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DOMANI. "C'E' VITA FUORI DALL'EURO(!/?)". UN RAPPEL A L'ORDRE (costituzionale non dei mercati)

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Domani, dopo un piacevole viaggio con Sofia e Cesare Pozzi, sarò a:

Euro, mercati, democrazia 2016: C’è vita fuori dall’euro(!/?)

1. Questo appuntamento annuale ha una crescente importanza e un particolare significato per una comunità sempre più vasta di persone che hanno scelto "le risorse culturali", piuttosto che il condizionamento mediatico, come via per il recupero della democrazia e del benessere: cioè di quei valori sociali "fondanti" che lo Stato democratico, quale previsto dalla nostra Costituzione (sociale e non liberale), assicura al popolo sovrano composto dalla comunità degli appartenenti al mondo del lavoro (art.1 Cost.). 
E si intende il lavoro in ogni sua forma: quindi, purché non si fondi la propria "attività" sulla mera percezione di rendite, cioè evitandosi di "adempiere al proprio dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un'attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società". Perché così recita, espressamente, l'art.4, secondo comma, sempre della Costituzione (quello sul diritto al lavoro che secondo gli "€uropeisti" non esiste o è solo una favoletta senza valore).

2. Ho richiamato queste due norme fondamentalissime della Costituzione non a caso.
Domani il mio (piccolo) contributo sarà su questi temi:
14:30–15:00Squilibri, disuguaglianza e crescita: ripensare l'integrazione monetaria dell’Unione Europea
László Andor (Corvinus University, Budapest)
15:00–15:30La migrazione come arma: le implicazioni per l’Unione Europea e non solo
Kelly Greenhill (Tufts University And Belfer Center for Science and International Affairs, Cambridge, Mass.)
15:30 -16:30- Dibattito: Alberto Bagnai e Luciano Barra Caracciolo discutono con i relatori".
Sono temi che non paiono riguardare con immediatezza la Costituzione. 
Ma questa mera apparenza può risultare fuorviante solo per chi non segua questo blog

3. "Euro, mercati e democrazia", nel corso degli anni, si è caratterizzato come un fondamentale osservatorio della congiuntura economica prima di tutto €uropea ma anche, per inevitabile connessione, "globale".
Risulta perciò del tutto coerente che l'approccio nell'affrontare i vari temi muova dalle competenze scientifico-economiche di Alberto e degli importanti ospiti che, di anno in anno, ha saputo aggregare.
Ma questi stessi temi, come ci insegnano Caffè, Basso, e le commissioni, rispettivamente, per il lavoro e per l'economia che accompagnarono la redazione della nostra Costituzione, sono strettamente legati al modello economico prescelto come supremo vincolo normativo che realizza la sovranità popolare del lavoro.
Un modello, come noi sappiamo, per averlo documentato in molti modi, che è quello keynesiano e del c.d. Rapporto Beveridge.

4. Per questo i temi che mi troverò a trattare - e mai come quest'anno- implicano inevitabilmente di rammentare (almeno rammentare), il problema della compatibilità della nostra Costituzione con "l'attuazione delle politiche europee" che, con tanta ostinazione, si vuol introdurre come nuova mission del parlamento e come criterio di tipizzazione dell'attività legislativa. Questa, come abbiamo visto, verrà così subordinata ad un indirizzo politico-economico che non solo è esattamente quello ripudiato dalla nostra Costituzione, ma che, una volta in essa trasposto, ratifica una sovranità decidente, extraterritoriale ed estranea ai principi non revisionabili della stessa costituzione.
Una neo-sovranità formalizzata, la quale prescinde per definizione da qualsiasi espressione di voto del popolo italiano. 

5. Con ciò, dunque, si costituzionalizza l'imposizione, finora avvenuta de facto, per cui l'indirizzo politico si forma e si attua "al riparo dal processo elettorale", come si compiaceva di dire Monti.

Questa precisazione, mai abbastanza ripetuta in questi giorni, al di là di quello che mi sarà consentito dire domani, - per i limiti stabiliti dai tempi e dalla pertinenza ai temi prescelti-, almeno accompagnerà quelli che, tra voi lettori di questo blog, ritroverò, con piacere ed affetto (mi si "conscienta"), all'appuntamento di Montesilvano.

RIFOMARE L'EUROZONA , TRA BANCHE CENTRALI "INDIPENDENTI" E...REDDITO DI SUSSISTENZA

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http://goofynomics.blogspot.it/2016/10/global-currency-misalignments-il-terzo.html

Sfrutto l'occasione del mio ruolo di "discussant" al Goofy-5 per ritrovare un post, di questo blog, specificamente anticipatore dei temi dibattuti ieri, ma anche oggi.
E questo, in attesa che maturi il momento in cui si potrà commentare seriamente il fenomeno "Trump", cioè almeno su basi più attendibili delle dichiarazioni dal medesimo rilasciate, su vari temi caldi (bancari) e apparentemente contraddittori (sanitari), in questi giorni di eccessiva euforia.

La fonte che vi riproduco è del luglio 2013 ed è anzitutto interessante per due motivi: perché già allora si evidenziava l'impossibilità di far realisticamente progredire la "costruzione €uropea" finché permanga la "contabilità nazionale"; e perché si parla in termini di positiva eccezione riguardo a Lazslo Andor
Con un "forse" (come leggerete) che il dibattito di ieri ha confermato, quando egli ci ha detto che "dobbiamo rispettare le regole"se non vogliamo tornare alla "Unhealhty situation" anteriore all'euro (!!!) e se vogliamo che la Germania ci faccia "un assegno in bianco"...assolutamente MAI richiestole.

Ma è interessante anche per la connessione del tema (parlandosi di Germania Dominatrix e di...Minsky), anche a Draghi e al modus operandi della banca centrale, non solo sovranazionale (e quindi accentratrice della parte più importante della sovranità democratica, come ieri diceva Gianni Bulgari in una piacevole discussione a cena), ma anche "indipendente".
In soldoni, indipendente lo è fino a che il principale stakeholder della sua azione (imparziale?) non sia posto in pericolo dal "paradigma" che promuove questa stessa indipendenza. Cioè fino a che il "costo sociale della crisi" non si rifletta in un pericolo di instabilità finanziaria che metta in serio pericolo il sistema bancario "di riferimento", nel caso quello €uropeo (com'era scontato, per degli "apprendisti stregoni" nostalgici dell'economia pre-crisi del '29). E questo problemino, l'Unione bancaria non solo non pare in grado di risolverlo, ma, in fin dei conti, lo aggrava.

Al post "ritrovato" ho aggiunto degli "adde" di opportuno raccordo chiarificatore (e una numerazione dei paragrafi).
Preciso che non ho nessun intento di proseguire una polemica che non era mia intenzione sollevare. Comprendo il punto di vista di Andor: ma mi limito a constatare come non avrei potuto dire cose diverse da quelle già dette (oltre) tre anni fa. 
Anche perché, durante questo stesso periodo, le cose sono progredite dandomi sempre più ragione, - anche sulla scontata "paralisi autoriformatrice" dell'eurozona-, ed aggiungendosi nuovi dati a quella "diagnosi": il subentrare di una (scontata) deflazione, lo strutturarsi della (voluta) alta disoccupazione e l'inefficacia del QE a risolvere realmente questi problemi strutturali, nel quadro delle irrinunciabili regole €uropee (ordoliberiste) e delle riforme strutturali che continuano a essere indicate come soluzion€ unica. 
Tanto da indurre, in Italia, e principalmente in Italia, una riforma costituzionale che essenzialmente serve ad accelerarne l'implementazione. Per esplicita ammissione dei suoi proponenti (passata curiosamente in secondo piano nel dibattito, che certamente solleva tanti problemi che il referendum non può risolvere; e questo periodo è dedicato a Massimo D'Antoni...).

Notazioni finali: il post riproposto è privo di enfasi in "neretto". Forse un unicum in questo blog.
Ho deciso di lasciarlo così per un "omaggio" ad Alberto.
E poi: in inglese "liberalismo" si traduce come liberalism ("liberal", invece, sta per "progressista"). Mentre "liberismo" di traduce come free-competition e, in chiave "ordine sovranazionale dei mercati", come free-trade
E quel "free"- che sembra per tutti ma è invece per pochi- è il tratto logico-sostanziale unificante dei due concetti.

1. Perchè una moneta unica, cioè comune a più Stati caratterizzati da distinta sovranità per soggettività giuridica di diritto internazionale, possa condurre a una "economia" comune (come fenomeno politico-sociale "senza confini", non dovrebbero più aversi distinte bilance dei pagamenti. 
Cioè un current account balance ancora calcolato nella sua effettiva rilevanza economica, registrabile, in tutti i suoi riflessi, proprio rispetto a una popolazione vivente sul territorio giuridicamente appartenente ad un singolo Stato: rispetto a questo, in assenza del superamento di questa dimensione statale, continueranno ad "contare", eppure molto, andamento dei tassi di cambio reale, posizione debitoria su un "estero" che continua a includere i paesi aderenti alla stessa moneta unica, livelli di rendimento nella collocazione del rispettivo debito sovrano, differenti afflussi di liquidità da un paese all'altro e potere di emissione monetaria che tenga (o NON tenga) conto delle esigenze che derivano da questo (ben preventivabile) fenomeno di "divergences" (adde; come le ha chiamate ieri lo stesso Andor).
2. Questa precisazione, dopo qualche anno di dibattito innescato dalla c.d. euro-crisi, o crisi dei debiti sovrani europei, parrebbe quasi un'ovvietà.
Ma il problema di fondo rimane.
L'irrilevanza economica della rispettiva bilancia dei pagamenti scaturirebbe dalla previsione, come meccanismo indispensabile e strutturato all'interno del trattato (di diritto internazionale) istitutivo della moneta comune, di trasferimenti automatici (adde: di tale automatismo, infatti, Andor ha correttamente parlato) fatti, ai paesi con maggior squilibrio monetario e commerciale, dai partner in "attivo" della stessa area valutaria.
Il che, com'è altrettanto noto, potrebbe essere gestito solo da un governo federale, cioè espressione di una unificazione che, arrivando al livello fiscale, cioè di bilancio pubblico altrettanto comune ai vari Stati, segnerebbe anche un'unificazione politica e, in definitiva, una nuova soggettività (più che meramente cumulativa) di diritto internazionale.

3. Il che poi coincide(rebbe) con la nascita dell'Europa. Quella effettiva, non quella prefigurata dai banchieri come programmatica "shock economy" che costringesse a "ulteriori passi", essenzialmente a colpi di deflazione salariale. Seguendo pedissequamente la ricetta di Von Hayek.

3.1. Ebbene, se c'è una cosa chiara in questi frangenti storici europei, è che ciò non può essere realizzato.
Per il semplice fatto che il paese con la posizione estera attiva più importante - e commercialmente dominatore dell'area- non ha convenienza a farlo e utilizza una posizione politica di preminenza ormai sempre più forte, per impedire questa (molto teorica) soluzione: la Germania controlla "l'agenda" dell'eurozona e decide a suo piacimento i temi che possono o non possono essere presi in esame e in che termini. Con la sollecita e supina accettazione da parte delle istituzioni europee (forse con l'eccezione del commissario agli affari sociali Lazslo Andor).

4. Ma ci soccorre Draghi, che, formalmente addolorato del costo sociale della crisi, finisce poi, con una più realistica e sintomatica "eruzione" di verità, per considerare la recessione come un rischio prioritario, (soltanto...) per un peculiare suo effetto: " soltanto" una volta che metta in pericolo l'amato sistema bancario (che ha imposto questa situazione e questa politica, di deleverage tutorio delle sue stesse posizioni creditizie):
"The head of the European Central Bank says the region's persistent recession is weakening its banking system and is the most pressing risk it currently faces".
Questa potrebbe essere la paradossale "via di salvazione mediante le opere" in vista della fine dell'euro, cioè la ragione sostanziale della presa d'atto della sua insostenibilità.
4.1. Intanto i francesi continuano lo shopping in Italia, col caso Loro Piana. Pur versando in condizioni di offerta e di difficoltà di cambio forse peggiori delle nostre, hanno il vantaggio di non soffrire, misteriosamente, dello stesso "credit crunch". Il mistero (buffo) è svelato comprendendo la vistosa "eccezione" politica che i tedeschi, per ora, ancora concedono ai transalpini: basti rammentare i fiumi di liquidità, ben oltre il controllo della BCE, che in Francia vengono creati con il sistema Euroclear-STEP, tutto controllato da Banque de France, senza molta interferenza della BCE.
Ma non basterà per salvare l'euro dal rischio bancario creato dalla recessione, sventatamente provocata dalle politiche fiscali imposte di chi adesso ne paventa gli effetti. Però basterà per creare la colonizzazione industriale di quel che resta dell'Italia.

Aveva ragione Minsky: l'intermediazione finanziaria e la sua logica speculativa di breve periodo altera la stessa funzionalità dell'industria e le sue prospettive di investimento basato sulla capitalizzazione di profitti che non possono razionalmente realizzarsi senza una domanda che non sia repressa dai decrescenti livelli salariali reali (adde: una domanda repressa, come ha detto ieri Cesare Pozzi, dalla riduzione dei salari "a livello di sussistenza). 
La teoria di Von Hayek per cui la recessione è in realtà una cura per eliminare le distorsioni che si sono accumulate durante il boom, onde le risorse sprecate in usi improduttivi finiscono invariabilmente per essere liberate e trasferite in settori in cui esiste una domanda reale e sostenibile, ignora la realtà bancario-finanziaria del capitalismo, una volta liberato dell'odiato controllo dello Stato-arbitro.
E di questo "principio di realtà" persino Draghi deve iniziare a rendere conto.

GUIDA SEMPLIFICATA A ORIZZONTE48 (a completamento di...Cesare Pozzi)

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1. Poiché mi si dice, a torto o a ragione, che i miei post sono troppo lunghi (e immaginiamoci i libri!), invece di svolgere ulteriori complesse analisi sulla congiuntura economico-politica internazionale (che è la parte "divertente" per chi segue il blog con attenzione), vi propongo uno schemino riassuntivo a giovamento dei lettori incostanti o "nuovi" del blog.
Cercherò di limitare i links all'essenziale perché poi, altrimenti, Moreno protesta :-)

Lo schemino che segue ha in realtà una portata ambiziosa, come sempre accade quando si vuol riassumere analisi di vasta portata.
Inoltre, serve (secondo una mia ricostruzione), anche allo scopo di completare, - nel solco di una "tradizione" che segue, (giocosa), a un Goofycompleanno-, la parte dell'analisi di Cesare Pozzi che, per oggettivi limiti di tempo, egli non ha potuto svolgere.

2. Dunque dovendo dare uno schema generale di quella che è "l'analisi economica del diritto pubblico" (approccio scientifico proprio di questo blog), muovendo dalla (dimostrata) natura legale-normativa keynesiana della nostra Costituzione, abbiamo:

A- Schema del legame tra mercato e diritti civili nella loro evoluzione.
Sul piano dell'evoluzione ordinamentale (e quindi del "tipo" di Costituzioni), dovremmo riallacciarci a quella parte della teoria economica, e del costituzionalismo, che sono ancora in grado di capire correttamente l'incidenza, sull'assetto ecomico-sociale, del fattore istituzionale: assunto, quest'ultimo come non subordinato alle esigenze della competitività internazionale.
 
Una breve ricostruzione storico-economica e giuridica, può togliere ogni dubbio, al riguardo.
I "diritti civili" (cui Cesare ha fatto cenno contrapponendoli alla visione smithiana della domanda contrassegnata dal "salario di sussistenza"), nella visione fordiana (p.1)dell'offerta, assunta in funzione della domanda-potere d'acquisto, segnano l'evoluzione al capitalismo sostenibile('na vorta). 
Ma questi diritti civili, nel corso della storia del capitalismo, sono divisibili in 3 generazioni (secondo il costituzionalismo giuridico, cioè democratico, e non secondo il costituzionalismo "politico", cioè neo-liberista, che non riconosce gerarchie di interessi e assoggetta tutti i diritti, senza eccezioni, all'adeguamento dettato dalle condizioni del mercato in economie aperte-liberoscambiste):
1a) mere libertà negative: c.d. diritti di libertà (conformi al vetero-liberismo e alla legge di Say: lo Stato si deve astenere da imprigionarti senza prove e giusto processo e dal limitare domicilio, corrispondenza e libertà di parola);
2a)  diritti politici: allorchè legati all'introduzione del suffragio universale (che può anche essere visto come un allargamento del "giudizio sul mercato" alle classi sociali medie e subalterne), quindi elettorato attivo e, specialmente, passivo per tutti, unito alla estensione generalizzata della facoltà e soprattutto "liceità" di associarsi in partiti;
3a) diritti sociali, la cui cerniera generatrice, rispetto alla 2a generazione, è il riconoscimento, tormentato, del diritto alla tutela sindacale, cioè non più associazionismo de facto tollerato...a singhiozzo. 
La tutela collettiva "lecita" del lavoro (non più vista come monopolio "cattivo", come però Hayek e anche Il Manifesto di Ventotene, e tutti gli €uropeisti, continuano a sostenere), può essere vista come una fase segnata nel suo inizio, - almeno nel paradigma concorrenziale ora dominante, cioè quello USA-, dal "Clayton Act", 1914.

A.1- Da tale liceità discende poi il riconoscimento come attore politico del "fattore lavoro"; da tale rilevanza politica i diritti sociali nascono come diritti di prestazione verso lo Stato (non più censitario), relativi a:
- istruzione pubblica universale (aumenta il capitale nazionale creativo di valore, anche in senso "spiritutale"; art.33 Cost.);
- tutela legislativa del mercato del lavoro (sostiene domanda e, quindi, investimenti);
- servizio sanitario pubblico universale (salario indiretto a sostegno del potere di mercato del lavoro e della sua preservazione fisica);
- sistema previdenziale (salario differito, che sostiene la domanda=consumi+risparmio=>investimenti, e promuove la coesione sociale, che consente ulteriore conversione di risparmio in investimento: Rapporto Beveridge e art.47 Cost., su risparmio e investimento come "funzione pubblica" dell'intermediazione bancaria, vigilata a tal fine da governo e parlamento).

B- Nuove relazioni tra "mercato" e "lavoro" conseguenti allo schema "A" e loro proiezione come soluzioni al problema di stagnazione e instabilità economico finanziaria creato dall'appartenenza all'unione monetaria europea.
In questa ottica riequilibratrice (del vincolo €sterno imposto dai trattati €uropei), occorre una convergenza su alcuni concreti punti di politica economica e istituzionale. 
Cioè:

Anzitutto, dunque, ritorno alla sovranità monetaria e, di conseguenza, ad una BANCA CENTRALE  conforme all'art. 47 Cost.: quindi, capace di creare moneta in vista del valore futuro, (più che proporzionale al suo ammontare), indotto dalla crescita della domanda-  Ciò conduce all'attivazione di moltiplicatore e acceleratore fiscali, in base al cui agire, si risolve anche l'insolvenza diffusa, cioè le sofferenze alla base della crisi bancaria; 

Superamento del dogma collegato della "banca universale":
Ripristino di un sistema creditizio senza più il modello di banca universale (che porta alla conseguenza che il risparmio dei  cittadini e le tasse dei contribuenti garantiscono le banche e, come dovrebbe essere, non viceversa). 
L'intermediazione bancaria va riportata a "pubblica funzione": cioè lo Stato ricapitalizza, grazie alla banca centrale, e diviene, con scelta strategica già fissata nell'art.47 Cos., un azionista con vincolo di perseguire l'interesse generale, mediante politiche di piena occupazione dei fattori della produzione e accrescimento degli stessi; 

- poi il recupero del sistema di"governabilità"costituzionale (quella "vera", non il decisionismo tecnocratico dei mercati; qui. pp. 2.1.4. e 2.1.5.), fatto di intervento dello Stato con politiche industriali pubbliche (cioè gli strumenti della Costituzione economica);
 
- e questo per proteggere l'occupazione e preservare il welfare, cioè il livello della domanda nazionale (welfare "adeguato" e non riducibile a livelli di compressione crescenti, per "superiori" esigenze di par€ggio di bilancio, art.38 e 32 Cost., "effettivo", art. 3, cpv e 4 Cost., e perciò sorretto dalla sovranità monetaria e di politica economico-industriale: cioè la Costituzione economica nazionale e non quella €uropea, modellata sul gold standard).
 
3. Delineati questi concetti fondamentali, ciascun lettore potrà auto-testare la propria assimilazione dei contenuti principali del blog e, soprattutto, verificare la propria consapevolezza della "vera posta in gioco" della riforma costituzionale.
Per difendere la Costituzione, quando è il momento più importante per farlo, e il benessere proprio e dei propri figli.
Fatemi sapere...

DOLLARO UP OR DOWN? TRUMP TRA WAL-MART E IL PIANO MARSHALL (politically inverted)?

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http://www.asset1.net/tv/pictures/356/200/movie/caught-in-the-crossfire-2010/Caught-in-the-Crossfire-TC.jpg

1. Discorrendo e "corrispondendo" con amici che di economia ne sanno molto più di me, ci si poneva la questione se il ciclone Trump assumerà una veste di svalutazione o rivalutazione del dollaro
E tenete conto che la svalutazione del dollaro va a neutralizzare i pochi effetti benefici del QE e porta praticamente al collasso finale l'eurozona...semplicemente per "termination" degli espedienti a disposizione per mantenerla in vita (visto che ci attende pure il redde rationem della crisi bancaria e "soluzioni di mercato", senza oneri per le nostre finanze pubbliche, o per i contribuenti-risparmiatori, non si presentano all'appello)...
Le ragioni in un senso o nell'altro, ora raccordate con l'attuale percezione di un ritorno alla "aspettativa" di un aggancio del dollaro alla pressocché parità con l'euro (1:1 o giù di lì), le avevamo viste nel corso del tempo, in relazione all'evoluzione della trattativa per il TTIP.
 
Oggi poi, l'amico Mattia Corsini, nel sollevare la questione della cooperazione di Sanders, - ove mai Trump volesse veramente risolvere il problema del mercato del lavoro e della crescita salariale reale negli USA-, rinvia implicitamente alla relazione tra l'aspetto del corso della valuta statunitense e il livello dell'occupazione.


2. Per livello dell'occupazione ci riferiamo alla crescita di quella "buona", cioè non rilevante solo ai fini statistici ufficiali (elettoralistici in sostanza): la dura lezione subita dalla Clinton, come abbiamo già evidenziato, appartiene proprio ai pesanti effetti collaterali di questo equivoco, (o trucco propagandistico). 
Un trucco, peraltro, come dovrebbero attentamente considerare tutti i governanti degli Stati UEM, generalizzato in tutto l'Occidente sottomesso al paradigma del Washington Consensus; fino alla sua forma più hard, che è l'eurozona (in quanto mercantilista e quindi deflazionista a-qualsiasi-costo, come auspicava Einaudi per "il mercato comune" fin dagli anni '50).
E che l'eurozona sia un'area mercantilista aggiogata alla Germania ce lo conferma l'ennesima pantomima della Commissione sugli squilibri eccessivi della Germania nel surplus delle partite correnti.  
A parte la già vista risibilità delle sanzioni, (qui, p.5) ove mai applicate, a parte che sono almeno tre anni che viene tirato fuori questo surplus senza alcun esito concludente, l'attuale (ennesimo) risveglio tardivo della Commissione, nasce dalla prevalente intenzione di mettere i puntini sul "debito pubblico eccessivo" italiano facendone la leva con cui catapultare l'austerità sul deficit-fabbisogno pubblico annuale, in cui l'Italia 

3. Ora, per trovare un filo conduttore che raccordi alla domanda iniziale (che farà il dollaro con Trump), il problema del mercato del lavoro USA, dovremmo cercare anzitutto di assumere il punto di vista di Trump: è un tycoon, ha relazioni personali e ambientali con altri grandi employers (cioè datori di lavoro), è repubblicano, quindi non certamente incline all'interventismo statale di tipo "socialista", che agisce sulla tutela del lavoro legiferando in modo esplicito, in genere in conseguenza di apposite norme costituzionali proprie delle "democrazie sociali" (queste clausole costituzionali, come sappiamo, sono dichiarate "fondamentali" e non revisionabili: aspetti impensabili rispetto alla Costituzione federalista americana, sia storicamente, sia ideologicamente, cosa che conta ancora di più della risalenza al XVIII secolo di quella Costituzione). 
Ma la digressione sulla tutela costituzional-legislativa del diritto al lavoro, lo chiudo qui rammentando il suo intreccio con la riforma costituzionale.

4. Tornando a "bomba" (senza "er", sia chiaro), possiamo escludere quindi che Trump faccia qualcosa di simile al rinforzare (o meglio "rigenerare") la legislazione del lavoro che prese vita dopo il New Deal.
Consigliamo di andarsi a rileggere, nella Storia dell'economia di Galbraith (pagg. 280-283), come già lo Employment Act of 1946 fu in realtà una trasformazione (intrinsecamente di respingimento del keynesismo) dell'originario - e ben diverso- Full Employment Bill of 1945
E' pur vero che nel 1978, la legge del 1946 fu emendata con una normativa chiamata "the Full Employment and Balanced Growth Act": ma nel frattempo era passata l'idea che l'intervento fiscale diretto, di sostegno pubblico all'occupazione, fosse comunque connesso alla crescita "bilanciata" con la stabilità dei prezzi, e quindi i vari Comitati esecutivi della legislazione del lavoro assumono ormai il loro compito come vigilanza, (dell'Esecutivo e del Congresso), sull'azione della Fed conforme al suo mandato misto (o "dual")
Oggi, quindi, nessuno dubita di dover annettere un peso minore, e comunque un'assenza di qualsiasi vincolo automatico, al "compensatory spending" dello Stato, ormai circondato da una diffidenza che è giunta fino a Star Trek, come paradigma del futuro (pop): "In the Star Trek: Deep Space 9 episode Past Tense, the Employment Act was repealed, one of the changes in the future of 2024".

5. Insomma, Sanders appare un attore marginale, e un alleato di Trump attualmente improbabile, in questo contesto consolidato: anche se non si può mai dire, di qui a pochi anni, come sostiene Reich, v.qui, infine, p.6,, alla faccia di Star Trek. Ma attenzione, nella premonizione di Reich, c'è prima una gigantesca crisi finanziaria ulteriore che affliggerà la presidenza corrispondente a quella di Trump!

