerta proprio come nel centralismo sovietico, soltanto che sarebbe fatto non per difendersi "dal nemico esterno", industria pesante a scapito dei piccoli "beni di consumo", ma da quello "interno"; quindi poiché il monopolio invece di essere pubblico sarà privato, è scientifico che il liberismo è strutturalmente il comunismo dei ricchi. Tutto ciò che è comune è privato.)

È evidente che questa super-struttura - questo "terzo livello" (di "menti raffinatissime", e dai a rotolarsi di isteriche risate...) - cercherà di coordinarsi per arrivare ad un unico centro politico mondiale - con necessariamente numerario sovrano - e con una amministrazione decentralizzata.
Si è mai vista una multinazionale strutturata diversamente?

Gerarchia, burocrazia, e amministrazione decentralizzata in base a grandi aree geografiche e, in parte, nazionali.
(Snake Plissken vive nel mondo auspicato dagli anarco-capitalisti)

Questo è diritto internazionale privatizzato: non è diritto, non è né nazionale né internazionale, e, volendo, non è neanche privato, non esistendo più il pubblico come termine di paragone.
Considerando l'etimologia di "privato", possiamo comprendere che si privano le comunità sociali di Diritto e - quindi - di diritti.
Solo flessibilità in entrata e in uscita dal mondo del lavoro che è il mondo e la vita stessi.

Il licenziamento si chiamerà eutanasia". 

4. Nel merito: dopo la natura oggettiva della crisi ucraina, in cui un governo democraticamente eletto è stato rovesciato da milizie e movimenti di piazza finanziati da forze estere, con l'effetto di rompere un equilibrio geo-politico corrispondente a un'evidente esigenza difensiva della Russia, ben nota da decenni alla controparte Nato, come si può qualificare una iniziativa di "pace e giustizia fra le nazioni" ai sensi dell'art.11 Cost., lo schieramento di truppe ai diretti confini con la Russia?
Lo si può giustificare solo ritenendo recessiva tutta la Costituzione, anche nei suoi principi fondamentali, di fronte agli obblighi internazionali determinati dall'appartenenza all'UE e, quindi, al quadro Nato
Quest'ultimo, peraltro, al suo fondamentale art.5 (v. p.4), impone a ciascun Stato membro di attivarsi militarmente solo in caso che un alleato sia oggetto di un'aggressione chiara ed attuale... 

E qui si può comprendere appieno il legame tra le due notizie riportate all'inizio del post: da dove nasce, infatti, l'idea che ogni norma costituzionale, senza alcun limite, sia subordinata ai, e travolta dai, trattati internazionali €uropei?
Dalla elaborazione delle istituzioni €uropee (CGUE e Venice Commission), come abbiamo visto qui, qui e qui.  

5. Dunque, in relazione alla possibilità di "slittamento" del referendum a seguito del ricorso di Valerio Onida - di cui abbiamo parlato di recente (p.5) -, Zagrelbesky fa un understatement nel dire, in proposito, "non vorrei che iniziative così venissero catalogate come le solite iniziative da giuristi formalisti che guardano ad aspetti particolari, astratti dal nucleo vero delle questioni". 
Se, infatti, non si pone la questione del travolgimento di ogni possibile limite costituzionale (al diritto internazionale privatizzato) da parte della riforma, in particolare dovuto alla nuova formulazione degli art.55 e 70 della Costituzione - che erigono a fonte costituzionale l'obbligo delle Camere di attuare le politiche €uropee, comprese quelle della "difesa" che, abbiamo visto essere intrecciate e subordinate al quadro Nato, e costituzionalizzano perciò l'obbligo di appartenere all'UE-; se non si pone la questione della "vera posta in gioco" della "riforma", poi ci ritroviamo con le truppe italiane schierate al confine con la Russia in missione deterrente e, perciò solo, "aggressiva"
Una cosa che sarebbe stata impensabile persino ai tempi della "guerra fredda", quando non c'erano "la pace e la prosperità" garantite dall'euro.

L'AGONIA DELLA GLOBALIZZAZIONE: TONNELLATE DI "FIABE" MEDIATICHE E L'ITALIA OSTINATAMENTE IRREALE.

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Da Zerohedge, ricaviamo un'analisi, riportata dalla penna di Raul Ilargi Meijer, un autore che scrive cose sensate come questo"Fascism, Imperialism, Neoliberalism, US Empire"; per la verità, un po' meno rigoroso di quanto abbia sostenuto in queste pagine il nostro Bazaar. 
L'analisi commentata su Zerohedge, - a sua volta meno rigorosa di quella compiuta da Chang, nei Bad Samaritans, con riguardo alla memoria storica degli effetti sulla crescita "globale", dell'imperialismo liberoscambista, in ogni sua precedente e attuale manifestazione- viene sotto il titolo "La fine della crescita. Il Falso Elisir".
Ve ne riporto un brano significativo, traducendolo, confidando che ne sarà facile la comprensione per chi abbia seguito le analisi di questo blog, anche e soprattutto relativamente alla situazione USA e ai riflessi politici di larga portata che derivano dalla restaurazione (persino) in quel grande paese del mercato del lavoro perfettamente flessibile e deflazionistico (Walmartizzato (qui, p.7), col conseguente appiattimento verso il basso dei vari segmenti della middle class e la "fine della mobilità sociale". Da cui anche la ottusa e fanatica ottica con cui ci si accanisce sulla "bassa produttività" senza riuscire a capirne le cause effettive. In USA, come in Italia:





2. Ecco l'estratto da Zerohedge tradotto, con qualche commento (pro-domo orizzonte48, ma più che comprensibile, data la faticaccia che abbiamo fatto da anni per prefigurare e anticipare quello che è un mood solo ora dilagante. Anche se non basta mai...): 
< Raul Ilargi Meijer, il noto commentatore di questioni economiche, ha scritto in modo sintetico e provocatorio: 
"E' finita, L'intero modello su cui si sono basate le nostre società almeno per tutto il tempo della nostra vita (ndr; deve trattarsi di un commentatore relativamente "giovane"..) è finito! Ecco perché c'è Trump."
"Non c'è alcuna crescita, E non c'è stata nessuna reale crescita per anni. Tutto ciò che è rimasto sono vuoti e spenti  numeri "ottimistici" dello S&P stock market, sostenuti da un debito ultra conveniente e dai riacquisti delle proprie azioni (buybacks) e forme di lavoro che nascondono milioni di persone occultamente tagliate fuori dalla forza-lavoro. E soprattuto c'è il debito, pubblico e privato, che serve ad alimentare un'illusione di crescita a adesso non ci riesce più"
2.1. "I falsi numeri sulla crescita hanno un'unico scopo: darli in pasto alla pubblica opinione per mantenere i poteri prevalenti nelle loro poltrone imbottite. 
Ma ESSI (ndr: traduzione enfatica di "They") non possono far altro che tirare il sipario del Mago di OZ davanti agli occhi della gente, anche se l'hanno fatto troppo a lungo.
"Questo è il significato dell'ascesa di Trump, della Brexit, della Le Pen, a di tutti gli altri. E' finita. 
Ciò che ci ha guidato per l'arco delle nostre vite ha perduto sia la sua direzione che la sua energia."
Continua Meijer :“Siamo schiaffeggiati dall'essere nel mezzo del più importante sviluppo globale da decenni, in qualche modo si potrebbe dire da secoli, un'autentica rivoluzione, che continuerà a essere il più importante fattore che darà forma al mondo, e non vedo nessuno che ne parli (ndr; consigliamo a Meijer di leggersi orizzonte48). Questo mi sconcerta".

2.2. "Lo sviluppo in questione è la fine della crescita economica globale (ndr; seppure mai ci sia stata...come ci insegnano i dati di Chang), che condurrà inesorabilmente alla fine della centralizzazione(inclusa la globalizzazione). Significherà anche la fine dell'esistenza della maggior parte, e specialmente delle più potenti, istituzioni internazionali (qui, p.9)".
Allo stesso modo sarà la fine, o quasi, di tutti i partiti politici tradizionali, che hanno governato i paesi per decenni e lo fanno tuttora ai minimi del loro consenso (se non avete chiaro cosa stia succedendo, guardate là, guardate in Europa!).
Questa non è una questione di ciò che chiunque, o qualunque gruppo di persone, possa volere o preferire; è questione di "forze" che sono fuori dal nostro controllo, che sono più grandi e di vasta portata delle mere opinioni, anche se queste (forze) sono originate dall'uomo.
Tonnellate di "favole" furbe e meno furbe  si stanno spaccando la testa laddove hanno origine
Trump e la Brexit e la Le Pen e tutte queste cose "nuove" e terrificanti, e ESSI (ndr; v. sopra), se ne escono con piccole ma traballanti teorie sul come si tratti del voto di gente "vecchia", e più povera, razzista e bigotta, gente stupida, che non aveva mai votato. C'è solo da scegliere".

"...Ma nessuno pare veramente sapere o capire di cosa si tratti. Cosa alquanto singolare, perché non è così difficile. Cioè tutto questo accade perché la crescita è finita. E se la crescita è finita, lo sono altrettanto espansione e centralizzazione nelle miriadi di forme che hanno assunto"

3. < Scrive ancora Meijer : “il "globale"è "andato" come forza trainante principale, il pan-europeismo è andato, e persino il "se" gli Stati Uniti rimarranno "uniti"è ben lontano dall'essere un affare concluso.
Ci stiamo muovendo verso un movimento di massa di dozzine di paesi e Stati separati che guardano al proprio interno. E tutti questi si trovano in qualche forma di incombente situazione difficile.
Ciò che rende la situazione così ardua da afferrare è che nessuno vuole riconoscere nulla di tutto ciò. Anche se le testimonianze di dura povertà si accumulano provenienti proprio dai luoghi dove Trump, la Brexit e la Le Pen si manifestano. 
"Che il congegno politico-economico-mediatico miri a far ribollire i messaggi di crescita 24 ore su 24 e 7 giorni su 7, spiega in qualce modo la mancanza di consapevolezza e di autocritica, ma solo in parte. Il resto è dovuto a ciò che siamo. Pensiamo di meritare una eterna crescita.
...Con la "crescita finita" lo è altrettanto la globalizzazione: persino il Financial Times concorda, come sottolinea Martin Wolf nel suo commento The Tide of Globalisation is Turning: “La globalizzazione è nel migliore dei casi in stallo, Può mai invertire questo corso? Sì. Richiede la pace tra i grandi poteri...E' importante che la globalizzazione sia in stallo? Sì">.

4. Conclusione del commento di Zerohedge: "
< In breve, se la globalizzazione sta cedendo il passo allo scontento, la mancanza di crescita può minare il progetto finanziario globale.
Stiglitz ci dice che questo è stato evidente nei 15 anni scorsi - il mese scorso egli ha rammentato che aveva cercato di avvertire de "la crescente opposizione nel mondo in via di sviluppo alle riforme globalizzatrici". Ciò pareva sorgere misteriosamente: alla gente, nei paesi in via di sviluppo, era stato raccontato che la globalizzazione avrebbe accresciuto il benessere complessivo. Ma allora perché tante persone sono divenute ostili? Come può essere che qualcosa che i nostri leaders politici - e molti "economisti", hanno detto che avrebbe fatto stare tutti meglio, sia così vituperato?
Una risposta occasionalmente sentita dagli economisti neo-liberisti che sostengono queste politiche è che la gente (nei paesi in via di sviluppo) sta meglio. Solo che non lo sanno. Il loro scontento è una questione per psichiatri, non per gli economisti".
Ma Stiglitz ora ci dice che questo scontento si è esteso alle economie avanzate. Forse è questo quello che voleva dire Hadley quando affermava: "la globalizzazione è stato un errore" E ora sta minacciando l'egemonia finanziaria americana, e perciò la sua stessa egemonia politica">.

5. Tutti questi argomenti, compresa la "intenzionalità" attribuibile alla "predicazione €uropea di Stiglitz", li abbiamo già trattati.
Interessante è il timore della fine della centralizzazione, inevitabilmente organizzativa e anch'essa intenzionale, che sottosta alla globalizzazione: questa è un'importante ammissione confessoria. E ne abbiamo parlato proprio nell'ultimo post (p.3), sicché l'articolo di Zerohdge assume la veste di "lupus in fabula" nel discorso che portiamo avanti in questa sede.
Ovviamente, come altrettanto tristemente constatiamo su queste pagine, questa ammissione confessoria è altrettanto ignorata dalla grancassa mediatica spaghetti-liberista dell'Italia avviluppata da sempre nel conformismo del "Quarto Partito" (qui p.2) imperante e "dell'appello allo straniero (qui, p.2)".
Il diritto internazionale privatizzato, cioè l'istituzionalizzazione della globalizzazione, ben lungi dall'essere una contingenza storico-sociale "spontanea", (alla stregua di un cambiamento climatico...!), non porta alla crescita e provoca drammi di povertà e di distruzione della dignità del lavoro, ovunque. 

Il fatto è che non avrebbe mai potuto funzionare. 
Tutto sta nel vedere quale prezzo sia disposta l'America a far pagare al mondo intero per non perdere la propria egemonia politico-finanziaria...

OLTR€ L'AUTUNNO-INVERNO, OLTR€ IL Sì E IL NO. TRA MONTI E LA GLOBALIZZAZIONE CREPUSCOLARE

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1. Chi ci legge sa che le ragioni del "no" che prevalgono nel dibattito referendario sono in questa sede considerate "periferiche". 
PoggioPoggiolini ci aveva dato lo spunto per questa precisazione che sintetizza il punto:
"Le ragioni del NO sono e rimangono un epifenomeno assolutamente equivoco sconfinante nel mainstream di pensiero del "costituzionalismo politico". Basta vedere che molti dei suoi sostenitori si abbandonano:
a) alla promessa di fare una riforma ben più "liberale" e rivoluzionaria, a cui l'attuale sarebbe di ostacolo;
b) all'idea che le oligarchie siano collocate all'interno delle nomenklature dei partiti (!), dimenticando la struttura dei rapporti di forza economica che fa di tali nomenklature solo dei più o meno efficienti esecutori dell'indirizzo politico promanante dall'ordine dei mercati €uropeo (v.dibattito con Bazaar, sopra).

2. Siccome fenomenologicamente i fatti ci danno ragione, il senatore Monti ci fornisce prontamente un'ampia conferma di questo frame, uscendosene con un discorso a favore del "no" che ci ha già dato modo di dibattere nei commenti all'ultimo post. 
A parte il "cui prodest" inevitabile di quest outing, - così sintetizzato da Mauro Gosmin: "Penso che la scelta del no di Monti abbia come obiettivo preminente quello di privare anticipatamente in caso di vittoria del No ogni connotato anti UE/UEM al voto contrario alla deforma Costituzionale. Poi certamente con la sua impopolarità toglierà di sicuro qualche voto al fronte del No"-, ci piace sottolineare come Monti abbia giustificato la sua opzione in termini rigorosamente hayekian-einaudiani, solo usando un linguaggio più pop, (e vedremo per quali ragioni).
 "A sentire alcuni ormai sembra improponibile qualunque sistema in cui non si conosce il vincitore la sera stessa. Eppure in Germania non solo non lo si conosce la domenica sera, ma a volte bisogna aspettare mesi. Eppure poi si arriva a un programma chiaro, ben definito e tale da limitare patti fra arcangeli o nazareni. 
Per quanto mi riguarda mi sono gradualmente convinto sempre più che i problemi dell'Italia non dipendono tanto dalla forma costituzionale e dalla legge elettorale, ma da alcuni connotati fondamentali: l'evasione, la corruzione e una classe politica che usa il denaro degli italiani di domani come una barriera contro la propria impopolarità".

2.1. Così Hayek (che non avrebbe mai sospettato di riscuotere un così ampio riverbero cultural-pop in un paese come l'Italia):
"La discriminazione per assistere i più sfortunati non sembrava vera discriminazione. (Recentemente si è coniato il termine senza senso di "meno privilegiati" per mascherare tale discriminazione.) Per mettere in una posizione materiale più eguale gente inevitabilmente molto diversa nelle condizioni dalle quali in gran parte dipende il loro successo nella vita, è necessario trattarle in modo ineguale.
Tuttavia, rompere il principio di eguale trattamento sotto l'impero della legge anche per motivi caritatevoli, aprì inevitabilmente le porte all'arbitrio, e per mascherarlo ci si affidò alla formula "giustizia sociale"; nessuno sa precisamente a cosa si riferisca tale termine, ma proprio perciò servì da bacchetta magina per spezzare tutte le barriere, in favore di misure parziali. Dispensare gratifiche a spese di qualcun altro che non può essere identificato facilmente, divenne il modo più facile per comperare l'appoggio della maggioranza
Tuttavia, un governo o un Parlamento che diventi un'istituzione benefica si espone inevitabilmente al ricatto
Spesso non è più un "compenso" ma diventa esclusivamente una "necessità politica" determinare quali gruppi devono essere favoriti a spese di tutti.
Questa corruzione legalizzata non è colpa dei politici; essi non possono evitarla se vogliono guadagnare posizioni in cui poter fare qualcosa di buono; diventa una caratteristica intrinseca di ogni sistema in cui l'appoggio della maggioranza autorizza misure speciali per soddisfare particolari malcontenti."
(Hayek, Legge, legislazione e libertà, EST (Il Saggiatore), Milano, 2000, pag. 477).

3. Facciamo il punto, in base ad una realistica ricognizione della situazione politica: alla inevitabile premessa implicita della "corruzione legalizzata" insita nell'esistenza stessa dei parlamenti e del processo elettorale, Monti aggiunge una nota ben studiata di ammiccamento alla "nuova politica": la"classe politica che usa il denaro degli italiani di domani come una barriera contro la propria impopolarità" aggancia oggettivamente un cavallo di battaglia (di una parte consistente) della principale forza di opposizione.
Quest'ultima, purtroppo, tranne felici eccezioni che alimentano qualche speranza, coltivando l'idea del conflitto intergenerazionale, non si accorge di aderire all'ideologia €uroimposta della perdita di sovranità democratica (monetaria e fiscale, che ne sono l'essenza) e di propugnare la teoria restauratrice del capitalismo neo-classico (o "sfrenato") imperniata sulla "efficienza allocativa delle risorse limitate" e, dunque, sulla "parodia dell'incubo del contabile" quale stigmatizzata da Keynes:
"Il "circuito monetario"è già idea di una super-etica che pone la creazione di valore, nello svolgimento di qualsiasi attività socio-economica, (in realtà, ormai, anche del mero atto di"consumo") alla mercé di chi ha accumulato, in precedenza e con qualunque mezzo (senza alcuna esclusione, in termini di, pur mutevole, sua liceità) "oro e terra" e tenderà sempre a farne un uso rafforzativo della sua posizione (di "proprietario" allo stato più puro e tradizionale: cioè esattamente il punto di partenza di Hayek di tutto il resto della sua analisi economica e ordinamentale).

Attraverso l'elargizione della fiducia (creditizia) -che contiene in sé sia il concetto di scarsità di risorse (l'accumulo di oro-terra, per quanto enorme è pur sempre un "dato"), che quello di allocazione "efficiente" delle stesse (il fine conservativo è insito nell'equilibrio micro-economico del singolo affare, che diviene parametro unico dell'equilibrio generale dell'economia)-, decisa dal concedente (la fiducia) - si costruisce in profondità, sul piano etico-sociale, il perno morale (praticamente incontestato) di ogni altro valore concepibile (persino la Chiesa vi si è sempre sottomessa e lo stesso rapporto socio-biologico uomo-donna viene posto su questo piano).


La moneta fiduciaria comunitaria (cioè sovrana)è già in sé una leva scardinante di questo modello,, introiettato automaticamente da "noi", per via di quel controllo culturale totalitario "di tutti i mezzi" (di comunicazione) che predica Hayek: ed è scardinante sia perché ri-disloca nello Stato la titolarità originaria del potere di concedere la fiducia (cioè di avviare ogni processo creativo di ricchezza senza dover perseguire un equilibrio allocativo intrinsecamente conservativo della "data" distribuzione della ricchezza e del potere connesso),, sia perché inevitabilmente abolisce la legittimazione data dal possesso di "oro e terra" rispetto alla titolarità privata ed esclusiva, del potere di concedere la fiducia

L'effetto naturale di questa soluzione sovrana, e pubblicistica nella sostanza economica, al problema monetario, è la funzionalizzazione pubblica dell'intermediazione bancaria, come prescriverebbe l'art.47 della nostra Costituzione.
I banchieri cercheranno sempre di eliminare, istituzionalmente o fisicamente, chi propugni una simile idea...".


4. Solo accettando queste premesse ideologico-economiche - che ricalcano la vetusta visione della "Hazard Circular", quella per cui il mercato del lavoro-merce, in termini di costi e dunque di efficienza allocativa, è preferibile alla schiavitù (sempre qui, p.6)- è possibile parlare di "conflittto intergenerazionale" e di propugnare, anche involontariamente, anche per mancanza di "risorse culturali", l'idea del conflitto intergenerazionale. 
Idea, purtroppo, accettata acriticamente anche dalla nostra Corte costituzionale, che non si accorge, fin dai tempi in cui lo denunciava Caffè, di aver "ipostatizzato" il paradigma ordoliberista €uropeo del razionamento della moneta da parte dei "mercati". 
Tutti questi richiami, che proponiamo ai lettori come ricapitolazione dello scenario in cui ci troviamo, ci dicono una cosa: che vinca il sì o vinca il no, (come dimostra il "tentato" cappello €uropeista di Monti su quest'ultima soluzione), la soluzione della crisi economica, e della democrazia costituzionale, in corso, rimane ancora lontana.

5. Al riguardo, una ricerca compiuta sui post agli albori di questo blog, eravamo al 25 aprile 2013 (!), conduce a riproporre questo avvertimento:
"(Dovremmo...) capire come il PUD€ intenda mantenere la sua presa facendo le concessioni minime indispensabili per lasciare intatto il suo disegno: cioè l'euro, lo smantellamento "emergenziale" dello Stato sociale, la deflazione salariale.
Le "concessioni" saranno chiaramente il fulcro dei "buoni risultati", nel senso di un ingannevole "cambiamento di rotta" che sarà sbandierato dai media in modo da concedere il tempo al nuovo governo per rimuovere l'ostacolo più grande: la Costituzione.
Questa con la sua impalcatura di diritti fondamentali incentrati sulla tutela del lavoro, vede il pareggio di bilancio al suo interno come un corpo spurio incompatibile, inoculato come un virus distruttivo dalla logica dei trattati e dei suoi corollari, cioè il fiscal compact. Per ora.

Quindi nei prossimi mesi assisteremo al massimo sforzo congiunto della grancassa mediatica PUD€ per raccontarci: a) che la crisi è superabile e che l'euro è in sè, sostenibile, utilizzando con ragionevolezza...le regole disfunzionali e ideologicamente connotate che lo caratterizzano; b) che nel frattempo, la Costituzione deve comunque essere cambiata, perchè il paese ha bisogno di "ammodernamento" e nuovi principi istituzionali devono essere introdotti come indispensabili".


Il risultato sarà quello di adeguare definitivamente la Costituzione all'ideologia von Hayek, modulando le istituzioni costituzionali sull'idea che l'intervento dello Stato nell'economia sia da limitare in nome dell'efficienza del settore privato.

La filosofia del mutamento costituzionale, per compiere il quale è appunto indispensabile prendere tempo, sarà quella di spostare, come sempre, l'attenzione sulla ingegneria istituzionale, in nome della riduzione del numero dei parlamentari, dei "costi della politica" e dell'adeguamento di fondamentali istituti che sarà proposto, come un'apparente coerente conseguenza; anzi come rafforzamento della "tutela" di posizioni sociali, ma in realtà volto alla mera cosmesi, che dissimula la sua disattivazione, autonomamente derivante dai meccanismi di Maastricht di per sè".

6. Non so a voi, ma a me ha fatto una certa impressione rivedere queste righe. Eravamo agli albori del primo governo derivato dalle "strane" elezioni del 2013 e quello attuale non pareva certo all'orizzonte. Ma il "congegno"è andato avanti esattamente come previsto.
Il 16 febbraio 2014, poi, avevamo riassunto così il suo "stato di avanzamento", parlando della Costituzione democratica del 1949 come "vaso di coccio" tra esortazioni riformatrici dall'oltreoceano e la pressione esercitata dalla "mandataria" Germania, la cui imposizione ordoliberista dei trattati funziona automaticamente come potente e inesorabile sistema di svuotamento della Costituzione stessa:
"Intanto possiamo dire che la Germania non ha realisticamente alcun interesse a "uscire" dall'euro (la sua "dote" nel commercio mondiale drang nach ost), quanto, piuttosto può puntare a tirare tatticamete la corda per costringere "altri" a farlo.

Se mai avessero il coraggio (oligarchico nazionale) di farlo; cosa molto improbabile - e su questo puntano anche gli stessi tedeschi per tenere aperta la difficile partita "mondiale"- visto che l'euro stesso è il presupposto emergenziale continuo, badate bene, per fare le riforme strutturali gradite "anche" agli USA in prospettiva Ttip. 
Il che ci indurrebbe a pensare"siamo fritti!", almeno come democrazia costituzionale...basterà infatti accelerare le riforme costituzionali, che a questo punto diventano una partita in progressione: dall'aspetto "istituzionale-deliberante" (monocameralismo e legge elettorale per maggioranze "stabili") a quello successivo abrogatore-manipolatore, dei principi fondamentali dello Stato sociale, consentito da un assetto deliberativo più snello ed "efficiente"

Insomma, nel nome della logora parola d'ordine della "governabilità" si punta al "bersaglio grosso" indicato da JP Morgan e Wall Street Journal".

7. In coerenza con ciò, ci è parso più di recente, nella tarda estate del 2016, necessario ribadire questo concetto:
"Spero sia ormai chiaro quanto sia irrealistico credere che, siccome l'economia dell'eurozona non si riprende, e la deflazione appare irrisolvibile (anzi, in riacutizzazione, nonostante qualsiasi QE immaginabile), ciò debba, necessariamente e immediatamente, condurre a qualche forma di allentamento della presa neo-liberista, monetarista e anti-Stato sociale, sulle società occidentali. 

Un indicatore ce lo danno le questioni Wolkswagen, Deutschebank e Monsanto-Bayer. Dopo anni di lambiccate analisi sulla prospettiva di un riesplodere delle ostilità tra la Germania e gli USA, dovremmo prendere atto che si tratta di episodi sempre e comunque da contestualizzare.

E il contesto è, come ci ricorda Bazaar, quello della solidarietà di classe, - rafforzata da decenni di recenti inarrestabili successi-, tra gli "operatori razionali" del capitalismo finanziario e oligopolista sovranazionale.

Per cui, in questo contesto, tutto sommato:"...sono segnali contraddittori nel complesso.
E confermano che, negli USA, si ha una prevalente visione non "destabilizzante" dei rapporti con la Germania: perchè ci sono fin troppe questioni intrecciate, e convergenti visioni prevalenti, rispetto ai motivi di dissapore.
In particolare, gli USA non possono non considerare l'enorme utilità della Germania per disciplinare il resto dei paesi UEM, quelli con le "Costituzioni antifasciste", ed eliminare una volta per tutte la tutela del lavoro, flessibilizzandolo e privandolo del welfare (salario indiretto di "resistenza" alla durezza del vivere), e liquidare anche solo una parvenza di senso del sindacato".

 
8. Né la sensibilità attuale di Obama, nè, tantomeno, la prospettiva di una Clinton come POTUS, paiono scalfire queste prospettive.
Una soluzione "dignitosa" a questo piano inclinato potrebbe scaturire solo da una visione consapevole di queste pesantissime ipoteche sulla democrazia italiana: in base alla chiara rivendicazione della natura e del senso profondo della nostra Costituzione, che sia abbracciato con chiarezza e con forza da forze sociali e politiche rimpolpate nelle proprie "risorse culturali"; e non chiuse nell'inconsapevole gioco "periferico" di spartizione della politica nazionale: un gioco interno al globalismo neo-liberista che, però, è nella sua più pericolosa fase terminale
Senza che in Italia ci sia un significativo risveglio capace di cogliere questo momento di transizione così eccezionale.
(Se mai ciò si manifestasse, potremmo ridiscutere della "ipotesi frattalica").

LE CONSEGUENZE ECONOMICHE DELLA CRASì

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1. Di questi tempi, negli anni passati, passavamo in rassegna le annuali (e più o meno chiare) linee della manovra finanziaria, detta significativamente "di stabilità" (perché in €uropa la stabilità dei prezzi e finanziaria sono il valore supremo, secondo il principio neo-liberista, o marginalista, dell'equilibrio paretiano raggiunto con l'efficiente allocazione di risorse "date" per definizione).
Ogni anno, con una certa esattezza, il cui margine di errore era dichiaratamente legato alle condizioni di realizzo di un attivo del conti correnti con l'estero, abbiamo previsto l'impatto della manovra di volta in volta formulata: e sempre approvata dall'€uropa con un rinvio agli esami di riparazione dopo il primo trimestre di esercizio, rimanendo ogni anno la minaccia dell'imposizione di una manovra aggiuntiva di "correzione" dei saldi pubblici, conseguente al fatto che, come molti NON sanno, il DEF è prima esaminato e monitorato dalla Commissione UE e poi, già oggi, passato al parlamento come una mera comunicazione, e quindi ai fini di una sua mera presa d'atto
E questo perchè così prevedono le innumerevoli e oscuramente formulate postille al fiscal compact, integrate da "comunicazioni" della Commissione che dimostrano, semmai ce ne fosse bisogno, che Bruxelles è la "casa delle libertà"; cioè delle libertà che l'UE si prende essenzialmente nei confronti dell'Italia e della sua ridicolizzata sovranità (democratica, fiscale e monetaria).

2. Ognuno dei passaggi descritti porterebbe a molti altri links a precedenti post, dove tutte queste questioni sono state illustrate in vari stadi dell'applicazione del "paradigma di Maastricht": e ciò sempre in base alla fondamentale considerazione che, appunto, che non c'è mai stata, se non nell'immaginazione propagandistica degli spaghetti-europeisti, un'€uropa buona e solidaristica, e che lo stesso fiscal compact, cioè "svaluto il lavoro non potendo - più precisamente non volendo affatto- svalutare la moneta", è la conseguenza, da lungo tempo programmata (ne abbiamo, in un Einaudi degli anni '40, la diretta ed esattta prefigurazione, riferita proprio agli effetti della "indispensabile" moneta unica), di una progressione applicativa dei trattati €uropei (rigorosamente ordoliberisti a trazione tedesca "guidata" dagli USA).

3. Queste cose le sapete, ma fa bene ripeterle per lettori nuovi, saltuari e distratti.
Dunque, €uropeismo è una crasi concettuale, (non esattamente linguistica, precisiamo), che sta per "restaurazione del neo-liberismo ("ordo...") tramite trattati economici europeistici" (avremmo più esattamente una formula ellittica che implica, nell'unico termine, l'intero concetto dinamico di costruzione-restaurazione: ma "crasi" ci piace anche per l'allitterazione con la parola "crisi" e per il finale in "sì", che abbiamo posto nel titolo del post, a sottolineare gli esiti istituzionali ultimi di questa restaurazione neo-ordo-liberista).

Ammettiamo pure che, in virtù di una propaganda culturale e mediatica ultradecennale, la classe politica italiana non sia neppure più in grado di riconoscere questa origine e questa finalità della "costruzione €uropea" e si accontenti, in modo molto pratico, di capire che se si è allineati all'€uropeismo, ed alle sue politiche monetarie, fiscali ed enomico-sociali, si gode della stabilità del potere, mentre avversando l'€uropeismo insorgono grandi difficoltà a mantenere le proprie cariche.

4. Questo spirito "pratico" non è però senza conseguenze economiche
Decenni di output-gap, cioè di sottoimpiego delle forze e delle risorse produttive italiane ne sono conseguiti e, alla prima crisi finanziaria esterna all'eurozona, ne è discesa una recessione che è stata curata, secondo i parametri dell'economia liberista neo-classica, gettando il paese, per vincolo fiscale €uropeo all'austerità, in una irrisolvibile stagnazione. Che si sta rivelando la migliore delle conseguenze economiche derivanti dall'appartenenza all'UE-M poiché, comunque, è sempre posta sul crinale di un ritorno alla recessione, laddove le regole €uropee fossero fatte rispettare, ad onta di ogni discrezionalità sovrana nazionale in materia fiscale, secondo il parametro discrezionale che le istituzioni UE prediligono per l'Italia.

5. L'attualizzazione di questa prospettiva di politiche €conomiche distruttive si ripresenta quest'anno, in occasione della manovra per il 2017, dato che la Commissione UE non pare disposta a dare la "flessibilità" richiesta dall'Italia sul saldo del deficit. Ballerebbero 0,1 punti di PIL (2,2 contro il 2,3 ipotizzato dal governo). Ma anche, e questo aspetto dell'€-sindacato appare ben più devastante nelle sue conseguenze in termini di "correzione" imposta alla manovra:
 "E poi è la qualità della legge di bilancio a non piacere, troppe una tantum e una richiesta di compensare le spese sostenute dai migranti troppo alta. Messo tutto insieme, la manovra non passerebbe al vaglio dei governi (Eurogruppo) e dunque mette Juncker nella complicata posizione di rompere con l' Italia o con le grandi capitali rigoriste.

Dunque sarà ancora battaglia, la prossima settimana Bruxelles invierà a Roma una lettera di chiarimenti sulla manovra
Ieri dal Tesoro confermavano che la finanziaria non sarà modificata prima del suo arrivo in Parlamento previsto per lunedì prossimo e dunque dopo la missiva arriveranno i giudizi negativi e una prima bocciatura formale da parte di Bruxelles.
Ma la procedura d'infrazione, mossa irreversibile che assomiglierebbe ad un commissariamento in politica economica, quella non arriverà prima del referendum, lasciando aperta la porta ad un accordo in extremis se Roma effettivamente modificherà la manovra alle Camere seguendo le indicazioni di Bruxelles. Un quadro al centro dell'incontro che il premier, di rientro da Washington, ha avuto ieri mattina a Roma con il ministro Padoan."

6. A questo quadro, ci fornisce un contrappunto una serie di dichiarazioni recenti, e collegate, rilasciate dal nostro Presidente del Consiglio.
A settembre, aveva infatti dichiarato che "se vince il no non ci sarà la fine del mondo", lamentando gli "eccessi di toni" sull'argomento riforma costituzionale ed anche ammettendo l'errore della eccessiva "personalizzazione" del tema.


Tuttavia, in esito al vertice, a quanto pare "festoso"(sebbene con qualche problemino), con Obama, lo stesso Presidente del Consiglio è tornato di recente in argomento dicendo che "se vince il sì Italia più forte in Europa":
"Roma, 18 ott. - 'Se vincono i SI'' al referendum del 4 dicembre 'per l'Italia sara' piu' facile la battaglia per cambiare l'Europa, quindi l'unica conseguenza a parte le riforme costituzionali per il dibattito politico con la vittoria dei SI' e' che se vinceremo l'Italia sara' piu' forte' per portare avanti le battaglie in 'Europa'. Lo ha detto il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, dopo il bilaterale con Barack Obama alla Casa Bianca".
Al preannunzio di questo sviluppo, è stata accoppiata la tesi, da più parti riferita, che l'endorsement di Obama sulla stessa riforma e sulla linea politica seguita anche in sede fiscale, lo avrebbe agevolato nei rapporti con la Commissione UE sulla flessibilità, data la inequivoca enfasi posta dallo stesso Obama sulla "domanda" e sulla necessità di "investimenti" per promuovere la crescita (è sempre La Repubblica a fornirci questa interpretazione):  
"Senza l'enfasi sulla domanda, insiste Obama, "la crescita, gli investimenti che creano lavoro, la fragilità economica in Ue tornerà ed avrà impatto sul mondo e sugli Stati Uniti". Renzi risponde lodando lo "straordinario supporto degli Stati Uniti per affermare un paradigma di crescita e non di austerity a tutti i livelli. Gli Stati Uniti sono un modello in questo".
Addirittura, il premier ha già ringraziato (titolo riassuntivo riportato in caratteri molto grandi): "Grazie a Obama per il suo sostegno nella lotta contro l'austerity".
7. Ma...passano tre giorni e questo "aiuto", così gradito e ritenuto decisivo, risulta invece alquanto contraddetto dall'atteggiamento della Commissione €uropea e dei "partners" insediato nelle "grandi capitali rigoriste". 
Leggi: Germania e i suoi satelliti, tipo Olanda e Austria; la Finlandia, peraltro, avrebbe problemini non indifferenti, ma non rinuncia alla posizione "rigorista"...dopo i "tempi supplementari"...ovverosia dopo il quarto anno consecutivo di recessione!
 Ma, nelle "capitali rigoriste", c'è anche la partecipazione, a corrente alternata, della Francia che, in realtà, non avrebbe una grande convenienza a sostenere le ragioni dell'austerità, ma vive di Grandeur riflessa, ignorando di essere molto più vicina, nella congiuntura economica, all'Italia che non alla Germania: solo che tutti conosciamo la burletta o vaudeville galliche del fiscal compact (e del deficit al mero 3% che rientrerà...quanno je pare). 

Insomma, a quanto pare, Obama non ha funzionato
In soli tre giorni "il sostegno" si è dissolto come neve al sole (ad ogni effetto pratico).
Il massimo che può ottenere l'Italia,  è che la procedura di infrazione non arrivi "prima del referendum", come abbiamo visto sopra. Notare il terroristico accostamento col termine "irreversibile" dell'effetto di assoggettamento alla procedura di infrazione; che sarebbe l'unico caso mai registrato in €uropa per violazione degli obiettivi intermedi di bilancio previsti dal fiscal compact, laddove Spagna (molto se non moltissimo) e Francia (quanto je pare) veleggiano ben al di sopra persino del 3%.

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8. Ma la vittoria del "sì" porterebbe maggior forza all'Italia in questo genere di trattative con l'€uropa?
Se mi privo della principale arma (o spazio "utile") di trattativa, autolegandomi alla dissoluzione della sovranità, come potrei mai rafforzarmi verso le capitali rigoriste che impongono i loro diktat alla Commissione Ue, che ne è solo un passacarte e un nuncius, sul piano decisionale?  

8.1. Non è che, invece, si è commesso un errore, per difetto di compresione e di ponderazione della riforma costituzionale che si vuole ad ogni costo?
Non è che la situazione, dopo la vittoria del sì, sarebbe in realtà degenerata al punto da rendere irragionevolissimo privarsi di ogni spazio di negoziazione realistico, eccedendo nella "fedeltà" alla crasi €uropeistica e togliendo alla comunità nazionale ogni residuo spazio di resistenza alla restaurazione neo-liberista, (quale invocata da Einaudi agli albori della costruzione €uropea), e che, invece, l'Italia non si può permettere, per motivi di modello produttivo e di crescita sempre più incompatibili con l'ordoliberismo dei trattati?
Per comprendere questo "imbarazzante" errore occorre però avere delle competenze e un senso della democrazia sostanziale, a favore della Nazione, che non può essere ricavato dal modello USA. 
E neppure dall'illusione che assecondando il progetto restauratore neo-liberista €uropeo, l'ordine internazionale dei mercati, che ne fonda il "diritto internazionale privatizzato", abbia una qualche clemenza verso il nostro Bel Paese.
 

MA DI COSA SI STUPISCONO GLI €UROPEISTI ITALIANI? E SI RENDONO CONTO DI COSA STANNO COSTITUZIONALIZZANDO? WEIDMAN Sì

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1. Nel precedente post abbiamo posto in rilievo la contraddizione tra il volere la "flessibilità" di bilancio, o comunque una gestione nazionale più autonoma e discrezionale del livello del deficit, magari facendo leva sul "presunto" incoraggiamento di Obama, e l'atteggiamento invariabilmente intransigente delle istituzioni UE a trazione germanica, inserendo, simultaneamente in Costituzione "l'obbligo di attuare le politiche europee" come mission delle Camere e contenuto tipizzato della funzione legislativa.
Allo stesso modo, oggi, all'interno dei nuovi sviluppi del malcontento ostentato dal nostro presidente del Consiglio, sulla materia dell'immigrazione, verso l'atteggiamento €uropeo ("chiacchiere", porte chiuse e assenza di "civiltà").

In base a una realistica, e giuridicamente corretta, lettura del contenuto dei trattati €uropei e del contesto applicativo che i rapporti di forza, - che non possono più essere ignorati, oggi meno che mai-, quali potranno mai essere queste "politiche dell'Unione"?
La risposta ce la fornisce un documento di interpretazione autentica di provenienza germanica, cioè dallo Stato che ha (stra)vinto la "competizione" (commericiale, liberoscambista) che, come avevamo segnalato, e prima di me il prof.Guarino, si sarebbe instaurata tra gli ordinamenti dei paesi aderenti all'Unione disegnata da Maastricht, e che dunque, come in ogni organizzazione liberoscambista, avrebbe comportato un vincitore imperialista e dei "perdenti" in posizione del tutto analoga a quella dei paesi coloniali.

2. Segnalato da Marco, vi riproduco perciò il video della conferenza tenuta da Jens Weidman all'Istituto intitolato a Walter Eucken - ("The idea of ordoliberalism was introduced for the first time in 1937 in Ordnung der Wirtschaft, a periodical published by Walter Eucken, Franz Böhm and Hans Großmann-Doerth. From 1948 on it was further developed in the journal ORDO")
La conferenza verteva sul tema "management della crisi e politiche ordoliberiste". 
Era l'11 febbraio 2012: Weidman, in concreto, di fronte ai problemi posti dalla crisi dell'eurozona, ci dice che "ci vuole più €uropa", ma chiaramente non indica quello che intendono, tutt'ora (almeno nelle dichiarazioni mediatiche), gli €uropeisti italiani. 
Per Weidman, - e certamente la sua posizione è altamente indicativa della linea politica dell'interlocutore tedesco-  la costruzione €uropea è essenzialmente ispirata al paradigma ordoliberista (come ripete ossessivamente: ad es; minuto 14.10 14.40 ed altri "ordoliberalismus"), di cui Eucken è stato, sul piano della cariche e dell'azione come governante tedesco, uno degli esponenti più emblematici.

Sulla scorta di questa premessa, la democrazia, secondo Weidman, esiste nei limiti della realizzazione dell'ordoliberismo e, "ci vuole più €uropa", è una soluzione che non implica, paradossalmente (ma non troppo, nella visione costituzionalizzata dalla Germania), l'esautoramento dei parlamenti nazionali - per primo quello tedesco che rimane il giudice di ultima istanza della correttezza e dell'efficienza degli altri partners-, nell'attuare le politiche €uropee, cioè l'ordolibersimo tedesco, ma una forte aderenza alla visione del mercato e della competitività additata dai tedeschi..in nome dei trattati in quanto ordoliberisti.

3. Dunque, non un governo federale di trasferimenti, ma la germanizzazione di ogni linea di governo e di politica economico-fiscale rispetto alle rispettive comunità nazionali
E Weidman, in un crescendo di dure, se non sprezzanti, critiche ai vari principali paesi membri dell'UE, sostiene una (singolare) concezione della cooperazione politico-economica €uropea che si riduce all'obbedienza incondizionata ai desiderata tedeschi e al rimprovero per non essere abbastanza ordoliberisti; e infatti redarguisce il Regno Unito, la Francia e soprattutto l'Italia. 
Il problema dell'eurozona, per Weidamn, è l'eccesso di debito pubblico e l'enorme debito pubblico italiano, secondo lui, è imputabile all'eccesso di spesa dovuto alla condizione di "matrimonio" tra Tesoro e Bankitalia, dimenticando, con grande negligenza, irridente i fatti e i dati, che è invece proprio il "divorzio" tra questi due, e l'applicazione delle teorie monetariste esplicitamente insite nell'ordoliberismo(ben prima dell'arrivo della US-wave guidata da Milton Friedman), ad aver determinato lo spaventoso decollo della spesa degli interessi e l'ammontare record del debito italiano, all'interno del ben diverso "matrimonio" con la Germania determinato, inizialmente, dallo SME.
Il moderatore, nel commentare, subito dopo, l'applauditissimo intervento di Weidman, al minuto circa 39', accosta ad Eucken anche le idee di Hayek e Miksch (l'ordoliberista che, in vista del Colloque Lippmann, inventa il termine "neo-liberismo", come sanno i lettori de "La Costituzione nella palude").
https://youtu.be/nG2Drc0dm2w 


4. Questo video, con abbondanza di esplicitazioni, ci avrebbe risparmiato tanti post e tante discussioni fondate sulla (altrui) "mancanza di risorse culturali" (rammento un antieuro, giornalista "moderato", esperto di economia, su twitter, che di fronte al termine ordoliberismo da me indicatogli come paradigma dei trattati mi rispose: "che c'entra l'ordoliberismo?").
L'ordoliberismo o ordoliberalismo, com'è noto la discussione è oziosa, secondo Roepke (qui, p.2) e lo stesso Einaudi (che usa sul punto argomentazioni del tutto simili a quelle, più famose, di Hayek), escogita la formula "economia sociale di mercato", e a sinistra, in Italia, ciò è stato ritenuto sufficiente per considerare tale paradigma una "terza via" (ma v. qui, p.6), una sorta di neo-liberismo dal volto umano. 
Ma i fatti, rivelano che non è così; le difficoltà di "dialogo" con le istituzioni UE dell'attuale classe politica italiana derivano proprio da questa idea malcompresa.

5. Ma, sul piano di quel fatto culturale di indubbia rilevanza che è l'espressione programmatica delle idee fondanti (di un'oscura utopia, come segnala Rosa Luxemburg, anticipando i tempi, p.6), Einaudi ci aveva già delineato, nelle sue "Prediche inutili", gli effetti auspicati dell'ordoliberismo come paradigma-guida della costruzione federalista €uropea e l'aveva fatto riportandosi il pensiero di Ludwig Erhard, di cui Eucken fu ascoltato consigliere economico in plurime sedi di governo, come modello ottimale a cui fare riferimento: ne abbiamo già lungamente parlato ma ve ne riposto alcuni passaggi salienti, in tema di ordine naturalistico del mercato ed effetti sociali dell'adozione di una moneta regolata che equivalesse al gold standard:
"La politica di mercato diventa «sociale» grazie al mezzo adoperato all’uopo. Mezzo è la concorrenza e basta questa, senz’altri amminicoli, ad ottenere l ’effetto «sociale». Siccome i politici si contentano dell’aggettivo, l’Erhard volontieri indulge all’innocuo vezzo linguistico (p. 2):
"Attraverso la concorrenza si consegue una socializzazione del progresso e del guadagno e per di più si tiene desto lo spirito di iniziativa individuale.”
“Il sistema di una economia sociale di mercato inspirata ai principii liberali ha avuto un successo di gran lunga superiore a qualunque specie di dirigismo (pp. 54-55):
La riuscita di un triplice accordo che dovrebbe essere l’ideale di ogni economista di moderno stampo liberale: aumentando la produzione e la produttività e in proporzione con essa anche i salari nominali [mi auguro non vi sfugga che questa è esattamente quella che Paolo Pini ha chiamato la “regola di piombo” sui salari di Mario Draghi], l’accrescimento del benessere, grazie a prezzi stabili o magari decrescenti, va a beneficio di tutti...
...Il beneficio della liberalizzazione e il maleficio del controllo delle divise vanno d’accordo come il fuoco e l’acqua. Il controllo delle divise è per me il simbolo del male quale che sia la veste sotto la quale appare; dal controllo delle divise traspirano la maledizione e l’odore della preparazione bellica e della guerra, dal cui disordine distruttore esso è nato.
Le sanzioni automatiche valgono più di quelle concordate fra stati. Ai tempi del regime aureo la cattiva condotta economica e finanziaria di un paese dava luogo senz’altro, senza uopo di accordi internazionali, alle necessarie sanzioni (p. 169)...".
Al tempo della valuta aurea non venivano impartiti ordini né da istituzioni né da persone. Esisteva il comando anonimo, impartito dal principio regolatore, dal sistema. Esso però non era gravato da idee di sovranità nazionale, né dalle fisime di una possibile autonomia politico economica, né da preconcetti o suscettibilità di qualunque genere.”.10. E, nel prosieguo dell'esposizione, si comprende anche come, se poi invece del comando anonimo servono i memoranda del MES, come la Corte di Giustizia ci insegna, va bene lo stesso. 


6. Prosegue l'esposizione di Einaudi sull'ordoliberismo da lui condiviso:
 ...“La stabilità della moneta non vive da sé. Viga il sistema aureo o quello della moneta regolata, affinché ad esempio il principio del mercato comune europeo duri, occorre (p. 172), come in passato per il regime aureo, non ricchezza o forza, ma solo la modesta nozionc che né uno stato né un popolo possono vivereal disopra delle «proprie condizioni ».Se si vuole che la moneta sia stabile, importa innanzitutto mettere in ordine la propria casa. Perciò l’Erhard è scettico rispetto al toccasana dell’europeismo se questo non è preceduto ed accompagnato dall’ordine interno (p. 169)
O il mercato comune sarà liberista o correrà rischio di cadere nel collettivismo (p. 208):
Nel mercato comune... o si fa strada lo spirito del liberismo ed avremo allora un’Europa felice, progressiva e forte, o tentiamo di accoppiare artificiosamente sistemi diversi ed avremo perduta la grande occasione di una integrazione autentica. Una Europa dirigisticamente manipolata dovrebbe, per sistema, lasciar paralizzare le forze di resistenza contro lo spirito del collettivismo e del dominio delle masse, e illanguidire il senso di quel prezioso bene che è la libertà.
La politica di armonizzare, uguagliare, compensare è (p. 208): quanto mai pericolosa
Conclusioni di Einaudi... 
“Gli estratti da me insieme cuciti nelle pagine precedenti chiariscono il significato sostanziale dell’aggettivo «sociale» ficcato in mezzo alle parole « politica di mercato », che sono il vero sugo della dottrina di Erhard...anche il qualificativo «sociale» è un semplice riempitivo. A differenza di quello del Martini, che è di gran peso per la persistenza dell’aggregato umano, il riempitivo «sociale» ha l’ufficio meramente formale di far star zitti politici e pubblicisti iscritti al reparto «agitati sociali».”