Cosa rimane dunque a Trump per rilanciare l'occupazione "vera" - non walmartizzata-, senza dover tradire le aspettative dei suoi elettori (che certo non possono per sempre essere tenuti a freno dalla crociata contro il "politically correct")?
Escluso il perseguimento diretto del "Full Employment" legato a interventi di spending esclusivamente mirati a ciò, gli si prospetta, anche per vocazione naturale, la Balanced Growth.
Di qui, anzitutto, un ovvio programma di investimenti pubblici in infrastrutture (non necessariamente "pubbliche": basta siano di "interesse pubblico", con commesse ai privati: e lui è un costruttore..).
Non a caso Zerohedge, collegando i puntini della curva di Phillips, parla di "Trump Reflation Rally", implicando una correlazione (inversa) tra livello dell'inflazione e livello dell'occupazione.

6. Ma il fiscal stimulus di Trump non può che essere repubblicano, anche se più "nazionalista" di quelli dei suoi ultimi predecessori, di entrambi i partiti: cioè "including a pledges to cut taxes, spend more than $500 billion on infrastructure and restrict imports". Promette tagli di tasse e 500 miliardi di spesa pubblica in infrastrutture. E "restrizione delle importazioni".
Sì perché aumentare il deficit, e promuovere più occupazione, porta sicuramente a un aumento della domanda interna, e quindi a una spinta inflazionistica, ma anche, date le condizioni della dislocazione della produzione mondiale dei beni, all'aumento dello squilibrio estero dei conti. Circostanza che, come sappiamo, contribuisce a rendere fuori controllo il deficit pubblico, aumentandone l'impatto inflazionistico "puro" (cioè non legato all'aumento della produttività nazionale), e rendendo insostenibile la sua posizione.
I dati su disoccupazione, vera e "ufficiale", deficit pubblico e spesa pubblica USA, afflitta dai costi sociali propri del tipo di mercato del lavoro che si è andato affermando, potete verificarli qui.

7. Ma, sebbene la Cina già si sia posta in allarme, non basta limitare le importazioni per promuovere la creazione rapida di "real jobs" (task affidato a imprese di dimensioni consolidate, possibilmente manifatturiere, e che possano contare sulla stabilità della domanda creata da redditi interni "solvibili").
Occorrono politiche industriali, l'altro grande strumento a disposizione di qualsiasi presidente, e compatibile con la filosofia politico-economica attuale, applicativa dell'Employment Act: anche se molto meno compatibile con il ruolo del dollaro e il suo "esorbitante privilegio" di essere valuta degli scambi internazionali, sopravvalutata, a prescindere dai conti con l'estero.

US Unemployment Rate Chart

http://www.tradingeconomics.com/charts/og.png?url=/united-states/current-account

7.1. L'ideale dunque è riuscire a contemperare la creazione di reddito e lavoro "effettivi", (e fuoriuscenti dai numerini U3, riducendo cioè U6), con una ragionevole correzione delle ragioni di scambio commerciale con l'estero, senza dover proseguire nel liberoscambismo che, sul versante USA, ha finora puntato sulla forza relativa della finanza di Wall Street, che procura entrate nella partita "redditi" (e dei servizi), ma non rilancia l'occupazione "buona"; ed anzi, vincola a proseguire nella crescita affidata solo ai consumi, che divengono una montagna di sub-prime.
La situazione, abbastanza aggiornata, delle partite correnti USA è questa, infatti (i saldi del grafico di cui sopra, semmai, ci dicono di un lieve peggioramento nel 2016):

https://docbea.files.wordpress.com/2016/03/current-account-balance-317.png?w=475&h=244

http://images.advisornet.ca/e-newsletters/chart1-march-2015.jpg
7.2. E ciò in contrapposizione alla distribuzione del reddito che coinvolge almeno l'80% della popolazione USA(come abbiamo già visto qui):

http://www.cbpp.org/sites/default/files/styles/downsample150to92/public/atoms/files/11-28-11pov_rev7-29-16-f2.png?itok=US9SO6uQ
1de2346f64acf4ea14668eeb97748d607268d2c2


1280px-US_productivity_and_real_wages.jpg

8. La situazione che Trump deve risolvere è dunque ricca di variabili negative e di difficoltà tra scelte difficilmente conciliabili, proprio nella sua ottica di appartenenza sociale, prima che politica.
Ma c'è una via d'uscita un po'ardita
Che è quella che passa per le relazioni geo-politiche con l'€uropa e per il ragionevole principio che, se devo migliorare i conti con l'estero e creare occupazione "buona" (non necessariamente ben pagata, come ci dice il grafico appena sopra), devo passare per il rafforzamento delle filiere industriali in cui ho un qual certo vantaggio tecnologico e di "specializzazione", non essendo utile a tal fine il settore dei servizi finanziari (che è già una voce positiva delle partite correnti e non è idoneo a incrementare il livello occupazionale, dato il basso rapporto numero addetti/prodotto complessivo).

Ecco dunque che si inserisce anche la questione della rivalutazione o svalutazione del dollaro: in sintesi, ricalca la dicotomia "svaluto per vendere all'estero il mio prodotto <=> rivaluto per acquisire il controllo dell'industria concorrente". 
In definitiva, una questione di rapporti geo-politici, se consideriamo che l'industria più solida degli Stati Uniti è quella dell'armamento (il famoso "complesso militar-industriale di Eisenhower, p.1").

9. La cosa potrebbe funzionare più o meno così.
E' vero che Trump spinge al rientro dei capitali, anche con un condono fiscale a aliquota ridotta, - e dunque questo può far supporre una rivalutazione del dollaro-, ma è anche vero che le attese sono reflazioniste (non disgiunte da misure di "razionamento"sui prodotti cino-asiatici...detesto l'uso allargato di "protezionismo" finchè ci sono BC indipendenti e libera circolazione dei capitali).

Non solo ma il dollaro debole può ben servirgli per proporre un trade-off tra eurobreak e (auspicato) riarmo euro-NATO(la cui dimensione di spesa sarebbe fiscalmente insostenibile dentro l'eurozona).

9. Sul punto il quadro delle prospettive stabilite dal paradigma normativo UE è contrastante.
Infatti, anche facendo leva sulle direttive difesa UE e sulle conseguenti raccomandazioni di Consiglio e Commissione, l'idea sarebbe di farci importare moooolte armi, intanto che gli americani entrano (o almeno negoziano di entrare) nei megaconglomerati produttivi UE, da sviluppare (obbligatoriamente)...cedendo il controllo sulle nostre (fiorenti) industrie del settore.

Inoltre, lo stesso trend UE, già patrocinato dalla NATO, è quello di ridurre i dipendenti pubblici della difesa (truppe incluse) e affidarsi a contractor privati "operativi", settore in cui le corporations USA sono leader.
A tal fine, al dollaro conviene stare basso nella prima fase di riarmo, che per loro è un export (ammesso che la loro tecnologia sia così appetibile; ma per gli F-35 non è stato un problema). 
Un business enorme in rapporto all'incremento di spesa su PIL: in media, per sopperire allo sganciamento USA dalla Nato, occorrerebbero approssimativamente circa due punti di PIL a paese-membro ALL'ANNO.
Mercenari included (qui, attenzione, i britannici pure sono piazzatissimi).
 
10. Questo sarebbe il neo-Piano Marshall: farci pagare o affittarci ciò che prima elargivano gratis...ma avendoci imposto UE e euro...
Ci si potrebbe persino stare, ma a condizione di saper negoziare il mantenimento del controllo della nostra filiera del settore.
 
Invece, per gli IDE-acquisizioni-joint venture, conviene naturalmente che il dollaro sia ragionevolmente alto.
E questo in una seconda fase, che non si può prevedere, allo stato, "quando" debba prevalere sulla prima (dipende da quando riescono a imporre la ristrutturazione industriale dei "conglomerati" europei: magari proprio come trade-off rispetto all'eurobreak). Le due fasi potrebbero pure "intrecciarsi" fino a che non ne prevalga una...
Ma se questa dinamica risulterà verosimile, il trend di svalutazione o rivalutazione del dollaro, legato alla presidenza Trump, sarà rilevabile solo nel medio periodo, lungo lo sviluppo (industriale) di questo processo di "sganciamento USA vs. riarmo europeo".

11. Da notare che, dal punto di vista politico, si tratta di una vera e propria inversione, rispetto al Piano Marshall: questo serviva a finanziare consumi ed investimenti nell'economia civile di un'Europa da ricostruire, in modo che gli Stati coinvolti poteressero spendere per acquistare beni strumentali e di consumo statunitensi, e dunque acquistabili solo in dollari. 
In cambio, gli USA spendevano in armi e personale militare, all'interno del loro bilancio fiscale, per fornire protezione armata sul territorio europeo.

In questo caso, all'opposto, si tratta di far finanziare agli €uropei, con la loro spesa pubblica, un riarmo che sostituisca il venir meno (progressivo) del "presidio" militare USA
E in cambio, forse, si consentirebbe alla maggior parte dell'Europa, cioè agli Stati dell'eurozona, di respirare un po', grazie alla recuperata sovranità monetaria e fiscale, in modo di potersi...autoproteggere, importando armi (e servizi militari) dagli USA.
Forse...

SUPERDOLLAR: JANET'S (ACCIDENTALLY?) SELF-FULFILLING PROPHECIES. MA SI STA "RISCALDANDO" VERAMENTE?

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US economic malaise extends into March as new work inflows hit post-recession low 

 



US non-farm payrolls

 https://www.competitivefutures.com/wp-content/uploads/2016/03/US-Non-Farm-Payrolls-2006-2016.png

Se volete, prima date un'occhiata a questi grafici e poi capirete ancor meglio il post: capirete, poi, molto meglio, la differenza tra un banchiere centrale e un policy-maker...non posto "al riparo dal processo elettorale" (come dovrebbero essere, secondo Barroso, i governanti "ideali" dell'€uropa)

1. Sicuramente è colpa mia che scrivo post troppo lunghi, nell'illusione di dare il massimo delle informazioni (sintetiche) sul maggior numero possibile di variabili.
L'ipotesi formulata nell'ultimo post (appunto troppo lungo...),  non è stata compresa da alcuni commentatori, che mi riportano le fonti degli ital-giornaloni e dei big-media come se fossero delle "prove", cioè delle rappresentazioni DIRETTE dei fatti, e non invece, - come cerco di spiegare da tanto tempo- delle mere valutazioni CONTINGENTI, a fini orientativi E PRECOSTITUITI, di controllo dell'opinione pubblica.

La mia ipotesi è che, nel breve-medio periodo, misurabile quindi in anni, seppure relativamente pochi, ai fini delle politiche di Trump, cioè di rilancio dell'economia industriale USA, di correzione dei conti con l'estero e di creazione di occupazione "buona" - quella non considerata nelle statistiche U3 su cui pubblicamente si fonda la Fed e...l'ital-propaganda pro-Clinton-, UNA RIVALUTAZIONE DEL DOLLARO NON ABBIA SENSO.

2. A questo scenario di base, ho aggiunto una complementare "proiezione" delle possibili mosse geo-politiche preannunziate da Trump, nel suo insistere sull'autonomia del versante (militar-difensivo) €uropeo all'interno della Nato.
L'ipotesi complementare, nel senso di "coerente" con gli obiettivi di Trump suddetti, è che, se gli USA dessero il "via libera" all'eurodissoluzione, questa strategia sullo scenario €uropeo potrebbe riuscire molto meglio
Cioè, con vantaggio per l'industria/occupazione USA e per i suoi conti pubblici; non dimenticando, infatti, l'enorme risparmio USA in spese militari che ne deriverebbe, portando alla liberazione di risorse pubbliche rimodulabili per altri scopi, (ove smettesse di costituire il presidio difensivo del vecchio continente). Inoltre, certe tecnologie, dai droni all'armamento nucleare, alle armi da scenario tattico più (supposedly) moderne, dovrebbero essere importate dagli €uropei che spenderebbero alimentando le esportazioni USA.
Ma anche con reciproca soddisfazione degli Stati dell'eurozona, non più costretti ad asfissiare i propri cittadini e i propri sistemi indistriali, solo per mantenere in vita la moneta unica.

3. L'eurodissoluzione, oltretutto, fruendo di un placet di Washington, diverrebbe pilotabile tramite accordi tra paesi dell'eurozona, disinnescando:
a) sia la sua attitudine generatrice di instabilità finanziaria mondiale, ove, (diversamente) l'eurobreak derivasse da iniziative di singoli paesi o da un crisi finale €uropea incontrollata (disorderly):
b) sia la bomba ad orologeria dell'Unione bancaria e del suo mucchio di follie, ordoliberiste e hayekiane, sul bail-in e il burden sharing, che rischiano di precipare prima l'€uropa, e con essa tutto il mondo, in insolvenze a catena (oltre che a un riflesso di distruzione industriale che nessuno vorrebbe).

Come pure il fiscal compact; e ciò quand'anche se ne predicasse l'incorporazione nel trattato UE (nel TFUE; qui, pp.5-8).
Entrambi, sono e rimarrebbero applicabili solo all'eurozona, con il loro carico di distruzione del risparmio, delle insolvenze - e quindi delle basi imponibili- e con il loro concomitante vincolo al pareggio strutturale di bilancio ed alla deindustrializzazione che complessivamente ne consegue (gradita solo alla Germania che si libera dei concorrenti interni all'area valutaria).
Tutte condizioni che, in pratica, sono ostacoli insormontabili alla ricalibratura della spesa pubblica per la difesa: l'unica per cui, nota bene, persino la Commissione UE, ammette le'sistenza di un moltiplicatore ben >1: addirittura tra 2,2 e 2,4!!! 
Una spesa pubblica, finalmente non "brutta", che sarebbe funzionale alla politica industriale occupazionale e di correzione dei conti con l'estero, propugnata da Trump.

4. Ma allora perchè in questi giorni, immediatamente successivi alle elezioni presidenziali, il dollaro raggiunge i suoi massimi storici? 
Questa la caduta dell'euro - ovvero il rafforzamento del dollaro- proseguita negli ultimi 10 giorni (un record di durata, ci dice Zerohedege, v. poi):


Il "perchè", detto in termini  sintetici, ha tre ragioni:
a) una tecnica di (probabilmente "molto") breve periodo, cioè l'aspettativa scontata da tutti i mercati (alla disperata ricerca di rendimenti decenti, almeno in termini di sicurezza da perdite in conto capitale), dell'aumento del tasso di sconto da parte della Yellen;

b) un politica di tipo tattico: la Yellen, non a caso vista come "resistente e ferma al suo posto di combattimento" rispetto al nuovo corso trumpiano,non può non sapere quale ostacolo costituisca il suo ennesimo "allarme" - su un pericolo di eccessivo riscaldamento inflazionistico (!) dell'economia USA-  per le politiche reflazioniste di public spending che Trump vuole intraprendere;
c) una terza, politica e anche economica, di tipo precauzionale-previsionale che ho già illustrato nelle risposte ai commenti del precedente post (che integro per completezza):
La Yellen può pure rialzare i tassi e rafforzare il dollaro: ma questo accelererà soltanto le probabilità di esplosione di una nuova bolla. E può darsi che, politicamente, sia proprio quello che vuole la sua "appartenenza".
Non tanto perché renda un "non senso" un nuovo afflusso di capitali in USA, che nessuno, nel quadro attuale, saprebbe bene dove investire (se non affidandosi all'insider trading di breve periodo), ma perché una politica monetaria deflazionista, ora, a mercato del lavoro invariato, accelererebbe soltanto l'accumulo di debiti sub-prime e il collocamento dei relativi titoli "junks" strutturati; e quindi l'esplosivo stockato nella Santa Barbara del Titanic.
Un rialzo dei tassi, se porta a deflazione aggiuntiva (o a un livello di inflazione "insano"), accelerando esplosioni di bolle e contrastando qualsiasi aspirazione reflazionista e di incremento occupazionale voluti da Trump (se ancora li vorrà), ha però anche il grande vantaggio di lasciare alla Yellen, in caso di scoppio della bolla, un MARGINE SUL TAGLIO DEI TASSI, CHE ORA NON HA PIU'.

E CHE POI POTREBBE CONSENTIRLE DI PRESENTARSI COME LA SALVATRICE DELLA PATRIA, IN CONTRAPPOSIZIONE A UN TRUMP "INETTO" NEL GESTIRE LA CRISI FINANZIARIA PROSSIMA VENTURA...
5. E, aggiungiamo, il paradosso sarebbe che la Yellen si comporterebbe da perfetto banchiere centrale indipendente: cioè inibirebbe preventivamente il deficit spending comunque implementato da Trump, facendone salire il costo fiscale.
Un capolavoro se volete: farebbe, proprio in prossimità dello scoppio di una crisi finanziaria, una politica pro-ciclica (dunque molto "neo-classica"), rafforzando uno dei presupposti di una mancata ripresa dell'economia reale; e, al momento cruciale, si potrebbe proporre come unica "seria e credibile" soluzione della crisi finanziaria che avrebbe lei stessa accelerato.

6. Il commento di Flavio, conforta questa possibile interpretazione, sul piano di logiche incalzanti relative al profilo monetario-finanziario:
"Concordo perchè coi livelli di debito attuali, un rialzo dei tassi non farebbe altro che far esplodere la bolla. Alcuni giorni fa Zerohedge pubblicava questo interessante articolo sulle foreclosures (in USA), mentre se diamo un occhio alla Cina con il suo debito corporate ci ritroviamo a livelli abnormi. 
I due "giganti" mondiali hanno i piedi d'argilla. Non so quanto sia salutare per la Yellen alzare i tassi... Il rialzo dei tassi d'interesse introdotto dal 2004, effettuato in vista della ripresa in corso dell'economia statunitense, portò via via allo scoppio della bolla sub-prime...
Non so se Trump abbia vinto solo per suoi meriti o anche perchè possa servire da "utile idiota" (ndr; per essere il caprio espiatorio di una crisi finanziaria che i democratici hanno, in un modo o nell'altro, evitato di doversi intestare). 
Ma se la Yellen dice che "non vuole la riforma di Wall Street" e che "a breve ci sarà un rialzo dei tassi" in uno scenario di debito elevato, sottoccupazione mascherata da piena occupazione, commercio mondiale fermo, parte di conto corrente nazionale in affondo, debiti privati esteri (quasi) fuori controllo, o ci troviamo di fronte al precipizio, per cui Trump è davvero l'utile idiota a cui addossare le colpe del prossimo scoppio bolla, oppure la Yellen dice quello che in realtà NON vuole: quindi si andrà avanti con la riforma di Wall Street, cercando nel frattempo di contenere il debito in qualche modo lasciando i tassi come stanno, ma lasciando pure correre il corso del dollaro fino ad una sua stabilizzazione "di mercato" chiamiamola così... 
Il dollaro è già sopravvalutato in questo momento visto l'abnorme disavanzo di parte corrente, non vedo come una sana politica monetaria possa insistere in questa strada, pena lo strozzare ulteriormente e definitivamente ogni qualsivoglia velleità di ripresa manifatturiera interna... scenario davvero complicato per me mente semplice... vedremo nelle prossime settimane...".
Ma Flavio non è affatto una "mente semplice", proprio perchè dice cose tecnicamente più che ragionevoli e obiettivamente contestabili.

7. La conferma ce l'abbiamo da uno degli ultimi post di Zerohedge, che si trova piuttosto in linea con quanto abbiamo affermato; e Zerohedge può piacere o non piacere, ma di certo non è a digiuno di conoscenze dei mercati finanziari e neppure fatto da sempliciotti.
Il titolo è tutto un programma:"Euro In Historic Slide As Dollar Surge, Bond Rout Continues". La traduzione è intuitiva, una volta che si sappia che "Rout" sta per "disfatta".
E questo articolo si impernia molto sulle oggettive intenzioni attribuibili alla Yellen.
La Yellen, registra Zerohedge, rafforza il segnale che il rialzo dei tassi sia imminente, anche per evitare, con la "gradualità", un rialzo ulteriormente posposto, ma troppo alto e repentino, in funzione di un riscaldamento dell'economia USA che vede...solo lei (v. grafici nelle immagini introduttive del post); un riscaldamento che non potrebbe, oggettivamente, avere nulla a che fare col mero afflusso di capitali verso il dollaro in "surge".
Ed infatti, la Yellen, più che giustificare in base ai soliti dati macroeconomici questa immaginata ripresa inflazionistica, visto che investimenti non residential (e non meramente finanziari), occupazione industriale e risalita dell'inflazione, non giustificano tale valutazione. anzi, gli investimenti risultano negativi tra il 2015 (Q4) e il 2016 (Q1). E comunque non sono mai andati "forte" nel post crisi del 2007 (cosa del tutto anomala per un paese in costante saldo negativo delle partite correnti):

gdp_comp_apr_16

8. Ma così, la Yellen pare rivelare il suo vero scopo, facendo sorgere la domanda se si sarebbe comportata allo stesso modo anche in caso di vittoria della Clinton. Infatti, prosegue Zerohedge:
"(La Yellen) ammonisce il Congresso contro il fornire all'economia un'eccessiva spinta fiscale e suggerisce che, piuttosto, dovrebbe tarare gli obiettivi dello stimolo (in deficit) verso la produttività di lungo periodo dell'economia"
Ci facesse capire: quali sarebbero i requisiti e i contenuti di politica fiscale che aumenterebbero la produttività di lungo periodo?
Secondo la teoria monetarista e neo-classica (pp.3-4), questi "indirizzi" sono, lo ricordiamo, la stabilità dei prezzi, accompagnata da una politica monetaria "credibile"; cioè idonea a prevenire ogni aspettativa di inflazione crescente, che spiazzerebbe gli investitori, scoraggiati da prospettive di ricavi crescenti solo in termini nominali, e perciò, ammettendosi esclusivamente limitate politiche pubbliche sul lato dell'offerta, tipo investimenti in innovazione e ricerca e sgravi fiscali alle imprese. 
Il tutto sul presupposto, condiviso dai neo-keynesiani (come, in teoria la Yellen), di un mercato del lavoro perfettamente flessibile.
E davvero la Yellen crede, dopo anni di semistagnazione USA, connesse a queste complessive politiche, rigorosamente seguite finora (e a cui lei pareva essersi tiepidamente opposta, come "novità" della sua ascesa ala Fed), la medicina sia proprio...l'aumento dell'inoculazione di dosi dello stesso veleno?

9. Una cosa sorprendente.
Invero, se si pensa che la Yellen ad agosto gridava al successo sul quasi (molto "quasi") raggiungimento del target del 2% di inflazione, solo perché si sono potuti registrare dall'estate del 2016, dei picchi inflattivi (relativamente) "record", ma da prendere con le pinze, essendo legati agli stimoli, appunto, fiscali "prelettorali", tarati per dare il massimo effetto nella fase più calda della campagna presidenziale.
Questi sarebbero i dati trionfali sull'inflazione considerati soddisfacenti dalla Yellen:
United States Inflation Rate
Che poi fino al 2015, era una gara che gli USA vincevano "solo" col Giappone 
http://inflationdata.com/articles/wp-content/uploads/2014/06/US-vs-Japan-inflation.jpg

O magari con l'Italia:
 http://cdn.tradingeconomics.com/charts/italy-inflation-cpi.png?s=itcpnicy&v=201611141010r

 E più o meno pareggiando con la Germania!
http://www.tradingeconomics.com/charts/og.png?url=/germany/core-inflation-rate
10. La verità è che la Yellen appare concordare con questa previsione di Gavyn Davies (v. sotto; "L'inflazione USA finalmente risale?") considerando le proiezioni future già acquisite; naturalmente senza too much fiscal stimulus e, cioè the Clintonian way; e invece si ritrova Trump. Da sgridare "a prescindere".

Non sia mai che l'inflazione, nel 2017, andasse al 2,1%!!!
E poi il lavoro perfettamente flessibile chi lo tiene più a freno?

Notare che la previsione, comunque la si metta, includeva una pronta ridiscesa dopo i primi mesi del 2017: qualsiasi presidente (democratico) avrebbe infatti raffreddato l'economia dopo i primi mesi, post-elettorali, del 2017. Stabilizzando il livello dell'occupazione: U3 e U6. Cioè sempre perfettamente flessibile. 
E, va anche detto, sempre con un Congresso e un Senato a maggioranza repubblicana. Forse i migliori alleati della Yellen per limitare Trump?

http://blogs.ft.com/gavyndavies/files/2016/03/ftblog1039.png

11. Ma intanto, la situazione del debito (privato) delle famiglie dei lavoratori flessibili, rimane questa (ve la ribadisco):
http://images.advisornet.ca/e-newsletters/chart1-march-2015.jpg 
E dentro questa montagna di debito privato (ormai prossima all'85% del PIL USA: nel 2015, 17.947 miliardi)ci sono questi settori di sub-prime, cioè di prestiti non restituibili, "indicativi" di...un certo malessere sociale; gli americani non possono più permettersi la casa ma "esagerano" a comprare auto...che non si possono permettere, e a tentare di studiare al college, per non finire al minimum wage (siamo a livelli complessivi, solo di questi sub-prime, esclusi quindi quelli "ipotecari"e per altri "consumi", pari circa al 13% del PIL 2015!)
Con esiti poco rassicuranti che, con rialzo dei tassi, deflazione e, perciò, dollaro forte, sono tutt'altro che migliorabili. Anzi.
Ma, a quanto pare, non per la Yellen:

091015-DRE-Student-and-Auto-Loan-Debt-Chart1
...A meno che non si preferisca una nuova bella crisi a qualsiasi mutamento dell'assetto economico, e dell'occupazione, degli Stati Uniti.
Cosa sempre possibile: never let a serious crisis go to waste...

BICAMERALISMO "IMPROPRIO" (O ASIMMETRICO)? NON IN NOME DI MORTATI (semmai dello Statuto albertino)!

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Per chi è a Roma, o può raggiungere Roma, sabato prossimo, con Cesare Pozzi e Vito Poli, discuteremo della Costituzione partendo da "La Costituzione nella palude". Quindi, partendo dall'€uropa per arrivare ai nostri giorni: gli effetti di desertificazione sociale, demografica e industriale, e infine "istituzionale", del "vincolo esterno".
Ci vediamo dunque, sabato, dalle ore 16,00, a via Casal Bruciato 11, a "La Cacciarella". 

1. Chi segue questo blog sa che la riforma costituzionale attuale, schematizzata come "riforma del Senato" (e per un insignificante risparmio sui "costi della politica") è in realtà, per espressa ammissione della relazione governativa, una riforma teorizzata, progettata e "resa necessaria" per adeguarci al tipo di governance imposta dall'appartenenza all'UE e, più specificamente, all'unione monetaria.