7. Tutti concetti che ben avrebbero potuto essere enunciati da Weidman nella sua conferenza qui riportata. 
Insomma, solo una miopia e difetto di comprensione di un processo che dura da sei decenni, inalterato nella sue linee guida irrinunciabili, e molto ben accette in importanti ambienti economico-culturali italiani, potrebbero giustificare il disappunto e la delusione da parte del nostro presidente del consiglio, come se le reazioni degli interlocutori UE fossero qualcosa di imprevedibile e sorprendente, e non invece un comportamento assolutamente coerente.
 
Ma, una volta che i fatti obblighino a prendere atto di questa coerenza immutabile e della precisa connotazione che implicano, in termini di politiche economico-fiscali e del lavoro (che coincidono con quelle di gestione degli immigrati, inutile fare le belle statuine e negare questa realtà), a maggior ragione, che senso ha costituzionalizzare l'adesione all'€uropa e l'obbligo di attuare le politiche €uropee?

8. Volendo, "politicamente", lo si può fare; è, nella sua sostanza, una scelta già implicita nello SME e in Maastricht
Però poi occorre assumersene la responsabilità e non soprendersi di esiti, nefasti per l'Italia, che sono esattamente quelli ripromessi dalla costruzione €uropea e sui quali, da tanto tempo, gli ordoliberisti tedeschi, ma anche Einaudi e i suoi epigoni italiani, (che non sono mai mancati, prima a destra poi a sinistra), avevano fornito spiegazioni chiarissime e inequivocabili.
Stupirsi e sollevare questioni, a questo punto, è solo questione di inconsapevolezza: e di non aver studiato, quando si era ancora in tempo...

LA "LETTERA", IL POST-REFERENDUM E L'INCORPORAZIONE DEL FISCAL COMPACT

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1. Ci pare sufficientemente esaustivo del contenzioso tra Italia e UE relativo ai saldi della manovra per il 2017, questo articolo tratto da Forexinfo:

"Perché l’UE boccia la Legge di Stabilità di Padoan e Renzi

Nonostante la lettera dell’UE non sia ancora pervenuta, conosciamo già i punti critici della Legge di Stabilità 2017 agli occhi della Commissione. La lettera in questione ha il compito di sottolineare tutti i punti critici previsti dalla finanziaria di Renzi, invitando l’Italia a modificare quanto dovuto allo scopo di raggiungere l’obiettivo della parità dei conti dello Stato.
1 - Le coperture una tantum
Nei 7,6 miliardi di entrate stimate vi è troppo ottimismo secondo l’Unione Europea e le coperture una tantum non assicurano la solidità del bilancio.
2 - Il nodo sulla sicurezza antisismica
L’UE non accetta di scorporare dal deficit la spesa dello Stato per la messa in sicurezza delle zone del Paese a rischio terremoto ma dice Sì allo scorporamento delle uscite con il fine la ristrutturazione delle aree interessati dal sisma del 24 agosto.
3 - Il deficit 2017 non va
L’Italia avrebbe calcolato in modo troppo generoso lo sconto sul deficit concesso dall’UE in caso di circostanze eccezionali.
La Commissione UE non accetta il calcolo del deficit al 2.3% previsto dalla legge di Stabilità 2017: è troppo alto e deve essere tagliato di uno 0.1% - il che corrisponde a 1,6 miliardi di euro.
Renzi, tuttavia, non ha alcuna intenzione di rinunciarci.
4 - Troppa flessibilità
Lo scorso anno sono stati 19 i miliardi di euro concessi dall’UE all’Italia in flessibilità, per la Legge di Stabilità 2017 saranno 15.
5 - Il problema migranti
L’UE riconosce l’aumento del problema migranti ma non giustifica l’aumento del deficit a causa di questo fronte calcolato dalla Legge di Stabilità 2017.
Sotto la lente non solo la manovra dell’Italia ma anche gli sforzi di Spagna, Portogallo, Francia, Belgio e Olanda. Ma sono le tensioni Italia-UE a preoccupare l’Eurozona.

Italia contro UE: i prossimi passaggi sulla Legge di Stabilità
La lettera di “rimprovero” dall’UE deve ancora arrivare. Attendiamo per il 9 novembre le nuove previsioni sull’economia, pochi giorni più tardi una nuova opinioni sul testo della Legge di Stabilità 2017. Una bocciatura vera e propria, scenario che aumenterebbe di molto le tensioni tra Italia e UE e alimenterebbe la forza dell’antieuropeismo, potrebbe arrivare solo dopo Natale".

Bastano queste poche note di commento per capire il grado di "alterazione" che ha raggiunto l'€uropa ordoliberista rispetto alla normale percezione del buon senso minimo: relativamente al concetto macroeconomico di intervento anticiclico, come pure rispetto alle esigenze vitali e ai drammi di un'intera comunità sociale, 

2. Ecco un rapido schema del gioco che abbiamo di fronte nelle prossime settimane:




Tant'è che, infatti, l'Eurogruppo ha stabilito di valutare "definitivamente" la correttezza della manovra di stabilità, il 5 dicembre (!); o, sarebbe meglio dire, di innescare una concreta minaccia di procedura di infrazione, con tanto di trojka "snella" aleggiante, a partire da quella data.

3. Pressocché nelle stesse ore, Steinmeier, possibile successore della Merkel e attuale ministro degli esteri tedesco, ha dichiarato:
“La crisi finanziaria, l’ondata di rifugiati in Europa e lo shock del referendum sulla Brexit hanno portato l’Europa in una grave turbolenza”, ha detto Steinmeier, citando il sempre maggior numero di paesi che mettono in discussione la saggezza delle politiche definite a Bruxelles.
Gli eventi degli ultimi anni hanno reso chiaro che realtà politiche che potevano essere considerate permanenti sono invece oggetto di discussione, ha aggiunto precisando che a trarre vantaggio da queste paure sono i partiti populisti che denunciano anche il fallimento dell’Ue sulle questioni sociali.
“Anche i sostenitori più sfegatati dell’Europa riescono a vedere quello che bisogna fare: convincere di nuovo la gente e farlo fuori dalle torri d’avorio del sostegno incondizionato all’Europa. Se non sappiamo come apprezzare il valore dell’Ue, andrà a rotoli”, ha quindi concluso".

Ma questo discorso, un po' inquietante e piuttosto generico, può essere meglio compreso con la complementare posizione assunta dalla nostra vecchia conoscenza Otmar Issing, ordoliberista senza mai troppi peli sulla lingua, certamente meno rispetto a Steinmeier che, da capo della "diplomazia" parla con linguaggio c.d. "felpato", cioè allusivo. E che ci dice il "buon" Otmar?

Photo published for Ex Capo-Economista della BCE: “L’Euro è un Castello di Carte che Crollerà” (da A.E. Pritchard)

Parrebbe dedito alla "causa europea", ma, come correligionario (da ambienti di banca centrale) di Weidman, intende ben altro che un riequilibrio fiscal-federale dell'eurozona e una sua democratizzazione "per" i popoli in essa drammaticamente coinvolti.
Questo il passaggio fondamentale del suo pensiero (che dobbiamo ritenere disciplinatamente allineato alle "allusioni" di Steinmeier):
"L’intero impianto verrà messo quasi certamente alla prova dalla prossima crisi globale, ma questa volta ci sarà già in partenza un elevato livello di debito e di disoccupazione, nonché un maggiore logoramento politico.
Il prof. Issing ha poi sferzato la Commissione Europea, definendola una creatura delle forze politiche che ha ormai rinunciato a ogni tentativo di imporre delle regole in maniera sensata. “L’azzardo morale è schiacciante“, ha detto.
La BCE si trova su una “china scivolosa“, e secondo Issing avrebbe compromesso in modo fatale l’intero sistema salvando paesi in bancarotta, in evidente violazione dei trattati.
Il patto di stabilità e crescita è più o meno fallito. La disciplina di mercato è stata abolita dagli interventi della BCE. Non c’è quindi nessun meccanismo di controllo fiscale da parte dei mercati o della politica. Ci sono tutti gli ingredienti per il disastro dell’unione monetaria.
La clausola di non-salvataggio viene violata quotidianamente“, ha detto, rigettando come ottusa e ideologica l’approvazione della Corte Europea alle misure di salvataggio".

4. Insomma, Issing la mette sul piano della "morale"...dell'azzardo, essendo perciò "immorale" che il "patto di stabilità e crescita" non sia stato fatto rispettare dalla Commissione e dalla compiacenza della BCE, in modo tale che si fosse potuto verificare il "controllo fiscale da parte dei mercati": altro non è, questa, che una querula lamentela di non aver potuto vivere una lunga stagione di "fate presto", preferibilmente a carico dell'Italia, in nome dello "stato di eccezione" degli SPREAD.

Insomma sommando Issing con Steinmeier, i tedeschi ripetono stereofonicamente quello che preannunziava Weidman: l'ordoliberismo, cioè il mercato "sovrano" (imperial-germanico), col "sociale" come "semplice riempitivo", non tollera compromessi e non scorge alcuna ragione per rivedere i trattati, reflazionare e correggere il proprio surplus con l'estero (ammesso che questo sia un limite il cui mancato rispetto sia effettivamente sanzionabile; anche solo sul piano politico, in €uropa).
E dato che tutto questo, cioè le condizioni accettabili di partecipazione della Germania al festino dell'euro, (sempre più divenuto un festino sull'ital-tacchino), non si verifica esattamente come i tedeschi ritengono loro dovuto, inderogabilmente, tanto vale fare una minaccia: "chiudiamo l'UE e poniamo fine all'euro". Senza tanta tanta austerità, e senza altrettanti trasferimenti di redditi finanziari verso la Germania, dai paesi periferici, una moneta sottovalutata rispetto al marco pare non bastargli più.

La minaccia non appare tanto credibile (anche se come tutte le minacce, poi lega le mani a chi le formula, innescando un gioco pericoloso per chi le agita...).
E sappiamo perché; ma serve a tenere sulla corda gli USA, a cui vogliono mostrare che pensare di rimettere nel "corral" la Germania, secondo la loro mera convenienza geo-politica, - quando gli era stata, da decenni, concessa mano libera per "rieducare" il mediterraneo socialistoide, non è così facile come sembra.

5. Da ciò deriva però più o meno questo quadro:
"...Gli USA vogliono che la Germania "faccia qualcosa". Ma non ha modo di imporgli nulla senza contemporaneamente:
a) mettere a repentaglio la propria stabilità finanziaria, che cerca di garantire attenendosi a dottrine che non sa proprio come sottoporre a critica senza rimettere in discussione il precario equilibrio interno determinato dal dominio di Wall Street via Clinton family;
b) mettere in discussione il risultato a cui mira da decenni; cioè l'omogeneizzazione in senso neo-liberista dell'intera €uropa. Un risultato che sono molto vicini ad ottenere e che ha visto il successo dello "strumento" individuato da lungo tempo nella dominanza tedesca.

Bisogna perciò vedere quale calcolo costi/benefici faranno, circa una eventuale azione di ridimensionamento dell'arroganza tedesca.
Potrebbe essere un obiettivo simbolico ma ben poco pratico: e questo i tedeschi è da supporre che lo scontino nel prendersi i rischi che corrono nei confronti degli USA.

In fondo gli USA, più precisamente la sua elite oligarchico-finanziaria, non è MAI stati propensa ad agire drasticamente contro la Germania: mai.
Specialmente quando la partita in gioco include la tradizionale e preconcetta ostilità verso la Russia.
Quanto potrà contare ancora la Nazione americana, intesa come insieme di forze e di plurimi settori sociali non coincidenti con l'elite?

La partita "italiana"è chiaramente un gioco di rimbalzo in questo ambiguo e incerto scenario: per l'Italia, c'è sempre il conto da regolare per aver adottato una Costituzione "socialista".
Il loro massimo e unico obiettivo, rispetto a ciò, rimane "Constitutio italica delenda est".

E quello appena riportato è il sunto del discorso, che può essere più ampiamente visto qui, nelle sue integrali premesse politico-economiche.

6. Dunque, l'austerità fiscale e quindi il fiscal compact sono condizioni sine qua non affinché la Germania accetti di far parte dell'euro. Ciò, noi sappiamo, è un atteggiamento ben visto e condiviso in ampi ambienti del nostro Paese.
Nel 2017 viene in rilievo la questione della "incorporazione" del fiscal compact nel trattato dell'Unione, a cui naturalmente Dijsselbloem e Juncker sono superfavorevoli. Il nostro governo parrebbe invece, attualmente, intenzionato a svincolarsene.
Si dice pure che la vittoria del sì rafforzerebbe la posizione italiana in questo senso: ma come potrebbe essere ciò se in base al suo art.14, il fiscal compact si applica, allo stato, in pratica solo ai paesi la cui moneta è l'euro e la "riforma" non pone in discussione questa appartenza ma anzi costituzionalizza quella all'UE inclusiva dell'attuazione delle politiche derivanti principalmente...dall'appartenenza all'eurozona?

Alla linea oppositiva sul fiscal compact, peraltro, sul piano interno si muovono obiezioni circa gli effetti pratici di questa limitata "exit": "Brunetta gli ha ricordato però che, anche arrivando a quella conclusione, l’Italia resterebbe comunque vincolata alle altrettanto rigide regole previste dal Six Pack e dal Two Pack. «L’unico vincolo di cui ti libereresti – ha detto l’ex ministro di Forza Italia rivolgendosi al premier – sarebbe quello dell’equilibrio di bilancio, se non fosse che l’abbiamo inserito nella nostra Costituzione»."

7. Il testo allo stato reperibile del fiscal compact fa tuttavia pensare a una cosa diversa, sia da quella che sostiene il governo, sia da quella che obietta Brunetta. La previsione dell'art.16 del trattato FC, infatti, recita:
"Al più tardi entro cinque anni dalla data di entrata in vigore del presente trattato, sulla base di una valutazione dell'esperienza maturata in sede di attuazione, sono adottate in conformità del trattato sull'Unione europea e del trattato sul funzionamento dell'Unione europea le misure necessarie per incorporare il contenuto del presente trattato nell'ordinamento giuridico dell'Unione europea". 
In pratica, la norma "scommette" che, nei cinque anni di prima applicazione del fiscal compact, l'andamento economico degli Stati aderenti sarebbe divenuto così favorevole, con un solido ritorno alla crescita e all'occupazione, da indurre un'ondata di adesioni all'eurozona, sia da parte dei paesi "non euro" e "in deroga" firmatari dello stesso fiscal compact, sia da parte di tutti gli altri estranei al trattato
Insomma, la previsione era che la trionfale applicazione del FC, avrebbe unificato verso l'adesione all'euro economie sempre più convergenti, e rafforzate dall'adozione dei criteri automatici, ed ordoliberisti (v.p.5), di accresciuta austerità fiscale, al punto da farne l'unica "vera fede" del futuro comune dell'UE!
La cose sono andate, e in un "crescendo", esattamente nel senso opposto (anzi, come abbiamo visto, il fiscal compact è stato praticamente applicato solo all'Italia e nessuno vuole, oggi e meno che mai domani, porsi nei nostri scomodi panni).  

8. Essendo questa la disciplina della (meramente potenziale) incorporazione del fiscal compact nel TUE e nel TFUE - la questione dipende da dove sono collocate le norme maggiormente incise dall'inserimento delle più stringenti regole fiscali su deficit e indebitamento, nonché sulla legittimazione del relativo sistema sanzionatorio - ne discende che:
a) l'incorporazioneè adottabile, in base ad una valutazione dell'esperienza attuativa, in conformità del trattato UE e FUE. L'effetto di tale incorporazione è null'altro che il superamento dell'art.14 citato, con la scommessa della volontaria estensione delle regole di bilancio (debito e deficit in pareggio) a tutti gli Stati-membri dell'UE, a quanto parrebbe, a prescindere dalla loro appartenenza all'eurozona.

b) ergo, come abbiamo visto, trattandosi di una modifica (non indifferente) degli stessi trattati, occorre la "ratifica di tutti gli Stati membri", a fortiori dovuta in caso di trattato che non consente neppure la procedura di revisione semplificata, poiché il fiscal compact "estende le competenze assegnate all'Unione" in materia di sovranità o discrezionalità fiscale, che dir si voglia;

c) che una tale unanimità sia raggiungibile, in questo momento storico e proprio alla luce dell'esperienza maturata nell'applicazione del fiscal compact!, è altamente improbabile se non addirittura improponibile, a pena di acuire irreversibilmente le tensioni che già scuotono l'UE, così com'è (cioè  già "sconquassata" da discordie senza ulteriori cessioni di sovranità da parte di tutti, e in assenza di qualsiasi seria politica fiscale federale dotata di un adeguato bilancio);

d) invece, "uscire" dal fiscal compact è un discorso completamente diverso: come per l'Unione bancaria, come per il six pack, è praticabile in modo del tutto autonomo dalla scadenza dell'art.16, che ha la diversa ragion d'essere della incorporazione, (cioè della supposta estensione, non della riduzione delle parti aderenti); l'uscita è, in realtà una scelta politica nell'interesse nazionale, adottabile in qualsiasi momento in cui ne ricorrano i presupposti conformi alle regole del diritto internazionale dei trattati (v. p.3-4) (a fortiori per il fiscal compact che è un trattato non costitutivo dell'UE e ordinariamente concluso tra Stati sovrani secondo tali regole, per quanto in qualità di paese aderenti all'UE).

Non si vede dunque, rispetto alla sovrana decisione di non far parte di questo speciale trattato di diritto internazionale "comune", come possa influire l'essere o meno dotati di una cornice costituzionale monocamerale o bicamerale attenuata, dell'una o dell'altra legge elettorale e via dicendo.
Ammesso che gli effetti dichiarati della riforma siano..."effettivi", cioè rispondenti al vero,-  il che è oggetto di grande disputa tra il fronte del sì e quello del no-, la fiscal compact-exitè completamente indipendente dalla riforma costituzionale: era adottabile, seguendo le opportune procedure, anche ieri, anche oggi e ovviamente in un qualsiasi domani.
Certo, diverrebbe infinitamente più difficile, per le regole internazionali della "buona fede" nell'esecuzione dei trattati se l'Italia, se nel corso del 2017, si trovasse a esprimere un voto favorevole all'incorporazione.
Ma anche questa scelta controproducente sarebbe completamente autonoma dall'approvazione definitiva della riforma costituzionale.
Anzi, è in sé una dimostrazione di indipendenza sovrana e del proprio buon senso.

COMMISSIONE SUP€RSOVRANA? LA "LETTERA", I POPOLI E IL BREXIT CONTAGION

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juncker napolitano 2


1. Comprenderete se ci soffermiamo ancora sulla presente"congiuntura" della crisi €uropea, dato che non è rilevante solo l'accelerazione che sta oggettivamente subendo, ma il contesto in cui si colloca, in termini di shock addizionale, rispetto a un deterioramento che, come vedremo, pare essere inarrestabile.
Anche se la Commissione UE, a quanto sembra, tiene una facciata di underestimation del discredito montante da cui è circondata, ricorrendo all'atteggiamento di chi ritiene di poter ancora usare "bastone e carota", in un tradizionale rapporto di forza che mette in primo piano proprio il "bastone", ed elargisce ogni benevolenza come una paternalistica concessione, che sottintende il permesso un po' disgustato della Germania (qui, p.6).
Questa linea tradizionale, per quanto mitigata, è in effetti fondata sul quadro istituzionale UE - lo stesso che giustificherebbe, secondo la relazione di accompagnamento del governo proponente, la nostra riforma costituzionale.
Il "two pack" (ancora qui, p.6 come immanente "viatico" all'ERF, sempre incombente come soluzione finale) e il potenziamento dei wannabe poteri "imparziali" di monitoraggio dei conti pubblici in sede UEM, in effetti, ci dicono della crescente istituzionalizzazione di una totalitaria ingerenza sulla sovranità fiscale.

2. Veniamo al frangente che più ci riguarda da vicino.
Con un titolo che più autorazzista non si può ("ultimi della classe..."), Dagospia presenta l'articolo de La Repubblica che dipinge il quadro derivante dalla "lettera" della Commissione UE al governo italiano sulla manovra 2017. Eccone i passaggi essenziali (che confermano una logica e un linguaggio di avvenuto esproprio della sovranità fiscale):
"L’aspetto positivo è che la manovra italiana non sarà immediatamente bocciata dalla Commissione europea. Il lato negativo è che l’Italia resta nel mirino di Bruxelles, inserita nel terzo gruppo dei paesi che ieri hanno ricevuto la missiva Ue sui conti: il vagone di coda, quello dei peggiori. E dunque continua a rischiare di essere messa sotto tutela europea.

Una situazione in bilico dettata da Jean-Claude Juncker per marcare stretto Renzi ma non dar fuoco alle polveri delle polemiche. Per questo il presidente della Commissione ha voluto che la lettera all’Italia fosse un capolavoro di equilibrio.



Tra minacce velate, come quella di togliere d’un colpo i 19 miliardi di flessibilità accordati a Roma nel 2016 e mettere subito l’Italia sotto procedura, e buoni auspici, come quello di proseguire con un «dialogo costruttivo» per sbrogliare la matassa
...
Le lettere comprendono tre fasce di paesi. I primi sono quelli senza governo, Spagna e Lituania. Il secondo gruppo comprende Belgio e Portogallo, nazioni le cui bozze di manovra rispettano le regole ma devono dare garanzie sulla capacità di proseguire con le riforme. Infine i paesi le cui finanziarie rischiano di non essere conformi alle regole: Italia, Cipro e Finlandia.
...Il calendario adesso prevede una manciata di tappe. 
La prima, il 31 ottobre, che offre a Bruxelles la possibilità di bocciare la manovra e chiederne una nuova. Ma questo — assicurano dal cuore della Commissione — non avverrà. Si va così al prossimo mese, con la pubblicazione, il 9 novembre, delle previsioni economiche d’autunno sulle quali si baseranno poi le pagelle europee e che per l’Italia potrebbe rappresentare qualcosa di più. E qui si entra nel cuore del negoziato tra Roma e Bruxelles.
...
L’esito di questo complesso negoziato si intuirà l’11 novembre, quando il collegio presieduto da Juncker avrà una prima discussione sulle “opinions”, le pagelle sulle manovre dei diversi paesi che saranno pubblicate cinque giorni dopo, il 16 novembre. Se per l’Italia tutto dovesse andare per il meglio, si tornerà all’accordo inizialmente chiuso in segreto tra Juncker e Renzi e che il premier ha fatto saltare con l’approvazione di una bozza di manovra che ha tradito le aspettative di Bruxelles: via libera con giudizio definitivo congelato fino alla primavera per tenere pressione su Roma (e poter influire nella scelta di un eventuale nuovo governo in caso di sconfitta di Renzi al referendum).

Se invece il negoziato non sarà un successo, la pagella del 16 novembre farà a pezzi la manovra, ma Juncker aspetterà a bocciarla fino a quando non sarà approvata dal Parlamento, dando a Renzi il tempo di superare il referendum e modificarla. Se non lo farà da gennaio ogni momento sarà buono per bocciatura e procedura d’infrazione che potrebbe limitare la sovranità in campo economico".

3. Succo del discorso: 
a) "l'accordo segreto" sulla manovra era molto più rigido sulla copertura (tagli strutturali di spesa e maggiore imposizione fiscale) ai fini del raggiungimento dell'obiettivo intermedio di deficit strutturale di bilancio, e per la Commissione ciò non ha alternative: in un modo o nell'altro, l'accordo, che predetermina il livello di intervento socio-economico consentito allo Stato italiano, va applicato secondo i parametri del fiscal compact e ogni flessibilità va intesa solo nei sensi unilateralmente stabiliti dalla Commissione (e quindi dalla governance ordoliberista tedesca);
b) lo scenario di enforcement pare acuirsi in relazione alla "scadenza" del referendum: non solo la sanzione non mancherebbe qualunque ne sia l'esito, ma addirittura si prende in esame la vittoria del "no" come occasione, per l'€uropa, di influire sulla scelta di un nuovo governo!!!
c) a differenza che per la Francia,  (o della Spagna, v.infra), che, indisturbata, non accenna a uscire dalla (fase preliminare di) procedura di infrazione per violazione, abbondante e reiterata, del limite del mero 3% (!), poi, la procedura di infrazione NEI SOLI CONFRONTI DELL'ITALIA, E ALLA STREGUA DELLA GRECIA, determinerebbe una "limitazione" che consiste in null'altro che nel diretto esercizio della "sovranità economica" da parte dell'UE!!!

http://www.infodata.ilsole24ore.com/wp-content/uploads/sites/82/2015/02/20150226-Bilanci-Eu.png

4. La risposta del nostro governo, al momento, - e però prima che si inneschi questo meccanismo di tipo "estorsivo" (in quanto contrario ai principi fondamentali della nostra attuale Costituzione)-,  è che la manovra rimane invariata e  anzi, in caso di mancati "aiuti" sulla questione "immigrazione", l'Italia potrebbe mettere il veto sul bilancio UE.