2. Se queste finalità principali, anzi essenziali, della riforma, specialmente in questo momento storico, siano convenienti per la democrazia e per il ritorno alla crescita in Italia, lo si può capire  dallo stato crescente di malessere sociale e di svuotamento (tipicamente neo-liberista) del processo elettorale, per di più svolto sulla base di leggi elettorali che negano la rappresentatività del parlamento (v.qui, in specie p.3. a), e links inclusi), - e che, come tali, sono state sanzionate dalla Corte costituzionale. 
Ma lo si percepisce istituzionalmente anche, e dal punto di vista economico-strutturale (cioè in un modo che non è attribuibile a una fase ciclica transitoria), a seguito dell'introduzione del pareggio di bilancio in Costituzione, ad opera del governo Monti, proprio per recepire con straordinaria solerzia il fiscal compact; quest'ultimo, a sua volta,si applica de facto solo all'Italia, come abbiamo constatato nella realtà applicativa di 5 anni di richiami e rimproveri della Commissione UE.
Rammentiamo, da questo post sulle "basi" di comprensione della "vera posta in gioco": 
ADDENDUM: la propaganda mediatica dilagante, oscura il fatto, di evidenza palmare, che i diritti fondamentali della prima Parte (artt. 1-12 Cost.), esigono che lo Stato si attivi, cioè intervenga ad attuarli con "effettività", legiferando e amministrando in senso pro-lavoristico: art.1 Cost.  
E' quindi un alibi dire che, dal punto di vista testuale, questi diritti non vengano "toccati" dalla riforma e, in generale, dal vincolo €uropeo che si vuole costituzionalizzare: se si smantella, - per via di consolidamento fiscale assurto a valore supremo dell'ordinamento, via dell'art.81 Cost. e delle "politiche €uropee"-, ogni effettivo intervento dello Stato, quei diritti fondamentali rimangono previsioni meramente teoriche e enfatiche.Esattamente come si cerca di affermare da qualche recente decennio di ordolibersimo €uropeo dominante.



La finalità sostanziale della riforma, che passa per i nuovi art.55 e 70 Cost., e non per l'art.117 (precedente e attualmente proposto), è dunque quella di ratificare, cristallizzandola in Costituzione, la sottomissione dei massimi organi di decisione politica, cioè le Camere elettive (il nuovo Senato tra l'altro perde questa connotazione) ad un indirizzo politico, quello €uropeo, che non solo si forma al di fuori del territorio e della volontà del popolo italiano, ma che diviene vincolante al di là di qualsiasi esito elettorale (rendendolo per sempre irrilevante, finché fosse in vigore questa riforma della Costituzione)
Quale che sia la maggioranza per la quale gli italiani si sono illusi di votare, la nuova Costituzione ne prescinde e, con le sue espresse previsioni, vincola le Camere a votare le norme che sono deliberate in sede UEM. 

4. E queste norme europee, espropriatrici della sovranità popolare sancita dall'art.1 della Costituzione, sono quelle che caratterizzano veramente l'azione di governo, appunto di qualsiasi governo immaginabile, intervenendo su tutto il campo dei diritti fondamentali previsti nella I Parte della Costituzione: il lavoro (artt.1, 4 e 36 Cost.), inteso come livello di occupazione e di retribuzione, vincolati a scendere per attuare la deflazione salariale conservativa della moneta unica, il diritto alla salute (art.32 Cost.), l'istruzione pubblica (art.33), il diritto ad una previdenza dignitosa e adeguata (art.38), la stessa eguaglianza sociale e di partecipazione politica (art.3, comma 2, Cost.), che sono svuotate dal drastico deterioramento delle condizioni di lavoro e di bisogno di una popolazione spaventosamente impoverita.

POVERTà NUMERI 1

Una curiosa vulgata, però nasconde questa vera posta in gioco insita nella riforma costituzionale e ci racconta della (inspiegabile, dal punto di vista scientifico-economico) connessione tra abolizione del bicameralismo perfetto e ritorno allo sviluppo. 
La via, parrebbe, sarebbe quella della semplificazione e accelerazione del processo legislativo che deriverebbe da un sostanziale monocameralismo (almeno per quanto riguarda la fiducia al governo, il voto sulla leggi in materia finanziaria e fiscale e tutte le principali "manovre" economiche imposte dall'€uropa).
A sostegno di questa indimostrabile affermazione, viene tra l'altro, persino chiamato in causa Costantino Mortati, a cui viene attribuito il giudizio per cui il Senato sarebbe stato un "inutile doppione" della Camera, facendone conseguire che Mortati avrebbe predicato perciò il monocameralismo (o qualcosa che comunque assomigliasse all'attuale riforma).

5. Come si arrivi a questa diffusissima iperconvizione, dilagante in articoli, dibattiti e convegni, può essere ricostruito in base alla catenza delle "citazioni-estrapolazioni" che muovono da quanto sostenuto dal prof.Ceccanti, costituzionalista tra i più accesi sostenitori della riforma. 
Egli estrapola un passaggio di Mortati in un'intervista del 1973 (che, in realtà, conseguiva alla prima forma di realizzazione del regionalismo, avvenuta in Italia con una serie di decreti legislativi del 1972 e che quindi era ben spiegabile nel contesto storico dell'epoca, chiarendo il presupposto logico-istituzionale di quell'intervista). Cita Ceccanti:
Se facciamo un ulteriore salto all’indietro riprendiamo alcune frasi importanti di uno dei più importanti padri della Costituzione, Costantino Mortati, nella nota intervista al periodico “Gli Stati del gennaio 1973: «Un’esatta valutazione della nostra Costituzione esige che si distingua la parte che si potrebbe chiamare sostanziale … dall’altra dedicata all’or­ganizzazione dei poteri … Non mi pare contestabile che essa, nella formulazione dei principi racchiusi nella prima parte, sia riuscita particolarmente felice, tale da porla ad un livello superiore delle altre Costituzioni emanate nello stesso periodo di tempo … (mentre) volgendo lo sguardo ad auspicabili riforme costituzionali … ricordo che alla Costituente io, quale relatore della parte del progetto di Costituzione riguardante il Parlamento, fui tenace sostenitore di un’integrazione della rappresentanza stessa che avrebbe dovuto affermarsi ponendo accanto alla Camera dei deputati un Senato formato su base regionale… Una Camera che fosse rappresentativa dei nuclei regionali offrirebbe il grande vantaggio di fornire quello strumento di coordinamento fra essi e lo Stato che attualmente fa difetto, e che invece si palesa essenzialmente per conciliare le esigenze autonomistiche con quelle unitarie. Non sono da nascondere le difficoltà pratiche offerte da questo tipo di rappresentanza, ma sembra che sia in questa direzione a cui bisogna avvicinarsi per dare una ragion d’essere a una seconda Camera, che non sia, come avviene per l’attuale Senato, un inutile doppione della prima.»
Da questo passaggio, al più, si può arguire che Mortati fosse favorevole ad un Senato "regionalistico", non certo che propugnasse alcuna delle soluzioni di diminuzione del suo status deliberativo e in favore della sua non elettività popolare diretta, propugnate oggi.

6. Per smentire che Mortati fosse un sostenitore del monocameralismo ovvero di una forma di bicameralismo fortemente asimmetrico (che egli definisce "improprio" parlando di "deminutio", per respingerlo, pagg.470-471 delle sue "Istituzioni", v.poi), in cui il Senato fosse un organo di mero (inefficace e inefficiente) controllo, a posteriori, del lavoro legislativo essenzialmente svolto dalla sola Camera, con qualche competenza deliberativa residuale, (come in effetti dispone questa riforma), basta il senso logico del brano estrapolato e sopra riportato: Mortati non vuole degradare il Senato e lo considera un "inutile doppione" soltanto perché, nell'esercizio delle sue paritarie competenze deliberative, non risultava sufficientemente rappresentativo dei "nuclei regionali", non a caso così denominati perché allora finalmente nascenti nella forme che oggi conosciamo.

7. Ma non basta: questo è l'intervento di Mortati in Costituente - quello in sede di Commissione dei 75, ergo il più rilevante per comprendere la sua posizione di "base" - proprio come relatore sulle norme relative al Parlamento
Della visione dell'"inutile doppione" non v'è traccia, precisando che la "funzione ritardatrice" era obiettivamente assunta come un risultato positivo di miglior ponderazione qualitativa delle leggi e che mai, per un momento, Mortati indulge ad aperture verso il monocameralismo o verso un bicameralismo fortemente limitato, a sfavore della seconda camera, specialmente sulla legislazione finanziaria, di cui non ravvisa i presupposti storici ed istituzionali:
[Il 3 settembre 1946 la seconda Sottocommissione della Commissione per la Costituzione inizia la discussione generale sull'organizzazione costituzionale dello Stato partendo dalla relazione dell'onorevole Mortati.
Vengono qui riportate, per questa e per le successive sedute, solo le parti relative all'articolo in esame, e più precisamente quelle riguardanti la forma bicamerale o monocamerale; le parti riguardanti invece la composizione e le modalità di elezione del Senato vengono riportate a commento degli articoli 57, 58 e 59, mentre si rimanda alle appendici per il testo completo delle sedute.]
Mortati, Relatore, passando al problema dell'unicameralismo e bicameralismo, osserva che, per risolverlo, bisogna chiedersi quali sono i fini politici che si vogliono raggiungere con l'esistenza di due Camere anziché di una sola. Tali fini possono essere molteplici e si tratta di vedere come si possano realizzare.
Un primo fine è quello di esercitare una funzione ritardatrice, di controllo dell'operato della prima Camera. Si osserva che il meditare su una deliberazione presa dalla prima Camera, l'approfondire il problema e il ripetere la discussione, possono agevolare così la valutazione della convenienza politica della legge come il suo perfezionamento tecnico
Questo scopo può essere raggiunto da una seconda Camera qualsiasi: anche una seconda Camera formata con la stessa struttura della prima può esercitare questa funzione ritardatrice, questa ripetizione dell'esame. Il caso tipo di una seconda Camera formata esclusivamente con questo intento è offerto dalla costituzione norvegese; l'unica che forma la seconda Camera dallo stesso seno della prima: il corpo elettorale norvegese elegge, infatti, un certo numero di Deputati, i quali eleggono nel loro seno un numero più ristretto di membri che vanno a formare la seconda Camera; e si dice che il risultato di questo sistema sia assai soddisfacente, il che significa che non è esatta la tesi che quella seconda Camera non sia che un duplicato della prima.
Ma, accanto a questo scopo ve ne è un altro più particolare e che esige forme specifiche di realizzazione: quello dell'integrazione della rappresentanza. Ammessa una rappresentanza generale del popolo, indifferenziato, può apparire utile accompagnare la prima Camera con una seconda, la quale sia formata in modo diverso, pur essendo sempre di origine popolare. 
Bisogna partire dal presupposto che questa seconda Camera debba essere capace di decisioni politiche, cioè di manifestazioni di volontà e non di pure espressioni di pareri o manifestazioni di desideri. Questa seconda Camera, posta in posizione di parità con la prima, potrebbe realizzare meglio il suo fine quando fosse espressione di una integrazione del suffragio.
Richiama l'attenzione della Sottocommissione sul fatto che, comunque si decida la questione dell'organizzazione del suffragio, la Costituente dovrà tener presenti certe linee essenziali dell'ordinamento del suffragio, perché vi sono istituti che con determinati regimi elettorali funzionano in un certo modo, con altri regimi funzionano diversamente.
Ammessa una rappresentanza formata in un dato modo, si domanda se, insieme o accanto a questa rappresentanza politica che esprime gli orientamenti dei vari partiti fra cui si divide il corpo elettorale, non vi sia posto per un'altra forma di rappresentanza, la quale esprima la volontà dello stesso popolo, che sia quindi anche espressione del suffragio generale, ma in una veste diversa. Naturalmente queste forme di costituzione della seconda Camera hanno una funzione in quanto portano ad uno spostamento del peso politico che emerge dalla prima Camera. Questo è il risultato pratico.
Qualunque Senato tende a modificare il peso politico dei cittadini quale potrebbe essere espresso attraverso il suffragio universale e la rappresentanza di partiti. 
Il sistema francese del 1875, modificato nel 1884, si basa sulla rappresentanza territoriale: la legge francese dà una rappresentanza eguale a comuni o a organismi territoriali diversamente composti nel loro rapporto demografico; e la conseguenza politica che ne deriva è che i comuni piccoli hanno una influenza maggiore delle grandi città, onde una impronta speciale che deriva al Senato da questa rappresentanza, la quale sposta il rapporto realizzato nella prima Camera con il suffragio universale.
Vi possono essere altre forme per una diretta integrazione del suffragio, ed una di queste è quella della rappresentanza di categoria. Le categorie si possono intendere con due significati: o col significato economico, in cui le categorie rappresentano gli interessi delle professioni che intervengono nella vita economica come fattori della produzione e del consumo; o col significato super-economico, e quindi culturale, assistenziale, o, se si vuole anche dire, professionale, in cui però la parola «professionale» va intesa in senso generico. Naturalmente l'accettazione di una rappresentanza di questo genere solleva problemi numerosi e di varia natura e presupporrebbe o l'organizzazione di queste categorie in gruppi determinati o il realizzarsi delle categorie anche indipendentemente dalle organizzazioni di questo genere, sulla base di una semplice anagrafe delle popolazioni nei vari settori delle attività economiche o culturali. In questo secondo caso l'attribuzione di un numero di seggi a ciascuna categoria verrebbe fatta avendo soltanto in vista il quadro di ripartizione, indipendentemente da una organizzazione delle singole categorie in sindacati appositamente riconosciuti. 
Si potrebbe, cioè, pensare ad una terza forma, la quale non considerasse le categorie nelle loro specializzazioni, ma che abbracciasse gruppi di categorie sulla base di certi interessi sociali più eminenti e più importanti: per esempio la cultura, la giustizia, il lavoro, l'industria, l'agricoltura. E sarebbe, questo, un tentativo di dare alla rappresentanza una maggiore organicità e di eliminare o attenuare l'influenza strettamente proporzionale degli interessi, per allargare la visuale verso forme di valutazione più propriamente politica. Non si deve, infatti, dimenticare che, se si vuol dare alla seconda Camera una funzione politica, si debbono anche creare i presupposti perché i rappresentanti possano elevarsi a questa più ampia valutazione politica.
[...]
Ma la formazione di una seconda Camera può tendere anche ad un altro scopo, cioè a quello di selezionare particolari capacità e competenze; e allora bisogna affrontare il problema della competenza, che vale anche per la prima Camera, ma che per la prima Camera si risolve più difficilmente, appunto perché ad essa si vuol dare un carattere di rappresentanza politica generale.
Nella seconda Camera, per lo meno storicamente, si è realizzata la tendenza a delimitare la scelta degli eleggibili per assicurare la presenza nell'assemblea legislativa di certe competenze individuali che il sistema dei regimi rappresentativi di per se stesso non assicura. 
Questo terzo scopo a cui si può tendere nella costituzione della seconda Camera, formata nell'ambito di certe categorie, cioè prescrivendo che gli eleggibili siano scelti nell'ambito di determinati gruppi, che si suppone abbiano una certa competenza, è molto importante, perché uno dei fattori che ha contribuito a determinare la cosiddetta crisi della democrazia è precisamente il difetto di competenza, tanto più sensibile nello Stato moderno che ha visto estendersi la sua sfera di attività in settori sempre nuovi e sempre più tecnici. Questo fine politico particolarmente importante può essere soddisfatto con la costituzione di una seconda Camera in cui si faccia una selezione degli eleggibili. Naturalmente se si stabilisce una rappresentanza di categoria, per evitare la forma di rappresentanza fascista, in cui alla Camera delle Corporazioni un poeta o un filosofo rappresentava, per esempio, gli ortofrutticoli, bisogna esigere che i rappresentanti appartengano alle categorie rappresentate, determinando certi requisiti di capacità: età, appartenenza a certe attività, aver fatto parte di certi corpi od uffici, ecc.
[...]
Un altro punto da affrontare a proposito del sistema bicamerale è quello della parità, o meno, da concedere alle due Camere: parità piena, semipiena, o non parità
Questa ultima pone la seconda Camera in una situazione di inferiorità di fronte alla prima, limitandone la competenza all'emissione di pareri o alla sospensione dell'attuazione di certe misure. Uno dei casi è quello della Camera dei Lords inglese che, dopo la riforma del 1911, non è più una Camera legislativa in senso proprio, ma ha una funzione sospensiva di certe misure; ed anzi, nella materia finanziaria non ha neanche questa funzione. Questo era il caso del Reichsrat della costituzione di Weimar. 
A suo avviso (del relatore Mortati; ndQ.), il sistema bicamerale non può consentire forme di seconda Camera con questi limiti; la seconda Camera dovrebbe avere non solo piena parità di diritti in materia legislativa, ma anche piena parità in ordine alla fiducia da accordare al Governo. Egli, anzi, aveva proposto di formare un organo misto, una riunione plenaria delle due Camere per votare sulla fiducia al Governo, in modo che fosse meglio attuata una compenetrazione dei vari punti di vista attraverso la discussione e la votazione. In considerazione del fatto che la prima Camera ha un valore politico di fatto, non di diritto, preminente, si potrebbe escogitare un sistema che desse una preminenza numerica alla prima Camera in modo da metterla nella sua giusta posizione.
Quindi, egli è per la piena parità anche nel campo finanziario, perché, evidentemente, quei limiti che sono valsi per diminuire l'efficienza in questo campo della seconda Camera negli ordinamenti in cui questa ripeteva la sua origine non dal popolo ma dal Sovrano, non hanno più ragione d'essere in un ordinamento nel quale l'origine della seconda Camera è anche essa popolare, e manca la ragione di un trattamento diverso alle due Camere anche in questo campo"

8. S'è detto anche che Mortati avrebbe anche lamentato di aver dovuto accettare il bicameralismo "perfetto" (che egli, come vedremo, in realtà non condivide, nelle sue Istituzioni di diritto pubblico, enumerando invece le diverse ragioni di differenziazione tra Senato e Camera realizzate nella soluzione costituzionale, cfr; Tomo I, pagg. 471-473, come sempre da rileggere per essere informati dato che egli criticava ogni soluzione che non attribuisse pari "rango" alle due Camere!), per via della pressione "comunista"
In realtà è proprio l'opposto, essendo inizialmente, il partito comunista, sostenitore del monocameralismo (ma con un rigoroso sistema elettorale proporzionale). E Mortati lo dice espressamente alla pag.471 delle sue Istituzioni. 
Ma v'è di più. 
Il partito comunista cambiò poi idea in Costituente, e fece proprio, sul Senato, una cauta e "compromissoria" apertura al regionalismo - ma non al "federalismo"!- come attesta l'intervento di Laconi in sede di vera e propria Assemblea Costituente il 24 settembre 1947 (Laconi, che chi ha letto "La Costituzione nella palude" sa essere un sincero democratico sostanziale, ben disposto ad accettare la visione keynesiana e la essenzialità della conseguente costituzione c.d. economica), intervento che vi riporto:

"Laconi. [...] Le proposte che sono state presentate, almeno le principali, si muovevano originariamente su due linee: la linea della rappresentanza di interessi, che è stata ieri eliminata attraverso un voto contrario della Assemblea, e la linea della rappresentanza a carattere territoriale, che ha trovato in parte un accoglimento nel progetto di Costituzione e che è variamente echeggiata in diverse proposte che vengono poste in discussione attraverso gli emendamenti.
Ieri l'Assemblea ha respinto la prima di queste proposte e penso che abbia concorso in questo voto anche la considerazione che io ho avuto l'onore di fare ieri e cioè che la proposta dell'onorevole Piccioni presupponeva tutta una Costituzione diversa da quella che invece noi siamo andati elaborando.
Io penso che queste medesime considerazioni valgano anche per tutte le proposte che delineano una formazione della seconda Camera su base territoriale. Le proposte di una rappresentanza su base regionale, o comunque su base locale, conferiscono in sostanza alle Regioni, in quanto tali, un loro diritto di partecipazione alla direzione politica del Paese e muovono quindi da una concezione dello Stato che non è quella che ha trovato accoglimento nel titolo delle autonomie regionali. Le Regioni non sono state da noi configurate come organi di potere politico. Noi non abbiamo creato uno Stato federale per cui oggi debba discenderne naturalmente una rappresentanza delle Regioni nella seconda Camera. Noi abbiamo creato la Regione come ente puramente autonomo ed incluso nell'unità politica dello Stato.
Si dirà che nel progetto attuale si è ricorso ad un compromesso, contemperando la rappresentanza regionale con altre forme di rappresentanza, ma io penso che proprio da questo compromesso scaturiscano i maggiori pericoli. 
Se noi ci trovassimo in uno Stato federale e dinanzi ad unità territoriali storicamente determinate ed organiche, che hanno una tradizione storica, probabilmente nell'accogliere anche integralmente il principio della rappresentanza regionale nella formazione della seconda Camera non ci sarebbero dei pericoli; ma qui in Italia, dove nascono delle Regioni con tutt'altra configurazione, io penso che corriamo un grande pericolo a concedere una rappresentanza fissa alle Regioni, corriamo cioè il pericolo di dare la stura domani a tutta una serie di movimenti regionalistici i quali altro scopo non avrebbero se non quello di conquistare a determinate Regioni o talvolta anche a determinati gruppi politici prevalenti in quelle Regioni le rappresentanze senatoriali. Io vorrei che questo punto che è stato così scarsamente toccato da questa discussione, e mi pare sia ancora largamente accettato in questa Assemblea, venisse sottoposto ad una discussione particolareggiata.
Io vorrei far notare ai colleghi che questo premio concesso gratuitamente ad ogni Regione, è un incentivo alla creazione di nuove Regioni, incentivo che può essere favorito anche dal fatto che in determinate zone di certe Regioni possono prevalere determinati gruppi politici interessati ad ottenere questo premio.
È ben noto che in ogni Regione esistono particolari zone in cui un partito è in prevalenza. Chi potrà escludere che questo partito si faccia promotore della costituzione di una Regione la quale domani avrà, per il fatto che si costituisce, il premio gratuito di cinque senatori? Noi verremmo a trovarci inermi di fronte a questo pericolo: quello di vedere da un lato la Regione trasformata in un semplice strumento di competizione politica, e dall'altro lato di veder trasformato il Senato in una Camera che rappresenti unicamente, e nel modo più ristretto, degli interessi locali di piccoli gruppi configurati territorialmente e politicamente.
A nostro avviso il Senato deve rappresentare la nazione in modo indiscriminato. Abbiamo ieri escluso che vi fosse una rappresentanza di gruppi sociali in quanto tali. Io penso che dobbiamo escludere che vi sia una rappresentanza di gruppi territorialmente configurati in quanto tali. La sovranità appartiene al popolo nella forma più indiscriminata
Non possiamo ammettere che nel quadro dello Stato unitario italiano vi siano enti di qualsiasi natura, sia sociale che territoriale, i quali detengano un determinato diritto per il fatto che esistono, e in nome della loro esistenza e della loro costituzione. Rappresentanza, quindi, indiscriminata. Ma è evidente che se vogliamo che questa rappresentanza indiscriminata risponda a quelle esigenze — che sono state riconosciute anche da noi, e credo dalla maggioranza della Camera — di una maggiore elaborazione della legge; se vogliamo che la seconda Camera risponda a queste esigenze, è evidente che dovremmo avere una rappresentanza opportunamente selezionata".

9. Tornando a Mortati e al suo presunto favor per il monocameralismo o per un bicameralismo fortemente temperato, - che non pare neppure sostenuto nell'intervista del 1973, appunto legata alla maggior rilevanza del regionalismo (quale allora costituzionalizzato)-, a smentire questo assunto, è cioè la "doppia" estrapolazione (del brano dall'intervista e della formula "inutile doppione" dal brano estrapolato), basti pensare che gli studenti che hanno studiato sul suo testo, in epoca certamente successiva al 1973, in esso trovarono una rigorosa confutazione sia del monocameralismo sia del bicameralismoimproprio.
Mortati sostanzialmente predilige, e cita, la natura del Senato come Chambre de réflexion, proprio per "facilitare", attaverso di essa, "la soluzione dei conflitti insorgenti tra una delle camere e il governo" (pag.469). 

10. Mortati, infatti, dedica due interi paragrafi alla critica del monocameralismo e del bicameralismo "improprio" (i nn.53 e 54, pagg.469-471).
Nel secondo di essi, anzi, al di fuori del contesto di realizzazione del "regionalismo", egli afferma, a confutazione del bicameralismo asimmetrico, proprio un concetto opposto a quello de "l'inutile doppione" (concetto chiaramente rapportato, nell'intervista, alla rappresentanza delle "autonomie" in coordinamento, però, con le esigenze unitarie): 
"D'altro canto non è esatto sostenere che il riesame da parte di una seconda camera politicamente intonata nello stesso senso della prima risulti inutile, poiché invece esso può riuscire proficuo sia ad un ripensamento della opportunità politica della proposta di legge, sia ad un suo perfezionamento tecnico".
E (sempre pag.470), suggerendo quella che sarebbe stata, effettivamente, secondo lui, una linea di riforma  effettivamente funzionale, senza ricorrere a strumenti di degradazione del  Senato come quelli dell'attuale riforma che egli certamente confuta e respinge, aggiunge un passaggio fondamentale anche ai fini di un'eventuale revisione costituzionale
"L'omogeneità politica delle due camere potrebbe, se mai, indurre a ricercare semplificazioni nello svolgimento di quella parte dell'attività parlamentare relativa alla determinazione dell'indirizzo politico generale: che potrebbero essere raggiunte affidando per esempio alle due camere in seduta comune il conferimento o il ritiro della fiducia al governo, nonché l'approvazione delle leggi di bilancio".
11. Tra l'altro, a difesa della pari dignità del Senato proprio sul piano della potestà legislativa in materia finanziaria, esclusa dalla presente riforma, alle pagg.471-472, aggiunge: 
"Nella nuova Costituzione non v'è più traccia della disposizione che si leggeva nell'art.10 dello Statuto albertino, secondo cui era sottratto al senato, perché non di nomina elettiva, ogni diritto di iniziativa, e in conseguenza, di emendamento nella materia finanziaria: ciò perché data la comune origine diretta dal popolo, viene a mancare ogni fondamento razionale  per mantenere una situazione di inferiorità a danno di una camera, che trovava la sua giustificazione nell'antico principio dell'autoimposizione...(cioè, nell'accettazione della tassazione da parte dei monarchi in assemblee distinte tra nobili feudatari e cittadini comuni; cfr; par.50 delle Istituzioni di Mortati).
E ponderazione della "opportunità politica" e del "perfezionamento tecnico" delle leggi - e tutti si rendono conto quanto queste siano delle vere priorità, avvertite da tutti i cittadini e dagli operatori economici e amministrativi- sono le cose che Mortati ha continuato a "insegnare", per via del suo testo fondamentale, ben dopo l'intervista del 1973.
E piuttosto, perché volendo semplificare e razionalizzare il processo decisionale bicamerale, non s'è presa in considerazione, neppure per un momento, la sua ben più lineare proposta sopra indicata, per decenni affidata al testo più importante - e oggi stranamente ignorato- di insegnamento del diritto costituzionale italiano?

REFERENDUM, SPREAD, CRISI BANCARIA, OMT, MEMORANDUM E...LA GRANDE TRANVATA

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http://celebrifrasi.it/wp-content/uploads/2015/07/frase-celebre-di-frase-27169.jpg

1. Ooops! Fanno una scoperta...

ALLARMISTI PER IL SÌ - Ft: "Se vince il No, Italia fuori da euro". Confindustria: "Si fermano investimenti". Ma per Nyt il problema è un altro

 
 RENZI

Naturalmente non spiegano bene perché il referendum si colleghi all'uscita dall'euro dell'Italia
Anzi, dicono che per il New York Times "il problema sarebbe un'altro" (come vedremo): non il referendum in sé, ma le sofferenze creditizie in Italia, cioè, l'Unione bancaria che, (ma si ostinano a non voler unire i puntini), coincide con l'euro
E ciò in quanto l'Unione bancaria è il meccanismo assicurativo dei Paesi creditori all'interno di un sistema in cui le insolvenze diffuse sono la conseguenza degli strumenti di correzione degli squilibri commerciali determinati dalle svalutazioni competitive tedesche, poste in essere in violazione dei trattati, ma tollerate dalle istituzioni €uropee...
E tollerate, anzi avallate, in quanto soggette all'indirizzo politico imposto dal paese che ha vinto la guerra commerciale che l'euro era programmato ad innescare: secondo la previsione della "economia sociale di mercato fortemente competitiva". 
Questo bel concetto-chiave, come evidenziava Guarino nel 1993, è in sè il preannuncio (pretesamente) costituzionalizzato (art.3, par.3, del Trattato) di un liberoscambismo, interno all'€uropa, inscindibilmente funzionale ad un sistema di guerra commerciale permanente, che premia il paese più spregiudicatamente dedito al mercantilismo imperialista: che vuol dire, teso a sottomettere, economicamente e politicamente i paesi vicini appropriandosi della loro domanda in grave violazione della "causa" (formalmente) coooperativa dei trattati (v. qui, pp. 3 e 4).

2. Dunque l'euro è lo strumento politico di ridisegno sociale che porta dritti a quelle stesse sofferenze.
Ma...
Cosa c'entra il referendum con tutto questo?
Poco o nulla. 
Immaginiamo che non si fosse percorsa, da parte dell'attuale governo italiano, la priorità della riforma costituzionale e la si fosse lasciata a tempi economicamente più propizi (è una mera ipotesi astratta: non esisteranno mai tempi propizi dentro l'unione monetaria)...

2.1. Ebbene, la presente situazione di redde rationem bancario, che può diventare l'epicentro di una crisi finanziaria mondiale, si sarebbe egualmente manifestata in ogni suo elemento: anzi, probabilmente anche prima, perché, in assenza di una scadenza referendaria in cui il governo "deve" sostenere col consenso la propria proposta,  si sarebbe giunti più rapidamente a chiarire che, per MPS, così come per le altre situazioni di bilancio di altri istituti bancari italiani, la situazione non è risolvibile dal "mercato" e che si arriverà al sacrificio degli obbligazionisti, (gli azionisti hanno visto e vedranno praticamente azzerati i loro valori), e, successivamente, dei depositanti. 
Con, inoltre, il passaggio del controllo del sistema bancario nazionale in mano a "investitori esteri", a prezzi stracciati, accompagnato dall'espropriazione accelerata del patrimonio immobiliare delle famiglie e degli assets aziendali delle imprese strozzate dal credit crunch e dall'austerità fiscal€.

3. La stessa Banca d'Italia, in uno studio del 2016, verificando i valori delle garanzie sottostanti alle "sofferenze", nel paragrafo sulle "principali determinanti delle differenze tra valore di bilancio e prezzo di mercato delle sofferenze", enuncia subito la tragica prospettiva che si sta abbattendo su sistema bancario e risparmio delle famiglie italiane: 
"E' noto che il valore di bilancio (net book value, NBV) delle sofferenze è significativamente superiore a quello che gli investitori attivi in questo mercato (tipicamente fondi di tipo speculativo – hedge funds – internazionali) sono disposti a pagare.".
E mi fermo qui.
Perché questo è il problema attualissimo di MPS, laddove, dalla determinazione dell'esatto prezzo di (s)vendita degli NPLs, dipende la determinazione dell'esatto ammontare dell'aumento di capitale che, però, nessuno pare deciso a sottoscrivere
Anche perché il sistema generatore di sofferenze, cioè l'austerità fiscale e la moneta unica, è ancora in vigore e addirittura in accelerazione applicativa.
Tant'è che oggi, su "Il giornale" si fanno quattro calcoli sulle esigenze sistemiche di ricapitalizzazione bancaria...pubblica.

3. "Mani straniere" interverranno solo quando si potranno impadronire di tutto, banche, complessi aziendali e patrimonio immobiliare, a prezzi ancora più stracciati. 
Basta attendere e, intanto, farsi pagare lautamente gli incarichi di advisor su soluzioni che non risolvono nulla (finché non si giunge a questo punto finale di svendita). 


Laddove, come abbiamo altrettanto visto, lo Stato italiano non potrebbe intervenire, anche fingendo che si potesse incrementare l'indebitamento annuale violando il fiscal compact (come fanno tutti gli altri paesi UEM, d'altra parte: ma per loro senza alcuna conseguenza); e questo, data la disciplina specifica degli "aiuti di Stato", in cui è incorsa l'Italia, a seguito dell'incauta e incondizionata (molti dicono, impropriamente, retroattiva) adesione all'Unione bancaria. Tanto più che, anche su questo, la Corte €uropea e la Vestager si sono già pronunciate e non c'è da farsi alcuna illusione. 

4. Interessante, in tutto questo agitarsi della stampa portavoce dei "mercati", la posizione di Munchau: il referendum, in caso di esito negativo sull'approvazione della riforma,infatti: 
"potrebbe accelerare il cammino verso l'uscita dall'euro. Se Matteo Renzi dovesse risultare sconfitto, come annunciato si dimetterebbe, portando al caos politico. Gli investitori potrebbero pensare che sarebbe finita. Il 5 dicembre, l'Europa potrebbe svegliarsi con un immediata minaccia di distintegrarsi".
Più asciuttamente, anche Goldman&Sachs la pensa come Munchau:  
"Da No rischi per banche più deboli". Il referendum italiano costituisce "un rischio materiale per le previsioni di crescita" del nostro paese".
4.1. Senza giri di parole ipocrite, invece, il New York Times, va al sodo e prescinde dal referendum, come la logica delle imponenti ragioni sopra esposte impone, e focalizza sui soli effetti destabilizzanti dell'Unione bancaria, implicitamente consapevole che, semmai, il  referendum ne ha solo ritardato l'emersione: parla infatti di 'Slow-motion banking crisis' evidenziando che 
"un quinto di tutti i prestiti nel sistema bancario italiano sono classificati come problematici, per un totale di 360 miliardi di euro alla fine dello scorso anno secondo l'Fmi. Un valore che rappresenta il 40% di tutte le sofferenze dei paesi dell'area euro. Goodman cita poi i recenti problemi attraversati da Deutsche Bank ma dice anche che se l'istituto tedesco è stata la crisi del momento, l'Italia è la minaccia perpetua che potrebbe, in oggi momento, presentarsi al mondo con una brutta sorpresa".
5. Ma l'artificio di Munchau, nell'alterare i nessi causali della imminente crisi finanziario-bancaria che incombe sull'Italia, non pare tanto un endorsement per il "sì", che fatto da un tedesco potrebbe anzi risultare indigesto all'elettorato italiano, quanto un "gancio" lanciato alle infinite capacità di salvezza dell'eurozona escogitate da Draghi.
Ed infatti, resta fermo che, per i tedeschi, l'obiettivo più vantaggioso derivabile dall'Unione bancaria è quello di poter imporre, - come corrispettivo alla istituzione di una garanzia comun€ dei depositi...(per il 2024, cioè a sistema bancario italiano passato di mano!)-, il rating dei titoli pubblici e il conseguente obbligo delle banche italiane detentrici di liberarsi massicciamente di quelli detenuti, che sarebbero costrette a svalutare in bilancio, aprendo così la via a rendimenti molto più alti.
Quindi si avrebbe quel radicale reinnalzamento degli spread, - che i mercati sembrano già "scontare"-, in modo da divenire, i tedeschi stessi, i sottoscrittori e acquirenti di tali titoli, potendo così, grazie al flusso di interessi così realizzabile, provvedere al loro disastrato sistema previdenziale, pubblico e privato
Ora, in questa ottica, l'allusione al referendum pare costituire un mezzo di pressione, via FT, affinchè Draghi attui finalmente l'OMT e "aiuti" gli italiani nel limitare il danno da spread con acquisti mirati.

5.1. Solo che, piccolo particolare, l'OMT, cioè il famoso "whatever it takes", si può realizzare oggi solo alle condizioni precisate nella sentenza della Corte di giustizia €uropea che, nella sostanza, ha dato ragione alla Germania, specificando che:
"Le caratteristiche specifiche del programma OMT non consentono di affermare che esso sia equiparabile a una misura di politica economica. 

Per quanto riguarda il fatto che l’attuazione del programma OMT è subordinata al rispetto integrale, da parte degli Stati membri interessati, di programmi di aggiustamento macroeconomico del Fondo europeo di stabilità finanziaria (FESF) o del Meccanismo europeo di stabilità (MES), non si può certo escludere che tale caratteristica abbia incidenze indirette sulla realizzazione di taluni obiettivi di politica economica. Tuttavia, simili incidenze indirette non possono implicare che il programma OMT debba essere considerato come una misura di politica economica, poiché risulta dai Trattati dell’Unione che, fatto salvo l’obiettivo della stabilità dei prezzi, il SEBC contribuisce alle politiche economiche generali nell’Unione".
5.2. Dunque, i "programmi di aggiustamento macroeconomico" assomigliano in tutto e per tutto ai memorandum imposti alla Grecia: sarebbe un'occasione, sanzionata dal previsto accordo necessario tra BCE e Commissione, per imporre da subito - oltre che un'ondata di privatizzazioni firesalesdel residuo settore industriale pubblico, pensate a quello della difesa, così alla ribalta in questi giorni post-elezione di Trump - il rating e gli obblighi di cessione del debito pubblico italiano.
Poi, in questo "memorandum" di imposizioni teratologiche e "creative", potrà pure essere previsto un salvataggio bancario pubblico, ma in vista della successiva cessione, sul "mercato degli investitori" esteri (naturalmente), delle partecipazioni statali acquisite sottoscrivendo gli aumenti di capitale, e, soprattutto, finanziato con una bella patrimoniale straordinaria sul patrimonio mobiliare e immobiliare degli italiani.

Tutti vecchi pallini tedeschi. Via BCE e trattamento "Grecia"...

L'€UROPA E LA LIBERTA' DI VOTO MINACCIATA IN ITALIA: E' INVECE GIUNTO IL TEMPO DI "RICOSTRUIRE"

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https://www.delcampe.net/it/collezionismo/cartoline/militari-non-classificati/per-la-ricostruzione-d-italia-risorgere-ricostruire-ascendere-buon-senso-e-tricolore-b522-93698776.html

1. Il tema muove, come risulta scientificamente corretto, da una prospettiva storica che consenta una "interpretazione autentica" del fenomeno della costruzione europea da parte di chi è stato protagonista dell'Assemblea Costituente. 
Come sappiamo, il Quarto Partito(qui, p.2) aveva da subito sabotato l'attuazione della Costituzione per vanificarla con una "costituzione economica" alternativa a quella che stava prendendo vita in Costituente, concordata tra confindustria e banca d'Italia, come ci riferisce Carli, parlando esplicitamente di "difesa dello Stato minimo borghese" (qui pp.6-8), così confermando il noto discorso di De Gasperi.
L'interpretazione autentica possiamo attribuirla, in primo luogo e a buon diritto, a Lelio Basso, che indica con chiarezza i legami tra irrompente federalismo europeo e difesa dello Stato minimo borghese, respinto dalla Costituzione e, come tale, con essa geneticamente incompatibile.
"l’internazionalismo del proletariato si fonda sull'unità e sulla solidarietà di popoli in cui tutti i cittadini, attraverso l'abolizione dello sfruttamento di una società classista, conquistano LA PROPRIA COSCIENZA NAZIONALE… il nostro internazionalismo non ha nulla di comune CON QUESTO COSMOPOLITISMO DI CUI SI SENTE TANTO PARLARE E CON IL QUALE SI GIUSTIFICANO E SI INVOCANO QUESTE UNIONI EUROPEE E QUESTE CONTINUE RINUNZIE ALLA SOVRANITÀ NAZIONALE
L’internazionalismo proletario NON RINNEGA IL SENTIMENTO NAZIONALE, NON RINNEGA LA STORIA, ma vuol creare le condizioni che permettano alle nazioni diverse di vivere pacificamente insieme. 
Il cosmopolitismo di oggi che le borghesie nostrane e dell'Europa affettano è tutt'altra cosa: è rinnegamento dei valori nazionali per fare meglio accettare la dominazione straniera… Noi sappiamo che in questa lotta il proletariato combatte insieme per due finalità e che in questa lotta esso ACQUISTA CONTEMPORANEAMENTE LA COSCIENZA DI CLASSE E LA COSCIENZA NAZIONALE, ponendo le basi per un vero internazionalismo, per una federazione di popoli liberi che non potrà essere che socialista! (Vivissimi applausi e congratulazioni)” [L. BASSO, discorso del 13 luglio 1949, in Il dibattito sul Consiglio d’Europa alla Camera dei deputati, ora in Mondo operaio, 10 settembre 1949, 3-4-]."
2. Neppure, in epoca più tarda, Lelio Basso rivide questa opinione, semmai esprimendola in termini più "idealistici": cioè tali da essere compresi anche da coloro che, nel frattempo, si volevano collocare all'interno del processo di costruzione europea e della incessante propaganda neo-liberista, accuratamente camuffata, che ne è lo strumento inscindibile. Si tratta, cioè, di quel "conformismo europeista", e censorio di ogni dissenso, che Luigi Spaventa aveva evidenziato nel dibattito alla Camera sull'adesione allo SME). 
Le parole di Basso rimangono comunque una presa di distanza (v.p.7) dal "cosmopolitismo delle borghesie nostrane e dell'Europa" che rinnegano i valori nazionali per fare meglio accettare la dominazione straniera: 
penso che la battaglia per la democrazia nei singoli paesi debba essere prioritaria rispetto ai fini federalisti…ci sono cose che vanno, secondo me, profondamente meditate. A me, se così posso dire, la sovranità nazionale non interessa; però c’è una cosa che mi interessa: è la sovranità democratica..."
3. A queste parole, vorremmo oggi aggiungere, come significativo complemento, illustrativo della omogeneità del pensiero democratico della Costituente, quelle di un altro suo importante protagonista: Giuseppe Di Vittorio, il più importante e autorevole sindacalista italiano del secondo dopoguerra, anch'egli eletto (eletto...) nell'Assemblea Costituente.
Di Vittorio compie una ricognizione dell'interesse nazionale, rispetto al liberoscambismo internazionalista propugnato da subito dal federalismo europeo, che fa leva su un elementare, quanto dimenticato, effetto distruttivo del comune sforzo di tutti i ceti produttivi. Questa perorazione, fatta nel 1952, in occasione dell'adesione italiana alla CECA, è tanto attuale da rivelarsi, oggi, ancor più profetica:
"Non è leale, ha continuato l'oratore, sostenere che solo i comunisti sono contrari al Piano Schuman. In Germania esso è sostenuto solo dai grandi capitalisti direttamente interessati ed è contrastato anche dai socialdemocratici, i quali giustamente lo considerano un ostacolo alla riunificazione del Paese. In Francia gli stessi industriali del complesso del Creusot sono contrari al pool perché minacciati direttamente. In Belgio il pool è avversato da esponenti di tutti i partiti. In Italia si sono dichiarati contro il pool la stragrande maggioranza dei lavoratori e perfino la Confindustria. Il senatore Jannaccone, e cioè un autorevole economista liberale, ha detto che il Piano è sorto da un'idea americana ed è caratterizzato dalle sottigliezze giuridiche francesi e dalla nebulosità tedesca. Il certo è dunque che non ha nulla di italiano! Né vale, ha continuato Di Vittorio, accusarci di "collusione" con gli industriali, giacché è noto che la classe operaia lotta contro gli industriali per la divisione del reddito delle industrie e non per la distruzione delle industrie.
In Italia il Piano Schuman è sostenuto soltanto dal ceto polico dirigente."
(Di Vittorio chiede di sospendere la ratifica del "Piano Schuman", L'Unità, 17 giugno 1952).  
4. La "distruzione delle industrie", come sappiamo in base ad imponenti e incontestabili dati economici,è l'effetto della stabilità monetaria e dei prezzi in un'area liberoscambista che si appropria subdolamente della sovranità, con una gradualità funzionale a disattivare le resistenze dei popoli danneggiati, secondo le concordi affermazioni di Monnet e Amato (qui. p.2). Qui, mi pare appropriato aggiungere, alle molte citazioni già fatte, un'ulteriore supporto, (sempre segnalato da Arturo), fornitoci da Federico Caffè e che bene illustra il legame tra depauperamento industriale e riassetto sociale, in forma di "Stato minimo", che l'€uropa ha sempre voluto in danno dell'interesse democratico nazionale:
"Per immotivata che sia, a mio giudizio, l’insorgenza critica nei confronti della tutela pubblica del benessere sociale, ritengo che l ’effetto di gettare via un bimbo vitale insieme con l’acqua sporca del bagno in cui era immerso si sia già verificato.
...Non erano in gioco (per lo meno allo stato dell’attuale strumentalizzazione) problemi di «clientelismo» o di ingenti disavanzi previdenziali, allorché Luigi Einaudi considerava la «pensione di vecchiaia» come «un povero surrogato di quel più alto tipo di società nella quale essa è inutile perché il vecchio possiede nella casa propria, nel podere ereditato e costrutto pezzo a pezzo, nel patrimonio formato con il risparmio volontario, nell’affetto di una famiglia saldamente costituita il presidio sicuro contro l’impotenza della vecchiaia»."
5. Come stia andando a finire, proprio sul piano dell'alta disoccupazione strutturale e della distruzione della copertura pensionistica (e sanitaria), a seguito dell'austerità fiscale funzionale al mantenimento della moneta unica, lo sappiamo bene.
Quanto valesse l'idea di Einaudi che l'intervento dello Stato, nell'attività economica, come nella connessa erogazione del welfare, fosse un elemento di ostacolo alla crescita ed alla prosperità nazionale (!), e che, pertanto, occorresse disattivarlo mediante il federalismo interstatale europeista, come concepito dal suo amico Hayek, ce lo fa capire l'economista De Cecco (qui, p.5), parlando delle "privatizzazioni". Ci è stato detto, per decenni, che, grazie ad esse, permettendoci di avere i "conti in ordine" secondo i parametri €uropei, avremmo raggiunto l'agognata competitività e la crescita (che stiamo tutt'ora aspettando):
"Per­ché le pri­va­tiz­za­zioni degli anni Novanta sono state un fallimento?
Sono state le più grandi dopo quelle inglesi e hanno cam­biato la fac­cia dell’industria ita­liana senza fare un graf­fio al defi­cit pub­blico. Se si voleva distrug­gere l’industria ita­liana ci sono riu­sciti. Ma non credo che Prodi volesse distrug­gere quello che aveva con­tri­buito a creare. Que­sto risul­tato non è stato voluto, ma è sicuro che sia stato asso­lu­ta­mente dele­te­rio. 
Gli studi della Banca d’Italia dimo­strano che al tempo l’industria di Stato faceva ricerca per tutto il sistema eco­no­mico ita­liano. Dopo le pri­va­tiz­za­zioni, chi ha preso il posto dell’Iri, ad esem­pio, non l’ha voluta fare
Siamo rima­sti senza un altro pila­stro impor­tante della poli­tica indu­striale, men­tre si con­ti­nuano a fare solenni discorsi sull’istruzione, sulla ricerca o la cul­tura. In que­sti anni è stato distrutto tutto. Su que­sto non ci piove.
Le prime pri­va­tiz­za­zioni sono state fatte per impo­si­zione della City di Lon­dra. Siamo stati ricat­tati. Credo che era molto dif­fi­cile per le auto­rità poli­ti­che riu­scire a sot­trarsi, dati i pre­cari assetti poli­tici che anche allora ci affligevano
".
5.1. E venendo perciò all'attualità, cioè alla riforma costituzionale oggettivamente e esplicitamente voluta dall'€uropa e sorretta dalle oscure minacce dei mercati e dei grandi gruppi finanziari sovranazionali, è giunto invece, ormai, il tempo di ricostruire seguendo l'interesse democratico nazionale
Senza ulteriori manomissioni della Costituzione.
La Venice Commission, invece, le predica e riesce a imporcele, e le fa figurare come un adeguamento alle esigenze prioritarie dei mercati, di fronte ai quali nessun diritto, di nessun rango costituzionale, deve poter resistere. 
Ma non si tratta di un adeguamento della Costituzione "formale" alla realtà costituzionale "materiale". 
 
5.2. Si tratta piuttosto di un'ulteriore forzatura della legalità inviolabile della nostra democrazia sostanziale, come ci mostra con lucidità inesorabile, Paolo Maddalena, Presidente emerito della Corte costituzionale.
"Si tratta di scegliere, non tra una formulazione o un’altra delle norme costituzionali, ma tra due diverse idee di democrazia, tra due sistemi economici e politici diversi e più propriamente tra il sistema “keynesiano” (presupposto dalla vigente Costituzione), che ci ha assicurato trenta anni di benessere nel secondo dopoguerra, e il sistema “neoliberista”, che dagli inizi degli anni ottanta si sta subdolamente infiltrando nella nostra legislazione democratica, fino al punto di chiedere oggi una sostanziale modifica della Costituzione.
Sistema keynesiano e sistema neoliberista.
Si tenga presente che il neoliberismo agisce sottilmente con attendismo e senza proclamazioni di principi. Esso tenta, in buona sostanza a sostituire, al principio costituzionale della difesa della dignità della “persona umana”, il principio del “massimo profitto” degli speculatori finanziari, ritenendo, erroneamente, che “l’accentramento” della ricchezza e quindi l’annientamento della circolazione monetaria sia un bene da perseguire. In sostanza esso vuole l’arricchimento di pochi e l’immiserimento di tutti gli altri.
...
L’adeguamento della Costituzione alla volontà della finanza.
Qui non si tratta di adeguare la Costituzione formale (la nostra Costituzione repubblicana) ad una Costituzione “materiale” che si sarebbe già affermata. Qui si tratta di piegare la Costituzione vigente alla volontà prepotente della finanza che agisce nell’oscurità e ottiene l’asservimento proditorio della politica e vuole imporre dal di fuori una nuova Costituzione. 
La Costituzione materiale infatti presuppone che la generalità dei cittadini abbia espresso con i suoi comportamenti una nuova “opinio iuris ac necessitatis”, un nuovo modo di regolamentare le cose e i rapporti tra i cittadini. Ma quale cittadino ha mai condiviso questo sistema che ha portato a una disoccupazione insopportabile, alla regalia delle grandi reti di distribuzione, alla privatizzazione delle banche pubbliche e delle industrie pubbliche, alla chiusura delle industrie private e dei numerosi capannoni disseminati in tutta Italia, alla svendita delle isole, delle montagne, dei migliori tratti di costa, dei monumenti artistici e storici di valore inestimabile, alla svendita dell’intero territorio, demani compresi, e quindi alla recessione, e a una miseria senza nessuna possibilità di ripresa? 
Si badi bene che questo nuovo sistema economico e sociale, nel quale è già caduta irrimediabilmente la Grecia (della quale nessuno più parla) è stato subdolamente attuato con leggi del nostro Stato approvate da politici asserviti alla finanza, facendo credere che si trattasse di norme di settore, ma che invece erano attuazione di un ben preciso e studiato sistema che ci ha portati tutti alla rovina".

POPULISMO E POTER€ (anti)COSTITU€NTE €XTRA ORDINEM

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Persino il cultore della shock economy...

http://scenarieconomici.it/wp-content/uploads/2013/06/milton-friedman.bmp

Rammento ancora l'appuntamento di oggi a Roma, via Casal Bruciato 11, "La Cacciarella", dalle ore 16.00, per la presentazione del libro "La Costituzione nella palude". Difficilmente potrete godere di un contesto informativo e divulgativo più liberamente volto ad approfondire...

1. Come tutti ormai dovrebbero sapere - e se non lo sanno è perché non vogliono esercitare la propria libertà di informarsi- la riforma trova, esplicitamente, la sua principale giustificazione ne"l’esigenza di adeguare l’ordinamento interno alla recente evoluzione della governance economica europea e alle relative stringenti regole di bilancio (quali le nuove regole del debito e della spesa). Quindi essa deve rispondere a "le sfide derivanti dall’internazionalizzazione delle economiee dal mutato contesto della competizione globale", senza neppure porsi il problema se i trattati di diritto internazionale, da cui deriva questa "internazionalizzazione delle economie", siano compatibili coi principi non rivedibili della nostra Costituzione e qui se possano lecitamente prevalere su di essa al punto da imporne la modificazione radicale.

2. Più ancora, trattandosi dell'aspirazione a esercitare il potere costituente - e non il semplice, e limitato, potere costituito di revisione costituzionale-, non ci si chiede se il popolo sia informato del peso, ormai pluridecennale, di questi vincoli istituiti per trattato economico, e risoltisi finora in crescenti e devastanti condizionalità, che hanno depauperato il diritto al lavoro su cui si fonda la nostra Costituzione.
Se poi il popolo italiano, non certo in ragione di una minima informazione fornitagli sui veri obiettivi della riforma (appunto diretta a consentire il più "efficiente" rispetto di regole economiche sul debito e sulla spesa pubblica estranee e contrarie alla Costituzione), si pone delle domande e "resiste"- secondo quel"diritto di garanzia costituzionale"riconosciuto dallo stesso Mortati-, si grida al "populismo".