Non può prevedersi come andrà a finire; i precedenti sono nel senso di un adeguamento costante del governo italiano, con qualche concessione per semi-salvare la faccia.
Più importante, tuttavia, ci pare sottolineare che il nostro "adeguarci con perdite da limitare" valeva in un contesto di stigmatizzazione appuntata sull'Italia e su un UE che, in chiave nazional-mediatica, era proposta come estremo modello di virtù e austera serietà.
Ma in tutta l'UE, a livello di democratica espressione del dissenso dei popoli coinvolti, questa virtù e questa serietà sono sempre meno "credibili".

5. Eccovi qualche dato più che eloquente.
Questo è un sondaggio riportato da Zerohedge e da Bloomberg (cioè come vedono la questione gli USA), su "Chi altro vuole uscire dall'UE" (piuttosto recente nel corso del 2016, essendo di fine giugno):
http://www.zerohedge.com/sites/default/files/images/user5/imageroot/2016/06/04/Clrs-wNVYAA01iT.jpg

L'Italia qui appare "prima della classe" e qualsiasi governo che non ne tenesse conto, rischia di fare un calcolo distrastroso sul piano del consenso. Checché ne dicano tutti i "colli" romani...Notare come nonostante la "burletta o vaudeville" del deficit, la Francia tenga buona compagnia all'Italia.

Ed è da notare come questo andamento, rilevato dalla Ispos Mori, muti repentinamente e radicalmente un quadro, di variegata discordia interna all'UE, che solo poco prima dell'esito della Brexit-poll (nelle cabine elettorali, non nei sondaggi), vedeva l'Italia come desiderosa di "più integrazione €uropea":
http://st.ilfattoquotidiano.it/wp-content/uploads/2016/02/brexit.jpg

6. Questa che vedete più sotto, (a "monito" tutt'altro che omogeneo a quelli che in passato provenivano dal nostro Quirinale), è la rilevazione, da parte del sito ufficiale (YouGov) del governo britannico, della percezione, da parte dei comuni cittadini, di chi sia avvantaggiato dall'UE:

In UK, a differenza che (finora) in Italia, lo small business ha le idee molto più chiare della situazione: e non hanno neppure l'euro!

7. Ma il dato più attuale e clamoroso, - ben al di là dei fiumi di retorica, scollati dai dati, con cui in Italia si continua a strillare sui giornaloni e a reti unificate-, riguarda il gradimento dei popoli europei per le politiche della c.d. "accoglienza", quelle che sovrappongono, al mercato del lavoro stremato dall'applicazione delle ricette neo-liberiste €uropee, - in nome della flessibilità e della competitività-, un esercito di disperati a quello autoctono, "industriale di riserva", dell'altissima disoccupazione strutturale voluta dall'€uropa:
eu1

8. Anche questo ulteriore grafichetto di comparazione su quali siano i risultati delle politiche UE-M in materia di "protezione del lavoro", potrebbe spiegare molte cose e dovrebbe, razionalmente, influire sia sulle riflessioni del governo italiano e, più ancora, su quelle della Commissione UE: 
Chart 2 - Employment protection
Non fatevi ingannare del "more regulated"; dovrebbe essere chiaro che in UE la regolazione risponde all'ideale ordolibersista dell'intervento programmatico dello Stato per ricondurre il mercato del lavoro alle leggi naturali della svalutazione e della flessibilità salariale verso il basso
Il fatto è questa "normalità" non pare chiaro quanto a lungo possa ancora durare...
La Commissione UE non pare essersene resa conto.

LA CORREZIONE DI ROTTA PRIMA DEL NAUFRAGIO: LA SCELTA DI CAMPO (LEGALITA' COSTITUZIONALE E COMPETENZA)

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http://m1.paperblog.com/i/259/2599869/afirman-haber-encontrado-carabela-santa-maria-L-4w5uKT.jpeg

1. La situazione attuale può rammentare diversi frangenti storici in cui si avverte l'insostenibilità dello status quo, ma non si riesce più a cogliere con chiarezza non solo la "rotta effettiva" che si sta, volenti o nolenti, solcando con l'imbarcazione sulla quale ci si trova, ma neppure la "correzione di rotta" che sarebbe necessaria per porre rimedio al percorso disastroso (ma non imprevedibile, se si fossero usati correttamente i normali strumenti e tecniche di navigazione) che sta portando un'intera comunità nazionale verso lidi inospitali e indesiderati dalla schiacciante maggioranza dei "passeggeri".

Il problema di una correzione di rotta è, a rigor di logica, proponibile in due principali versioni
a) quella tracciata (in conseguenza di scelte politiche) aveva come destinazione un "punto" di arrivo che, rivelandosi nel suo progredire, si manifesta come sconveniente e non condivisibile per il benessere, o addirittura la sopravvivenza, dell'equipaggio e dei passeggeri coinvolti, persino per gli sventati ufficiali di navigazione; e ciò a causa delle scelte non ben precisate, e sottaciute in base a una riserva mentale, da un "capitano" autoritario, e sprezzante delle vite che gli sono affidate, che ha dichiarato un certo scopo del viaggio ma che, invece, ne aveva in testa uno diverso e rispondente alla propria esclusiva convenienza:
e però, scopre che la meta effettivamente in vista all'orizzonte non è neppure quella che si attendeva nella sua"riserva mentale";
b) la rotta tracciata era prefissata da regole di "navigazione" che corrispondevano alle "tratte" predeterminate per cui quell'armatore aveva un'autorizzazione/concessione da parte delle legittime autorità, - e quindi corrispondeva a uno scopo che poteva legittimamente indurre equipaggio e passeggeri ad imbarcarsi, conoscenso in anticipo il "normale" punto di destinazione-, ma l'incompetenza e la negligenza del capitano e degli ufficiali addetti alla navigazione, ha condotto la nave irrimediabilmente fuori della tratta di navigazione legale (secondo le norme che l'armatore e il capitano erano tenuti a rispettare).

2. Ebbene, la mancanza di chiarezza attuale, è, a mio modesto avviso, riconducibile alla concomitanza, disorientante, di entrambe le ipotesi.
Si è trattato finora, infatti, di un viaggio che appariva regolarmente previsto come "tratta" normativamente autorizzata, - quella verso il benessere e la pace e la giustiza tra la Nazioni (art.11 Cost.), che sarebbero state garantite  tramite l'adesione all'UE e alla moneta unica-, ma che, in modo occulto, se ne discosta, in quanto coperto dalla totalenoncuranza verso la compatibilità delle nuove regole (di direzione e scopo della navigazione ritenuti di interesse generale), con quelle precedenti; regole mai abrogate (finora) e, anzi, tali da consentire "nuove" tratte solo a condizione che quelle comunque "ulteriori" fossero anch'esse finalizzate al perseguimento di quello stesso interesse generale, al benessere e alla sopravvivenza di equipaggio e passeggeri, fissato dalle più importanti norme di navigazione precedenti.
Alla fine, dunque, il viaggio sta svolgendosi su una rotta che simulava, anche per incautela di chi l'aveva formalmente autorizzato, il rispetto della legalità "superiore" (che pure giustificava la legittimazione e lo sforzo collettivo per infrastrutturare cantieri navali, porti e sistemi di capitaneria, dogana, reclutamento del personale, vendita di biglietti ai passeggeri), ma che, in concreto, è divenuta un dissimulato viaggio libero da fini di interesse generale, e per di più a destinazione ignota, persino al "capitano" e all'armatore che, intenzionalmente, hanno ingannato marinai e passeggeri;e che non sono neppure giunti ad ottenere quel vantaggio, occultato, che si erano ripromessi per se stessi (p.4)

3. Se la situazione di confusione è stata esposta in modo sufficientemente chiaro, con la metafora dell'intreccio dissimulato e ingannevole delle due ipotesi, ora ci troviamo di fronte a due problemi: 
- uno di legalità/liceità, da ripristinare per potere garantire la sopravvivenza di equipaggio e passeggeri, sanzionando coloro che hanno perpetrato l'inganno a proprio vantaggio e ledendo l'affidamento di tutti gli altri (ipotesi b), violando le regole che legittimavano qualsiasi "nuova tratta";
- un secondo, conforme alla "dissimulata" ipotesi a), che è anche di aggiuntiva (maliziosa) incompetenza e negligenza nel perseguire persino l'interesse personale e sottostante non dichiarato, il cui raggiungimento si rivela sempre più impossibile, con conseguenze catastrofiche per gli stessi promotori dell'inganno. E il rimedio più naturale è sollevare dal comando (tutti) questi promotori e ufficiali di navigazione.

4. Ora, se pure la mia inclinazione a spiegare la "complessità" possa risultare in spiegazioni....complesse (ma sto constatando che c'è sempre più gente "comune" che le trova, ormai, comprensibili), mi pare evidente che il "valore" più importante, cioè quello di vitale importanza per la comunità sociale italiana, sia quello di ripristinare la legalità costituzionale
Ma per poterlo fare con una minima speranza che ciò, finalmente, dopo decenni di diversi livelli e modalità di sabotaggio perpetrati con alterni successi, possa condurre ad un risultato soddisfacente in termini di benessere e democrazia, occorre anche che, chi è stato compartecipe dell'inganno, sia sostituito non solo da persone che non si prestino più a ripeterne di nuovi e analoghi, ma anche dotate di competenza e diligenza nel saper curare l'interesse democratico e sovrano della nazione, seguendo il quadro dei principi fondamentali della Costituzione. 

5. Un quadro che, sul piano delle scelte, può essere riassunto in questa citazione di Mortati propostaci dal prezioso Arturo:
Del tutto infondato appare, anche al più superficiale esame, attribuire carattere compromissorio a tali proclamazioni [di principio dalle quali è da attingere il criterio di graduazione dei molteplici interessi voluti tutelare], poiché esse risultano, se considerate nel loro nucleo essenziale, espressione univoca e coerente, in ogni loro parte, della volontà della grande maggioranza dell’Assemblea (8)”
Nota 8: “Jemolo, op. cit., p. 15 si è domandato quale classe politica rifletta, e quali aspirazioni di questa classe politica assecondi la Costituzione (con riferimento all’ opinione secondo cui questa si informerebbe al pensiero cristiano-sociale). Esatto quanto ritiene l’ A. che questo pensiero non abbia linee che valgano a dargli una vera fisionomia propria. Ma è vero che sussista tale ispirazione? Se alla concezione cristiana si voglia ricondurre il profondo motivo espresso dalla Costituzione essa deve essere intesa in un largo senso, non collegandola all’origine storica ed all’elaborazione dogmatica, in un senso analogo cioè a quello messo in rilievo da un noto saggio del Croce. Calata nella realtà di oggi quella concezione trova la sua più autentica espressione negli ideali del socialismo. Ed è a questa realtà che la nostra Costituzione ha voluto adeguarsi. (C. Mortati, Considerazioni sui mancati adempimenti costituzionali Aa. Vv., Studi per il ventesimo anniversario dell’Assemblea Costituente, Vol. IV, Vallecchi, Firenze, 1969, pp. 468).
  
6. Sul piano dei contenuti che devono connotare le scelte di ripristino di questa legalità, di questo Spirito di unità nazionale e di autentico patriottismo, che vide così concorde ("univoche e coerenti") in una nobile "intenzionalità", il nostro Potere Costituente (che deliberò sempre con schiaccianti maggioranze, compartecipi di tutti i partiti di "massa" dell'epoca), questi contenuti sono ricavabili "a contrario" da queste parole di Carli (G. Carli, Cinquant’anni di vita italiana, Laterza, Roma-Bari, 1996 [1993], pagg. 14-17), che ci offrono, (sempre grazie ad Arturo), lo schema paradigmatico delle riserve mentali e delle (interessate) ri-narrazioni a posteriori, che hanno alterato e contraffato la vera essenza del momento "costituente" indicataci da Mortati (come uno dei più autorevoli e competenti interpreti "autentici" delle vicende Costituenti), e che, dunque, hanno poi giustificato (fino al "vincolo esterno") le "ipotesi di rotta dissimulata" che hanno, costantemente, tentato il sabotaggio della legalità costituzionale:
“La Costituzione è il punto di intersezione fra la concezione cattolica e la concezione marxista dei rapporti tra società ed economie, tra società e Stato. Le accomuna il disconoscimento del mercato in quanto istituzione capace di orientare l’attività produttiva verso il conseguimento degli interessi generali e la individuazione nello Stato dello strumento più idoneo per orientare la produzione al­l’interesse generale.
La presenza della «terza cultura», quella di Luigi Einaudi, ha lasciato tracce meno profonde nell’impianto costituzionale. Tra esse riveste primaria importanza l’articolo 81, nel quale Einaudi, confortato dal consenso di Ezio Vanoni, Pella ed altri democristiani, vedeva garantito il principio del bilancio in tendenziale pareggio. 
In realtà, l’automatismo che si riteneva di aver istituito poggiava su un errore concettuale. A quei tempi infatti si pensava che eventuali spese aggiuntive per la pubblica amministrazione potessero derivare soltanto dall’ istaurazione di nuove leggi. Per questo, l’obbligo di indicare la fonte della copertura per una spesa venne estesa soltanto alle leggi di nuova istituzione. Non si immaginava che la tumultuosa e improvvisa crescita della legislazione sociale degli anni Settanta avrebbe fatto sì che le maggiori spese derivassero piuttosto dal bilancio stesso, dalla forza inerziale della spesa autorizzata da leggi a carattere pluriennale, e quindi dall’impianto della legislazione vigente che si trova al di fuori del vincolo di copertura.
L’errore concettuale deriva dal fatto che Einaudi e Vanoni avevano a quei tempi esperienza di uno Stato rigorosamente «minimo». Anche il rinnovo dei contratti per i pubblici dipendenti era un atto unilaterale dell'amministrazione, e non il frutto di un negoziato con i sindacati.
...
Einaudi, l’inflazione e i comunisti. Perché la parte economica della Costituzione è sbilanciata a favore delle due culture dominanti, cattolica e marxista? 
Forse per prudenza, forse per caso, De Gasperi ed Einaudi avevano costruito in pochi mesi una sorta di «Costituzione economica» che avevano posto però al sicuro, al di fuori della discussione in sede di Assemblea Costituente. Saggiamente, ad esempio, Einaudi aveva evitato che si facesse menzione della Banca d’ Italia nel testo costituzionale. E fu una fortuna, se si pensa che alla Costituente si valutò l’ipotesi di affidare la vigilanza sul sistema del credito all’Iri piuttosto che all’istituto di emissione.

La «Costituzione economica» fu il coronamento della cosiddetta «stabilizzazione della lira» e in qualche modo ne rovesciava i contenuti. Ebbi modo di discutere con Donato Menichella ciò che accadde nei mesi tra l’autunno del 1946 e la fine del 1947. La convinzione che Menichella aveva maturato è che Einaudi prima dell’agosto 1947, avesse lasciato deliberatamente correre il credito bancario, che andava a finanziare accaparramenti di merci, importazioni di beni e di consumo e, ovviamente, aumenti dei prezzi. Contemporaneamente, Einaudi consentì che il Tesoro utilizzasse a piene mani lo strumento della monetizzazione del disavanzo, giustificata pubblicamente nelle Considerazioni finali del maggio 1947, nelle quali fece il gioco delle domande retoriche, «avrebbe potuto il governatore...?»."
 
"Einaudi favorì la galoppata dell’inflazione, perché era impossibile attuare una politica di spesa pubblica (non vi erano i fondi in Tesoreria) e perché egli non condivideva politiche keynesiane. Un’ondata di liquidità sospinse una ripresa economica, inflazionistica, e forse contribuì ad evitare la rivoluzione armata comunista.
Einaudi sapeva di giocare con il fuoco. Attuò quella politica per pochi mesi, in una situazione di vuoto giuridico e istituzionale primordiale, hobbesiana. L’inflazione fu lo strumento per far accendere gli spiriti vitali dell’economia e riattivare impianti industriali i quali, secondo Einaudi, non avevano affatto subito distruzioni irreparabili dalla guerra. Questa situazione di caos primigenio consentì di polverizzare l’indebitamento che lo Stato italiano si portava dietro. 
Poi, all’improvviso, Einaudi promosse un’azione di segno esattamente opposto con strumenti distribuiti a tutti i livelli normativi.
1) Fece nascere il Comitato per il credito e il risparmio che sottrasse al sistema liquidità con l’istituzione delle riserve obbligatorie. La Fiammata inflazionistica si spense in pochi mesi, manifestando così la sua origine strettamente monetaria. Einaudi aveva fatto sfogare l’inflazione repressa, per poi stroncarla con uno strumento di controllo quantitativo della moneta che avrebbe dovuto tenerla a bada per sempre.
2) Dopo aver finanziato lo Stato con l’emissione di moneta, promosse il decreto 7 maggio 1948, n. 544, con il quale si proibiva la pratica delle anticipazioni straordinarie, e si istituiva un semplice strumento che consentiva elasticità di cassa, ma che poneva un freno ad una politica sistematica di monetizzazione del debito.
3) Promosse l ’approvazione dell’articolo 81 della Costituzione per garantire che, in futuro, l’amministrazione pubblica non si trovasse mai più nella situazione di dover monetizzare il disavanzo. Il bilancio tendeva al pareggio e garantiva contro future fiammate inflazionistiche causate da improvvise occorrenze monetarie dello Stato.
4) Punto di approdo di tutta la strategia, la decisione di aderire alle istituzioni monetarie internazionali con una lira non più destinata a una spirale di svalutazioni continue.
5) Einaudi volle infine che una buona legge come la legge bancaria del 1936 fosse mantenuta al centro dell’ordinamento finanziario, con alcuneinterpretazioni innovative. Infatti, l’impianto concettuale del lavoro di Beneduce e Menichella rispondeva a preoccupazioni di carattere patrimoniale, e di tutela dei depositanti. Essa venne, invece, piegata ad una nuova interpretazione, anche macroeconomica. 
Il legislatore aveva attribuito alla Banca d’Italia il potere di introdurre limiti quantitativi all’espansione del credito bancario, ma era estranea allo spirito della legge la concezione secondo la quale il credito bancario produce l’espansione della moneta, e dunque dei depositi."

"Si trattava di una strategia magistrale in difesa dello «Stato minimo» borghese, con un’alternanza di manovre che oggi diremmo di «stop and go», che attuò una sorta di primo divorzio tra Tesoro e Banca d’Italia. Tuttavia, era una strategia extra costituzionale, nata e gestita tra la Banca d’Italia e il governo, e dunque legata a una dialettica istituzionale propria di uno Stato borghese, che non avrebbe retto ai mutamenti dei decenni successivi.
Le forze propulsive che hanno spinto l ’evoluzione della società italiana nel corso dei decenni successivi si sono costantemente ispirate al solidarismo cattolico e al collettivismo marxista. Dal loro intreccio ha ricevuto impulso la politica della gratuità delle prestazioni pubbliche. La nostra adesione alle istituzioni internazionali, alla Cee in particolare, ha costituito un freno, abbastanza forte da condizionare ma non tanto forte da impedire l’allargamento della presenza pubblica nell’ industria, l’adozione di comportamenti inflazionistici.”. (G. Carli, Cinquant’anni di vita italiana, Laterza, Roma-Bari, 1996 [1993], pagg. 14-17).

Dove si vede come anche Carli non avesse capito quanto avesse contato, in termini pratici, il ripudio del liberismo e del neo-liberismo (inclusivo della teoria quantitativa della moneta nelle proposizioni di Einaudi e gli ordoliberisti), avvenuto in Costituzione.
Ripudio che non aveva nulla a che fare con l'avversione alla libera iniziativa economica privata, come dà invece ad intendere l'Amato di cui sopra, confondendo, come sempre, l'equilibrio keynesiano di domanda e offerta aggregate, con quello marginalista -marshalliano, fondato sulla generalizzazione dell'equilibrio prezzi-costi marginali della singola impresa.
E tutto questo, dato che alle "fantasie" storico-economiche degli ordoliberisti sfugge che la "lievitazione" del settore industriale privato italiano fu dovuta all'immediato e robusto sostegno all'occupazione e alla domanda dato dalla grande, e amplificata, industria pubblica.

8.1. Le politiche deflattive di Einaudi non c'entrarono molto: semmai, - nella consueta ossessione per la competitività e per le riserve di valuta pregiata, trascinatasi dai tempi in cui acclamava il fascismo-, acuirono il conflitto sociale, consentendo un rafforzamento del partito comunista rispetto alla situazione di prevalenza dei socialisti in Costituente.
Lo stesso Carli cadeva in questo equivoco: scambiare Rosa Luxemburg per Stalin (nonostante gli avvertimenti di Caffè e Lelio Basso).
Tutt'oggi questa è la vulgata prevalente che infiora le "ricostruzioni" espertoniche ordoliberiste di destra (dov'è un mantra fisiologico, oltre che esercizio di ignoranza dei dati normativi e macroeconomici), ma più che altro di sinistra. Naturalmente sognatrice e €uropeista.

E pensare che basta una lettura dei documenti dell'epoca per chiarire l'"equivoco".
Per esempio sulla relazione della Presidenza della Commissione per lo studio dei problemi del lavoro del Ministero per la Costituente, un documento ripetutamente citato nei lavori dell'Assemblea, leggiamo:
“Fu esattamente detto che ad ogni forma di economia corrisponde un regime. E tutte le Sottocommissioni sono state unanimi, perciò, nell’auspicare che la nuova Carta costituzionale contenga almeno quei primi principii che, riconosciuto il lavoro come elemento della organizzazione sociale del popolo italiano, traccino le direttive della legislazione futura in materia di lavoro, in guisa tale che la dignità della sua funzione, la sua più ampia tutela ed ogni possibilità futura di sviluppo della sua posizione nell’ordinamento sociale siano assicurate.

Si è già rilevato che la Commissione ha considerato il lavoro come uno degli elementi ma non come il solo elemento rilevante della organizzazione economica e sociale. Da ciò bisogna dedurre il riconoscimento della proprietà privata dei mezzi di produzione, e quindi una tuttora persistente funzione del capitale privato nel processo produttivo.

La Commissione, nel suo complesso, tenuto anche conto delle risposte al questionario e degli interrogatorii, si è orientata verso un sistema eclettico che comprende così il principio della «sicurezza sociale» come quello del «pieno impiego», recentemente affermatisi in America ed in Inghilterra, con decisiva tendenza verso ogni forma di benintesa cooperazione.

La possibilità di occupazione nella attuale situazione non può essere creata che da una politica di spesa pubblica e da una politica di lavori pubblici. L’orientamento teorico della Commissione, come risulta anche dalla relazione della Sottocommissione economica, è volto verso le teorie della piena occupazione, in quanto essa risulti attuabile nel nostro sistema di produzione, teorie che stanno alla base dei piani Beveridge e consimili. La relazione rappresenta perciò una indicazione di politica economica che corrisponda alla realizzazione del principio giuridico del diritto al lavoro.”

L'autore peraltro era un comunista. A conferma di quella convergenza attorno al lavoro di cui parlava Mortati.

LA COSTITUZIONALIZZAZIONE DEL "VINCOLO ESTERNO" E LA "PRECOMPRENSIONE" DELL'ART.117.

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http://image.slidesharecdn.com/gadamerelermeneutica-140402101132-phpapp01/95/gadamer-e-lermeneuticalucia-gangale-8-638.jpg?cb=1396433521

1. Vale la pena di tornare sull'argomento del "nuovo" art.117 (in particolare ci interessa il primo comma), quale proposto nell'attuale riforma costituzionale. 
Nei social,  in numerose mail pervenutemi, e persino in questa sede, più volte s'è fatto riferimento a questa norma come quella da cui sarebbe ricavabile la "costituzionalizzazione" dell'€uropa. Deduzione, logicamente, testualmente, e sistematicamente, inesatta e che, infatti, si presta alla facile (e altrettanto errata) obiezione, da parte dei sostenitori della riforma, che, allora, non ci sarebbe alcuna innovazione al riguardo, potendosi già far derivare questa costituzionalizzazione dalla precedente versione dell'art.117, risultante dalla riforma costituzionale "federalista" del 2001.