3. Su questa accusa rivolta al popolo, (cui "appartiene la sovranità", cioè quantomeno il potere di decidere in quale Costituzione debba potersi riconoscere), Federico Caffè, un protagonista della fase Costituente, aveva ben espresso (nel 1978, in occasione dell'adesione italiana allo SME) un giudizio che oggi più che mai dovremmo rammentare:
"Ma che il fastidio del tutto esplicito per le soluzioni non elitarie e l’artificiosa attribuzione della qualifica di “populismo a ogni aspirazione di avanzamento sociale avvengano con la tacita acquiescenza delle forze politicamente progressiste è ciò che rende particolarmente amaro il periodo che viviamo"...

"La soddisfazione manifestata per l’adesione governativa allo Sme potrà essere una benemerenza padronale. Ma, se è consentito utilizzare la trasmissione orale per lasciar traccia in futuro di una frase memorabile detta in tale occasione in sede molto qualificata, può anche obiettarsi – come qualcuno ha affermato – che siamo entrati nello Sme con la stessa incoscienza con la quale a suo tempo dichiarammo guerra agli Stati Uniti d’America. E sarebbe bene, a questo riguardo, non confondere le temporanee illusioni con la dura realtà che questo vincolo comporta".
Dunque "populismo"è un termine che esprime "il fastidio per le soluzioni non elitarie".
E quali soluzioni sono più elitarie e impenetrabili alla comprensione del cittadino comune delle clausole dei trattati liberoscambisti che instaurano in €uropa e nel mondo, il capitalismo sfrenato delle multinazionali, della finanziarizzazione del potere istituzionalizzato e della competizione a scapito dell'occupazione e del welfare?

4. Ben diverso, come ci rammenta Bazaar, fu il livello di coinvolgimento e di instancabile informazione del popolo in occasione del processo Costituente del 1948
«Oltre all'attività delle Commissioni, occorre ricordare anche che, soprattutto grazie all'infaticabile opera di Massimo Severo Giannini, giovane capo di Gabinetto, fu svolta un'ampia opera di informazione e di divulgazione, rivolta alla generalità della popolazione e finalizzata alla costruzione di un'opinione pubblica sensibile alle problematiche riguardanti la fondazione del nuovo ordinamento democratico:
[...] nel breve volgere di un anno il Ministero per la Costituente adempì a tutti i compiti ad esso commessi.  
Fu questo un risultato politico e tecnico di primaria importanza che fu reso possibile dal clima di grande tensione ideale che il Paese viveva in quei mesi. Nella interminabile notte della dittatura, infatti, non si era interrotto il grande discorso politico iniziato dal Risorgimento su "quale dei Governi meglio si addica alla felicità dell'Italia"e proseguito per cent'anni nelle prigioni e nell'esilio, nelle trincee, nelle aule di studio e nelle fabbriche. Basta rileggere la stampa clandestina e dell'esilio per constatare quanto grandi e vitali fossero l'impegno della classe politica antifascista nel prefigurare il nuovo tipo di Stato democratico e le idee costituzionali della Resistenza.».
Il ministero per la Costituente, Divulgare La Democrazia

5. Invece, in una riforma portata a compimento in esplicito nome dell'€uropa e della sua "governance", economico-fiscale, "globalista"free-trade, ogni comprensibile informazione popolare, e adeguata divulgazione, sono sempre mancate: dall'adesione allo SME, come sottolineava Caffè, al trattato di Maastricht, fino al fiscal compact
E quando si cerca di  rispondere agli interrogativi sorti dagli effetti distruttivi, del benessere e della democrazia, derivanti da tutto questo, si parla di populismo!

5.1. Eppure, richiamandoci a quanto evidenziato da Arturoin occasione dell'approvazione di Maastricht, di cui l'attuale riforma è l'obbligato e scontato punto di arrivo, i più eminenti costituzionalisti si erano posti, naturalmente invano, seri dubbi
In particolare, (ancora) si poteva dire, senza essere accusati di populismo in automatico, che "la legittimazione del nuovo ordine costituzionale europeo non potrà mai venire dalla Costituzione del 1948":
"In passato Luciani era stato ancora più chiaro (La Costituzione italiana e gli ostacoli all'integrazione europea, Politica del diritto, a. XXIII, n. 4, dicembre 1992, pag. 589):  
"Quella che l’integrazione europea sia un problema essenzial­mente politico, di volontà degli Stati di proseguire sul cammino intrapreso e di consenso dei popoli al superamento dei partico­larismi nazionali, è un’idea molto diffusa. Ciò non toglie che sia un’idea sbagliata, che ha portato a trascurare o sottovalutare le molte altre difficoltà, prime fra tutte quelle derivanti dalla necessità dell’osservanza delle regole imposte dai rispettivi ordinamenti costituzionali a ciascuno degli Stati protagonisti del processo di integrazione. 
In particolare in Italia, si è ritenuto che la giustifi­cazione originaria del Trattato di Roma (la sua «copertura costi­tuzionale» da parte dell’art. 11 Cost.), magari perché sostenuta dall’ampio successo del referendum cosiddetto di indirizzo del 1989, risolvesse alla radice tutti i problemi. 
Non è così. 
La rigorosa giurisprudenza costituzionale, la cui cautela deve essere apprezzata da chiunque sa ricordare i limiti (di democraticità) e le incertezze (strutturali e funzionali) dell’ordinamento comunitario, impone una seria riflessione sui confini costituzionali delle scelte europeiste. 
Impone, soprattutto, una consapevolezza. 
Che è logicamente im­possibile trasformare completamente la Costituzione vigente, facen­do dell’Italia non più uno Stato nazionale, ma un membro di una vera e propria federazione europea, pretendendo allo stesso tempo di trovare proprio nella Costituzione la legittimazione di questo progetto. 
Quando il processo di integrazione verrà spinto ai suoi confini estremi bisognerà capire che - quali che saranno le forme in cui esso verrà condotto in Italia (leggi ordinarie, revisioni costituzionali, pronunciamenti popolari) - la legittimazione del nuovo ordine costituzionale europeo non potrà mai venire dalla Costituzione del 1948, ma dal mero fatto della sua autoafferma­zione
Dal punto di vista della nostra Costituzione d’oggi, l’instau­razione di quel nuovo ordine resterà - se mai avverrà - un fatto extra ordinem, epperciò illegittimo".

COSTITUZIONALIZZARE HAYEK A PROPRIA INSAPUTA...(?)

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http://www.sinistrainrete.info/images/stories/stories4/Schermata-1.jpg

1. Dunque, Carlo Clericetti, sul suo blog all'nterno di Repubblica.it, cerca di spiegare, citando un post di orizzonte48,  "che non solo l'adesione all'Unione viene costituzionalizzata, ma la formulazione è tale che le norme europee diventano sovraordinate rispetto a quelle della nostra Costituzione, e dunque - nei casi in cui vi fosse un conflitto - debbono essere quelle a prevalere. I difensori della riforma sostengono che non cambia nulla rispetto ad ora, ma non è così: finora non c'è stato niente del genere nella nostra Carta".

Apriti cielo! Torme di europeisti entusiasti e convintissimi, si inalberano ergendosi a sommi intepreti del diritto (di ogni tipo: internazionale, dei trattati e costituzionale), facendo leva sull'argomento che il blog "disinformi" e condendo il tutto con insulti e insinuazioni personali. Uno spettacolo (di apertura mentale e di capacità di scendere nel "merito" che sarebbe il cavallo di battagli vincente dei sostenitori della riforma)!
Tralasciando i commentatori (peraltro bloccati su twitter e doppiamente inviperiti), che la sanno lunga e che gioiscono dello shadow-ban/censura del link al blog su twitter - che twitter non ritiene di spiegare pur a fronte dell'esperimento di varie procedure di segnalazione dell'inconveniente inutilmente esperite- vi riproduco qui, con alcune integrazioni, la mia replica, tecnico-interpretativa, pubblicata gentilmente da Clericetti. 
Non sarà letta con alcuna attenzione dagli europeisti inviperiti

2. Ma non importa: può anche servire a chi è dotato di volontà di capire e informarsi, cioè ai sempre più numerosi lettori di questo blog, come quadro riassuntivo di una parte consistente delle fonti qui analizzate e delle analisi rilevanti sul tema della "€uro-riforma":

"I. Per prima cosa va notato che, per partito preso, e senza aver dunque letto né quanto scrivo, né tantomeno la "riforma", taluni si basano sull'art.117 per sostenere che non sia "cambiato nulla". RIguardo al 117 sono il primo a evidenziarlo.http://orizzonte48.blogspot.it/2016/10/la-costituzionalizzazione-del-vincolo.html
 
II. Rimane il fatto che la lettura completa e non estrapolata del mio post consente di comprendere il "quid novi" degli artt.55 e 70: se fosse bastato l'art.117, vecchio e nuovo, non avrebbero avuto bisogno di una riformulazione di altre e ben più importanti norme fondamentali relative all'intero potere legislativo (in Costituzione!).
Il che consiste in un'anomalia che salta agli occhi dal confronto tra gli articoli 55 e 70, nella formulazione risalente al 1948, e la nuova. Riproduco i passaggi c) e d) (ivi mancante) del sintetico ragionamento svolto nel post:
"...c) vi accorgerete, dunque, che l'effetto aggiuntivo più eclatante, rispetto alle previsioni della Costituzione del 1948 è che "la partecipazione dell'Italia alla formazione e all'attuazione della normativa e delle politiche dell'Unione europea"è divenuta un contenuto super-tipizzato e dunque, potere-dovere immancabile, della più importante funzione sovrana dello Stato (quella legislativa): ergo, la sovranità italiana è, per esplicito precetto costituzionale, vincolata, per sempre, ad autolimitarsi attraverso l'adesione alla stessa UE che, per logica implicazione, diviene un obbligo costituzionalizzato.
d) Non potrebbe dunque non essere, lo Stato italiano, parte dell'Unione, così com'è (dato che la previsione costituzionale non parla di alcuna iniziativa tesa alla revisione e al dinamico aggiornamento dei trattati stessi), altrimenti il Parlamento, cioè il teorico massimo organo di indirizzo politico-democratico, non sarebbe in grado di adempiere al suo dovere costituzionalizzato".

III. Che si costituzionalizzi un contenuto tipico dell'attività legislativa e si definisca la mission costituzionale del massimo organo rappresentativo dell'indirizzo politico è un'anomalia che si contrappone alla soluzione esattamente contraria adottata dalla Costituzione tedesca, come ho mostrato qui:http://orizzonte48.blogspot.it/2016/11/la-stupefacente-costituzione-teronoma.html
Sulla Germania e su come intende in modo sistematico, e molto pratico, il proprio filtro costituzionale, aggiungerei questo
http://orizzonte48.blogspot.it/2016/06/uk-italia-e-la-sovranita-la-sua-ragion.html (PP. 2-3.1.: si tratta della "rigida"Lissabon Urteil della Corte tedesca così come commentata, semplicemente prendendo atto, della irrealizzabilità degli Stati Uniti d'€uropa, da parte delle stesse istituzioni UE)
e questo:
http://orizzonte48.blogspot.it/2015/06/la-sentenza-della-corte-uropea-sullomt.html (qua s'è avuto un caso clamoroso di "adeguamento" della CGUE alla Corte costituzionale tedesca, esattamente in senso inverso a quanto accade in Italia!)
 
IV. Ma poi, sul piano normativo, tali passaggi non avrebbero neppure bisogno di essere troppo interpretati, dato che è la stessa Relazione governativa di accompagnamento della riforma, presentata al Senato, ad affermarlo, e proprio citando l'esigenza di adeguamento della Costituzione, attuale, al fiscal compact e all'introduzione in Costituzione del connesso pareggio di bilancio (e al nuovo patto di stabilità interna, cioè al pareggio di bilancio inderogabile per gli enti autonomi territoriali). V. qui:http://orizzonte48.blogspot.it/2016/10/luro-riforma-della-costituzione-la.html

V. Sulla filosofia riformatrice connessa all'€uropa, in effetti, gli atti ufficiali dell'organismo incaricato dalla Commissione di "predicare" le riforme" costituzionali ai vari paesi UE, sono inequivocabili:http://orizzonte48.blogspot.it/2016/10/la-filosofia-riformatrice-della-venice.html

VI. Infine, per un quadro riassuntivo dell'intera questione e del livello di falsificazione (in senso popperiano) cui s'è pervenuti per legittimare la riforma, rinvio a quanto scritto qui, dove c'è una ricostruzione anche storica della questione del bicameralismo, e della relativa critica, erroneamente attribuita a Mortati:http://orizzonte48.blogspot.it/2016/11/bicameralismo-improprio-o-asimmetrico.html"

3. Ma il commento forse più "divertente"è questo:
"Ah, e fra l'altro, sarebbe stato un po' sorprendente che la Costituzione del 1947 avesse citato l'Unione Europea, nata nel 1993...
Se fosse esistita l'Unione Europea prima del 1947, sicuramente la Costituzione l'avrebbe inclusa nei suoi articoli. Non vedo perchè avrebbe dovuto far finta che non esista quel livello superiore di legislazione, su molte materie...
D'altra parte è vero che se fosse esistita l'Ue negli anni '40, non ci sarebbe stata la guerra mondiale e quindi neanche la nostra nuova Costituzione..."
Questo commento ha il "pregio" di mettere insieme, in un unico breve periodo, una serie di inesattezze storico-concettuali, veramente notevoli.
Non solo di un passo supera ogni obiezione al fatto che un solo trattato sia costituzionalizzato, tra i tanti anche più importanti trattati relativi a organizzazioni internazionali nati anche prima della Costituzione: ad es; il trattato ONU che è del 1945, ancorché ratificato dall'Italia nel 1957, "solo" 50 anni fa; o il trattato Nato, ratificato dall'Italia nel 1949...
Non solo, dunque, non si domanda perché i trattati che hanno effettivamente garantito la pace in Europa nel secondo dopoguerra - laddove i conflitti armati in Europa sono invece ricomparsi proprio in concomitanza della nascita dell'UE!- siano stati lasciati alla previsione dell'art.11 Cost., senza sentire il bisogno di modificare addirittura il contenuto vincolato della funzione legislativa e la mission giustificatrice degli stessi organi legislativi... 
Ma dà anche per scontato che l'unione federata degli Stati europei non sia stata considerata, ed esplicitamente respinta, come oggetto di possibile costituzionalizzazione, da parte dell'Assemblea Costituente

4. Sarà dunque uno shock notevole, per il commentatore convinto, sapere che il federalismo interstatale come "soluzione"€uropeista, proprio allo scopo di disabilitare gli Stati democratici del welfare e reinstaurare il governo sovranazionale dei mercati, era stato già da lungo tempo teorizzato, trovando la sua sistematizzazione più compiuta nel super-liberista von Hayek già nel 1944:
"in una federazione di stati nazionali la diversità di interessi è maggiore di quella presente all'interno di un singolo stato, e allo stesso tempo è più debole il sentimento di appartenenza a un'identità in nome della quale superare i conflitti stessi (…). Un'omogeneità strutturale, derivante da dimensioni limitate e tradizioni comuni, permette interventi sulla vita sociale ed economica che non risulterebbero accettabili nel quadro di unità politiche più ampie e per questo meno omogenee (pagg.121-122)"). 
Ma la formulazione di Hayek stesso costituisce appunto una sintesi a posteriori di una concezione che nel '900, era già considerata consolidata. Einaudi, lo sa benissimo e infatti, ispirandosi a un altro economista "iper" e, poi, "neo" liberista, Lionel Robbins, patrocina l'elaborazione del "Manifesto di Ventotene" sulla base del pensiero europeista dell'ordine sovranazionale dei mercati.

5. Come se non bastasse, la natura del federalismo europeo, - non a caso costantemente patrocinato dai liberisti amanti del gold standard e dunque della "moneta unica europea" (sempre Hayek: "Con una moneta unica, l'autonomia delle banche centrali nazionali sarà ristretta almeno quanto lo era sotto un rigido gold standarde forse anche di più dal momento che, anche sotto il tradizionale gold standard, le fluttuazioni dei cambi tra paesi erano più ampie di quelle fra diverse parti di uno Stato o di quanto sarebbe comunque desiderabile consentire nell'unione...")  e delle recessioni come opportunità per riequilibrare verso il basso il costo del lavoro-, era già stata considerata da Rosa Luxemburg, proprio sulla base della sua natura mercatista e propria dell'anarchia naturale del capitalismo.  
"...Che un' idea così poco in sintonia con le tendenze di sviluppo non possa fondamentalmente offrire alcuna efficace soluzione, a dispetto di tutte le messinscene, è confermato anche dal destino dello slogan degli “Stati Uniti d’Europa”. Tutte le volte che i politicanti borghesi hanno sostenuto l’idea dell’europeismo, dell’unione degli stati europei, l’hanno fatto rivolgendola, esplicitamente o implicitamente, contro il “pericolo giallo”, il “continente nero”, le “razze inferiori”; in poche parole l’europeismo è un aborto dell’imperialismo.
E se ora noi, in quanto socialdemocratici, volessimo provare a riempire questo vecchio barile con fresco ed apparentemente rivoluzionario vino, allora dovremmo tenere presente che i vantaggi non andrebbero dalla nostra parte, ma da quella della borghesia..."

6. Senza aggiungere altre possibili copiose fonti sulla preesistenza, al 1946-47, dell'idea di federalismo e di Unione europea, sempre improntata al "governo dei mercati" e allo Stato minimo con una moneta unica insterstatale (e naturalmente "il pareggio di bilancio"), assunte come leggi naturali politico-economiche, la prova-provata la troviamo negli stessi lavori dell'Assemblea Costituente
Poiché, a differenza degli attuali, i deputati della Costituente erano còlti, e deliberavano preoccupandosi di informare il popolo (qui, p.4), la questione dell'eventuale inserimento dell'Europa fu esaminata e SCARTATA, sulla base delle considerazioni di sintesi (corrispondenti ad una vasta maggioranza), svolte dal presidente dell'Assemblea dei "75", (cioè quella "redigente"), Meuccio Ruini, in relazione al testo, approvato, dell'art.11 Cost. (quello che stabilisce i limiti entro i quali l'Italia può aderire ad organizzazioni internazionali):
"...Ma qualcuno ha chiesto: di quali organizzazioni internazionali si tratta? 
Non si può prescindere dalla indicazione dello scopo. Vi possono essere organizzazioni internazionali contrarie alla giustizia ed alla pace. L'onorevole Zagari ha ragione nel sottolineare che non basta limitare la sovranità nazionale; occorre promuovere, favorire l'ordinamento comune a cui aspira la nuova internazionale dei popoli
Ma l'attività positiva diretta a tale scopo è certamente implicita anche nella nostra formulazione: che dovrebbe essere (e non è facile qui su due piedi) tutta rimaneggiata, col rischio di perdere l'equilibrio faticosamente raggiunto di un bell'articolo.
La questione sollevata dall'onorevole Bastianetto, perché si accenni all'unità europea, non è stata esaminata dalla Commissione. Però, raccogliendo alcune impressioni, ho compreso che non potrebbe avere l'unanimità dei voti. 
L'aspirazione alla unità europea è un principio italianissimo; pensatori italiani hanno messo in luce che l'Europa è per noi una seconda Patria. 
È parso però che, anche in questo momento storico, un ordinamento internazionale può e deve andare anche oltre i confini d'Europa. Limitarsi a tali confini non è opportuno di fronte ad altri continenti, come l'America, che desiderano di partecipare all'organizzazione internazionale.
Credo che, se noi vogliamo raggiungere la concordia, possiamo fermarci al testo della Commissione, che, mentre non esclude la formazione di più stretti rapporti nell'ambito europeo, non ne fa un limite ed apre tutte le vie ad organizzare la pace e la giustizia fra tutti i popoli."
7. I costituenti, come traspare dall'intervento di Ruini, dovevano avere ben presente la "lezione" di Rosa Luxemburg, e hanno cercato di prevenire una deriva neo-liberista e liberoscambista, che avrebbe comportato il minare alle basi la nascente democrazia sociale e pluriclasse a cui si voleva dar vita; volevano anticipare, cioè, il pericolo di reinstaurazione e di "rivincita" del capitalismo anarcoide, dedito al controllo totalitario delle istituzioni (solo formalmente) democratiche,  desiderato da Hayek e Einaudi. E dagli ordoliberisti tedeschi.
7.1. I migliori e più "liberi" pensatori tedeschi di oggi, sono ben consapevoli che questo pericolo non è stato purtroppo scongiurato: l'idea neo-ordoliberista, da sempre alla base dell'Unione €uropea, distruttiva della tutela del lavoro e del welfare, ha prevalso a proprio tramite il trattato che si vuole ora costituzionalizzare
Ce lo dice Wolfgang Streeck, uno dei più eminenti sociologi ed economisti tedeschi, con parole che non lasciano adito ad equivoci:
“Dato che i problemi di legittimazione del capitalismo democraticopresso il capitale divennero problemi di accumulazione, fu necessaria la liberazione dell'economia capitalistica dall'intervento democratico quale condizione per la loro risoluzione. In questo modo si trasferì dalla politica al mercato il luogo dove assicurare una base di massa a sostegno del moderno capitalismo nelle sue motivazioni più profonde, generatedall'avidità e dalla paura (greed and fear), nel contesto del processo di immunizzazione avanzata dell'economia rispetto alla democrazia di massa.  
Descriverò questo sviluppo come il passaggio da un sistema di istituzioni politiche ed economiche di orientamento keynesiano, tipico della fase fondativa del capitalismo postbellico, a un regime economico neo-hayekiano.”A "greed and fear" c’è una nota: ”Greed and fear, avidità e paura sono, secondo l'autodescrizione del capitalismo finanziario fornita dall’economia finanziaria, spinte decisive al funzionamento dei mercati azionari e dell'economia capitalistica in generale (Shefrin 2002).” (W. Streeck, Tempo guadagnato, Feltrinelli, Milano, 2013, pagg. 25 e 221).
8. In sintesi, chi crede (magari in buona fede...) che l'Unione europa sia volta alla pace e alla giustizia fra le nazioni, dimentica che è stata, e rimane, una costruzione politico-culturale hayekiana, in cui la "pace" significa in realtà il dominio delle"oligarchie dei mercati" a scapito del resto della società dell'intera Europa, sottoposta a undominio totalitario, strenuo avversario della "dignità del lavoro" (come appunto teorizzava Hayek). 
Una volta che si sia consapevolmente compreso questo quadro storico-economico, superando gli accorti slogan dei trattati, che dissimulano lo pseudo-concetto di piena occupazione c.d. neo-classica e l'antisolidarsimo competitivo tra Stati (qui, p.2), è questo, dunque, che si vuole costituzionalizzare, contro la volontà espressa dei Costituenti, e il principio della sovranità popolare di una democrazia fondata sul lavoro? 
"...credo che la Costituzione democratica debba chiaramente sancire il concetto che la sovranità, cioè il potere, non solo appartiene al popolo, ma nel popolo costantemente risiede. Ed allora bisogna impedire qualunque interpretazione che un giorno possa far pensare a sovranità trasferite o comunque delegate. Ecco perché al termine «appartiene», come pure al termine «emana», preferisco il termine «risiede».

Gli organi attraverso i quali la sovranità e i poteri si esercitano nella vita di un popolo, sono organi i quali agiscono in nome del popolo, ma che non hanno la sovranità, perché questa deve restare al popolo. Ecco perché è preferibile il termine «risiede» in confronto a quello di «appartiene».
...
Può sembrare una sottigliezza, ma sottigliezza non è. La verità è un'altra. 
Esistono fra gli uomini due categorie di persone di fronte ai problemi costituzionali: quelli che credono nelle Costituzioni e quelli che non credono nelle Costituzioni
Per quelli che non credono nelle Costituzioni, cioè che pensano che il giorno che avessero la maggioranza farebbero quello che vogliono, un'affermazione di principio può sembrare una sfumatura, e non ha importanza; ma per coloro che, come me, credono profondamente nelle Costituzioni e nelle leggi, ogni parola ha il suo peso e la sua importanza per il legislatore di domani.
Noi ci dobbiamo preoccupare del documento che facciamo, guardando verso l'avvenire, cioè dando norme sicure ai legislatori di domani, in modo che la volontà di oggi non possa essere violata per improprietà di linguaggio, voluta o non voluta che sia." 
 

INDICATORI MACROECONOMICI DEGLI EFFETTI DELLA C€SSIONE DI SOVRANITA' SULL'ECONOMIA ITALIANA.

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http://www.ilgiornaledigitale.it/wp-content/uploads/2014/08/igd_ac593e182121f470d6f4735a09d6f01a-1024x560.jpg

1. Questi sono i dati macroeconomici e fiscali italiani (che potete estendere andando su questo sito "ufficiale", con il suo ultimo aggiornamento disponibile).

Parrebbe superfluo rilevare - ma ribadirlo non è mai inutile- che il debito pubblico italiano, prima del "divorzio" tesoro-Bankitalia, era al 55% del PIL
Questa ripresa, tuttavia, iniziò a vacillare all'inizio delle politiche deflattive determinate dal divorzio-SME e dalla svolta sindacale anti-scala mobile. 
Ne derivarono il contemporanero crescere vertiginoso dell'onere degli interessi sul debito pubblico e la perdita di competitività da "vincolo" sul cambio, nonché la finanziarizzazione della grande industria italiana: ci avrebbero poi spiegato che la deflazione salariale non era stata sufficiente e che pensioni e sanità non ce le potevamo permettere; e ce lo spiegarono in nome di Maastricht.
http://www.dirittiglobali.it/wp-content/uploads/2016/07/numeri-debito_pubblico_italiano.png
2. Siamo stati cattivi e poco virtuosi?
In effetti, durante il fascismo, come si vede molto bene qui sotto,  eravamo "buoni&virtuosi", secondo il metro di giudizio del sistema bancario creditore anglosassone: De Stefani e, poi, il corporativismo - cioè i tagli d'imperio delle retribuzioni-, garantirono che si portasse la Nazione al "reddito di sussistenza", cui inneggiavano i "liberali" come Einaudi, e infatti, il decantato welfare del regime era, conseguentemente, "di sussistenza", per non guastare la "competitività ai monopoli&oligopoli nazionali...
https://2.bp.blogspot.com/-rrWhqgte5Bo/ToDq0N-MpxI/AAAAAAAACHI/7_T-7DyXoU8/s1600/spesa+percentuale+pil.png

3. Il grafico sottostante è tratto da Goofynomic e distingue ciò che è importante capire; quantomeno, prima di partire in crociate contro la spesapubblicabrutta. E cioè, che, comunque, prima di SME-divorzio, e fino alla metà degli anni '80, ERA LARGAMENTE SOTTO LA MEDIA €UROPEA...
L'incremento, successivo al 1981, della spesa pubblica complessiva, si spiega con l'onere degli interessi sul debito e in parte con il dover, la "politica", fronteggiare gli effetti socialmente destabilizzanti delle politiche deflattive, con l'aumento strutturale della disoccupazione. 
Al tempo, per motivi politici, - che furono poi "rimossi" dopo Maastricht e cioè facendo manovrone su manovrone di "sacrifici", per ottemperare ai criteri di convergenza verso l'euro-, esistevano più ampi stabilizzatori automatici e sistemi di pre-pensionamento (che facevano pagare alla collettività, peraltro con l'inizio della grande fase dell'aumento delle tasse, il preteso recupero della competitività entro il nuovo paradigma monetario imposto dal vincolo europeo).
http://www.unich.it/docenti/bagnai/blog/Spes_02.JPG

4. Il soprastante grafico aggiornato al 2010, va però integrato con gli sviluppi fiscali delle politiche super-austere, che stiamo ancora applicando in dosi massicce, solo appena meno "gigantesche" di quanto non pretenda, con minacce e condizionalità, la "governance"€uropea. 
Anzitutto, perché va considerato l'avanzo primario di bilancio realizzato dall'Italia, trattandosi di risparmio pubblico che, per definizione, corrisponde a liquidità sottratta al PIL, via tasse e tagli delle prestazioni pubbliche, e dunque determina, di per sè, un sottoutilizzo dei fattori della produzione nazionale che, transitoriamente, è pure talora necessario, ma protratto per decenni, - unici in €uropa!!!- porta all'output-gap, cioè a minor crescita, e a deindustrializzazione strutturale (cioè è anche un risparmio di "squilibrio" macroeconomico: non si converte in investimenti, per sua preordinata funzione essenziale). 
Non so a voi ma a me "diverte" sempre vedere i dati della Spagna o della Francia: i principali "modelli" (di...crescita) usati per dirci che siamo cattivi e corrotti. Ma nessuno suggerisce un "facciamocome" relativo ai loro saldi negativi primari, prevalenti, e nel caso della Spagna, crescenti:

Addendum: sulla questione ammontare complessivo dei saldi primari,comparativamente per i vari principali Stati dell'UE, Mauro Gosmin ci fornisce questo eloquente grafico, che consente di raffigurarsi tangibilmente il danno da output gap subito dall'Italia con l'adesione all'eurozona e le politiche fiscali seguite negli ultimi 25 anni:


5. Se dunque lo Stato provvede a creare un risparmio "dannoso", cioè a priori inconvertibile in investimenti, e lo fa tassando di più e erogando prestazioni ridotte (in termini reali, quindi erose dall'inflazione nella migliore delle ipotesi), anche il reddito privato ne risente: e se diminuisce il reddito diminuisce il risparmio privato e, con esso, gli investimenti produttivi.
Piaccia o non piaccia agli "studiosi" di economia industriale, questi sono gli effetti che vincolano la propensione agli investimenti (non la pigrizia degli industriali e la corruzione dei....corruttori).
Notare che la miniripresa di risparmio e investimento che si registra dal 2014, è dovuta, anzitutto, al comportamento difensivo delle famiglie che, in situazione deflattiva e di attese di tagli al bilancio pubblico e di intensificata tassazione, non consuma più e non acquista più abitazioni come prima; ed è dovuta anche al fatto che, toccato un certo punto di caduta, le imprese tendono a riprendere gli investimenti lordi, cioè a sostituire gli impianti per non chiudere, sperando di sopravvivere con l'aumento della domanda estera che si lega a una fase deflattiva; e comunque di precarizzazione del lavoro tale che non si punta tanto a investire in innovazione e tecnologie ma ad assumere lavoratori sottopagati, nonché part-time e a brevissimo termine.

All’inizio degli anni duemila il tasso di risparmio e di investimento pubblico e privato erano sostanzialmente allineati in Italia, la crescita della quota di investimenti fino al 2007 non è stata accompagnata da una crescita proporzionale dei risparmi, rimasti sostanzialmente costanti. Con la prima recessione (2008-2009) i risparmi sono calati più fortemente degli investimenti, che hanno resistito meglio. Durante la seconda recessione invece si è registrato un nuovo calo degli investimenti, mentre aumentava il risparmio precauzionale. Dal 2013 i risparmi sono tornati maggiori rispetto agli investimenti ma ad un livello radicalmente più basso per entrambi rispetto a quello pre crisi (nel 2014 18,3% di propensione al risparmio contro il 16,5% di propensione all’investimento).

6. Va infatti considerato, - contro lo "spin" ossessivo-maniacale della spesa pubblica "mostruosa", causa della mancata crescita (boiata controintuitiva che gli italiani vivono ormai come un dogma della instaurata teologia ordoliberista)-, che l'incremento italiano della spesa pubblica è il più modesto, dell'eurozona, del post "crisi" finanziaria (USA); è vero che il rapporto debito PIL ri-decolla, come già a seguito del divorzio-SME, ma stavolta non perchè salgano gli oneri degli interessi o la spesa primaria- come invece è accaduto negli altri paesi UEM!-, quanto piuttosto perché il denominatore del rapporto, il PIL, si inabissa. E con esso occupazione e produzione industriale: grazie €uropa della crescita e della pace!.

http://www.infodata.ilsole24ore.com/wp-content/uploads/sites/82/2016/02/debit-pubblico.jpg

7. Il dato che dovrebbe preoccuparci di più è la spesa primaria pro-capite, quella che più direttamente misura perché vivete peggio, meno a lungo (ormai) e dimorando in un paese che, nelle sue strade e nelle sue città, nelle sue ex-zone industriali, appare più simile a un territorio bombardato da un aggressore bellico.
http://www.genitoritosti.it/wp-content/uploads/2015/02/perri-realfonzo.jpg
8. Insomma, la spesa pubblica primaria "reale", cioè al netto dell'inflazione, è proprio diminuita, in controtendenza con tutto, ma proprio tutto, il resto del mondo "occidentale", nonostante quello che, insensatamente, continuano a invocare la maggior parte delle forze politiche di governo e di opposizione:
https://keynesblog.files.wordpress.com/2013/06/sp-reale-netto.png?w=560&h=358

Basta guardare (tra i tanti dati che confermano quanto appena detto) agli USA e alle conseguenze, in termini di spesa pubblica e sua tipologia, del bel mercato del lavoro che hanno imposto anche a noi...anche se non riescono ad accorgersene, perché continuano a chiederci di "fare le riforme".
E pensate che ora Trump, in ciò del tutto similmente a quanto prometteva anche la Clinton, ha intenzione di aumentare la spesa in intrastrutture e lavori pubblici:
http://www.heritage.org/~/media/infographics/2015/11/bg-spending-less-on-national-defense-chart-1-825.ashx
9. Risultatone? Questo è l'andamento comparato della produzione industriale, grosso modo da Maastricht a oggi: ma davvero senza "cedere sovranità" non si può sopravvivere, come diceva Guglielmo Giannini, precursore dei "movimenti" livorosi indifferenti al vero ruolo economico dello Stato democratico voluto dalla Costituzione, già al tempo dell'introduzione della CECA?
Direi piuttosto che tutto evidenzia che "cedendo sovranità" SI MUORE.
Credere il contrario era, ma soprattutto oggi è, qualunquismo.
E dunque, aveva ragione Di Vittorio, e la r€altà successiva lo rende buon profeta:

pr

10. Poi, naturalmente, quasi tutte queste previsioni di crescita del PIL che trovate sotto, per il 2017, si riveleranno errate: quella che sbaglierà meno è la previsione di Confindustria. Ma sarebbe pur sempre ottimista ove si verificasse lo "sterminio" dei risparmatori italiani e del controllo nazionale del sistema bancario (auto)imposto da coloro che entusiasticamente ci hanno fatto entrare nell'Unione bancaria...

http://ec.europa.eu/economy_finance/eu/forecasts/index_en.htm
http://www.mef.gov.it/documenti-pubblicazioni/doc-finanza-pubblica/index.html#cont1
http://www.francomostacci.it/wp-content/uploads/2014/11/2016_confronto_graf6.png

11. Dato tutto questo (e sarebbero da aggiungere molti altri dati), COME VOTERESTE A UN REFERENDUM CHE DI CHIEDESSE LA CESSIONE DI ULTERIORE SOVRANITA' (ANZI: DI TUTTA) ' ALL'€UROPA?
Fate un po' voi. Tanto è un'ipotesi teorica...
Nessuno ci ha mai chiesto direttamente nulla sulla cessione della sovranità contenuta nei vari trattati. E intendono continuare a non chiedercelo



Però, se ci riflettete bene, forse un tal genere di referendum potrebbe pure essere attuale, molto attuale. Se ci riflettete...

IL MUTAMENTO €XTRA ORDIN€M: LA "COSTITUZIONE FINALE" E' GIA' QUI (proprio perché non ve ne accorgete)

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https://pbs.twimg.com/media/Cl5QMqTWYAEByln.jpg
1. Il punto di partenza è molto semplice (almeno per chi segue questo blog): la sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione (art.1, comma 2, Cost.). 
La Costituzione si assicurò che questa titolarità non fosse espropriabile, o in qualunque modo "revocabile", fissando di una serie di diritti e principi fondamentali (artt.1-12) che determinano un indirizzo decisionale di vertice, cioè che costituisce un obbligo di attuazione (art.3, comma 2, Cost.), perenne e costante, a carico degli organi di indirizzo politico (parlamento e governo: designati in raccordo con la volontà popolare espressa dal voto, eguale e libero di ciascun cittadino). 
Dunque, per garantire la sovranità popolare nella sua "effettività", la Costituzione viene posta al di sopra della "politica", intesa come risultante, nella composizione dei corpi rappresentativi del popolo medesimo, del mutevole esito del processo elettorale.
Questo "indirizzo costituzionale"(su cui il PdR ha, o avrebbe, un potere generale di vigilanza), quindi, si pone al di sopra dell'indirizzo politico in modo tale che il secondo debba essere, nelle circostanze storiche ed economiche, la costante realizzazione concreta del primo: i margini di differenziati indirizzi politici, nel tempo, sono ristretti alla scelta di come realizzare i valori-principi fondamentali posti negli artt.1-12
Non può, tuttavia, tale indirizzo politico, mettere in discussione il "se" realizzare l'indirizzo costituzionale.

2. Il voto popolare è dunque la prima "forma" di realizzazione della sovranità popolare e, al tempo stesso, è la forma di designazione di coloro che, vincolati dai principi fondamentali inderogabili della Costituzione, sono tenuti a realizzarla. 
Il primo di questi principi è il fondamento stesso della Repubblica democratica, cioè il lavoro (art.1, comma 1), inteso come diritto a quella prestazione, dovuta dal plesso governo-parlamento, consistente nell'attuare politiche di "pieno impiego", utilizzando, altrettanto obbligatoriamente, gli strumenti di politica fiscale, industriale e monetaria appositamente previsti nella c.d. "Costituzione economica" (questo è proprio il tema de "La Costituzione nella palude").

3. Ma se la Costituzione viene mutata introducendo l'obbligo degli organi di indirizzo politico di attuare le politiche europee, la funzione di indirizzo costituzionale non è più attuabile perché l'indirizzo politico viene esplicitamente vincolato a realizzare "politiche", (termine che equivale a quello di "indirizzo politico") che sono attuative di trattati, liberoscambisti e fondati non sul lavoro ma sul "libero mercato" e sulla stabilità dei prezzi (e monetaria)
Quindi la prima e più importante forma di manifestazione della sovranità popolare viene resa inoperante e la stessa sovranità del popolo italiano privata di "effettività": i principi fondamentalissimi, imperniati sul lavoro, sono sostituiti da quei diversi e incompatibili valori cardine dei trattati europei che devono essere perseguiti a prescindere da qualsiasi orientamento espresso dal corpo elettorale (sovrano). 
Attualmente, non va sottaciuto, le cose stanno già così, essenzialmente perché:
a) da un lato, in sede elettorale, i cittadini non sono stati informati di questi effetti, derivanti dall'applicazione vincolata di principi-valori incompatibili ed opposti a quelli fondamentali della Costituzione, quali quelli €uropei della "economia sociale di mercato"
b) dall'altro, perché la nostra Corte costituzionale ha assunto una posizione di solo astratta, e mai in concreto verificabile, sindacabilità dei trattati alla luce dei principi dell'art.11 Cost.(che rientra, appunto, tra i principi fondamentalissimi ad attuazione obbligatoria). 

3.1. E la Corte lo ha fatto ragionando, per antica inerzia, sulla base di una inconfigurabile estraneità, o "neutralità", dell'applicazione di trattati economici e neo(ordo)liberisti, rispetto ai rapporti sociali ed a quelli politici: come se il conflitto distributivo, insito nell'economia di mercato e nell'ossessione deflattiva, non influisse sul livello dell'occupazione (art.4 Cost.) e della tutela del lavoro (artt.35 e 36 Cost.), nonché sulla capacità fiscale dello Stato di erogare prestazioni di welfare tali da risultare dignitose per la persona umana (artt.32, 34 e 38 Cost., su tutti).
Questo stato di cose, è stato evindenziato, in particolare con riferimento alla introduzione, nel 2012, della norma costituzionale relativa al pareggio di bilancio (su imposizione di un trattato europeo diretto a salvare l'eurozona), come una forma di "disattivazione" o "messa in sospensione" dell'essenza inderogabile della nostra Costituzione, fino al punto di svuotarla.

4. Protraendosi questo stato di sospensione e di svuotamento della Costituzione, per via del crescente e quasi totale assorbimento di ogni indirizzo politico (costituzionalmente conforme) nelle politiche economico-fiscali dettate dall'appartenenza alla moneta unica, si è ora deciso, essenzialmente in sede €uropea, un "adeguamento" della Costituzione stessa, appunto per conformarla all'evoluzione della governance €uropea e ratificare che l'indirizzo politico non discenda più da quello costituzionale e dal voto del popolo sovrano.

In modo implicito, ma obliquamente palese, si afferma, piuttosto, che questo indirizzo politico eteronomo proceda, in modo praticamente esclusivo - dati i settori socio-economici preponderanti su cui incidono le "politiche europee"-  dalle decisioni vincolanti delle c.d. "istituzioni europee", per la realizzazione del modello socio-economico dei trattati
E questi ultimi attribuiscono la titolarità della sovranità (che reclamano in erosione di quella popolare degli Stati democratici) a organi decidenti in nome dei "mercati": quindi in nome della competizione economica tra Stati e della stabilità dei prezzi, cui è obiettivamente subordinata la piena occupazione (in senso neo-classico, p.5), come obiettivo secondario (o mero corollario), dell'economia sociale di mercato (si tratta di un livello di disoccupazione ritenuto "naturale": cioè QUALUNQUE livello compatibile col livello di inflazione desiderato; v.qui, p.3).

5. In conclusione di questa panoramica riassuntiva, possiamo affermare che:
a) la sospensione de facto della Costituzione è un mutamento costituzionale extraordinem(di natura eversiva), già in corso da decenni, attribuibile al "vincolo esterno" dei trattati in quanto mai sottoposti (qui, p.5.1.) a un vaglio, accurato e consapevole, di costituzionalità;
b) tuttavia, ciò porta irresistibilmente a voler "sanare" questa situazione di fatto, a fini conservativi di uno status quo illegittimo, formalizzando l'Unione europea e le sue politiche tra le norme della Costituzione relative alle fonti di determinazione dell'indirizzo politico, e quindi mutando in via indiretta lo stesso art.1 della Costituzione circa l'appartenenza al popolo della sovranità;
c) questo processo di formalizzazione normativa del mutamento radicale della sovranità, è solo agli inizi delle sue spinte "riformatrici", dovendo proseguire, come abbiamo visto nell'introduzione a questo post, almeno finché non saranno espunti dall'ordinamento italiano, tutti i principi e diritti sanciti dalla Costituzione del 1948 ritenuti in contrasto con i principi ordoliberisti dei trattati;
d) la formalizzazione normativa a livello costituzionale, a rigore, non vale a sanare la contrarietà ai principi fondamentali della Costituzione(artt.1-12), ma tende a conservare i rapporti di forza socio-economici affermatisi coi trattati, al fine di mutare definitivamente il sistema di valori costituzionale e rendere accettabile la successiva restaurazione di principi fondanti storicamente anteriori alla Costituzione del 1948. 

5.1. In conseguenza di questa analisi, vorrei offrirvi la visione, reale e senza finzioni, sia del quadro (fattuale) effettivo di sovranità a cui siamo sottoposti, sia del punto di arrivo dell'adeguamento riformatore che dobbiamo inevitabilmente aspettarci.
Ho tratto dunque, da questo arguto e perspicuo commento di "Filippo" sul blog "Il Pedante", i principi e diritti fondamentali della €uro-Costituzione de facto (nel senso di occulta, ma non perciò meno dotata di effettività, già operativa), che discende dall'appartenenza dell'Italia all'Unione €uropea e dall'attuazione delle sue "politiche".
Risulta tragicamente comico, ma è terribilmente "reale".

Art. 1.
La Provincia italiana dell'Unione europea è una Plutocrazia oligarchica, fondata sul profitto. La sovranità appartiene al mercato, che la esercita attraverso l'oligarchia alla luce dei progressivi limiti di accettazione dell'opinione pubblica.

Art. 2.
La Plutocrazia disconosce l'esistenza di diritti inviolabili dell'individuo, sia come singolo, sia nelle reti sociali ove si palesa la sua specificità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà cosmetica, egoismo economico, e autismo sociale.

Art. 3.
Tutti gli attori del mercato hanno dignità in misura proporzionale alla loro capacità di spesa, e sono diversi davanti alla legge, dovendosi considerare il sesso, l'orientamento sessuale, la razza, la lingua, la religione, i pregiudizi politici, le condizioni personali e sociali.
E' compito della Plutocrazia rimuovere gli ostacoli di ordine etico ed ed i retaggi ideologici, che, limitando di fatto la concorrenza e la meritocrazia, impediscono il pieno sviluppo del mercato, e l'effettiva reificazione di tutti gli individui nell'organizzazione tecnocratica, economicistica e postumana della Provincia.

Art. 4.
La Plutocrazia riconosce l'immutabilità delle leggi economiche, e la necessità di una quota fisiologica di disoccupazione determinata dal ciclo economico. Ogni individuo è libero di svolgere una attività o una funzione che massimizzi la sua ricchezza materiale o la sua popolarità.

Art. 5.
La Plutocrazia, espressione dell'Unione europea, indebolisce progressivamente le autonomie locali; attua nei servizi che da essa dipendono, la massima centralizzazione amministrativa; adegua i metodi della sua legislazione alle esigenze dell'Unione e dell'oligarchia.

Art. 6.
La Plutocrazia tutela con apposite buone pratiche le minoranze linguistiche della Provincia, con particolare riguardo per quella italiana.

Art. 7.
La Plutocrazia e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani. I loro rapporti sono regolati alla luce della pubblica opinione. Le modificazioni dei rapporti, accettate dalle due parti, non richiedono procedimento di revisione formale delle norme.

Art. 8.
Tutte le confessioni religiose sono egualmente deprecabili e superate. Le teorie economiche diverse dal liberismo sono da considerarsi infondate ed utopiche nella misura in cui contrastino con l'ordinamento economico e giuridico della Provincia. I loro rapporti con l'Eurocrazia sono regolati attraverso la creazione di apposite categorie nel dibattito pubblico.

Art. 9.
La Tecnocrazia promuove lo sviluppo della cultura delimitandone con precisione gli ambiti e la ricerca scientifica e tecnica orientate alle esigenze del mercato e della competizione globale. E' indifferente al paesaggio e negligente verso il retaggio storico e artistico della Provincia quando essi non siano monetizzabili.

Art. 10.
L'ordinamento giuridico della Provincia si conforma alle norme del diritto europeo ed internazionale generalmente riconosciute. La condizione giuridica del migrante è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali. Il migrante, al quale sia impedito nel suo paese l'effettivo esercizio delle libertà economiche garantite dalla Costituzione della Provincia italiana, ha diritto d'asilo nel territorio della Tecnocrazia, secondo le legittime necessità di deflazione salariale dei padroni. Non è ammessa l'espulsione del migrante per formalità giuridiche.

Art. 11.
La Provincia italiana riconosce la guerra come strumento di salvaguardia dei propri interessi e di quelli dei suoi alleati e come mezzo didattico verso i popoli non democratici; si adegua alle scelte europee e transatlantiche per assicurare l'espansione del blocco occidentale che assicuri la stabilità della propria influenza; promuove interventi unilaterali nelle aree contese.

Art. 12.
La bandiera della Plutocrazia è il tricolore italiano: verde, bianco e rosso, a tre bande verticali di eguali dimensioni. Può essere utilizzata esclusivamente insieme alla bandiera dell'Unione europea, rispettando il parametro numerico massimo di una a dieci.

PIU' CHE MAI LA QUESTIONE MEDIATICA: LA PRIMA SOLUZIONE COSTITUZIONALE PER RESTAURARE LA SOVRANITA' DEMOCRATICA

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http://calamouse.corrieredelveneto.corriere.it/articoli/Stei081213_med.jpg

"Ogni singolo elemento dell'agenda dell'informazione mediaticaè studiato per costituire un tassello della conservazione del potere oligarchico. Senza eccezione alcuna".

1. Comincerei dal sottostante aforisma orwelliano, che per poter essere meglio compreso va riferito al conflitto distributivo tra oligarchia e...tutto il resto della società.
Il conflitto armato, dovrebbe essere particolarmente chiaro di questi tempi, è solo una delle forme di "guerra" che si pone entro questo schema fondamentale. 
Dal punto di vista economico, per le oligarchie, consiste null'altro che nell'accelerazione del profitto derivabile dal conflitto sociale e in un'occasione di forte potenziamento del controllo istituzionale: ESSI sanno però che è anche una situazione rischiosa, perché in occasione dei conflitti armati emerge più rapidamente la "doppia verità" liberista (cioè la dissonanza tra fini effettivi e motivazioni offerte alle masse), e dunque si rischia, prolungando eccessivamente un conflitto non limitato a truppe volontarie e specializzate, un backfire di reazione sociale difficile da controllare.

https://uniticontrounsistemamalato.files.wordpress.com/2015/01/g-orwell.jpg?w=520&h=326


2. Ma la fisiologia della guerra, intrapresa dall'oligarchia, ha armi di combattimento adeguate per la conduzione di un conflitto continuo e ininterrotto: i media, - giornali, televisioni e, sempre più ovviamente, l'utilizzo del web- e il sistema finanziario di loro controllo totalitario.
Sappiamo che il sistema di dispiegamento di queste armi "adeguate" e del loro controllo totalitario, assume, nella società globalizzata di massa "pop", - quella che è più conveniente mantenere, perché ottiene la frammentazione strutturale di ogni possibile resistenza-, si basa su alcuni principi:
a) la destrutturazione della funzionalità del sistema dell'istruzione pubblica;

https://blogletteraturacapuana.files.wordpress.com/2014/05/9097262700_4c96081bde_b.jpg

b) la gestione, all'interno del sistema controllato dei media, dell'informazione e della controinformazione, in modo spesso indiretti ed occultati;
http://pennadoro.altervista.org/gallery/albums/orwell/banita.jpg

c) come conseguenza dei punti a) e b), il ferreo controllo dell'opinione pubblica ("ciò che gli uomini debbano credere e ciò per cui debbano affanarsi", nelle parole scolpite, da Hayek, sulla pietra tombale della democrazia sostanziale) che garantisce, al livello sottostante dell'opinione di massa (pop), unaproiezione identificativa degli oppressi con gli oppressori, che ha come coagulanteil senso di colpa (qui, p.2, b.) instillato nei primi. 
Nelle attuali condizioni storico-politiche, questa proiezione identificativa assume il significato di "paradosso €uropeo".

http://it.manuelcappello.com/wp-content/uploads/2012/03/habermas-potere-comunicativo-IMG_4868.jpg

3. Oggi non sappiamo quale sarà l'esito del referendum per cui andiamo a votare ma, in vista di esso, abbiamo visto all'opera, in modo plateale e intensissimo, l'insieme di questi principi organizzativi del conflitto sociale costantemente intrapreso dall'oligarchia; e questo già ci garantisce (tragicamente) che qualunque esito sarà sfalsato rispetto a quello normalmente ottenibile in una società in cui la Repubblica democratica fondata sul lavoro avesse visto attuata la sua Costituzione.
Orbene, è sfacciatamente evidente che la destrutturazione funzionale della pubblica istruzione, l'abile uso della controinformazione "controllata", e la proiezione identificativa degli oppressi con gli oppressori, siano gli strumenti tipici della de-sovranizzazione degli Stati democratici da parte dei trattati €uropei.

3.1. Persino quando questi strumenti inizino a divenire non più totalmente efficienti (come la Storia insegna essere ciclicamente prevedibile), ne abbiamo la traccia nelle manifestazioni del potere €urista:


 
Per gli eurocrati UE la democrazia è un fastidio -  Juncker supplica i leader UE di non tenere referendum sull’exit https://t.co/fJuxtKma62
4. Risulta quindi altrettanto evidente che qualsiasi forma di estrema difesa della democrazia, - una democrazia che si vuole apertamente sterilizzare da parte dell'€uropeismo, in nome dell'ennesimo stato di eccezione autorafforzativo-, debba passare per una lotta che, di per sé, può coagulare la gran parte dei cittadini a favore di un immediato e tangibile vantaggio comune: la lotta per una legge sulla libertà di stampa che applichi in pieno l'art.21 Cost. 
L'art.21, naturalmente va letto, come ogni valore chiave della nostra Costituzione (del 1948), in combinato con l'art.3, comma 2, della stessa Cost.; cioè con l'obbligo della Repubblica democratica di rimuovere gli ostacoli alla effettiva partecipazione di TUTTI alla vita politica, economica e socio-culturale del Paese.
In una visione fenomenologica, l'attuazione effettiva e pluriclasse dell'art.21 Cost. depotenzierebbe in modo decisivo tutti e tre i principi che delineano le armi della guerra permanente delle elites all'intera società democratica.