2. In effetti, queste sono le due versioni dell'art.117 (comma 1), attuale e "riformato":

a) "La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali" (attuale)
b) La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento dell’Unione europea e dagli obblighi internazionali (come riformato).
La variazione è limitata dunque alla sostituzione di "ordinamento comunitario" con il più (giuridicamente) attuale "Unione europea": se la costituzionalizzazione fosse MAI derivata da questo comma, i pro-riforma avrebbero ragione.
Ma così non è. 


3. Per spiegare in modo auspicabilmente definitivo la questione, ci riportiamo a quanto detto nel postQUAESTIONES D€ REFERENDI SUBTILITATIBUSe prendiamo spunto da un commento-interrogativo: "La modifica del comma 1 dell'Art. 117 con la sostituzione del termine comunitario con il termine Unione Europea perché renderebbe più stringenti i vincoli per il nostro Paese? Non era già sufficiente l'attuale formulazione per vincolare (purtroppo) tutte le scelte politiche dei vari governi italiani?
E' da notare che tale commento è stato svolto a distanza di qualche settimana dalla pubblicazione del post e dunque indica una difficoltà del pubblico a superare i confini angusti della discussione sulla rifoma imposti dalla forte propaganda mediatica a suo favore. 

4. Ci pare dunque utile accorpare il contenuto delle risposte al "quesito", in modo da dirimere la questione senza ulteriori cedimenti alla incessante vulgata mediatica, che tende a far scadere il livello della comprensione della riforma al di sotto di qualsiasi accettabile standard di interpretazione giuridica (aggiungeremo qualche link per consentire di approfondire ulteriormente alcuni profili giuridici):

La questione è specificamente trattata al punto 5 del post, con un apposito addendum
Per i non giuristi, o per giuristi non memori dei lineamenti fondamentali del diritto, rammento che l'art.10 Cost. riconosce l'osservanza da parte della Repubblica italiana delle "norme del diritto internazionale generalmente riconosciute", tra cui campeggia il "pacta sunt servanda": cioè, la Costituzione implica in modo obiettivo e chiaro che "l'Italia esegue i trattati" (cfr; art.26 della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati, a cui è in definitiva fatto un c.d. "rinvio" mobile, in quanto tale convenzione "codifica" il diritto internazionale in materia quale consolidatosi, "almeno" dal 1975, come "consuetudinario"). 
Ma sempre a condizione che ciò non aggiri il limite, posto dai diritti e principi fondamentali della Costituzione, ad ogni possibile fonte del diritto internazionale, come, talora, si rammenta di riaffermare la nostra Corte costituzionale; v. da ultimo, sent n.238 del 2014.

Dunque riscrivere in altra norma della Costituzione che l'Italia rispetta, eseguendoli, i trattati internazionali, "tra cui" quello UE, è solo una ripetizione, a livello normativo di fonte inferiore (revisione costituzionale rispetto all'originario Potere Costituente: v.qui, p.4), di quanto meglio affermato all'art.10 Cost.

Però, consiglio di rileggersi tutto il post dove è escluso che sia l'art.117, di nuova e vecchia formulazione, a costituire il precetto che vincola a livello costituzionale, in modo ben diverso dal pacta sunt servanda, a eseguire le politiche €uropee; cioè ad asservire comunque il Parlamento a realizzare un indirizzo politico formatosi al di fuori della sovranità nazionale (a Bruxelles, come mandataria di Berlino) e dunque, a prescindere dall'indirizzo formatosi in Italia a seguito di QUALSIASI esito elettorale.

5. Va infine aggiunto che la tesi appena confutata, tra l'altro, è un esempio quasi allo stato puro di "precomprensione", cioè di anticipazione del senso di un testo a prescindere dalla comprensione logica e sistematica delle parole in esso utilizzate.
E non è un caso che, al di là dei riflessi "di fazione" sul dibattito politico nazionale, la precomprensione più incidente sulla corretta interpretazione della nostra Costituzione (del 1948), sia quella dei "banchieri centrali"
Questi ultimi, per irrinunciabile tradizione, hanno una visione diametralmente opposta al "principio lavoristico" che ispira la nostra Costituzione primigenia: e questa opposta visione, come ci ricorda Arturo nel racconto di Guido Carli (qui, p.6), tesero a riaffermarla già mentre si stava approvando la stessa Costituzione, nel 1947.

ACCENTRAMENTO DEL POTERE NELL'ESECUTIVO: LE RISPOSTE DELLA "RIFORMA" (OLTRE LA LEGGE ELETTORALE)

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 http://images.treccani.it/enc/media/share/images/orig/system/galleries/SCIENZE_SOCIALI/VOL_1/accentramento1.jpg

(L'immagine non c'entra? C'entra, c'entra: basta fare attenzione alle sue note a piè di pagina e leggersi bene il post...e i links.
E comunque mi pare irresistibile, visto che siamo nell'anno prima del divorzio tesoro-bankitalia e dell'inizio dell'ondata inarrestabile delle leggi "europeissime").

1. Una delle cose che più dovrebbe lasciare impressionata la nostra memoria, quantomeno "a breve termine" (sperabilmente), è la notevole coerenza e unidirezionalità con cui stanno agendo le forze che sono all'opera per smontare in tutti i suoi elementi fondamentali la democrazia sociale e keynesiana che, a quanto pare improvvidamente, è stata costruita dall'Assemblea Costituente.

Guardate qua come, nonostante le già mostrate e ondivaghe obiezioni alla riforma costituzionale, il Financial Times paia mandare un "pizzino"al nostro governo:
 

In soldoni: lo spread italiano "...è assurto al suo picco da Febbraio dopo che il primo ministro Matteo Renzi ha sfidato i tentativi di Bruxelles di porre un freno alla spesa pubblica del paese. Nell'ultimo bozza di bilancio per il 2017, Renzi, (di centro-sinistra), ha promesso di ridurre il deficit strutturale di bilancio al 2,3% del PIL muovendo da un impegno iniziale di portarlo all'1,8 assunto precedentemente quest'anno".

2. Vi ho tradotto la parte essenziale del discorso riportata nell'immagine per poterci poi riallacciare al..."semestre italiano" considerato un evento storico di riaffermazione dell'autonomia presunta della posizione italiana in €uropa e, invece, autoaffondatasi fin dal primo giorno.
Sulla (il)logica degli spread, all'interno di un'eurozona in cui il problema sono gli squilibri commerciali e finanziari privati che vanno corretti "distruggendo (per via fiscale) la domanda interna" (come diceva Monti), s'è detto tante volte, fino alla nausea. Ma non c'è verso di farlo capire ai "mercati" e ai giornaloni della finanza internazionale: certamente, perché non sono "interessati" a capire. 
Tutt'altro.

3. Ma la coerenza e unidirezionalità dell'azione destrutturante della democrazia in nome dell'€uropa, sono dimostrati proprio dall'inadeguatezza della posizione italiana anche quando possa apparire di "ribellione", peraltro da punire prontamente.
A seguito del noto discorso di "Telemaco", e della magnifica "eredità", in esso reclamata, dell'irenica costruzione €uropea, (discorso tenuto appunto all'apertura del semestre italiano del 2014), all'indomani di un'affermazione elettorale che si era presunto conferisse al governo italiano una posizione di forza, avevamo infatti osservato: 
"La vulgata pop della crisi, recentemente evolutasi in modo "generico"- o meglio atecnico, in quanto riferita a spesa pubblica, sostenibilità del debito pubblico e spread-, non va confusa con la "consapevolezza" effettiva della stessa, nei suoi integrali ed univoci legami con l'Europa della moneta unica.
Quest'ultima, a rigor di logica, costituisce null'altro che una eredità in pesante passivo, che qualsiasi Telemaco cum grano salis accetterebbe "con beneficio d'inventario"; cioè prendendone decisamente le distanze e non facendosi carico di debiti contratti da altri ("padri della Patria") e con un'imprudenza che ha fatto il gioco di creditori in ampia male fede (se non altro nel prestare, e nel non cooperare rispetto all'assolvimento delle obbligazioni che il trattato poneva, anche e specialmente, a loro stesso carico). 
Non pare affatto conoscere "benissimo" i nodi del problema. O almeno non tiene comportamenti che rivelino tale conoscenza.
Altrimenti, tanto per cominciare, non avrebbe fatto cenno alla patrimonializzazione dell'Italia, in replica al tedesco...che nel frattempo aveva abbandonato l'aula con una scortesia che Scultz, Scultz! (l'amico del giaguaro), in altri casi avrebbe stigmatizzato; ma non in questo ("strano" no?).
L'argomento in replica usato da Renzi è quello tipico del debitore "scaduto"(dai termini di pagamento), di fronte al creditore che avanza pretese eccessive ma, che si riconoscono comunque fondate.Cioè è una ricognizione di debito, avanzandosi semplicemente una rivendicazione di solvenza di fronte alla pretesa stessa. 
Il tedesco, usando un trito argomento di economia ordoliberista pop, ha fatto riferimento all'aumento del debito a seguito di aumento del deficit e all'influenza di ciò sulla crescita (in soldoni).
Se Renzi avesse "capito i nodi", avrebbe potuto replicare:
- che la sostenibilità del debito italianoè, secondo la commissione UE (!), la migliore tra i grandi paesi UEM, 
- che tuttavia le misure che hanno portato a questo risultato (che il crucco dovrebbe stamparsi bene nel capoccione semivuoto), stanno conducendo alla morte industriale italiana;
- che la crescita stimolata dal deficit è l'unica via possibile di fronte al molto più reale problema della pluriennale caduta della domanda italiana causata dalle politiche imposte dall'UEM;
- che il problema, in caso di  aumento del deficit pubblico, è semmai la domanda estera, cioè gli squilibri commerciali (debito privato) che propriole violazioni tedesche citate dallo stesso Renzi avevano contribuito ad aggravare in tutta UEM con atteggiamento doppiamente violativo dei trattati;
- che il problema, dunque, era essenzialmente l'assetto della moneta unica e che, se non lo si affrontava, questa era a rischio e, perciò, al tedesco conveniva essere più conciliante e meno ignorante, perchè la sua Germania è quella che rischia di più in caso di euro-break.
Devo continuare?
Anche solo accennare ad una parte di queste argomentazioni avrebbe avuto un effetto NEGOZIALE effettivo ed incisivo, per la stessa ottica di rilancio dell'UE che Renzi invoca, non solo per l'Italia.
Ma per farlo occorreva avere una effettiva conoscenza dei "nodi"..."


4. Invece, come noi dovremmo ormai ben sapere, questi argomenti non sono tutt'ora tirati seriamente in gioco, dato che ci si fa un vanto che il deficit ottenuto, con la manovra "spendacciona", (e mal vista dai mercatoni parlanti tramite il FT), il più basso valore mai registrato in Italia dai tempi di Maastricht(almeno): e dunque, stiamo parlando della logica per cui riducendo il deficit, e l'intervento pubblico, si promuova la "crescita"; solo che questa logica viene comunque "validata" attenuandola "un pochino". 
Accettata tale premessa (pseudo-scientifica), si finisce inevitabilmente per accettare il contraddittorio sul fatto che "il problema italiano è il debito causato dall'eccesso di spesa pubblica".
Come pure sappiamo che a questa"attenuazione" italicadella logica €uropea dell'austerità espansiva, - al netto dell'inserimento nei trattati del fiscal compact, che, abbiamo altrettanto visto, costituisce questione di lana caprina per un paese come l'Italia, con l'attuale art.81 Cost., nonché questa attuale giurisprudenza della Corte costituzionale- si propone un pronto ed efficiente rimedio: l'approvazione della riforma costituzionale per adeguarsi alla nuova governance €uropea e alle politiche €uropee, adeguamento esplicitamente indicato come "ragione" della riforma dal nostro governo proponente.

5. Sul punto, registriamo una voce del "no" che dice cose in buona parte condivisibili, e peraltro assodate, ma dimentica la questione €uropea, indebolendo il suo costrutto critico. Ve ne riporto la parte essenziale:
"...la riforma è mal pensata e mal scritta di per sé, a prescindere dalla legge elettorale: le modalità di composizione del Senato restano segnate da irresolubile contraddittorietà e le sue possibilità di effettivo funzionamento assai incerte; il procedimento legislativo si complica al di là di ogni ragionevolezza; 
; gli strumenti di garanzia (presidente della Repubblica, giudici della Corte costituzionale, membri laici del Csm, Statuto delle opposizioni) cadono nella disponibilità della maggioranza; la ripartizione dei giudici della consulta tra Camera e Senato è del tutto irrazionale; i rapporti Stato-regioni restano contraddittori e comunque sempre nella disponibilità del governo qualora decida di attivare la clausola di supremazia; il concreto esercizio della democrazia diretta è reso più difficile, mentre il potenziamento dei relativi strumenti rimane (l'ennesima) promessa".
...Facile dire che non si verificano pericolose concentrazioni di potere quando non ci sono i presupposti per concentrare il potere; difficile è dire lo stesso quando quei presupposti si verificano. L'Italicumè esattamente questo: uno strumento di concentrazione del potere che la nuova Costituzione non riuscirebbe a contenere
http://image.slidesharecdn.com/ilfascismo-120308114750-phpapp02/95/dopoguerra-e-fascismo-in-italia-61-728.jpg?cb=1331208023

Negli anni passati, la Costituzione è riuscita, sia pure con difficoltà, a impedire che forze politiche venate di autoritarismo avessero mano libera nel governare il Paese. Se oggi la stessa Costituzione non è riuscita a impedire il suo stravolgimento, è solo perché la sentenza che ne sanciva la violazione da parte del Porcellum è stata ignorata. Se la maggioranza non avesse potuto godere a tempo illimitato dell'illegittimo raddoppio dei seggi, oggi non si discuterebbe di riforma costituzionale".

6. Nel dibattito televisivo con De Mita, il premier ha chiesto di indicare quali fossero le norme della riforma che portassero a un rafforzamento del potere del premier e del governo rispetto al parlamento.
In realtà, anche avendo elementari conoscenze storiche, la risposta non era difficile da dare, tanto che il citato articolo del prof.Pallante le cita, (peraltro in modo avulso dall'€uropa e quindi indebolendone la denunzia). Si tratta de:
a) "il voto a data certa (che) consegna il calendario dei lavori parlamentari nelle mani del governo, così completando (con fiducia, decreti-legge, maxi-emendamenti, ecc.) il dominio dell'esecutivo sul legislativo";
b) "i rapporti Stato-regioni restano contraddittori e comunque sempre nella disponibilità del governo qualora decida di attivare la clausola di supremazia".

7. Le relative previsioni sono, la prima, l'approvazione delle leggi nei tempi prefissati unilateralmente dal governo, nell'art.72, comma 4, della "nuova" Costituzione riformata:
"Esclusi i casi di cui all’articolo 70, primo comma, e, in ogni caso, le leggi in materia elettorale, le leggi di autorizzazione alla ratifica dei trattati internazionali e le leggi di cui agli articoli 79 e 81, sesto comma, il Governo può chiedere alla Camera dei deputati di deliberare, entro cinque giorni dalla richiesta, che un disegno di legge indicato come essenziale per l’attuazione del programma di Governo sia iscritto con priorità all’ordine del giorno e sottoposto alla pronuncia in via definitiva della Camera dei deputati entro il termine di settanta giorni dalla deliberazione. In tali casi, i termini di cui all’articolo 70, terzo comma, sono ridotti della metà. Il termine può essere differito di non oltre quindici giorni, in relazione ai tempi di esame da parte della Commissione nonché alla complessità del disegno di legge. Il regolamento della Camera dei deputati stabilisce le modalità e i limiti del procedimento, anche con riferimento all’omogeneità del disegno di legge".
La seconda, la "clausola di supremazia" (che meriterebbe un ampio discorso a sè), è contenuta nel "nuovo" art.117, comma 4:
"Su proposta del Governo, la legge dello Stato può intervenire in materie non riservate alla legislazione esclusiva quando lo richieda la tutela dell’unità giuridica o economica della Repubblica, ovvero la tutela dell’interesse nazionale".

8. Il primo articolo non avrebbe bisogno di ulteriori commenti, se non quello di rammentare come vi sia un precedente equivalente sul piano del precetto sostanziale che viene introdotto
"Mi riallaccio quindi al post precedente dove si parlava di involuzione anti-parlamentare. Chiara, ormai, come il sole (l'unico dubbio è se assimilare l'attuale momento ai tempi di Di Rudinì e Pelloux ovvero a quelli di Mussolini). Si vuole una forma di governo esecutivo-centrica e basta, con un parlamento ratificatore.
Ora: la legge n. 2263 del 1925 recitava (art. 6): 
"Nessun oggetto può essere messo all’ordine del giorno di una delle due camere, senza l’adesione del capo del governo."
(La legge di nonno Benito, proprio lei).

Mi si dica se, nei fatti, un ddl costituzionale presentato dall'esecutivo che ne pretende un'approvazione (quasi) integrale, dove si detta uno specifico contingentamento dei tempi di esame dei disegni di legge non si uniformi alla medesima ratio.
Ma a sciogliere i dubbi, ci pensa la lettera b) dell'articolo 10, del citato ddl Renzi-Boschi, che recita [ndr; si tratta della versione originaria del testo della riforma, poi modificata, ma non nella sostanza, nei passaggi parlamentari, fino alla forma sopra riprodotta]: "Il Governo può chiedere alla Camera dei deputati di deliberare che un disegno di legge sia iscritto con priorità all'ordine del giorno e sottoposto alla votazione finale entro sessanta giorni dalla richiesta ovvero entro un termine inferiore determinato in base al regolamento tenuto conto della complessità della materia. Decorso il termine, il testo proposto o accolto dal Governo, su sua richiesta, è posto in votazione, senza modifiche, articolo per articolo e con votazione finale. In tali casi, i termini di cui all'articolo 70, terzo comma, sono ridotti della metà"...

9. Alla facile obiezione che esistano in altri ordinamenti in cui sia inserita una previsione acceleratoria ex parte principis, fino alla predeterminazione di quel fondamentale momento di scelta che è la priorità dell'ordine dei lavori, propria dell'organo deliberante, e non di un organo "richiedente" che corrisponde a un diverso potere sul piano costituzionale, si può replicare che sì, esistono previsioni del genere.
Ma simili previsioni o non sono poste a livello costituzionale"formale", lasciando libero il Parlamento di riappropriarsi della propria autonomia di indirizzo politico.
Oppure sono in Costituzioni, come quella tedesca, che risultano improntate al concetto di indirizzo prevalente fissato dall'Esecutivo in quanto, in ossequio alla teoria ordoliberista della predeterminazione del più essenziale indirizzo politico da parte della fissazione "automatica" dell'equilibrio autonomo dei mercati, questo stesso indirizzo non possa realmente considerarsi la conseguenza delle indicazioni del processo elettorale.
Da notare, in ogni modo, che le esigenze acceleratorie e predeterminative dell'ordine e dei tempi delle deliberazioni parlamentari sollecitate dal governo, in Germania, sono regolate in modo meno perentorio e draconiano di quanto non risulti dalla norma di riforma attuale italiana (cfr; art.76 della Legge Fondamentale tedesca). 

Al processo elettorale (e a quello di elaborazione programmatica dei partiti che si rivolgono agli elettori), in questa visione, non compete, oltre il limite della discussione sulle libertà negative (nonché sui "diritti cosmetici"), di mettere in discussione la connaturata tecnocrazia interprete delle esigenze dell'ordine superiore del mercato e della formazione dei prezzi: anzi,la formazione spontanea dei prezzi è considerata il "voto permanente" (dei consumatori) cui è affidata ogni democraticità concepita nel campo economico e fiscale.

10. In questo schema di riduzione dell'autonomia dell'indirizzo politico proveniente dal circuito "elezioni-rappresentatività parlamentare della volontà del corpo elettorale", è evidente come si inscriva il modello della governance €uropea, quale espressamente enunciato nella interpretazione "autentica" fornita dal famoso "discorso di Barroso" nonché dagli auspici riformatori della Venice Commission.

Ed è questo aspetto di imposizione e orientamento €uropeista delle "ragioni della riforma costituzionale che - in raccordo con una legge elettorale che, per altro verso e con autonoma incisività, riduce la rappresentatività del parlamento in funzione, ossessivamente dichiarata, della governabilità (v.p.2.1.) -, risultano carenti le ragioni del "no" provenienti da più parti.
E non solo: ignorandosi questi aspetti, pure così eclatanti, si rende oggettivamente inattendibile ogni resistenza e opposizione alla "attuazione delle politiche europee" che si reclama solo a parole. 

Questa esigenza di "disciplinata" attuazione, infatti, rimane il clou innovativo, - di più profonda modificazione del "luogo" (cioè Bruxelles) e dei modi (non elettorali) di formazione dell'indirizzo politico fondamentale nonché della conseguente attività legislativa-,  apportato dalla stessa riforma costituzionale.

IL BOOMERANG INCONSAPEVOLE: RESPINTO IL VINCOLO €STERNO, CHI VORREBBE ANCORA LA "GOV€RNABILITA'" E DEVASTARE LA COSTITUZIONE DEL 1948?

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https://frammentidrealta.files.wordpress.com/2013/03/f8db5-nuovoordinequotidiano.jpg

1. Mi hanno "taggato" con questo esilarante (per quanto...crudele) video che può essere assunto come una metafora. Ma non necessariamente soltanto della "politica della sinistra": direi di qualsiasi politica che discenda da un'inerzia esogena, cioè eteroimposta, inconsapevole degli interessi dell'intera comunità sociale. In altri termini, che discenda dalla perduta cultura dell'interesse democratico nazionale.

2. Il tema ovviamente riguarda il problema di come si debba disporre di adeguate premesse culturali, - storiche, economiche e giuridico-istituzionali- per identificare un "nostro" indirizzo politico, prima generale e comunitario, poi svolto in concrete politiche economiche, industriali e fiscali, che siano veramente aderenti agli interessi degli italiani.
Quanto ora detto parrebbe un'ovvietà ma, a questo punto della degenerazione della vicenda della sovranità democratica nazionale, dobbiamo prendere atto, e di conseguenza temere, che non lo sia affatto.

L'argomento, quindi, riguarda specificamente il nostro ordinamento costituzionale, proprio in una fase in cui tra ipotesi di "rinvio" della consultazione referendaria, e tensioni, anzi, "torsioni" riguardanti la tradizionale fedeltà della classe governante in Italia, da almeno 35 anni, all'idea salvifica del "vincolo esterno" e della riforma costituzionale "efficiente" e che privilegi la "governabilità".
Queste parole d'ordine, ripetute da decine da anni e sorteall'indomani della formulazione programmatica del "vincolo esterno", - essendo cioè del tutto evidente il legame antico e attualissimo tra le due cose- sono entrambe il frutto avvelenato della desertificazione culturale eteroimposta alla società italiana dalle forze del mercato sovranazionali, che hanno sostituito la stessa classe politica "autoctona" nella determinazione dell'indirizzo politico e svuotato di senso il processo elettorale.

3. Come ciò agisca, tra trasformazioni sociali deflazioniste e antitetiche alla tutela del lavoro di tutti, cioè al valore di vertice della nostra Costituzione, lo si è visto in una continua progressione di stagnazione della crescita (proprio a partire dall'imposizione del "vincolo esterno"), oscillante tra out-put gap e recessione, che ha disseminato una crescente disoccupazione e la distruzione dei diritti sociali: cioè, precariato e flessibilità nell'occupazione lavorativa (quando c'è), drastica riduzione della previdenza pubblica principalmente pensionistica, del servizio sanitario universale, del livello delle prestazioni della scuola e dell'istruzione pubbliche, e di ogni altra prestazione che la Costituzione aveva affidato allo Stato democratico nazionale.

Insomma, se davvero, un senso di ribellione (se non di crisi di coscienza) verso gli esiti del vincolo esterno, sta pervadendo la gran maggioranza delle forze politiche italiane, - cosa prevedibilissima ma che solo tre o quattro anni fa sarebbe risultata sorprendente per "l'uomo della strada"-, le proposte politiche conseguenti dovrebbero necessariamente essere coerenti e funzionali a questo mutato scenario di riferimento.
Non si può continuare con gli slogan della "governabilità" e della esigenza di rendere più efficiente la nostra Costituzione: sarebbe una continuità di rimedi e di aspirazioni strettamente conseguenti dalle nefaste scelte che, a parole, si vorrebbero criticare e in gran parte rinnegare.