5. Francesco Maimone, nei commenti al precedente post, ci ha rammentato la chiara visione che, in una situazione del recente passato molto meno grave della presente, aveva espresso Lelio Basso:
“… Se democrazia significa sovranità del popolo, e quindi di tutti i cittadini, se pertanto in un regime democratico ogni cittadino deve essere posto in condizione di esercitare i diritti che gli derivano dalla sua partecipazione alla sovranità collettiva, se la nostra Costituzione (art. 3 cap.) riconosce che questa democrazia rimarrà una vuota parola fino a quando tutti i cittadini non saranno messi in condizione di poter partecipare di fatto alla gestione della cosa pubblica, mi pare che se ne possa concludere che la collettività ha l’obbligo di dare a ciascun cittadino la concreta possibilità di tale partecipazione. 
Ora tale concreta possibilità non significa soltanto liberare ogni cittadino dagli assillanti problemi della fame, della miseria o della disoccupazione, non soltanto eliminare le stridenti disuguaglianze e gli squilibri perturbatori del tessuto sociale, MA ANCHE FORNIRE A CIASCUNO I MEZZI PER ESSERE IN GRADO DI APPREZZARE I VASTI E COMPLESSI PROBLEMI IN CUI SI ARTICOLA LA VITA COLLETTIVA. 
E TALI MEZZI SONO TANTO SOGGETTIVI (adeguato livello di istruzione e di coscienza civile e democratica) quanto oggettivi (un’informazione per quanto possibile seria e imparziale). Sarebbe infatti impossibile concepire una democrazia reale, un effettivo governo di popolo, se al popolo non fossero dati gli strumenti per accedere alla conoscenza della vita associata che esso deve governare e dei problemi che ne risultano ch’esso deve risolvere.

Ad assolvere a questo compito non è certamente sufficiente la libertà della stampa e dell’informazione in generale: LA LIBERTÀ DELLA STAMPAÈ CERTO UNA GRANDE CONQUISTA DEL PERIODO LIBERALE che va strenuamente difesa anche oggi, in un regime democratico più avanzato, ma è ben lungi dall’esaurire la materia
Essa infatti ha radice in una concezione individualistica della società e riflette il diritto di ogni individuo ad esprimere la propria opinione: riguarda di più cioè il diritto di chi vuole scrivere che quello di chi vuole leggere per essere obiettivamente informato, risponde assai più al concetto di libertà in senso tradizionale che a quello di servizio pubblico. 
In altre parole la libertà di stampa rappresenta il diritto del singolo cittadino di “fare” qualche cosa e il correlativo dovere dello Stato di “lasciar fare”, mentre il servizio pubblico dell’informazione rappresenta un dovere della collettività di “fare” essa positivamente qualche cosa e il correlativo diritto di tutti i cittadini di ottenere dalla collettività la prestazione dovuta.
...la libertà d’informazione ha oggi assunto un significato diverso che nell’Ottocento
Che cosa significa parlare di libertà di stampa nel senso di riconoscere a ciascuno il diritto di fondare un giornale, quando si sa che in realtà solo pochi magnati, o un grandissimo partito, possono permetterselo? 
Mi sembra più giusto parlare di un DIRITTO DEL CITTADINO ALLA VERITÀ, cioè all’informazione più ampia e spregiudicata che gli fornisca tutti gli elementi per FORMARSI UNA SUA IDEA DELLA VERITÀ: ciò significa soprattutto che i partiti, i sindacati, le organizzazioni civili devono avere libero e incontrollato accesso alla radio e alla TV, per un tempo che corrisponda alla loro reale rappresentatività. Questo mi sembra il modo migliore di garantire la libertà dell’informazione, almeno nel settore radio-televisivo …” [L. BASSO, Affinché il Paese migliori, Il Giorno, 12 ottobre 1974].

6. A Francesco ho dato questa risposta cercando di essere "pratico":
Come vedi, caro Francesco, senza capire la natura irresistibilmente oligopolistica dei "mercati", di qualunque settore, ogni disquisizione sulle "libertà"è una squallida pantomima.

E lo è più che mai laddove sia in gioco un mercato caratterizzato dal preminente pubblico interesse del bene/servizio offerto: la cosa sarebbe agevolmente risolvibile con una legge sull'informazione conforme all'art.21 Cost. Di cui abbiamo in passato indicato, su questo blog, alcuni principi irrinunciabili.

Ma poi vedendo che la "classifiche" internazionali (invariabilmente finanziate dai Soros) fanno coincidere la "libertà di informazione" con il numero di operatori privati (in oligopolio!) e con l'assenza di interferenza statale su di essi, non rimane che una sola soluzione: vietare lo svolgimento di servizi di informazione privata da parte di chi non sia, in modo accertato con totale rigore, un editore PURO.
Cioè privo di qualunque altro interesse commerciale, indutriale o finanziario.

E non solo: ma un editore puro che sia finanziato ESCLUSIVAMENTE da un istituto di credito specializzato di proprietà pubblica ma amministrato da funzionari imparziali, a requisiti di nomina rigorosamente predeterminati (su oggettive "competenze") e soggetti a scadenze non rinnovabili delle cariche, nonché sorteggiati da un elenco aggiornato costantemente.

Poi sull'entertainment, facessero quello che vogliono (nei limiti delle leggi penali) e massima apertura del mercato: compresi i "film di interesse culturale".
La precondizione per la loro produzione e distribuzione deve essere SOLO la diffusione della cultura, per tutti, da parte di un imparziale e rafforzato sistema della pubblica istruzione.

Pubblica istruzione, (forte e imparziale), libertà di informazione, (ontologicamente separata da interessi privati di altro tipo, compresa la reverenza verso la "morale dei banchieri"), e eguaglianza sostanziale, sono praticamente la stessa cosa vista in momenti e angolazioni differenti".
 

7. Vi riporto il testo integrale dell'art.21 ( non casualmente tratto dal sito del Senato italiano) come "memento" per l'inizio di una riflessione. Che sia molto pratica: 
Articolo 21
Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.
La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure.
Si può procedere a sequestro soltanto per atto motivato dell'autorità giudiziaria [cfr. art.111 c.1] nel caso di delitti, per i quali la legge sulla stampa espressamente lo autorizzi, o nel caso di violazione delle norme che la legge stessa prescriva per l'indicazione dei responsabili.
In tali casi, quando vi sia assoluta urgenza e non sia possibile il tempestivo intervento dell'autorità giudiziaria, il sequestro della stampa periodica può essere eseguito da ufficiali di polizia giudiziaria, che devono immediatamente, e non mai oltre ventiquattro ore, fare denunzia all'autorità giudiziaria. Se questa non lo convalida nelle ventiquattro ore successive, il sequestro s'intende revocato e privo d'ogni effetto.
La legge può stabilire, con norme di carattere generale, che siano resi noti i mezzi di finanziamento della stampa periodica.
Sono vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume. La legge stabilisce provvedimenti adeguati a prevenire e a reprimere le violazioni.

Mi sono anche rammentato che quasi esattamente tre anni fa avevo scritto un post intitolato LA QUESTIONE MEDIATICA: in esso avevo ipotizzato alcune linee fondamentali di un'indispensabile (e credo che molti, ma molti, si siano resi conto di quanto ormai lo sia) legge di attuazione dell'art.21. La risposta a Francesco aggiorna quelle riflessioni.
Ma il nodo essenziale della rivendicazione della sovranità democratica non può consistere solo nella proposta di soluzioni tecnico-legislative (che pure sono necessarie, se provenienti da voci competenti non appartenenti né al mainstream né alla controinformazione rigidamente controllata, essenzialmente all'insaputa dell'opinione di massa propinata agli elettori).

8. Vorrei piuttosto richiamare l'attenzione di tutti i possibili lettori sulla necessità prioritaria, da domani  (ma va bene anche...dopodomani), di abbracciare la rivendicazione di questo tema e di cercare di suscitare  un vasto movimento di opinione che faccia della "riforma" del sistema dell'informazione, ovviamente democratico-costituzionale, il primo punto, estremamente pratico, di un'autentica lotta di liberazione.

Va infatti, ancora una volta, sottolineato che la fase attuale della guerra mediatica permanente, - intrapresa dalle forze oligarchiche che sono alla base dell'€uropa-,risale agli anni '70 e, come dice Orwell, ciò ha portato al nostro non percepirla più come "un pericolo", passando per la caduta della logica elementare, fino ai risultati incredibili attestati dagli indicatori macroeconomici italiani degli ultimi 30 anni, conseguenti alla disfatta democratica ed alla perdita di sovranità che abbiamo tutti subito.
Sì, su queste "armi della guerra permanente" occorre una riforma.
Ma per attuare la Costituzione.
Senza una legge democratica (sostanziale) attuativa dell'art.21 Cost., la stessa Carta fondamentale del 1948 sarà inesorabilmente distrutta.
Come hanno infatti già pianificato.

INVECE IL REFERENDUM ERA PROPRIO SULL'€UROPA: A BRUXELLES LO SANNO. IN ITALIA BOH...

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Legge di Bilancio, Eurogruppo: “Servono misure aggiuntive entro marzo. Possiamo aspettare il nuovo governo”
http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/12/05/legge-di-bilancio-eurogruppo-conferma-necessarie-misure-aggiuntive-entro-marzo-possiamo-aspettare-il-nuovo-governo/3239408/
1. L'enorme "pateracchio" istituzionale scaturito dall'esito del referendum fa venire al pettine tutti i nodi dell'anomalia di un sistema politico-parlamentare ormai subordinato non tanto alle transeunti esigenze dell'Esecutivo, quanto alla natura servente di quest'ultimo rispetto ai "obblighi comunitari e internazionali" assunti nella sede europea e al connesso "vincolo dell'equilibrio di bilancio (per usare una formula ormai "cara" alla nostra Corte costituzionale).

In realtà, data la non coincidenza tra dimissioni del governo, da un lato, e decreto di scioglimento della camere in vista di nuove elezioni, ovvero incarico ad un nuovo premier per la formazione di un nuovo governo, dall'altro, dall'accettazione immediata delle dimissioni non scaturiva un impedimento costituzionalmente normativo all'approvazione della legge di stabilità entro la fine di dicembre

2. Ma, si dice, occorre evitare l'esercizio provvisorio di bilancio: ma siamo sicuri? L'esercizio provvisorio, comunque, nonostante quanto con leggerezza diffuso dagli espertoni televisivi, non influisce sull'impegnabilità, liquidazione e pagamento, delle spese ordinarie derivanti da leggi di spesa permanenti o pluriennali già in vigore e, anzi, per le spese e le entrate derivanti dal progetto non ancora approvato, ne autorizza erogazione e riscossione sia pure per "dodicesimi" pro-mese.
Nulla a che vedere col "sequester" che può inscenare il sistema parlamentare, bicamerale, anche in tema di spesa pubblica, negli USA.

Va peraltro segnalato che un governo che sia dimissionario, o dimissionario condizionato, svolge praticamente un identico ruolo "depotenziato" di fronte alle Camere ai fini dell'approvazione di bilancio e relativa "manovra": e questo tanto più che proprio da oggi stesso, l'esame in Commissione bilancio del Senato della relativa legge è già calendarizzato e si sta probabilmente svolgendo in questo momento, in vista di un rapida calendarizzazione in aula.
Dunque, l'impuntatura del Capo dello Stato pare più legata a voler far risaltare la formale assunzione di responsabilità dell'attuale governo rispetto a "questa" manovra di stabilità, al fine di rassicurare l'UE e i "mercati". 

3. Nella sostanza, come abbiamo visto, cambia molto poco. 
Il governo dimissionario, infatti, rimane in carica per gli affari correnti e per quelli urgenti; e quand'anche, su un atto "dovuto" (per obbligo di trattato €uropeo...), le Camere fossero state sciolte (il che non è), rimane sempre il loro obbligo di esercitare i loro poteri "correnti"fino alla riunione delle nuove Camere (art.61 Cost, cpv, quello "famoso" della prorogatio...ad infinitum); poteri tra i quali rientra senz'altro l'approvazione di una legge di bilancio già approvata alla Camera dei deputati, e con iter già incardinato al Senato stesso. 
Tra l'altro, anche a tal fine, risulta inoltre legittimamente esercitabile il potere di convocazione del Senato (e in genere delle Camere) spettante al PdR in base all'art.62 Cost. (dimissionario o meno che sia il governo).

4. Ma la "rassicurazione" (che dovrebbe derivare dall'approvazione della legge di stabilità e del bilancio) pare più essere in senso contrario, cioè dell'UE rispetto all'Italia: e proprio in seguito alle dimissioni del governo. Cioè, con l'accettazione momentanea, da parte dell'UE-M, di una manovra che sarebbe stata altrimenti "bocciata"!!! 
Rassicurazione, appunto, solo momentanea e in vista di una manovra aggiuntiva (di circa 15 miliardi) attesa da parte del nuovo governo (anticipando un pochino...troppo l'esito della crisi in corso): 
"Infatti, come ha precisato il presidente dell’Eurogruppo Jeroen Dijsselbloem, “vista la situazione politica, è impossibile chiedere al governo italiano di impegnarsi oggi per queste misure aggiuntive”.
Insomma, "l’Eurogruppo “prende nota del non rispetto ‘prima facie’ della regola del debito” e ricorda che la Commissione stenderà un nuovo rapporto ad hoc. L’Eurogruppo “monitorerà l’attuazione delle misure aggiuntive (chieste ad otto Paesi tra cui l’Italia) a marzo 2017“.
Entro marzo, quindi, una quindicina di ulteriori miliardi di entrate o di tagli di spesa, per l'€uropa, occorrerà trovarli. Sperando che bastino, perché nel frattempo viene a "maturazione" la questione della ricapitalizzazione bancaria (non solo di MPS...).

5. D'altra parte, l'€urogruppo è chiaro: la copertura, per il deficit strutturale e magari anche per l'intervento statale di ricapitalizzazione bancaria (ove mai autorizzato), va trovata con "entrate straordinarie" (windfall revenues), cioè essenzialmente quella "forte" tassazione patrimoniale (su conti correnti e immobili) che da tanto tempo l'€uropa indica come soluzione TINA. Altamente recessiva, nelle circostanze della provata economia italiana.
6. Ecco dunque, come si giustifica questa analisi Marco Zanni:

7. Ma il futuro che ci attende sarebbe quello di un governo "tecnico", con il ministro Padoan "favorito" (proprio in chiave rassicurazione €uropeista) o, al più istituzionale: ebbene, nulla è più politico, cioè operante mediante scelte niente affatto neutre e prive alternative tecnico-economiche, di un governo "tecnico" che attui le politiche fiscali ed economiche imposte dall'€uropa, assumendo cioè come prioritaria, su ogni altro obbligo e valore costituzionale, questa costante imposizione.
Solo che, come abbiamo visto, si tratta di una "diversa" politica: non quella rispondente a un (non pervenuto) indirizzo elettorale del popolo sovrano, - che pure qualche indicazione col referendum potrebbe averla data-, ma quella pedissequamente attuativa dell'indirizzo politico formatosi all'esterno di ogni espressione del voto, e fortemente caratterizzato da presupposti, obiettivi e strumenti estranei a quelli previsti da norme inderogabili della nostra (appena "confermata") Costituzione.

8. Stando così le cose, le istituzioni politiche italiane, nel loro complesso, si stanno indirizzando verso un ritorno ad una forte recessione, per via di correzione della manovra per il 2017 e per via della (ben) possibile copertura in pareggio di bilancio del salvataggio pubblico delle banche (da rivendere poi a "investitori esteri"!),  e con in più un paradosso particolarmente beffardo.
Se il pareggio di bilancio e la stessa Unione bancaria sono fortemente, se non decisamente, contrari ai principi non revisionabili della nostra Costituzione, il voto referendario, sebbene così imponente nel manifestare la volontà popolare di difendere la vigente Costituzione, minaccia di servire da presupposto per l'ennesimo "stato di eccezione" che celebri le "esequie frettolose di una Costituzione ancora viva".
Insomma, il referendum stante il quadro della legittimità costituzionale che esso intendeva ribadire, era proprio sull'€uropa: e a Bruxelles se ne sono accorti benissimo. 
Solo che, in tempi di totalitarismo ("irenico") ordoliberista, il "banco vince sempre".

ADDENDUM: poi se qualche "sognator€" più realista dell'imperatore germanico avesse qualche "ingenuo" dubbio:

A BERLINO SI PARLA DI TROIKA PER L'ITALIA

L'IPOTESI FRATTALICA E I RICCHI NEL GIORNO DEL GIUDIZIO. SECONDO GESU'

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1. Mi piacerebbe aggiornare l'ipotesi frattalica alla luce dei dati sia già acquisiti in questo blog, che di quelli ulteriormente ritrovati (anche se sono sempre stati sotto i nostri occhi): gli sviluppi politico-economici, nazionali e internazionali, che si stanno prospettando, infatti, se letti alla luce di un nuovo schema interpretativo frattalico, reso possibile da questo allargamento di "rationalia", validano in modo più preciso la stessa ipotesi frattalica.
Senza mai dimenticare che si tratta di un "divertimento", di un'idea tesa a esorcizzare il buio sempre più profondo in cui stiamo precipitando e a tenere viva una speranza consapevole di "liberazione"


1.1. Proverò a compiere questo lavoro di aggiornamento non appena troverò il tempo: intanto, a storici, e storici del diritto, come Flavio, Lorenzo e Francesco, o a ermeneuti fenomenologi come Bazaar, e, last but not least, alla "potenza di fuoco" filologica di Arturo, offro alcuni "pointers", per eventualmente preparare del loro materiale coordinabile: 
a) la marcia su Roma va identificata in relazione a eventi, appunto omotetici, che abbiano come antecedenti, in preciso rapporto cronologico, l'inizio e la fine della prima guerra mondiale (intendendo tale conflitto come il punto di maturazione avanzata del capitalismo protoglobalista e liberoscambista del gold standard, cosa che anche Einaudi condivideva; qui, p.4). 
b) La vera concretizzazione della rottura dell'ordinamento, rispetto alla (labile) legalità dello Statuto albertino, va riferita alla reintroduzione del vincolo monetario in senso concreto, cioè come decisione normativa, prodromica all'adesione all'euro; infatti, a mio parere (che pongo come base della discussione), l'effettiva disapplicazione extra-ordinem della Costituzione (mantenuta cioè solo formalmente in vita, come già accadde per lo Statuto albertino), va logicamente posta in relazione con questo evento;
c) finchè, sul piano istituzionale e normativo, si rimane in regime di cambi flessibili (dal settembre 1992 al settembre-ottobre del 1996, in linea di massima), la legalità costituzionale è solo minacciata pesantemente, dall'entrata in vigore di Maastricht (1° novembre 1993). Come già, dopo la fine della prima guerra mondiale, moti di piazza e azione delle squadre fasciste contrastavano l'affermarsi della democrazia parlamentare pluriclasse, in astratto raggiunta con il suffragio universale e la tolleranza verso un variegato mondo sindacale.
Non vado oltre, perché in questa ricalibratura mi sono reso conto che la quantità di fonti che occorre esaminare è molto vasta e soggetta ad interpretazioni ancora storiograficamente molto differenziate.

1.2. Sta di fatto che, pur non volendo essere precisi fino alla pignoleria, è possibile rideterminare la data di inizio del regime di effettivo smantellamento della democrazia costituzionale, (in forma esplicitamente dichiarata come "irreversibile"), in epoca ragionevolmente posteriore a quella dapprima ipotizzata (e già ricorretta, ma sempre in base a un'interpretazione che, ahimè, devo confessare essersi rivelata incompleta, nel considerare cause ed effetti costitutivi dei fenomeni da considerare frattalicamente).

2. Svolta questa premessa metodologica e storico-ricostruttiva, ai fini di una possibile discussione, vi propongo, invece, le parole di Gesù Cristo, riportate nel libro di Robert Graves, "Io, Gesù" (1946, riedito da Longanesi nel 2015, Pagg.383 e ss.), frutto di una ricostruzione filologica delle fonti dei vangeli apocrifi e delle varie versioni degli atti degli apostoli, cui l'autore aveva dedicato una vita di studio (presso l'Università di Oxford):
"Gli anziani della sinagoga di Cafarnao appresero con stupore che Gesù era amico dei pubblicani...[ndr; e gli muovono una serie di gravi contestazioni morali alla luce dell'applicazione della Legge, così come da essi interpretata sulla base delle Scritture e della tradizione del tempo. Notare: la stessa terminologia, "Legge", che oggi si identifica, sulla base della teologia nata dal pensiero hayekiano, nella "predicazione" dell'ordine sovranazionale del mercato, abbracciata dai trattati €uropei e dal globalismo finanziario del diritto internazionale privatizzato. A queste contestazioni Gesù così replica]:
"La Legge, per quanto santa e giusta, è divenuta un intralcio per il povero. Siete voi, ricchi, i peccatori che hanno indotto questi poveri figli a disperare della salvezza, scansandoli come creature impure e rifiutando loro l'accesso alla sinagoga. E' stata la vostra ricchezza a indurvi in peccato, perché la ricchezza genera l'ozio, e l'ozio genera una cattiva coscienza, e una cattiva coscienza genera un eccesso di scrupolosità nell'osservanza della Legge, e l'eccesso di scrupolosità nell'osservanza della Legge genera presunzione. e la presunzione inaridisce le sorgenti del cuore. Di conseguenza, se nel testamento di Mosé sta scritto: "Essi toccheranno ciò che è impuro", il significato è "Il ricco ozioso preme il tallone sul collo del povero e lo costringe a mangiare ciò che è impuro, e in tal modo si contamina". Il Giorno del Giudizio sarete tenuti a rispondere dei vostri peccati e li pagherete a caro prezzo..."
"...alla morte di Hillel (ndr; grande dotto la cui predicazione aveva di poco preceduto quella di Gesù) così come alla morte di Aronne (ndr; fratello di Mosè e ritenuto il primo sommo sacerdote del popolo ebraico. La Chiesa cattolica lo considera santo e lo commemora il 1° luglio), non solo gli uomini ma anche le donne e i bambini hanno pianto. Onorando la sua memoria vi dico: vendete le vostre redditizie proprietà, mercanti, distribuite il ricavato ai poveri, tornate alle barche e alle reti che stoltamente avete abbandonato, e mentre faticherete sulle acque del lago, neppure allora scordate il vostro dovere verso il prossimo!...Il dotto Shammai, istruito da Simeone figlio di Shetach, ha detto: "Amate il lavoro e detestate i beni terreni"..."
2.1. Fenomenologicamente non fa una grinza: oggi più che mai. 
Gesù non appare essere né mite e moderato, riguardo a questo argomento centrale del suo Verbo, nè "diplomaticamente" incline a compromessi.
E sono parole esplicite e implacabili che non lasciano spazio a interpretazioni generiche e a compromessi dialettici, cioè amando i poveri "a distanza" e frequentando entusiasticamente i ricchi. E i potenti, perché ricchi. Come già Papa Woytila
Predicare il "pauperismo" solo per i già poveri, o per gli impoveriti affinché si rassegnino, esaltando il moralismo della Legge dei ricchi, è esattamente quell'eccesso di scrupolo nell'esaltazione della Legge (dei ricchi) che stigmatizzava Gesù.

REVISIONE FRATTALICA: LA PRESA DEL POTER€ DA PARTE DEL PUD€ E QUEL CHE NE DERIVA. NEL 2017 (it's just fun)

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https://aramcheck.files.wordpress.com/2016/06/senza-titolo.png?w=590&h=446

1. L'intervista a Prodi di cui è sopra riportata un'estrapolazione ritenuta significativa, recita, più estesamente: "La disonestà pubblica peggiora le cose, ma la radice è la diseguaglianza. Ci siamo illusi che la gente si rassegnasse a un welfare smontato a piccole dosi, un ticket in più, un asilo in meno, una coda più lunga... Ma alla fine la mancanza di tutela nel bisogno scatena un fortissimo senso di ingiustizia e paura che porta verso forze capaci di predicare un generico cambiamento radicale"
E poi:
Una politica uniformata fa nascere i populismi?
"No, lo fa una politica uniformata quando occupa tutto il campo, ma non sa dare soluzioni. Allora la rabbia della gente crea un altro campo. Se il voto diventa liquido, è per questo. Quando tu vedi che solo il centro storico delle città è rimasto ai partiti della sinistra... Vogliamo chiederci perché Trump è odiato a Wall Street e osannato dai metalmeccanici del Michigan? È un leader più europeo di quel che pensiamo, non è semplicemente reazionario ma tocca, certo in modo sbagliato, le paure reali del ceto medo".
Quindi..."Un problema di questa classe politica di governo?
"Non si tratta di cambiare i politici ma di cambiare politiche. Cambiare i politici è condizione necessaria ma non sufficiente".
Be', i politici di governo li abbiamo cambiati da poco.
"Se non cambi le politiche, il politico cambiato invecchia anche in un paio d'anni... C'è sempre un'usura, e corre veloce. La mancanza di risposte efficaci logora. E al momento si sente la mancanza di risposte che affrontino il problema delle paure e delle cause reali delle paure".
2. Inutile dire che ne emerge una consapevolezza ben superiore di quella dell'intervistatore, che tradisce la sua immutabile visione mainstream (e neppure aggiusta le domande preparate una volta che Prodi lo "spiazza", rispondendo diversamente da quel che il giornalista continua a dare per scontato). 
In fondo, Prodi, commentando gli esiti delle amministrative di giugno 2016, stava dando un avvertimento che, sul successivo referendum costituzionale, è rimasto inascoltato.
La cosa più grave, però, è che, oggi, nonostante il risultato del referendum, - che definire inaspettato o "clamoroso"è segno di miopia ormai imperdonabile-, la reazione istituzionale alla crisi di governo derivatane, risulta improntata allo stesso ostinato atteggiamento di rimozione delle cause del disagio sociale indicate da Prodi.

3. Noi sappiamo molto bene che gli "indicatori macroeconomici" italiani che partono dall'asservimento al "vincolo esterno" e cioè dall'inizio della cessione - e non mera "limitazione"- della sovranità, risultano avere un forte ed inevitabile impatto socio-politico, cosa che la Corte costituzionale si ostina a ignorare da decenni: dunque, proprio questi indicatori individuano nell'adesione alla "costruzione europea" e, specialmente, alla moneta unica, la effettiva radice di queste cause di disagio sociale montante.

Ma la pragmatica indicazione di Prodi sulla perdita di credibilità e di consenso che investe ogni possibile classe politica finchè, come sottolinea, permangano "queste politiche", - cioè il "Ci siamo illusi che la gente si rassegnasse a un welfare smontato a piccole dosi"-, manca di un'indicazione relativa all'assunzione di responsabilità sul "chi" e "perché" si è illuso.