4. Quando alcuni anni fa, avevamo sintetizzato le ragioni per le quali dovessimo rivendicare che "La Costituzione del 1948 non si tocca", avevamo delineato un quadro semplificato anticipatore, già allora, della fotografia del confuso presente:
"L'analisi parte dalla Costituzione, per illustrare come il suo modello sia il frutto di 150 anni di lotte sociali e di problematiche che vennero affrontate in un modo che teneva già conto di tutto quanto, nella sua attuale riproposizione ordoliberista, si riaffaccia, con implacabile "ovvietà", sul palcoscenico della Storia umana.
…a quella scelta, operata in un (raro) momento felice comune all'intera Nazione, e al termine di una tragedia, dovremmo saldamente attenerci
Per evitare "che tutto questo si ripeta".
[Incombe sempre] il pericolo di dare per scontato che occorra "fare le indispensabili riforme", propinando, al corpo sociale stremato, dosi ulteriori della stessa medicina avvelenatrice ordoliberista (o semplicemente spaghetti-liberista);un pericolo sempre presente.
Anzi, radicatissimo e diffuso.
Ci dovremo parare le spalle sia dalle offensive dei diritti cosmetici che dalle pulsioni anti-Stato democratico che attaccano a forbice la sovranità costituzionale
Questa battaglia è già in sè impervia: simultaneamente dovremo prepararci al collasso dell'euro e al tentativo di rilancio dell'internazionalismo liberoscambistache verrà fortissimamente tentato in preparazione di questo collasso".

5. Una cosa, dunque, si imporrebbe come segno di coerenza con la riscoperta dell'interesse nazionale sovrano da parte dell'attuale classe politica italiana (tranne alcuni giapponesi dediti all'€uropeismo "fuori tempo massimo" della Storia): di abbandonare per la sua dannosa superfluità, l'idea delle riforme costituzionali "adeguatrici" (A COSA?), della "governabilità" (esclusivamente al servizio dei mercati sovranazionali), e delle leggi elettorali asservite a questi obiettivi.
Sulla inanità, figlia della perdita delle "risorse culturali", di queste idee, lasciamo volentieri la parola ai ben consapevoli Padri Costituenti (ringraziando i miei preziosi commentatori).
Ecco l'interpretazione "autentica" di Mortati rispetto alla straordinaria "unità di intenti"che si raggiunse in sede Costituente:
“Del tutto infondato appare, anche al più superficiale esame, attribuire carattere compromissorio a tali proclamazioni [di principio dalle quali è da attingere il criterio di graduazione dei molteplici interessi voluti tutelare], poiché esse risultano, se considerate nel loro nucleo essenziale, espressione univoca e coerente, in ogni loro parte, della volontà della grande maggioranza dell’Assemblea (8)”
Nota 8: “Jemolo, op. cit., p. 15 si è domandato quale classe politica rifletta, e quali aspirazioni di questa classe politica assecondi la Costituzione (con riferimento all’ opinione secondo cui questa si informerebbe al pensiero cristiano-sociale). Esatto quanto ritiene l’ A. che questo pensiero non abbia linee che valgano a dargli una vera fisionomia propria. Ma è vero che sussista tale ispirazione? Se alla concezione cristiana si voglia ricondurre il profondo motivo espresso dalla Costituzione essa deve essere intesa in un largo senso, non collegandola all’origine storica ed all’elaborazione dogmatica, in un senso analogo cioè a quello messo in rilievo da un noto saggio del Croce. Calata nella realtà di oggi quella concezione trova la sua più autentica espressione negli ideali del socialismo. Ed è a questa realtà che la nostra Costituzione ha voluto adeguarsi. (C. Mortati, Considerazioni sui mancati adempimenti costituzionali Aa. Vv., Studi per il ventesimo anniversario dell’Assemblea Costituente, Vol. IV, Vallecchi, Firenze, 1969, pp. 468)".  

6. Ed ecco il chiaro pensiero di Mortati sul mito (neo-liberista) della governabilità:
"Mortati, che qualcuno ha avuto la faccia di bronzo di tirare in ballo fra i presunti padri nobili della riforma, afferma, pensate un po', che non c'è bisogno di alcun rafforzamento dei poteri del governo, perché i poteri necessari allo svolgimento delle sue funzioni in Costituzione ci sono già tutti. 
Non solo negli artt. 76 e 87, ma anche e soprattutto nell'art. 41: "Efficacia culminante, nel senso espansivo dei poteri di Governo, assumono poi i programmi ed i controlli, non già solo autorizzati ma imposti, secondo la logica del sistema, dall’ ultimo comma dell’ art. 41, che non possono, per la loro stessa natura, se non incentrarsi, entro le linee fissate dalla legge, nel potere esecutivo.” (C. Mortati, Considerazioni sui mancati adempimenti costituzionali in in Aa. Vv., Studi per il ventesimo anniversario dell’Assemblea costituente, Vol. IV, Vallecchi, Firenze, 1969, pp. 478).

7. E ancora, la chiarezza di visione dell'interesse democratico generale, si rifletteva nelle più comuni, e autorevoli, interpretazioni della Costituzione che erano proposte PRIMA dell'inoculazione della tossina del "vincolo esterno":
"...l’impostazione keynesiana della Costituzione era un dato tanquillamente riconosciuto dalla dottrina. 
Nel commento all’art. 4 del canonico commentario Branca (Commentario della Costituzione a cura di G. Branca, Zanichelli, Bologna, 1975, pag. 220), Federico Mancini, non esattamente un estremista (o magari sì, ma, più tardi, in senso europeista), scriveva: “[…] si potrà osservare che una politica rispettosa del dettato costituzionale avrebbe dovuto articolarsi, da un canto, in una serie di misure intese a realizzare un efficiente servizio di collocamento e a migliorare la formazione professionale della manodopera (v. anche art. 35 2° comma e 38 3° comma); dall’altro, secondo la classica ricetta keynesiana, nell'adozione di programmi di spesa in investimenti sociali idonei a espandere la domanda aggregata.”
Il commento dedica, tra l’altro, un interessante en passant a Prodi e Andreatta (pp. 244 e ss.), accusati, citando Rodotà (!), di “fremiti neoliberisti” per quanto scrivevano in due volumi del ’73: 
"«Il congelamento dei posti di lavoro in uno specifico impianto produttivo», «l’impossibilità di licenziare e di organizzare il lavoro all'interno della fabbrica» [questro è Prodi], la «ferrea stabilità d’impiego in quel posto di quel reparto di quella fabbrica di quel comune» [questo è Zappulli sul Corsera] sono il simbolo e insieme il prodotto di una politica che a tutto mira fuorché a promuovere condizioni generali di sviluppo
E le loro nefaste conseguenze stanno davanti ai nostri occhi: un’economia bloccata che minaccia di adagiarsi nel ristagno, un aumento della disoccupazione soprattutto tra le leve che s'affacciano per la prima volta sul mercato, uno sviluppo pauroso delle forme di lavoro precario; e — ultimo, ma non meno grave — quell’effetto caratteristico del «minor timore» con cui gli occupati guardano alla prospettiva della disoccupazione che è l’« emergere dalla base di piattaforme improbabili» (inquadramento unico, centocinquanta ore, salario garantito ecc.) [questo è il buon Andreatta]”.
Risponde Mancini: “[…] anche a prescindere da affermazioni impudiche come quella di chi si duole che la diminuita paura della disoccupazione abbia tolto di mezzo un deterrente contro l’emergere di piattaforme « massimalistiche» [ mi auguro non sfugga la ricorrenza della lamentela] — è la loro interpretazione, la filosofìa su di essi costruita che non possono essere accolte; che vanno, anzi, ribaltate.”
“[…] suggerendo il ritorno al licenziamento « facile»— e cioè al requisito fondamentale per il ripristino dello sfruttamento di allora —, gli economisti di cui s'è detto si fanno portavoce di una risposta tra le più miopi che la domanda operaia di benessere e di potere abbia ricevuto negli ultimi due anni; una risposta non meno indicativa del vuoto strategico in cui si dibatte il padronato italiano di quella consistente nel ricorso al lavoro precario che pure essi giudicano una iattura.”
[…]
“D’altra parte, l’ostacolo — una certa rigidità nell’uso della forza-lavoro e le condizioni che l’hanno resa possibile, prime gli art. 13 e 18 dello statuto —- è una conquista della classe operaia da cui l’intera società ha tratto vantaggio in termini di crescita civile. Come tale, non può essere messo in discussione. « Lo spreco di capitale » provocato « dal riposo delle macchine », per dirla col presidente dell’Iri, è senza dubbio un male; lo spreco di uomo, questo « animale diurno che ha un suo ciclo biologico e viene violentato se lo si costringe a lavorare in condizioni troppo lontane da quel ciclo » è il male.
A siffatta gerarchia di valori anche Taylor redivivo non rifiuterebbe il suo piccolo omaggio a fior di labbra. Ma, nell’economia del nostro discorso, il punto centrale è un altro; ed è formulabile dicendo che, lungi dal contraddire in principio le esigenze della lotta alla disoccupazione, la difesa della condizione operaia può agire positivamente su di essa.”
  

8. Sulla legge elettorale, in questo quadro di democrazia, che non ha certo mancato di portare alla più grande crescita italiana della sua Storia di unità nazionale, garantendo un quadro di poteri di governo adeguato a questo scopo primario, ci dice Lelio Basso (altro massimo esponente, giuridico ed economico, della visione della Costituente):
“… Oggi non si discute più…quale sia il sistema elettorale più adatto a far nascere un’assemblea che rifletta, come uno specchio, la fisionomia politica del Paese, ma al contrario QUALE SIA IL SISTEMA ELETTORALE CHE MEGLIO CONSENTA DI DEFORMARE QUESTA FISIONOMIA NEL PAESE. 
Poiché il partito di maggioranza sa di essersi notevolmente indebolito…esso si preoccupa di trovare un sistema che, falsando la volontà del Paese, gli conservi quella maggioranza di cui non può più disporre. Il problema attorno a cui si arrovellano i cervelli democristiani è ormai soltanto questo: data una determinata situazione politica del Paese, in cui il governo non dispone più della maggioranza dei consensi, trovare la legge elettorale che gli dia egualmente la maggioranza dei seggi.
Come nel 1924, quando la rappresentanza proporzionale fu sostituita con la legge Acerbo, questo capovolgimento di indirizzo significa il CAPOVOLGIMENTO DEI PRINCIPI SU CUI SI FONDA LA DEMOCRAZIA PARLAMENTARE, la quale ha per presupposto appunto l’alternarsi delle maggioranze, cioè la possibilità data alla minoranza di diventare maggioranza, mentre le leggi elettorali basate sui cosiddetti “premi di maggioranza”, del tipo della legge Acerbo…hanno invece lo scopo opposto di perpetuare la maggioranza esistente, di creare UN BLOCCO MASSICCIO DI DEPUTATI NON SORRETTO DA UN’ADEGUATA FORZA NEL PAESE, e perciò stesso di sopprimere la funzione democratica del Parlamento e annullare la vita democratica del Paese.

Nove mesi dopo le elezioni fatte con la legge Acerbo nasceva in Italia la dittatura fascista attraverso il colpo di forza del 3 gennaio, che la Camera, nata a sua volta da una legge antidemocratica, non poteva che avallare. IL CHE IN ALTRE PAROLE VUOL DIRE, OGGI COME IERI, CHE LA SOPPRESSIONE DELLA PROPORZIONALE indica la volontà del governo di PASSARE DALLA FASE DI DEMOCRAZIA PARLAMENTARE A QUELLA DI STATO-REGIME”
[L. BASSO, Proporzionale e democrazia parlamentare, in Il Comune democratico, aprile 1952, n. 4, 101-102].

8.1. E tutto questo può risultare chiaro e fondamentale, purché sia chiara la ragion d'essere del sistema proporzionale, una volta calato dentro il sistema di poteri, certamente "governabili" (e in effetti "governati" con successo), della nostra Costituzione del 1948:
"Oggi invece ogni Costituzione moderna, che risponda alle esigenze della vita moderna, considera che IL FULCRO DELLA VIA COSTITUZIONALE, IL CENTRO, IL PUNTO DI EQUILIBRIO DELLA VITA COSTITUZIONALE, NON È PIÙ QUESTO EQUILIBRIO FRA L'ESECUTIVO E IL LEGISLATIVO, inteso il legislatore come rappresentante della volontà indistinta di tutto il popolo, ma è viceversa L'EQUILIBRIO FRA MAGGIORANZA E MINORANZA, fra una parte del popolo e un'altra parte del popolo; diremmo, se volessimo introdurre il concetto in termini nostri, marxisti, FRA CLASSI DOMINANTI E CLASSI DOMINATE E OPPRESSE. 
Ma se non vogliamo tradurlo in termini marxisti, fra maggioranza parlamentare da cui si esprime il governo, che è quindi un tutt'uno con il governo, con coloro cioè che presiedono alla funzione esecutiva, e la minoranza che ha viceversa una funzione costituzionale di stimolo e di freno, a seconda dei casi, e di controllo dell'attività della maggioranza. 
Non vi è, dicevo, nessun dubbio, che la dottrina costituzionalista moderna ha posto a fondamento della vita costituzionale di uno stato democratico non più semplicemente il rapporto fra esecutivo e legislativo e non più semplicemente l’affermazione del principio maggioritario come espressione della volontà di tutto il popolo, ma un principio maggioritario e minoritario, cioè di un certo equilibrio che deve essere tenuto fra maggioranza e minoranza, equilibrio per cui la maggioranza legiferi con il rispetto della minoranza, con il rispetto dei diritti fondamentali che le Costituzioni moderne riconoscono alle minoranze…
Lo scopo delle elezioni non [è] quello di indicare una maggioranza e di darle un largo margine perché essa possa meglio governare secondo i propri principi, ma [è] invece quello di INDIVIDUARE LE DIVERSE CORRENTI POLITICHE E DI ATTRIBUIRE A CIASCUNA IL SUO REALE PESO, IN MODO CHE IL GOVERNO POSSA POI TENERE CONTO DELLE DIVERSE ESIGENZE, E NEI LIMITI DEL POSSIBILE, CONTEMPERARLE. 
… se la presenza e la funzione della minoranza è di rilievo costituzionale (e, ripeto, non v'è dubbio che sia di rilievo costituzionale, talché la nostra Costituzione attribuisce diritti alle minoranze, e fra l'altro appunto quello di far convocare il Parlamento ai sensi dell’art. 62), essa minoranza deve essere presente con il suo peso effettivo.  
Se il rapporto minoranza-maggioranza, che è un rapporto fondamentale, basilare nella vita dello stato moderno è artificiosamente alterato, è artificiosamente alterata la base e la vita dello stato moderno. La minoranza viene privata delle possibilità, delle podestà, dei diritti, delle garanzie che la Costituzione le offre; LA TUTELA COSTITUZIONALE È PRATICAMENTE ANNULLATA…”.
[L. BASSO, La violazione dei diritti del corpo elettorale, in Mondo Operaio, 20 dicembre 1952, n. 24, 7-10].

9. Che questo insieme di principi democratici "sostanziali" abbia contribuito alla crescita ed alla prosperità della Nazione, come attestano le serie storiche degli indicatori italiani nei primi 25-30 anni del dopoguerra, ha una ragion d'essere che, sul piano del modello economico, consapevolmente adottato, dovrebbe essere ben presente a tutta la nostra attuale classe politica. E senza indulgere in equivoci che sono quelli che hanno portato alla de-sovranizzazione dell'indirizzo politico-economico italiano e allo svuotamento del senso delle elezioni
Questa consapevolezza è, nella prospettiva della "liberazione" dal vincolo €sterno, essenzialissima:
"E pensare che basta una lettura dei documenti dell'epoca per chiarire l'"equivoco".
Per esempio sulla relazione della Presidenza della Commissione per lo studio dei problemi del lavoro del Ministero per la Costituente, un documento ripetutamente citato nei lavori dell'Assemblea, leggiamo:
“Fu esattamente detto che ad ogni forma di economia corrisponde un regime. E tutte le Sottocommissioni sono state unanimi, perciò, nell’auspicare che la nuova Carta costituzionale contenga almeno quei primi principii che, riconosciuto il lavoro come elemento della organizzazione sociale del popolo italiano, traccino le direttive della legislazione futura in materia di lavoro, in guisa tale che la dignità della sua funzione, la sua più ampia tutela ed ogni possibilità futura di sviluppo della sua posizione nell’ordinamento sociale siano assicurate.

Si è già rilevato che la Commissione ha considerato il lavoro come uno degli elementi ma non come il solo elemento rilevante della organizzazione economica e sociale. Da ciò bisogna dedurre il riconoscimento della proprietà privata dei mezzi di produzione, e quindi una tuttora persistente funzione del capitale privato nel processo produttivo.

La Commissione, nel suo complesso, tenuto anche conto delle risposte al questionario e degli interrogatorii, si è orientata verso un sistema eclettico che comprende così il principio della «sicurezza sociale» come quello del «pieno impiego», recentemente affermatisi in America ed in Inghilterra, con decisiva tendenza verso ogni forma di benintesa cooperazione.

La possibilità di occupazione nella attuale situazione non può essere creata che da una politica di spesa pubblica e da una politica di lavori pubblici.  
L’orientamento teorico della Commissione, come risulta anche dalla relazione della Sottocommissione economica, è volto verso le teorie della piena occupazione, in quanto essa risulti attuabile nel nostro sistema di produzione, teorie che stanno alla base dei piani Beveridge e consimili. La relazione rappresenta perciò una indicazione di politica economica che corrisponda alla realizzazione del principio giuridico del diritto al lavoro."

11. Se veramente si vogliono la ripresa della crescita, la soluzione del problema della disoccupazione ed il superamento del sistema ordoliberista dei trattati, incentrato sulla competizione tra Stati anticooperativa,non si possono ignorare questerisorse, già pronte e disponibili, poste come principi legali supremi dall'attuale Costituzione
Perché "cambiare per cambiare", senza averne piena coscienza e memoria storica? 
Perché piegarsi anche nell'attimo fondamentale di "rigetto" del vincolo €sterno e di rivendicazione della sovranità, al linguaggio e agli interessi di coloro che questo vincolo ci hanno crudelmente e cinicamente imposto?
La risposta a queste domande fa tutta la differenza. 
Tra un'agonia insensata, e senza fine, e il riconoscersi in una nuova unità nazionale volta alla prosperità condivisa di tutta la comunità italiana, ritrovata nella solidarietà e fratellanza.


TRA POST-BREXIT, HACKER RUSSI E POPULISMI MACHISTI, IL "RISVEGLIO DELLA FORZA" DEL VOTO: LIBERO E EGUALE...

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http://oubliettemagazine.com/wp-content/uploads/Star-Wars-Il-risveglio-della-Forza.jpg

1. Facciamo un po' il punto dei "polls" sulle elezioni presidenziali americane. Sappiamo che, come nel caso del referendum Brexit  che i sondaggi, spesso, accreditano il rafforzamento di una candidatura o di una forza politica per indurre gli indecisi a restarsene a casa, ovvero a votare per il favorito, per non "disperdere" il voto. 
Quanto al Brexit, dopo la pronuncia dell'Alta Corte britannica di cui tanto si parla, seguirà, state tranquilli, e Theresa May lo ha subito ribadito, un conforme voto parlamentare; ciò in quanto ai conservatori ormai conviene mantenersi al governo e ai laburisti rimanere nel parlamento come attualmente composto, perché in caso di elezioni anticipate, che sarebbero inevitabili ove il parlamento contraddicesse l'esito referendario (non siamo in Italia e la cosa non verrebbe tollerata), i laburisti, presentandosi come alfieri del "remain" - irreversibilmente assunto come pro-big business- verrebbero praticamente dissolti.Come abbiamo visto qui (p.6):


2. Ma torniamo ai sondaggi Hillary vs. Trump.
Oggi, lo strepito dei giornaloni occidentali, a orientamento pro-Clinton praticamente unificato, è contro l'interferenza elettorale costituita dalla questione mails coperte da segreto, che Hillary avrebbe allegramente gestito su un account personale, peraltro esteso a un sorta di intranet di suoi collaboratori non legittimati all'accesso di quei contenuti: e se glielo aveva concesso ci sarà stato un motivo; e questo motivo era proprio in funzione della condivisione dei contenuti effettivi di queste mails; i quali contenuti sono esattamente l'oggetto della ri-apertura dell'indagine. Che, a quanto pare, sta anche acquisendo mails, pensate un po', anche su "strane" interferenze clinto-obamiane sull'FBI, che spiegano perché l'indagine sia stata in un primo tempo affossata.

Il fatto è che non solo le metodologie, ma anche gli "scopi impliciti" dei sondaggi, parrebbero non essere realmente influenzati, di per sé, dalla vicenda mails, nonostante i media italiani piagnucolino in tal senso, dimostrando un'arretratezza logica e culturale determinata dal rudimentale allineamento alle aspettative pro-Clinton: la riapertura dell'indagine, infatti, secondo la visione tecnico-critica degli esperti USA interpellati sul tema, lascerebbe incerti gli incerti e solo rafforzerebbe l'entusiasmo di chi è già convinto

3. Era stata invece fortemente influente, per le sue motivazioni condivise, e dunque scontatamente bipartisan di politically correctness, l'onda del paradigma, appunto bipartisan, della condanna del machismo da liceale di Trump.
Tanto che la situazione si è evoluta in questi termini, nel corso degli ultimi mesi (tarando l'incertezza metodologica e manipolatoria dei sondaggi di cui s'è detto sopra). Prendo i polls utilizzati dalla BBC e dal Los Angels Times, che certamente non sono pro-Trump:

A maggio 2016:
https://2.bp.blogspot.com/-P_Umgp77KvM/V0L5b1pU5yI/AAAAAAAAEw8/kmajaaommVkOAr_ql5fkyq5dQiWARtbbACLcB/s1600/short%2Bpoll.tiff

A luglio 2016:
https://d25d2506sfb94s.cloudfront.net/cumulus_uploads/inlineimage/2016-07-25/2wayjul24.png

Ad agosto 2016:

http://www.trbimg.com/img-57bbb047/turbine/la-aug-22-lat-dornsife-tracking-poll-20160822/1000

4. Ed ecco che, dopo questa rovente estate di polls (di sostanziale parità con trend favorevole a Trump), si innesta la questione "quant'è bruttomaschilista Trump"(tirando fuori un video privato che qualsiasi maschio di non particolare cultura ed intelligenza, - cioè una larga maggioranza-, questo va detto, potrebbe aver lasciato dietro di sè, ove fosse così squallido da filmare pure le sue vanterie).

Il netto sorpasso da "diritto cosmetico" - visto, tra l'altro, che Hillary è, lei proprio lei, la moglie del campione di machismo Bill-, si vede da qui, (pur dovendosi scontare che i dati sono da diversa fonte e già proiettavano una Clinton in vantaggio netto durante l'estate): notare che a seconda della vastità del "campione" i risultati mutano. E non è che il campione più vasto sia necessariamente più indicativo, come è arguito nei links metodologici di cui sopra. Ma se ciò fosse stato attendibile, non si sarebbe tirata fuori la questione del machismo, una volta constatato che quella del razzismo-populismo non funzionava molto bene:

https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/0/07/Trump_vs._Clinton_nationwide.svg/810px-Trump_vs._Clinton_nationwide.svg.png

5. La situazione attuale, sarebbe più o meno quella (sempre ex multis, ma lo abbiamo costantemente avvertito dall'inizio) proposta, in data odierna, 5 novembre, da The Telegraph (sufficientemente neutrale...e che fa la media delle rilevazioni costantemente monitorate): percentuali in quasi parità convergente (cioè vantaggio di Hillary eroso al minimo), (The presidential campaign has seen Donald Trump, once a Republican outsider, close the gap on Clinton before falling back after a series of controversies), ma netto vantaggio della Clinton nell'assegnazione dei voti degli "elettori" corrispondenti a ciascun "collegio elettorale"
Il sistema così prescelto ha un ruolo fondamentale, perché le percentuali del voto popolare contano meno della risultante del voto nei collegi elettorali, che designano in pratica dei "grandi elettori".
Quello che conta, dunque, è la percentuale dei grandi elettori ottenuti nei collegi, per lo più col criterio che chi prevale, a semplice maggioranza, nel singolo Stato, prende tutti i relativi "grandi elettori" del collegio: non conta perciò la percentuale di elettorato direttamente rilevato a livello nazionale.
Attualmente la Clinton, in questo conteggio di "secondo grado", prevarrebbe per 227 a 164! 








Voting split prediction

Number of electoral college votes

168
59
144
20
147
MidpointLast updated 17:02

6. In dettaglio, Clinton avrebbe 168 voti sicuri, 59 "pendenti" (cioè probabili ma non attribuibili con certezza), da cui il totale di 227, mentre 147 sarebbero quelli ancora "contesi"
Trump, invece, ne avrebbe solo 144 "safe" e attualmente deve solo sperare di poter rimontare sull'area dei voti ancora contesi, sperando appunto di conquistarne la schiacciante maggioranza.
Una condizione quasi senza speranza di vittoria...

Ma allora perché il sistema neo-orwellian-mediatico-finanziario, che appoggia sfacciatamente la Clinton, ha lanciato l'allarme terroristico preventivo dell'attacco di hackeraggio RUSSO, teso evidentemente a mobilitare gli indecisi e i demotivati democratici - o anche solo repubblicani anti-Trump-, sulla base della penosa equazione eversiva "Trump-alleato-di-Putin (nuovo Hitler)", già rivelatasi fantasiosa, secondo sia l'FBI che "fonti" di intelligence (governative) di questi giorni?

7. Ma perché il vantaggio nel computo dei "grandi elettori" della Clinton - considerato che la vittoria si pone alla soglia dei 270 voti, è in realtà fortemente in dubbio sia nel computo attendibile dei 59 "probabili" - il cui errato conteggio in eccesso abbasserebbe ben al di sotto dei 227 attribuiti le certezze clintoniane-, sia per la contesa nei c.d. Swing States (Florida, Nevada, Virginia, Ohio, Nort Carolina, Arizona, Colorado, Georgia) dove sono ancora in gioco 135 voti di "grandi elettori".
E dove, e questo è un punto fondamentale, è sempre più evidente quello che in Italia viene accuratamente evitato dai media: e cioè che la storia che Trump sia totalmente inviso ai gruppi etnici "non-white" si sta rivelando sempre meno vera
Risulta vero invece che molta parte delle comunità di neri e di ispanici, che abbiano la cittadinanza, una posizione lavorativa e un radicamento in USA che li rende parte attiva dell'elettorato, si rende conto che il globalismo della Clinton mette in pericolo anche loro; anche più di quanto non faccia per il "profondo" cuore dell'America. bianca e impoverita, di ex "white collars" e disprezzati "red-necks" della campagne.

8. Trump, al contrario della Clinton, non ha mancato di parlare del "mercato del lavoro", dei falsi "positivi" statistici della disoccupazione (U3 vs. U6), delle delocalizzazioni e della scomparsa della Middle Class.
Tanto basta a rimettere in discussione persino il sistema super-maggioritario ed oligarchico di elezione del Presidente. 

E tanto basta perché un minimo di attenzione al conflitto sociale e distributivo, quale mostrata da Trump, metta in difficoltà i calcoli dell'establishment a supporto della Clinton e induca a inventare la minaccia russa sulle elezioni, in modo da tentare di compattare l'elettorato su un patriottismo e su un nazionalismo che sono quanto di più lontano, e di poco credibile, se agitati dalla Hillary così vicina ai Soros e ai trattati di liberoscambio.
Per questo, consiglio di rileggersi  (sapendo che al popolo USA non sta affatto bene nè la fine della mobilità sociale, che la Clinton sprezzantemente sottovaluta, né la fine di ogni effettiva rappresentatività del voto popolare):

LO "STRANO CASO TRUMP": LA FINE DELLA MOBILITA' SOCIALE. E DELLE ELEZIONI?

LA "STUPEFACENTE" COSTITUZIONE €TERONOMA, IN NOMINE PANGERMANESIMI

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1a.- Intendiamo, che anzitutto si fondasse sull'enunciazione della sola eguaglianza formale, tipica degli ordinamenti liberali orientati al puro contrattualismo e al mercato:
 Articolo 3 [Uguaglianza davanti alla legge]
(1) Tutti gli uomini sono uguali di fronte alla legge.
(2) Gli uomini e le donne sono equiparati nei loro diritti. Lo Stato promuove la effettiva attuazione della equiparazione di donne e uomini e agisce per l'eliminazione delle situazioni esistenti di svantaggio.
(3) Nessuno può essere discriminato o favorito per il suo sesso, per la sua nascita, per la sua razza, per la sua lingua, per la sua nazionalità o provenienza, per la sua fede, per le sue opinioni religiose o politiche. Nessuno può essere discriminato a causa di un suo handicap.
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1b.- Che formulasse i "diritti fondamentali", fin dalla sua prima parte, intitolandoli tutti come "libertà", e dedicasse al diritto all'istruzione una previsione che esclude ogni correlazione con un obbligo statale di organizzare un sistema imparziale e universale (cioè aperto a tutti) di pubblica istruzione, formulando questo mero compito statale di "sorveglianza":
Articolo 7 [Istruzione scolastica]
(1) L'intera organizzazione scolastica è sottoposta alla sorveglianza dello Stato.
(2) Le persone che hanno la patria potestà hanno il diritto di decidere in ordine alla partecipazione del fanciullo all'insegnamento religioso.
(3) L'insegnamento religioso è materia ordinaria d'insegnamento nelle scuole pubbliche, ad eccezione delle scuole non confessionali. Restando salvo il diritto di sorveglianza dello Stato, l'insegnamento religioso è impartito in conformità ai princìpi delle comunità religiose. Nessun insegnante può essere obbligato contro la sua volontà ad impartire l'insegnamento religioso.
(4) È garantito il diritto di istituire scuole private. Le scuole private, che sostituiscono le scuole pubbliche, necessitano dell'autorizzazione dello Stato e sono sottoposte alle leggi dei Länder. L'autorizzazione deve essere accordata quando le scuole private non siano inferiori alle scuole pubbliche per quanto riguarda le finalità didattiche e i sistemi di organizzazione, nonché la formazione scientifica degli insegnanti, e quando non favoriscano una separazione degli scolari in base alle condizioni economiche dei genitori. Deve essere negata l'autorizzazione quando la posizione giuridica ed economica degli insegnanti non è sufficientemente assicurata.
(5) Una scuola primaria privata può essere autorizzata solo se l’amministrazione scolastica gli riconosce un particolare interesse pedagogico, oppure se coloro che hanno la patria potestà chiedono di istituire una scuola interconfessionale, confessionale o filosofica, sempre che nel comune non esista già una scuola primaria pubblica.

(6) Le scuole propedeutiche sono abolite.
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1c.- Che NON prevedesse alcuna norma sulla tutela del lavoro e, tantomeno, un diritto al lavoro corrispondente a un (non previsto) obbligo di intervento dello Stato per garantirlo e si limitasse a considerare il lavoro come "libertà di scelta della professione", salvo poi prevedere "stati di eccezione" in cui persino questa (mera libertà di) scelta possa ampiamente essere limitata:
Articolo 12 [Libertà della professione]
(1) Tutti i tedeschi hanno diritto di scegliere liberamente la professione, il luogo e le sedi dilavoro e la formazione. L'esercizio della professione può essere regolato per legge ed in base ad una legge.
(2) Nessuno può essere costretto ad un determinato lavoro, eccetto che nell'ambito di un obbligo pubblico di prestazione di servizi, tradizionale, generale e uguale per tutti.
(3) Il lavoro forzato è ammissibile solamente nel caso di pena detentiva pronunciata da un tribunale.
Articolo 12a [Servizio militare e civile obbligatorio]
(1) Gli uomini a partire dai diciotto anni compiuti possono essere obbligati a prestare servizio nelle forze armate, nella polizia confinaria federale o in un’organizzazione di protezione civile.
(2) Chi rifiuta per motivi di coscienza il servizio militare in armi può essere obbligato ad un servizio sostitutivo. La durata del servizio sostitutivo non può superare la durata del servizio militare. Le modalità sono stabilite con legge che non può pregiudicare la libertà di decisione secondo coscienza e che deve anche prevedere la possibilità di un servizio sostitutivo che abbia alcun rapporto con le unità delle forze armate e della polizia confinaria federale.
(3) In caso di proclamazione dello stato di difesa, coloro che sono obbligati alle armi e che non sono stati chiamati ad un servizio di cui ai commi I o II possono essere obbligati, in condizioni di rapporto di lavoro, dalla legge o in base ad una legge, a prestazioni di servizi civili a scopo di difesa, compresa la protezione della popolazione civile; obblighi di prestazioni di servizi pubblici sono ammissibili soltanto per la cura di compiti di polizia o di particolari compiti sovrani della pubblica amministrazione, che possono essere adempiuti solamente in un rapporto di servizio di diritto pubblico. I rapporti di lavoro di cui al primo periodo possono aver luogo presso le forze armate, nel settore dell’intendenza, o presso la pubblica amministrazione; obblighi in condizione di rapporto di lavoro nell'ambito dell'approvvigionamento della popolazione civile sono ammissibili soltanto per coprire bisogni vitali della medesima o per assicurarne la protezione.
(4) Se, nel caso di proclamazione dello stato di difesa, il fabbisogno di prestazioni di servizi civili nei settori sanitari e medici e nell'organizzazione ospedaliera militare stabile non viene interamente ricoperto su base volontaria, le donne, fra i diciotto e i cinquantacinque anni compiuti, possono essere assegnate alle anzidette prestazioni di servizi da una legge o sulla base d'una legge. Esse non debbono in alcun caso prestare servizi armati.
(5) Nel periodo di tempo precedente lo stato di difesa gli obblighi previsti al terzo comma possono essere imposti soltanto alle condizioni stabilite dall'art. 80a, primo comma. In preparazione delle prestazioni di servizi contemplate nel terzo comma, e in relazione alle particolari conoscenze e capacità richieste, può essere imposta obbligatoriamente la partecipazione a esercitazioni d'istruzione, con legge o sulla base d'una legge. In tal caso non si applica la disposizione di cui al primo periodo del presente comma.
(6) Qualora, durante lo stato di difesa, il fabbisogno di forze di lavoro per i settori di cui al secondo periodo del terzo comma non sia interamente ricoperto su base volontaria, la libertà dei tedeschi di non esercitare una professione o di abbandonare un posto di lavoro può essere limitata da una legge o sulla base di una legge, al fine di assicurare il soddisfacimento di tale fabbisogno. Il primo periodo del quinto comma è applicabile per analogia prima della sopravvenienza dello stato di difesa.
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1d.- Che connette la garanzia della proprietà al suo "servire il bene comune" che non è l'interesse generale comunitario, cioè pubblico incarnato dallo Stato, ma null'altro che l'agire concorrenziale del mercato (come noi ben sappiamo; v.p.11, sullo specifico intendimento della cultura che produce questo "documento"), pur ammettendo teoriche e genericamente indicate forme di "socializzazione" per "Il suolo, le risorse naturali e i mezzi di produzione" (art.15):
Articolo 14 [Proprietà, diritto di successione ed espropriazione]
(1) La proprietà e il diritto di successione sono garantiti. Contenuto e limiti vengono stabiliti dalla legge.
(2) La proprietà impone degli obblighi. Il suo uso deve al tempo stesso servire al bene comune.
(3) L'espropriazione è ammissibile soltanto per il bene della collettività. Essa può avvenire solo per legge o in base ad una legge che regoli il modo e la misura dell'indennizzo. L'indennizzo deve essere stabilito mediante un giusto contemperamento fra gli interessi della collettività e gli interessi delle parti. In caso di controversia sull'ammontare dell'indennizzo è ammesso ricorso di fronte ai tribunali ordinari.
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1e.- Che è ossessivamente dedicato, questo documento, alla disciplina di una vasta serie di "stati di eccezione", che sanzionano la possibilità di revocare persino la cittadinanza e i più fondamentali diritti fondamentali; es;

Articolo 18 [Perdita dei diritti fondamentali]
(1) Chiunque, per combattere l'ordinamento costituzionale democratico e liberale, abusa della libertà di espressione del pensiero, in particolare della libertà di stampa (articolo 5, primo comma), della libertà di insegnamento (articolo 5, terzo comma), della libertà di riunione (articolo 8), della libertà di associazione (articolo 9), del segreto epistolare, postale e delle telecomunicazioni (articolo 10), del diritto di proprietà (articolo 14) o del diritto di asilo (articolo 16a) perde tali diritti fondamentali. La decadenza e la sua estensione sono pronunciate dal Tribunale costituzionale federale.
Articolo 19 [Restrizioni di diritti fondamentali]
(1) Nella misura in cui, in base alla presente Legge fondamentale, un diritto fondamentale possa essere limitato con una legge o in base ad una legge, tale legge deve valere in generale e non per il caso singolo. Inoltre la legge deve individuare il diritto fondamentale indicando l'articolo interessato.
(2) In nessun caso un diritto fondamentale può essere leso nel suo contenuto essenziale.
(3) I diritti fondamentali valgono anche per le persone giuridiche nazionali, nella misura in cui, per la loro natura, siano ad esse applicabili.
(4) Chiunque è leso nei suoi diritti dal potere pubblico può adire l'autorità giudiziaria. Qualora non sia stata stabilita una diversa competenza, il ricorso è proposto innanzi alla giurisdizione ordinaria. È fatto salvo il disposto dall'articolo 10, secondo comma, secondo periodo.
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1f.- Che prevede una espressa norma di intenso filtro dell'adeguamento all'ordinamento dell'Unione europea, posto in modo da far prevalere lo sviluppo di tale processo dal punto di vista dell'interesse nazionale, prefissando, come obbligo stabilito unilateralmente da tale documento, quali siano i principi fondamentali a cui si deve ispirare la stessa Unione:
Articolo 23 [L’Unione europea]
(1) Per la realizzazione di un'Europa unita la Repubblica federale...collabora allo sviluppo dell'Unione Europea che è fedele ai principi federativi, sociali, dello Stato di diritto e democratico nonché al principio di sussidiarietà e che garantisce una tutela dei diritti fondamentali sostanzialmente paragonabile a quella della presente Legge fondamentale. La Federazione può a questo scopo, mediante legge approvata dal Bundesrat, trasferire diritti di sovranità. Per l'istituzione dell'Unione Europea, per le modifiche delle norme dei trattati e per le regolazioni analoghe, mediante le quali la presente Legge fondamentale viene modificata o integrata nel suo contenuto oppure mediante le quali tali modifiche e integrazioni vengono rese possibili, si applica l'articolo 79, secondo e terzo comma..."
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1g.- Che pone, nell'ambito delle rigide condizioni impositive appena viste, la possibilità di "trasferimenti di sovranità" ma pur sempre specificando che le norme del diritto internazionale "prevalgono sulle leggi federali", ed escludendo perciò che prevalgano sulle norme costituzionali, prevedendo - solo in questo quadro di condizioni imposte unilateralmente- le stesse "macroregioni", indicate come "organizzazioni interregionali tranfrontaliere"?
Articolo 24 [Istituzioni internazionali]
(1) La Federazione può trasferire con legge diritti di sovranità a organizzazioni intergovernative.
(1a) Qualora ai Länder spetti l'esercizio di competenze statali e l'adempimento di compiti statali, essi possono, con l'assenso del Governo federale, trasferire diritti di sovranità a organizzazioni interregionali transfrontaliere.
(2) Il Bund può, per la tutela della pace, inserirsi in un sistema di sicurezza collettiva reciproca; esso, pertanto, consentirà alle limitazioni della sua sovranità che realizzino e assicurino un ordinamento pacifico e duraturo in Europa e fra i popoli del mondo.
(3) Al fine di assicurare la regolazione delle controversie tra gli Stati, la Federazione aderirà a convenzioni costituenti una giurisdizione arbitrale internazionale, generale, universale e obbligatoria.
 Articolo 25 [Diritto internazionale e diritto federale]
Le regole generali del diritto internazionale sono parte integrante del diritto federale. Esse prevalgono sulle leggi e fanno sorgere diritti e doveri immediati per gli abitanti del territorio federale.
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1.h- Che peraltro prevede un bicameralismo asimmetrico, in vista dell'approvazione finale del solo parlamento federale-statale, con date certe, ma pur sempre in più fasi e maggiori spazi di tempo, molto più ampiamente co-decisionali, di quanto non preveda il nostro attuale progetto di riforma costituzionale:
Articolo 76 [Progetti di legge]
(1) I progetti di legge vengono presentati al Bundestag dal Governo federale, dai membri del Bundestag o dal Bundesrat.
(2) I progetti del Governo federale devono essere trasmessi prima al Bundesrat. Il Bundesrat ha diritto a esprimere il proprio parere su tali proposte entro sei settimane. Qualora il Bundesrat, per importanti motivi e in particolare in relazione all'ampiezza di un progetto, richieda un prolungamento dei termini, il termine è fissato in nove settimane. Il Governo federale può trasmettere al Bundestag, dopo tre settimane o, qualora il Bundesrat abbia espresso una richiesta ai sensi del terzo periodo, dopo sei settimane, un progetto che esso ha eccezionalmente designato, nel trasmetterlo al Bundesrat come particolarmente urgente, anche se il parere del Bundesrat non gli è ancora pervenuto; esso deve trasmettere al Bundestag il parere del Bundesrat all'atto del ricevimento. Per i progetti di modifica della Legge fondamentale e per il trasferimento dei diritti di sovranità ai sensi degli articoli 23 o 24 il termine per il parere è di nove settimane; la disposizione di cui al quarto periodo non applica.
(3) I progetti del Bundesrat devono essere trasmessi al Bundestag dal Governo federale entro sei settimane. Il Governo deve esprimere il suo parere al riguardo. Qualora esso, per gravi motivi e con particolare riguardo all'ampiezza di un progetto, richieda un prolungamento del termine, questo è fissato in nove settimane. Qualora il Bundesrat abbia designato in via eccezionale un progetto come particolarmente urgente, il termine è di tre settimane o, nel caso il Governo abbia espresso una richiesta ai sensi del terzo periodo, di sei settimane. Per i progetti di modifica della Legge fondamentale e per il trasferimento di diritti di sovranità ai sensi degli articoli 23 o 24, il termine è di nove settimane; la disposizione di cui al quarto periodo non applica. Il Bundestag deve discutere e pronunciarsi in ordine ai progetti in un termine adeguato.
Articolo 77 [Procedura legislativa]
(1) Le leggi federali sono approvate dal Bundestag. Dopo la loro approvazione, il Presidente del Bundestag le trasmette senza indugio al Bundesrat.
(2) Il Bundesrat può, entro tre settimane dal ricevimento del testo di legge approvato, richiedere la convocazione di una commissione composta da membri del Bundestag e del Bundesrat, per un esame in comune dei testi. La composizione ed il funzionamento di detta commissione sono disciplinate da un un regolamento interno adottato dal Bundestag e approvato dal Bundesrat. I membri del Bundesrat nominati in detta commissione non sono vincolati da direttive. Nel caso sia necessario per una legge l'approvazione del Bundesrat, il Bundestag ed il Governo federale possono parimenti chiedere la convocazione della commissione. Qualora la commissione proponga una modifica del testo di legge adottato, il Bundestag deve pronunciarsi nuovamente.
(2a) Qualora per una legge sia necessaria l'approvazione del Bundesrat e una richiesta di cui al secondo comma, primo periodo non sia stata avanzata ovvero la procedura di conciliazione si sia conclusa senza proposte di modifica del testo di legge adottato, il Bundesrat deve pronunciarsi entro un termine ragionevole.
(3) Qualora per una legge non sia necessario l'assenso del Bundesrat, il Bundesrat può, dopo che è terminata la procedura prevista dal secondo comma, entro due settimane, sollevare opposizione contro una legge deliberata dal Bundestag. I termini per l'opposizione decorrono, nel caso del secondo comma, ultimo periodo, dal momento del ricevimento del testo di legge nuovamente adottato dal Bundestag, e in tutti gli altri casi, dal ricevimento della comunicazione del presidente della commissione prevista al secondo comma, relativa alla conclusione della procedura davanti alla commissione stessa.
(4) Se l'opposizione è deliberata con la maggioranza dei voti del Bundesrat, essa può essere respinta da una deliberazione della maggioranza dei membri del Bundestag. Nel caso che il Bundesrat abbia deliberato l'opposizione con una maggioranza di almeno due terzi dei suoi voti, il Bundestag può respingerla con la maggioranza di almeno due terzi dei votanti, non inferiore comunque alla maggioranza dei membri del Bundestag.
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1.i- Che però regola le modifiche-(revisioni) di tale documento fondamentale solo per via di espressa previsione, compreso il caso di leggi di ratifica di trattati internazionali, che devono quindi essere vagliati dal per certificare, con espresso eventuale emendamento (a maggioranza parlamentare rafforzata), la loro conformità al documento, e comunque che non possono in nessun caso violare i principi di "dignità" del cittadino (art.1), e di sovranità promanante dal popolo, al punto da ritenere del pari inviolabile il "diritto di resistenza"contro le alterazioni dell'ordinamento fondamentale della sovranità popopare nazionale (art.20):
Articolo 79 [Modifica della Legge fondamentale]
(1) La Legge fondamentale può essere modificata solo da una legge che modifichi o integri espressamente il testo della Legge fondamentale stessa. In caso di trattati internazionali che hanno per oggetto una disciplina di pace, la preparazione di una disciplina di pace o l'abolizione di un regime di occupazione, oppure che sono conclusi per servire alla difesa della Repubblica federale, al fine di chiarire che le disposizioni della Legge fondamentale non sono di impedimento alla conclusione e alla attuazione dei trattati,è sufficiente un’integrazione al testo della Legge fondamentale che si limiti a detta chiarificazione.
(2) Una tale legge necessita dell'approvazione dei due terzi dei membri del Bundestag e dei due terzi dei voti del Bundesrat.
(3) Non è consentita alcuna modifica della presente Legge fondamentale che riguardi l'articolazione della Federazione in Länder, il principio della partecipazione dei Länder alla legislazione o i princìpi enunciati agli articoli 1 e 20.
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1.l.- Che anche agli artt.80 e 81, regola in dettaglio lo "stato di eccezione" che consente, anche in caso di avvenuto scioglimento delle camere, normativa derogatoria delle leggi, prevedendo sia lo "stato di tensione" che quello di "emergenza legislativa", come fondamento di tali atti aventi forza di leggi derogatorie delle norme ordinarie sul procedimento legislativo, anche per far entrare in vigore leggi in precedenza respinte dal parlamento federale-statale.
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1.m-  Che prevede, sempre sul già visto presupposto della loro inderogabilità da parte di trattati di qualsiasi genere e, in specie, di quelli esecutivi dell'Unione europea, - la quale anzi deve adeguarsi ai principi unilateralmente posti in tale documento- norme economico-monetarie che comportano che, proprio in materia economico-monetaria, non la Costituzione nazionale si debba adeguare ai trattati, ma esattamente il processo inverso:

Articolo 88 [Banca federale]
La Federazione istituisce una banca valutaria e di emissione, come Banca federale. Le sue funzioni e competenze possono essere trasferite, nel quadro dell'Unione Europea, alla Banca Centrale Europea, che è indipendente ed è vincolata allo scopo primario della garanzia della stabilità dei prezzi.
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1.n- Che (vi risparmio le norme sulle "curiose" interferenze tra poteri del parlamento di destituzione dei giudici che siano ritenuti violare la Legge fondamentale  e i super-poteri di "ultima parola" conferiti al Tribunale Costituzionale federale), in tema di "pareggio di bilancio", formulato come ipotesi normale per i Lander, potendo soltanto la legge federale autorizzare l'emissione di debito "locale", enuncia senza mezzi termini "le entrate e le spese devono essere pareggiate". E ciò tranne i temperamenti dettati da "perturbazioni dell'equilibrio economico generali", influenti sui soli bilanci dei singoli Lander, a favore dei quali interverrebbe lo Stato federale in via eccezionale, e sempre cercando di ripristinare, con immediatezza, il proprio rispettivo pareggio di bilancio:

Articolo 109 [Gestione del budget della Federazione e dei Länder]
(1) La Federazione e i Länder sono autonomi e reciprocamente indipendenti in materia di bilancio.
(2) La Federazione e i Länder devono tener conto nei rispettivi bilanci delle esigenze dell'equilibrio economico generale.
(3) Con una legge federale, che necessita dell'approvazione del Bundesrat, possono essere posti per la Federazione e per i Länder dei comuni principi fondamentali per rendere adeguato il bilancio alla congiuntura e per un piano finanziario pluriennale.

(4) Ai fini della tutela da perturbazioni dell'equilibrio economico generale possono essere emanate, con legge federale che necessita dell'approvazione del Bundesrat, prescrizioni concernenti:
1. l'ammontare massimo, le condizioni e la successione nel tempo dell'assunzione di prestiti da parte di enti territoriali e di consorzi di diritto pubblico creati per scopi speciali;
2. l'impegno della Federazione e dei Länder di mantenere dei depositi infruttiferi presso la Banca Federale Tedesca (riserve di perequazione della congiuntura).
Le autorizzazioni all'emanazione delle relative ordinanze normative possono essere conferite soltanto al Governo federale. Tali ordinanze normative necessitano dell'approvazione del Bundesrat. Esse devono essere abrogate non appena il Bundestag lo richieda; i particolari sono stabiliti da una legge federale.
Articolo 110 [Budget e legge finanziaria della Federazione]
(1) Tutte le entrate e le spese della Federazione devono risultare dal bilancio preventivo; per quanto attiene alle imprese della Federazione e ai fondi speciali, é sufficiente indicare le sopravvenienze in entrata e in uscita. Nel bilancio preventivo le entrate e le spese devono essere pareggiate.
(2) Il bilancio preventivo viene determinato, diviso in periodi annuali, per uno o più anni finanziari, dalla legge di bilancio, prima dell'inizio del primo anno di applicazione. Può essere stabilito che alcune parti del bilancio preventivo valgano, divise per anni finanziari, per periodi diversi di tempo.
(3) La proposta di legge di cui al secondo comma, primo periodo, così come le proposte di modificazione della legge di bilancio e del bilancio preventivo, vengono presentate contemporaneamente al Bundestag e al Bundesrat. Il Bundesrat ha la facoltà di prendere posizione sulle proposte entro sei settimane, e sulle proposte di modificazione entro tre settimane.
(4) Nella legge di bilancio possono essere inserite soltanto disposizioni relative alle entrate e alle spese della Federazione riferentisi al periodo di tempo stabilito dalla legge di bilancio stessa. La legge di bilancio può stabilire che le disposizioni perdano vigore con la promulgazione della successiva legge di bilancio o, se autorizzate a norma dell'articolo 115, in un tempo successivo.
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1.o- Che, inoltre, rispetto all'ipotesi di preventivo e pluriennale "pareggio tra entrate e spese", (e sempre rammentando la costituzionalizzazione di una banca centrale "indipendente" e vincolata allo "scopo primario della garanzia della stabilità dei prezzi"), prevede limiti a qualsiasi sforamento delle entrate e delle uscite, sottoponendole al potere interdittivo del governo (che risulta del tutto analogo a quello che oggi esercita la Commissione UE sui bilanci dei singoli Stati UEM), prevalente su qualsiasi iniziativa del Parlamento:

Articolo 112 [Spese eccedenti e straordinarie]
Le spese eccedenti gli stanziamenti del bilancio preventivo e quelle fuori bilancio devono avere il consenso del Ministro federale delle finanze. Tale consenso può essere concesso solo nel caso di un'imprevista e inderogabile necessità. Ulteriori particolari possono essere stabiliti con legge federale.
Articolo 113 [Aumenti di spesa e riduzioni di entrate]
(1) Le deliberazioni del Bundestag e del Bundesrat che aumentano le spese proposte dal Governo federale nel bilancio preventivo, o che comportano, subito o in prosieguo di tempo, nuove spese, necessitano del consenso del Governo federale. Lo stesso vale per le leggi che comportano una diminuzione di entrate immediata o differita nel tempo. Il Governo federale può pretendere che il Parlamento sospenda la deliberazione su tali leggi; in tal caso il Governo federale, nel termine di sei settimane, deve far pervenire al Bundestag il suo punto di vista sulla questione.
(2) Entro quattro settimane dall’approvazione della legge da parte del Bundestag, il Governo federale può richiedere che il Bundestag riapprovi nuovamente la legge.
(3) Se la legge è perfetta ai sensi dell'articolo 78, il Governo federale può rifiutare il suo consenso solo entro sei settimane, e solo se abbia precedentemente iniziato il procedimento previsto nel primo comma, terzo e quarto periodo, o nel secondo comma. Trascorso tale termine, il consenso si ha per concesso".
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3. Tutto quello che abbiamo visto finora, sia pure in una selezione per "dati" significativi", potrebbe apparire in parte come una bozza del Trattato di Maastricht, in parte come lo statuto dei futuri "possibili" Stati Uniti d'€uropa, in parte come la fonte ispiratrice della riforma dell'art.81 Cost. e dell'attuale revisione sottoposta a referendum. E, invece, come avrete senz'altro capito si tratta della Grundgestetz, cioà la (più o meno) Costituzione tedesca.

Ma la domanda sorge spontanea: non era prevedibile, da parte di coloro che trattarono Maastricht per l'Italia, che "fondersi" con un ordinamento così diverso e così "impositivo", espressione di una realtà statuale economicamente più forte della nostra, e con essa incompatibile, proprio sul piano di quelle tendenze alla "competitività" e alla "stabilità dei prezzi", che tanto incidono in un'area valutaria comune, ci avrebbe costretto a snaturare, se non distruggere, la nostra Costituzione fondata sul lavoro, per costringerci a mutarla e a renderela omogenea a questo paese dominante?

3.1. E se questo è quanto, senza dirlo e senza esporlo a un vero dibattito democratico, o almeno consapevole, del parlamento, "coloro che trattarono", avevano in testa fin da principio, come possono oggi richiamarsi alla democrazia costituzionale e, al tempo stesso, alla "costruzione €uropea" contemporaneamente, senza letteralmente prendere in giro il popolo italiano? 
Tanto che lo stesso Carli (!), "inventore" della formula "vincolo esterno", riteneva "stupefacente" l'indifferenza con cui in Italia era stata accolta la ratifica di Maastricht, che, secondo lui, implicava l'abbandono del  nostro modello socio-economico costituzionalizzato!
Insomma, i tedeschi, col trattato di Maastricht e i seguenti, hanno voluto imporre agli altri paesi il loro ordoliberismo costituzionale: chi ha voluto farci aderire ai trattati €uropei così redatti, doveva essere anch'esso desiderosodi trasformare in senso ordoliberista la Costituzione sociale italiana
E doveva anche desiderare, fin dall'inizio, che non il mutamento e l'adeguamento a presunti "tempi che cambiano" con la "globalizzazione", avrebbero imposto la distruzione della nostra Costituzione, quanto il desiderio di imporre l'economia sociale di mercato, cioè l'economia di mercato neo-liberista tout-court, come riassetto oligarchico di una società che non gli andava bene. A pochi, senza dirlo ai molti...

BREVE GUIDA AD UNA NOTTE (MODERATAMENTE) TRANQUILLA

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1. Il modesto consiglio che possiamo dare è quello di dormire tranquilli. Svegliatevi quando dovete (o volete) e, se avrete tempo, guardate i notiziari o i più veloci "social" e continuate a lottare: tanto il mondo darwinista, voluto dall'establishment finanziario globale, non potrà cambiare tanto presto...

Ridotte in un time-table, le vicissitudini che stanotte verranno coperte da fiumi di parole in libertà (considerando che in Italia ci sarà un tifo unilaterale dei media per Hillary, che rimane favorit,a dando ben oltre l'80% delle probabilità agli sproloqui di disinformatja di tradursi in compiaciuta "previsione azzeccata"), sono riassumibili in queste tappe:
a) le cinque maggiori televisioni USA, insieme con la Associated Press, (le vere fonti su cui possono basarsi - e si sono basati- i nostri talk-show, tanto da rendere del tutto superflua la presenza della "figlia d'arte" Botteri negli States, che dà solo giudizi personali su fatti agevolmente accertabili in "tempi reali" da tv satellitari e dalla rete), hanno concordato di non influenzare il voto con i sondaggi fino a che le operazioni elettorali non siano concluse in ciascun singolo Stato;
b) subito dopo le 17,00 orario dell'Est New York), cioè  a partire dalle ore 23,00, italiane, i sondaggisti inizieranno a fornire dati sulla composizione demografica dell'elettorato o sulle percezioni di singoli elettori relative al gradimento psicologico dei candidati (...);

c) anche se gli exit polls non saranno ufficialmente discussi nelle tv, questi saranno però già disponibili e qualcosa trapelerà: ma su siti web o su twitter...! 
Ma ancorchè tali exit-polls potranno essere postati sulla rete, questi saranno per definizione mutevoli, e anche la più veloce delle rilevazioni potrebbe essere superata al momento della sua divulgazione: anche quando in un singolo Stato le urne saranno chiuse, l'elaborazione delle interviste sarà ben lungi dal dare risultati veramente prossimi a quello reale;
d) I primi Stati termineranno le operazioni verso le 19,00, cioè verso le nostre 01,00 di notte: gli exit-polls a quell'ora continueranno a fluttuare e a fornire esti che potranno essere ribaltati, dati i tempi sfasati di elaborazione delle interviste e mentre già iniziano i conteggi ufficiali "tabulated".
e) Solo dopo le 21,00 ora degli USA, cioè alle 03,00 ora italiana, sono rese pubbliche le elaborazioni - non definitive, ma selezionate in base alla significatività statistica rispetto al risultato finale-, dei dati "tabulati", cioè dei voti effettivi; in base a ciò, si inizieranno quindi a rendere note le proiezioni di voto dotate di una certa attendibilità "definitiva".
NB (addendum & errata corrige): "A partire dalle 03,00", però: il voto sulla West Coast e negli Stati agganciati a orari diversi da quello della costa orientale, saranno, ovviamente, via via acquisiti ed elaborati nelle 2-3 ore successive.
2. Dopodicché, finita l'ubriacatura elettorale, si ricomincerà a parlare della "soluzione" dei problemi della instabilità finanziaria, della deflazione da cui non si sa come uscire, della disoccupazione effettiva, e non di quella drogata da esigenze elettorali, e della secular stagnation
E magari della reintroduzione del Glass-Steagall Act, che la Clinton non vuole, ma ha dovuto ambiguamente inserire nel programma, per poter neutralizzare l'iniziativa di Trump; e pure della guerra contro Putin che, invece, la Clinton vuole tanto: specie in privato...  

Quindi poco prima dell'alba soltanto varrà la pena di preoccuparsi. Prima, la melassa della ital-grancassa potrebbe rivelarsi non solo indigesta ma del tutto inutile.

LISTE DI FINANZIATORI: CHI HA VINTO E CHI HA PERSO. E CON CHI SCHULZ (NON) HA "DIFFICOLTA' A LAVORARE"

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http://s.newsweek.com/sites/www.newsweek.com/files/2016/03/07/0307jbpritzker01.jpg
1. Tanto per capire alcuni aspetti di fondo del "come" si arriva all'elezione di Trump.
Dal sito ufficiale federale della "Election Commission", si evince che la Clinton ha avuto più del doppio dei contributi finanziari, per la campagna presidenziale, ricevuti da Trump
Sul "chi" siano poi questi ben maggiori contribuenti, in comparazione con quelli del "cattivo-xenofobo-populista" Trump, potete andare a verificare i vari links ipertestuali su tale sito.
Intanto, da questi dati ufficiali, si evincono due cose:
a) La Clinton aveva dalla sua parte, evidentemente e oggettivamente, la parte più ricca del paese, quella, appunto, con maggior "capacità contributiva". Il dato sarebbe altrimenti inspiegabile;
b) uno Stato democratico che non consenta (più) il finanziamento pubblico dell'attività politico-elettorale (e nel link trovate pure i precedenti di Obama e altre importanti informazioni), deve garantire un'assoluta e trasparenza e anche un'accessibilità immediata ai dati sul finanziamento, compiuto dai privati a favore di chi concorre per le cariche più importanti delle istituzioni democratiche.

Federal Election Commission, United States of America (logo). Link to FEC Home Page
Federal Election Commission
FEC Search

2016 Presidential Campaign Finance

Election Cycle: 

Compare Candidates
Candidates
(millions of dollars)
All Candidates 1.300,8
Democrats 733,5
Republicans 551,6
Clinton (D) 497,8
Trump (R) 247,5
Sanders (D) 228,2
Cruz (R) 89,5
Carson (R) 63,3
Rubio (R) 41,9
Bush (R) 34,1
Kasich (R) 18,9
Paul (R) 12,1
Fiorina (R) 12,0
Johnson (L) 11,2
Walker (R) 8,5
Christie (R) 8,4
Graham (R) 5,7
O'Malley (D) 5,7
Huckabee (R) 4,3
Stein (G) 3,5
Santorum (R) 1,8
Jindal (R) 1,4
Perry (R) 1,3
Lessig (D) 1,0
McMullin (I) 1,0
Webb (D) 0,8
Pataki (R) 0,5
Gilmore (R) 0,4
Contributions to Clinton, Hillary Rodham Through 10/19/2016

Search Contributors to Candidates

for Clinton, Hillary Rodham Go
What's Included Here?

Summary
Contributions
Individual Icon Individual $353.415.655
PAC Icon PAC $1.678.137
Party Icon Party $13.961
Candidate Icon Candidate $1.350.632
Federal Funds $0
Transfers-In $141.290.000
Disbursements $435.370.201
Cash On Hand $62.440.979

Size of Contributions
$200 and Under $265.624.539
$200.01 - $499 $38.126.338
$500 - $999 $31.449.764
$1000 - $1999 $52.115.613
$2000 and Over $168.469.414

Export Contributor Data


Clinton, Hillary Rodham 's
Current FEC Disclosure Reports
Presidential Campaign Finance Summaries:
Current and Historical

FINITA LA SP€NDIBILITA' DELLA BUFALA DELLA GLOBALIZZAZION€ INIZIA LA SOLFA DEL "PROTEZIONISMO-BRUTTO".

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https://image.isu.pub/151014033341-5b85803607792df395bedbd8391435e5/jpg/page_1_thumb_large.jpg
Una necessaria premessa introduttiva.
Trump, appena eletto, su domanda di un giornalista, indica, come futuro segretario del Treasury, Steven Mnuchin: questi ha lavorato per 17 anni a Goldman&Sachs, succedendo al padre in una carriera pluridecennale presso la stessa banca. Tra le esperienze lavorative di Mnuchin anche un periodo presso il Soros Fund Management, nonchè la produzione di film, anche importanti, come la serie X-men e Avatar. 
Secondo Zerohedge, l'alternativa a Mnuchin sarebbe il "JPMorgan CEO Jamie Dimon": sottolinea il blog che milioni di supporters di Trump sarebbero delusi da nomine del genere, e che "l'unica ragione per cui un banchiere diventa segretario del tesoro è quella di poter vendere tutte le proprie stock options, al momento di assumere la carica pubblica, senza dover pagare alcuna tassa".
Siano indicazioni fondate o meno, quel che è certo è che Trump non parrebbe, allo stato, disporre "delle risorse culturali" sufficienti per svolgere, anche solo in parte, un programma che include la reintroduzione del Glass-Steagall, la monetizzazione del debito (riacquistando quello già emesso), nonché il por fine alla stagione dei grandi trattati liberoscambisti.



E' pur vero che ove neppure tentasse di far ciòentrerebbe in conflitto con la base sociale (la working class) che lo ha eletto: ma, in compenso, come sottolinea Politico, si vedrebbe "riabilitato" da Wall Street e godrebbe di solidi appoggi bi-partisan nelle Camere.
Dunque, che sia lui il liquidatore del globalismo finanziario e il paladino del ritorno a economie nazionali meno aperte, rimane un punto interrogativo, una supposizione tutta da dimostrare.
  
1. Chissà perché si grida al "severo protezionismo" quando sarebbe in gioco, al più, "solo" (la prospettiva di) un ritorno al modello di financial regulation - o, se preferite, "repressione finanziaria"-, per consentire una razionale de-globalizzazione e un certo qual ripristino del modello di sviluppo che "punta sulla domanda interna"; quel modello che lo stesso Eichengreen definisce Coordinated Capitalism e che fu proprio il sistema prescelto, dopo il 1945 (!), per garantire la pace e il benessere crescenti in Europa e un maggior sviluppo (poi venuto meno con la globalizzazione) nel resto del mondo.
Si crede davvero che la deregulation massima nella circolazione dei capitali, legata alla riduzione del rischio di cambio innestata dalle "monete uniche", sia un modo di garantire la pace, piuttosto che il predominio del capitale nel conflitto sociale e delle economie nazionali più forti su quelle da rendere alla stregua di "colonie"?

2. Questa questione del protezionismoè veramente oggetto di un abuso mediatico-espertologico ormai divenuto intollerabile. 
A parte il sopra linkato Chang, che ha offerto i dati della (maggior) crescita "globale" (non solo in Europa), che aveva garantito il sistema pre-globalizzazione, legato per un lungo periodo a "Bretton Woods" e ad un ruolo nettamente diverso svolto dalle politiche tariffarie e dal FMI; a parte un Krugman (forse oggi un po' dimentico di se stesso) che aveva evidenziato la inanità della regola, implicita nel Washington Consensus e nella costruzione €uropea, della competizione tra Stati (qui, p.1), come condizione di effettiva crescita, giova ricordare che"protezionismo" non è affatto un concetto univocamente definibile e privo di adattabilità alle circostanze della democrazia economica.
Ed è questo un punto importantissimo che su cui, nonostante lo "sconvolgimento Trump", già si accumulano pericolosi ritardi mediatico-tecnocratici, sempre più imprudentemente incuranti dei "pericoli di un'ossessione" (per usare le parole di Krugman, sulla cui citazione torneremo). 


Possiamo quindi istituire una prima naturale distinzione che si connette straordinariamente al problema dell'€uropa:

a) Il protezionismo adottato da Potenze imperialiste è l'altra faccia del liberoscambismo, perché ne costituisce l'evoluzione, conservativa delle posizioni dominanti raggiunte e, al tempo stesso, anche l'utile strumento oppositivo alla contenibilità di tali posizioni da parte di altri competitor statuali.
Questa evoluzione (connaturale agli interessi consolidati delle oligarchie che hanno promosso l'imperialismo liberocambista nella fase di conquista) può logicamente preludere al vero e proprio conflitto armato tra potenze imperialiste: ciascuna supportata dalle rispettive nazioni satellite, colonizzate politicamente o economicamente.
b) Il protezionimsmo adottato da ordinamenti nazionali in via di sviluppo, e non dominanti sui mercati internazionalizzati, è invece un ragionevole strumento di crescita del c.d."infant capitalism", come spiegato da Chang ne "I Bad Samaritans" con riguardo a casi non certamente guerrafondai quali la Corea o, oggi, in UE, la "fascista" Ungheria. 
Quando, dunque, non si tratti di Stati che, dal loro passato imperialista e colonialista, risultino ossessionati dalla egemonia sugli altri, il "protezionismo" nelle sue varie e modulabili forme, si rivela in definitiva uno strumento di avvio della democrazia economica e socialmente inclusiva; al contempo, se lealmente riconosciuto in funzione delle diverse esigenze di sviluppo della varie società statali, è uno stabilizzatore degli interessi dell'intera comunità internazionale a una convivenza pacifica".

4. Aggiungiamo, perché di questi tempi occorre essere molto precisi con la Storia politica ed economica, grossolanamente messa all'angolo, che il primo tipo di protezionismo è proprio del mercantilismo imperialista e, per via dei vincoli monetari e valutari (BC indipendenti e eurozona, su tutto),  è esattamente quello che diffonde un'irrisolvibile crisi occupazionale e di crescita in €uropa. Si tratta di ciò che Joan Robinson (in uno scritto, non casualmente, del 1977) definiva in modo eloquente così:
La traduzione di questo estratto la affido ai più volenterosi dei commentatori:
"When Ricardo set out the case against protection, he was supporting British economic interests. Free trade ruined Portuguese industry. Free trade for others is in the interests of the strongest competitor in world markets, and a sufficiently strong competitor has no need for protection at home.  
Free trade doctrine, in practice, is a more subtle form of Mercantilism".

5. E dato che si parla di uno shock derivante dall'elezione di Trump, ritirando fuori l'accusa guerrafondaia al tipo di protezionismo tutorio delle sviluppo, - che sarebbe una soluzione, (molto temuta negli ambienti finanziari globalisti), alla secular stagnation provocata dal mercantilismo imperialista competizione tra Stati-, è estremamente interessante questo passaggio, tratto dal citato articolo di Krugman e riguardante proprio gli Stati Uniti (e il Messico). Ne sottolineo il "gran finale", sull'idea della "produttività" e circa quella che pare essere proprio l'ispirazione "protezionistica" di Trump (rendendo contraddittoria la fiera opposizione di Krugman al neo-presidente):
"...definire la competitività di una nazione è nei fatti molto più problematico che definire quella di una società per azioni (ndr; laddove K. muove dalla critica al preconcetto, tipico di Maastricht, che sia giovevole una "forte competizione" tra sistemi-Stato, cui venga attribuita la stessa dinamica di "conquista del mercato" internazionale, propria delle società per azioni).
La linea rossa per una società per azioni consiste letteralmente nei suoi confini: se una società per azioni non può permettersi di pagare i suoi lavoratori, i fornitori, i possessori di obbligazioni, uscirà dal business. Quindi quando noi diciamo che una società per azioni non è competitiva, intendiamo dire che la sua posizione nel mercato è insostenibile, ovvero che, se non migliora le sue prestazioni, cesserà di esistere. I Paesi invece non escono dal business. Possono essere contenti o scontenti delle loro prestazioni economiche, ma non hanno una linea rossa ben definita. Di conseguenza, il concetto di competitività nazionale è vago.
...Si potrebbe supporre, ingenuamente, che la linea rossadi un'economia nazionale consista semplicemente nella sua bilancia commerciale, che la competitività possa essere misurata dall'abilità di un paese di vendere all'estero più di quanto comperi. In teoria, come in pratica, un'eccedenza commerciale può tuttavia essere un segno di debolezza nazionale, mentre un deficit può essere un segno di forza. 
Per esempio, il Messico fu costretto ad enormi eccedenze commerciali negli anni ottanta per pagare gli interessi sul suo debito estero, dato che gli investitori internazionali si rifiutavano di prestargli altri soldi; ebbe grandi deficit commerciali dopo il 1990 quando gli investitori stranieri recuperarono la fiducia e nuovi capitali cominciarono ad affluire. C'è forse qualcuno che voglia indicare il Messico come una nazione estremamente competitiva durante l'epoca della crisi del debito, o descrivere quello che accade dal 1990 in poi come una perdita in competitività?
...Consideriamo, per un momento, quello che la definizione vorrebbe dire per un'economia che fa poco commercio internazionale, come gli Stati Uniti negli anni cinquanta. Per una siffatta economia, la capacità di  bilanciare il suo commercio sta soprattutto nel trovare il giusto tasso di cambio
Ma siccome il commercio internazionale è un piccolo fattore nell'economia, il livello di cambio influisce poco sugli standard di vita. 
In un'economia con poco commercio internazionale, quindi, l'aumento degli standard di vita - e così la "competitività" secondo la definizione di Tyson - sarebbe determinata quasi completamente da fattori nazionali, in primo luogo dal tasso di crescita della produttività. 
La crescita di produttività nazionale, punto e a capo, e non la crescita di produttività relativamente agli altri paesi
In altre parole, per un'economia con poco commercio internazionale, "competitività" finisce per essere un modo curioso di dire "produttività", senza avere niente a che fare con la competizione internazionale".

6. E dunque, che il protezionismo (del ritorno alla crescita), anzi, l'antiglobalismo della competitività basata esasperatamente sulla produttività comparata, appaia, adesso, muovere dal suo epicentro, cioè dal primo potere politico-militare del globo, sarebbe, in realtà, del tutto fisiologico nella dialettica della Storia. 

7. La speranza, non possiamo nascondercelo, è che la linea Trump si riveli netta e capace di dare quella svolta capace di evitare al mondo un ulteriore lungo periodo di inutili sofferenze "globaliste" e, dunque, autoritarie, quali sono ora, proprio in quanto oligarchiche. 
Una speranza che avevamo espresso da anni con queste parole, che sintetizziamo per linee essenziali:
"Il problema è che gli USA, non paiono coscienti di quanto in Europa l'operazione di distruzione del welfare, sociale e del lavoro, che pure continuano ad auspicare ("le irrinunciabili riforme strutturali"), conduca ad un assetto di forze che sono poi incontrollabili e, quindi, neppure correggibili con l'introduzione degli strumenti che essi stessi considerano come appropriati.
Non hanno capito che, una volta accettato di non contestare il legame tra limitazioni del deficit pubblico e auspicata destrutturazione definitiva del welfare, le riforme strutturali provocano un effetto politico di rafforzamento delle tendenze mercantiliste che oggi vorrebbero combattere: si tratta sostanzialmente della sindrome "dell'apprendista stregone", (opposta a quella del "questa volta è diverso"). 

Riusciranno gli USA a fermare tutto questo, se veramente sono interessati a questo tipo di "recupero" delle potenzialità dei mercati UEM?

Per farlo devono comprendere le ragioni profonde della loro stessa crisi sistemica: il neo-liberismo, non è buono se legato alle "nuove" politiche monetarie, mentre diviene "cattivo" se trasposto in Europa in forma di ordoliberismo a matrice mercantilista tedesca.Il liberoscambismo è un blocco unico di tendenze politiche che in Europa poteva affermarsi solo nella forma attuale: diversamente non sarebbe stato possibile fronteggiare e neutralizzare, in modo vincente, decenni di applicazione delle Costituzioni democratiche.

Non si può volere la botte piena e la moglie ubriaca.Ma non è possibile ritenere che un ripensamento di questo genere avvenga, da parte loro, in tempi accettabilmente brevi e senza traumi al loro stesso interno."

8. Ecco, forse, siamo arrivati a questa fase di ripensamento: e già oggi, "non senza traumi". 
Ma con la prospettiva, densa di positive speranze, che i costi, per il popolo USA, come per tutti gli altri ad esso interconnessi prima di tutto dalla tensione alla democrazia effettiva, non risulteranno mai così elevati come quelli che sarebbero derivati dalla conservazione della logica della "competizione tra Stati" e della competitività basata sulla domanda estera. 
Una concezione che, oggi, aleggia ancora in €uropa, come lo spettro di un imperialismo mercantilista, sempre più goffamente camuffato da aspirazione alla pace.
Mentre è esattamente il suo opposto; mentre il protezionismo dello sviluppo della ricostruzione dei sistemi industriali nazionali, può portare veramente il ritorno alla crescita e alla vera "pace" del veramente "coordinated capitalism".
Coordinato tra democrazie.
E su questo occorre vigilare. Specialmente ora... 
 
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