4. Eppure non sarebbe difficile, per lui, indicare l'origine e la volontà che ha portato a questa situazione.
Gli antecedenti diretti della sua (tardiva) presa di distanza sono ben chiari:

https://pbs.twimg.com/media/Cl5QMqTWYAEByln.jpg
http://www.sinistrainrete.info/images/stories/stories2/bzfpmoocyaez-gt.jpg-large.jpeg
5. E non sono antecedenti dagli esiti sorprendenti: perché gli effetti oggi esattamente ottenuti, e che porterebbero a questo dissenso dalla classe politica €uropeista, sono programmatici e specificamente caratterizzanti il federalismo europeo (come ci conferma Streeck).
D'altra parte, ridotto nella sua estrema sintesi, il meccanismo era stato enunciato dal più €uropeista dei politici italiani: Einaudi (La politica di armonizzare, uguagliare, compensare è (p. 208): quanto mai pericolosa... Lo sviluppo tendenzialmente inflazionistico in alcuni paesi (con rigidi corsi dei cambi!) è da riferire, non da ultimo, anche alla concessione di prestazioni sociali superiori alle possibilità di rendimento dell’economia nazionale...).

6. Lo smontaggio del welfare a piccole dosi, dunque, era uno strumento politico-economico considerato indispensabile. 
Tutto si incentra sulla politica di taglio della spesa pubblica (v.p.9.1), in particolare del welfare, reclamata a gran voce dalla grancassa mediatica italiana anche e proprio subito dopo l'esito del referendum (!):
a) una volta instaurato un vincolo di cambio (o, ancor più intensamente, avendo aderito a una "moneta unica") viene meno progressivamente, e in modo crescente, il sostegno pubblico alla domanda interna, cioè al reddito e, di conseguenza, al livello di occupazione;
b) la compressione, ovverosia il taglio nominale, o quantomeno reale (cioè al netto dell'inflazione), della spesa pubblica è essenzialmente rivolto ad abbassare l'inflazione e a rendere più competitiva l'economia sui mercati esteri, SUL PRESUPPOSTO che chi svolge questa politica sa che l'inflazione diminuisce a causa dell'aumento della disoccupazione e quindi della diminuzione dei salari. Chi cerca lavoro, in accesso sul relativo mercato o perché disoccupato, è disposto a lavorare per "meno", sempre meno, se molti altri, e sempre di più, sono nella sua stessa condizione: e questi molti altri, per accelerare l'intero processo, possono opportunamente essere...importati

7. E tutto questo ci riporta all'ipotesi frattalica.
Nel precedente post ho proposto alcune indicazioni su come rideterminare il punto di partenza della questione nel parallelismo o ricorrenza omotetica con l'inizio del fascismo, cioè con la Marcia su Roma: "La vera concretizzazione della rottura dell'ordinamento, rispetto all'analogia con la (labile) legalità dello Statuto albertino, va riferita alla reintroduzione del vincolo monetario in senso concreto, cioè come decisione normativa, prodromica all'adesione all'euro; infatti, a mio parere (che pongo come base della discussione), l'effettiva disapplicazione extra-ordinem della Costituzione (mantenuta cioè solo formalmente in vita, come già accadde per lo Statuto albertino), va logicamente posta in relazione con questo evento". 

7.1. Prospettata la la questione in questi termini, ho rinvenuto una testimonianza irresistibile, confessoria come solo può esserla quella di un insider fiero di esserlo:   
"Questa era la situazione quando, nel settembre 1996, il nuovo governo annunciò la decisione dell'Italia di partecipare all'Unione monetaria fin dall'inizio: sorpresa, stupore, incredulità, scetticismo e preoccupazione furono le reazioni a questa notizia, infatti l'Italia era vista come un rischio per l'Unione, come un pericolo, piuttosto che come un'opportunità

La decisione di tentare il tutto per tutto fu presa alla fine di settembre in una riunione a Palazzo Chigi cui parteciparono, oltre a Prodi, il vice Presidente del Consiglio, Veltroni, il sottosegretario alla Presidenza, Micheli, e i ministri economici Treu, Ciampi e Visco. L'incontro fu breve e non ci fu nessun disaccordo, del resto l'unico che poteva dissentire ero io stesso
E infatti, dopo aver scartato la possibilità di un sostanziale taglio della spesa pubblica per ragioni sia politiche che temporali, e aver preso atto della possibilità di intervenire con non meglio specificate misure di tesoreria", l'unica alternativa realistica che restava era un aumento delle tasse, e questo era compito mio
Il "lavoro sporco" che doveva essere fatto per entrare in Europa fu così interamente consegnato a me.Personalmente non mi resi neanche conto che in caso di fallimento, sarei stato il primo e l'unico a pagare. Tornai al ministero, convocai una riunione dei miei collaboratori e li informai delle decisioni prese: tutti reagirono con un silenzio carico di preoccupazione, ma al tempo stesso con assoluta determinazione, che era una conferma della forza unificante che aveva l'obiettivo europeo e del suo essere condiviso senza riserve da parte del Governoe della coalizione di maggioranza..."
  
8. Vediamo di rinvenire un precedente specifico di tipo frattalico. La "Marcia" ebbe luogo com'è noto il 28 ottobre 1922 ma fu lungamente preparata, con una prova generale ad Ancona e la famosa riunione della camicie nere di Napoli.
L'8 (!) ottobre 1996, la Repubblica fa trapelare che 
"Pronti a rientrare nello Sme. Secondo informazioni non ufficiali Prodi avrebbe deciso di passare ai fatti. Avrebbe cioè dato incarico ai funzionari del Tesoro di avviare le consultazioni e, soprattutto, gli studi sul livello che deve avere la lira per rientrare nell' accordo di cambio europeo, abbandonato quattro anni fa..."
L'ufficializzazione del rientro nello SME, è del 30 novembre 1996.
Berlusconi dichiara  di averne già sentito parlare e di considerarla una buona notizia: solo che il problema è "restarci in €uropa". L'identificazione UE= euro ha già preso il sopravvento nello spin mediatico che viene propinato agli italiani. Nessuno si rende conto a cosa si possa realmente andare incontro, ma la cosa viene accettata come un meritorio atto di governo.
Inizia il "balletto" del cambio di parità sul marco: "L'Unità" ipotizza a 1010 £, Confindustria punta a 1050 £ (giustamente), la City a quota 1000, la Francia "stranamente" a 950 (per quelli che non avessero capito 'sta faccenda, a tutt'oggi, credo non ci sia più nulla da fare). Ma Ciampi chiude ogni discussione

Basta con i sospetti, i dubbi, le in-terpretazioni capziose, le guerre guerreggiate à la Bundesbank. L’Ita-lia, ha detto Ciampi, intende essere tra i fondatori della moneta unica europea rispettando i parametri di Maastricht «senza vie traverse, senza aggirarne le condizioni.
Da notare che una timida resistenza, totalmente al di fuori del richiamo a principi costituzionali, anzi basata sul suo opposto teorico-economico, nella precedente discussione del 27 novembre (su una mera interrogazione parlamentare), la imbastisce l'on Marzano:  lamenta che il cambio fissato a £ 990 risultasse penalizzante e che il governo si era impegnato a concordare 1020. Ma, al tempo stesso, ritiene comunque l'adesione (ndr; allo Sme e quindi all'euro) non mantenibile perché non abbiamo proceduto al previo taglio "strutturale"della spesa pubblica e saremmo stati "in ritardo" nel "processo delle privatizzazioni"...

9. Anche il 25 novembre 1922, allorché Mussolini ricevette i pieni poteri con voto della Camera (!), la classe politica e la stessa base popolare italiana non realizzano la piena portata dell'evento: cioè, nessuno si preoccupa veramente di prevedere gli ulteriori esiti della situazione politica, nel momento in cui viene ufficializzato il passaggio ad una forma di governo che non si cura più di rispettare la sostanza (elettivo-parlamentare dell'investitura del presidente del consiglio) dell'ordinamento "costituzionale" albertino, lasciandone in piedi solo le forme (l'incarico del Re e la compartecipazione di altri partiti al primo governo Mussolini), con qualche aggiunta (il "formale" Gran Consiglio, che non fu destinato, poi, ad assumere effettive decisioni, tranne l'ordine del giorno Grandi nela fatidica conclusione del 25 luglio  1943).
Ci ragguaglia la stessa fonte appena citata: "Nel dibattito parlamentare che dieci giorni prima si era concluso con la concessione della fiducia al governo formato da Mussolini, si erano levate voci autorevoli di consenso, nonostante il capo del fascismo avesse pronunciato un discorso spavaldo e oltraggioso: 
«Potevo», disse in quell’occasione, «fare di quest’aula sorda e grigia un bivacco di manipoli. Potevo sprangare il parlamento e costituire un governo esclusivamente di fascisti. Potevo: ma non ho, almeno in questo primo tempo, voluto». 
Avevano ottenuto incarichi di governo due popolari (Cavazzoni e Tangorra, Giovanni Gronchi ebbe un posto da sottosegretario), due giolittiani (Carnazza e Teofilo Rossi), un nazionalista (Federzoni), due alti ufficiali (il generale Armando Diaz e il duca del Mare Paolo Thaon de Revel), un democratico sociale (Colonna di Cesarò) e un filosofo considerato a quei tempi indipendente (Giovanni Gentile).  
Giovanni Giolitti disse che quel governo poteva ristabilire la pace sociale.
 Giovanni Amendola espresse il parere che l’opera del governo dovesse essere assecondata per restaurare l’ordine. 
Francesco Saverio Nitti auspicò che i fascisti si rivelassero in grado di rendere un servizio al Paese. 
Anna Kuliscioff invitò tutti, per agevolare il «ritorno graduale alla vita normale», a non molestare il governo «con punzecchiature inutili».

10. Assunta questa ricostruzione sul piano fenomenologico, - cioè quel che conta è la segnalata essenza del rapporto tra un certo evento politico, i suoi riflessi sulla "effettività" della legalità costituzionale "sostanziale" e la mancata resistenza "socio-politica" all'evento stesso-, le date sono dotate di un elevato grado di ricorrenza frattalica oltre che, appunto, di significatività fenomenologica.
A questo punto, rifissato il "dies a quo", quel che ci interessa maggiormente, è la scadenza del termine: se dobbiamo computare a partire da un periodo che si svolge lungo il fine settembre-fine novembre del 1996 il periodo frattalico corrispondente alla durata del fascismo, ci si ritrova ad avere un'identica scadenza tra il luglio (il Gran Consiglio che si risveglia e vota l'o.d.g. Grandi) e il settembre del 2017 (collocazione temporale dell'Armistizio e del "la guerra continua"...).
E teniamo conto che i componenti delle camere maturano il vitalizio conseguente al primo mandato legato a questa legislatura il 15 settembre 2017.

10.1. Circa il fondamentalissimo "fattore esogeno" (nella prima situazione storica: lo sbarco in Sicilia e il bombardamento di Roma), ne abbiamo già segnalano uno particolarmente frattalico:  l'elezione di Trump, avvenuta l'8 novembre 2016. Ed infatti:
Rammento che, guarda il caso della Storia, "L'8 NOVEMBRE 1942 ebbe inizio l'operazione Torch, lo sbarco in Algeria e Marocco".
Poi:
"Alla fine del 1942 Churchill e Roosevelt decisero di incontrarsi nuovamente, stavolta a Casablanca, con l'obiettivo di pianificare la strategia globale nei mesi a venire[12]. Fin da subito si palesarono le divergenze di opinioni tra i due stati maggiori americano e britannico...
...Il generale Marshall non poté non riconoscere che un attacco in Sicilia - assai meglio che in Sardegna - avrebbe comportato due evidenti vantaggi: impegnare a fondo per la difesa dell'isola le numerose forze dell'Asse e, conquistandola, rendere più navigabile il Mediterraneo velocizzando le comunicazioni navali tra il Pacifico e l'Atlantico. Il 22 gennaio 1943, nella riunione conclusiva, si decise che a partire dal mese di giugno era autorizzata l'invasione anfibia della Sicilia".
Attuata poi, com'è noto, il successivo 10 luglio 1943.
Nel frattempo, mentre si aggrediva il nord-Africa, anche la battaglia di Stalingrado volgeva verso un ribaltamento contrario agli invasori tedeschi: fino alla resa della 6a armata tedesca il 2 febbraio 1943.
...
Ma a parte queste giocose similitudini, (frattaliche), è chiaro che Trump non sarà in una immediata posizione di realizzare il suo programma (ammesso che abbia le idee chiare), senza "trattative" con l'establishment bipartisan".

11. Insomma, trasposto tutto questo materiale sul piano, suo proprio, della sovranità monetaria e fiscale e del loro essere contenuti essenziali della sovranità popolare costituzionale tout-court, la situazione extra-ordinem che oggi viviamo in nome dell'€uropa, potrebbe subire notevoli scossoni nei prossimi mesi: tra bail-in, ESM, default bancari sempre più probabili, tentativi di aggirare queste pesanti ipoteche su qualsiasi speranza di ritorno alla crescita, manovrone aggiuntive imposte dall'€uropa e loro inevitabili effetti recessivi, e, soprattutto, malcontento popolare crescente che spingerà per arrivare finalmente a un voto...
La logica (di preservazione della democrazia sovrana e del relativo benessere del popolo italiano), almeno, lo farebbe pensare: quanto può reggere una linea politica all'evidenza del suo crescente fallimento?
Ma la realtà, e lo sappiamo fin troppo bene, è in genere un'altra cosa.
Questo è solo un divertimento...

[Ma intanto...FLASH! LA BCE AVREBBE RESPINTO LA RICHIESTA DI MPS DI CONCEDERE PIÙ TEMPO PER L'AUMENTO DI CAPITALE - SIENA AVEVA CHIESTO 20 GIORNI IN PIÙ VISTO IL MUTATO CONTESTO PER L'ESITO DEL REFERENDUM]

L'INVESTITURA. LA CONTINUITA'. IL DECRETO

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"...bisogna impedire qualunque interpretazione che un giorno possa far pensare a sovranità trasferite o comunque delegate. Ecco perché al termine «appartiene», come pure al termine «emana», preferisco il termine «risiede».
Gli organi attraverso i quali la sovranità e i poteri si esercitano nella vita di un popolo, sono organi i quali agiscono in nome del popolo, ma che non hanno la sovranità, perché questa deve restare al popolo. Ecco perché è preferibile il termine «risiede» in confronto a quello di «appartiene».
Quell'«emana», originario, dà il senso di una sovranità che si può trasferire agli organi i quali la esercitano; quell'«appartiene» dà un senso di proprietà; mentre il termine «risiede» consolida il possesso; non la proprietà. Il popolo, cioè, rimane possessore di questa che è la suprema potestà democratica.
Può sembrare una sottigliezza, ma sottigliezza non è. La verità è un'altra. Esistono fra gli uomini due categorie di persone di fronte ai problemi costituzionali: quelli che credono nelle Costituzioni e quelli che non credono nelle Costituzioni
Per quelli che non credono nelle Costituzioni, cioè che pensano che il giorno che avessero la maggioranza farebbero quello che vogliono, un'affermazione di principio può sembrare una sfumatura, e non ha importanza; ma per coloro che, come me, credono profondamente nelle Costituzioni e nelle leggi, ogni parola ha il suo peso e la sua importanza per il legislatore di domani.
Noi ci dobbiamo preoccupare del documento che facciamo, guardando verso l'avvenire, cioè dando norme sicure ai legislatori di domani, in modo che la volontà di oggi non possa essere violata per improprietà di linguaggio, voluta o non voluta che sia." 
(Dai lavori dell'Assemblea Costituente: intervento dell'on.Lucifero nella seduta del 22 marzo 1947)

1. Nell'evidenziare la sua perplessità su quello che definisce "il trenino di Pisapia", Stefano Fassina, sull'Huffington Post, fa un rapido (e nitido) riassunto della linea politica rivendicata dal presidente del consiglio dimissionario, indicando come ogni ripensamento o critica di tale linea sia assolutamente escluso in partenza da parte della c.d. "sinistra" coinvolta in qualsiasi livello di governo:
"È stato, per autonoma determinazione, proprio il Pd a volere e a rivendicare orgogliosamente, anche domenica notte nel discorso del commiato del presidente del Consiglio: il Jobs Act e la cosiddetta "buona scuola"; la legge per le trivelle facili e l'assoggettamento del sistema radio-televisivo pubblico all'esecutivo; una politica economica neo-liberista, mix spregiudicato di misure supply side per le imprese e laurismo prima di ogni passaggio elettorale; l'eliminazione della Tasi per tutti; il condono fiscale nell'intervento demagogico su Equitalia; i tagli espliciti e mascherati alla Sanità pubblica; l'esaltazione del Ceta e del Ttip". 

2. L'attuale incarico per la formazione di un nuovo governo, pare obiettivamente intervenire a confermare questa analisi; svolta da Fassina ma non solo: se non altro, nell'ambito della sinistra di governo, era stata, ancor prima, compiuta anche da Prodi, in occasione della sconfitta alle elezioni amministrative, come abbiamo visto nel precedente post ("Ci siamo illusi che la gente si rassegnasse a un welfare smontato a piccole dosi, un ticket in più, un asilo in meno, una coda più lunga...Se non cambi le politiche, il politico cambiato invecchia anche in un paio d'anni...").

L'attuale incarico, constatata l'indisponibilità delle varie forze parlamentari ad un governo di vasta coalizione, infatti, si appunta su un esponente del precedente governo che esprime una precisa connotazione: quella di una forte continuità con la linea del governo dimissionario, e, anzi, un'inclinazione ancora più marcata all'€uropeismo inteso come cessione di sovranità (che la Costituzione dice appartenere al popolo e che non può essere delegata, e tantomeno ceduta, da coloro che ricavano la loro legittimazione dal voto popolare e che, comunque, esercitano le loro funzioni avendo giurato di rispettarla).
3. Le ragioni che conducono alla nascita di questo nuovo governo e a questo (re)incarico sono state esplicitamente indicate dal Capo dello Stato nella sua dichiarazione finale al termine delle consultazioni e risultano sostanzialmente due:
a) quella principale, che peraltro emerge solo al termine delle consultazioni stesse, e che oggettivamente prescinde dall'attribuire ogni rilevanza alla volontà popolare espressa a larga maggioranza nel referendum, che non viene neppure menzionato: "Il nostro Paese ha bisogno in tempi brevi di un governo nella pienezza delle sue funzioni. Vi sono di fronte a noi adempimenti, impegni, scadenze che vanno affrontati e rispettati. Si tratta di adempimenti e scadenze interni, europee e internazionale"
b) quella già espressa in "prima battuta" e che, nel corso dell'evoluzione della crisi, diviene solo "concomitante" e, per il suo contenuto, anche secondaria, visto che l'investitura ritenuta legittima in base al punto a) è estremamente estesa: "armonizzare le leggi elettorali prima del voto".

Sommando queste due ragioni di "investitura", è agevole ricavare che non sarà solo il varo di una legge elettorale "armonizzata" la mission di questo governo, ben potendo gli "impegni europei" giustificare la sua permanenza fino alla scadenza della legislatura.
Rammentiamo infatti che (pp.2.1-3)la presente situazione di redde rationem bancario, che può diventare l'epicentro di una crisi finanziaria mondiale, si sarebbe egualmente manifestata in ogni suo elemento: anzi, probabilmente anche prima, perché, in assenza di una scadenza referendaria in cui il governo "deve" sostenere col consenso la propria proposta,  si sarebbe giunti più rapidamente a chiarire che, per MPS, così come per le altre situazioni di bilancio di altri istituti bancari italiani, la situazione non è risolvibile dal "mercato" e che si arriverà al sacrificio degli obbligazionisti, (gli azionisti hanno visto e vedranno praticamente azzerati i loro valori), e, successivamente, dei depositanti. 
Con, inoltre, il passaggio del controllo del sistema bancario nazionale in mano a "investitori esteri", a prezzi stracciati, accompagnato dall'espropriazione accelerata del patrimonio immobiliare delle famiglie e degli assets aziendali delle imprese strozzate dal credit crunch e dall'austerità fiscal€".

4. Aggiungiamo che, nel pieno di questa continuità, che fa leva sugli "adempimenti, impegni e scadenze" in chiave €uropea, e nonostante la crisi di governo, sarebbe stato già approntato un decreto che dovrebbe porre a carico dello Stato l'onere della ricapitalizzazione di MPS, dopo l'evidente fallimento della "soluzione di mercato" (cosa che non impedisce a JP.Morgan di richiedere 450 milioni di "commissioni" per i suoi servigi, in relazione all'avvenuta conversione volontaria dei bond in azioni). Tale decreto, però, riguarderà tutto il fronte dei problemi bancari che il governo uscente avrebbe dovuto comunque affrontare: 
-  sulla questione MPS: "La via tecnica ora allo studio di governo e management senese, [è] la "ricapitalizzazione precauzionale"(per 5 miliardi complessivi) nell'ambito della direttiva europea sul bail-in: lo Stato subentra al consorzio di garanzia; si passa attraverso l'azzeramento dei bond subordinati, con l'obiettivo di offrire il ristoro alla clientela retail esposta, come detto, per circa 2 miliardi"(tali "subordinate" risultano peraltro emesse per un valore di oltre 3,176 miliardi);
- sulle banche popolari e la loro trasformazione in ordinarie Spa: "L'intervento normativo allo studio del governo dovrebbe puntare dunque a dare una base giuridica solida per salvaguardare le banche che già hanno compiuto il processo. Per il futuro, però, non è escluso che si torni ad alzare l'asticella oltre la quale scatta l'obbligo di trasformazione: dagli attuali 8 miliardi di attivi, arrivare a 30 miliardi"
- vantaggi fiscali per gli istituti bancari: "si sommano altre norme volute sia dalle banche che dal Tesoro, che garantirebbero vantaggi fiscali agli istituti. Il capitolo più atteso riguarda le nuove risorse necessarie al Fondo di risoluzione, dal quale sono arrivate le risorse per la risoluzione - datata novembre 2015 - delle quattro banche (Etruria & co.). Il salvataggio - con la pulizia dei loro crediti deteriorati - non ha ancora permesso di concludere il percorso di vendita e così la dote gravosa è la difficoltà di recuperare gli 1,6 miliardi che devono esser rimborsati a Intesa, Unicredit e Ubi (proprio quest'ultima dovrebbe acquisire tre delle quattro banche, con l'eccezione di Cariferrara). Le risorse supplemetari dovrebbero esser ammortizzate dalle banche che vi contribuiscono in più anni (cinque), gravando meno sul bilancio".

5. A questo quadro sono da aggiungere alcune fondamentali osservazioni:
5.1) la prima è che tale decreto-legge, solo perché tale, dovrà quantificare e indicare i mezzi di copertura della spesa pubblica e degli sgravi fiscali che esso comporta. Va rilevato che il suo contenuto pare essere già noto al Sole24ore il 6 dicembre scorso: esso, dunque, non può che essere ascrivibile al governo dimissionario, ma risulta prioritario per il nuovo governo per l'agire di quella "indifferenza" all'indirizzo politico espresso dal processo elettorale che caratterizza gli "impegni" derivanti dall'adesione all'UEM;

5.2) la seconda è che l'insostenibilità dei bilanci bancari deriva dalle politiche di bilancio imposte dall'adesione dell'Italia alla moneta unica, culminate nel fiscal compact e nella conseguente revisione costituzionale dell'art.81, con l'inserimento in Costituzione del pareggio di bilancio, nonché dall'incessante effetto depressivo che provocano le altrettanto incessanti riforme strutturali imposte dall'€uropa (come ormai sostiene apertamente Stiglitz). 
Non può sottacersi che, seppure il "crack" di MPS affonda le sue radici nella vicenda dell'acquisto di Antoveneta dal Banco Santander, - provocando forti dubbi sia sull'autorizzazione rilasciata che sulla vigilanza esercitata da Bankitalia sulle operazioni che ne conseguirono, in particolare sulle "ricoperture in derivati"-, è l'Unione bancaria ad attualizzare i problemi generali e specifici dell'intero sistema bancario italiano.
L'inevitabile addossare il costo di questi "impegni" presi con l'€uropa alle tasche di tutti gli italiani, è in fondo, null'altro che un altro "impegno" preso con la stessa fonte di "sovranità" (ceduta), senza che il popolo italiano ne abbia ricavato alcun vantaggio oggettivamente comprovabile;

5.3) la terza è che "l'€uropa "unita e democratica" a cui continuare a cedere la sovranità popolare, non corrisponde per definizione alla lettera e alla ratio delle norme fondamentali dei trattati che escludono, con clausole caratterizzanti e irrinunciabili, (anzi, costituenti base essenziale dell'adesione tedesca ai trattati stessi), ogni forma di solidarietà fiscale tra Stati-membri e ogni possibilità di istituire un governo federale che disponga di poteri di intervento perequativo degli squilibri inevitabili interni all'eurozona;

5.4) anzi, su questa evidente REALTA' normativa dei trattati (che si vogliono anteporre alla Costituzione italiana, appena "confermata" nella sua cogenza suprema dal risultato del referendum), l'Unione europeaè perfettamente cosciente che gli "Stati Uniti d'€uropa"sono irrealizzabili (v.pp.2-3) per volontà della Germania e ne prende atto, sottolineando la grande influenza che esercitano le prese di posizione della Corte costituzionale tedesca su tutti gli altri Stati dell'Unione:
"La corte spiega in modo minuzioso che lo Staatenverbundè un'associazione di Stati nazionali sovrani e poi descrive nei minimi dettagli le condizioni che consentono a uno Stato di mantenere la propria sovranità. Particolare interesse ha destato negli osservatori un elenco di diritti statali inalienabili che non potranno mai essere trasferiti al processo legislativo europeo se l'identità costituzionale e la sovranità degli Stati membri deve essere preservata.
Secondo Schönberger, si tratta soltanto di un'elencazione di pura convenienza politica (la corte vi cita pressoché la totalità dei settori in cui la competenza degli Stati membri è tuttora esclusiva o quantomeno prevalente) e non di un'interpretazione costituzionale fondata su principi. Altri autori concordano nel giudicarla una semplice raccolta e un elemento di tutela dei restanti poteri nazionali.
In alcuni passaggi la sentenza si dilunga anche sull'importanza della democrazia quale elemento costitutivo della sovranità di uno Stato membro, nella fattispecie della Germania.
 
È in questi paragrafi che la CCF ravvisa persinol'incapacità strutturale del Parlamento europeo (PE) di potere un giorno divenire una fonte di legittimità democratica diretta. Il motivoprincipale di tale impossibilità, secondo la corte, risiede nelle fortissime differenze d'impatto elettorale dei cittadini, da Stato membro a Stato membro, un aspetto che viene identificato come una violazione inaccettabile del principio di uguaglianza elettorale, per di più riconducibile al meccanismo di assegnazione dei seggi del PE in base alle quote nazionali.

Infine in questa sentenza, contrariamente a quanto accaduto in quella di Maastricht, la corte si è sentita in dovere di trattare minuziosamente il tema del divieto imposto dalla Legge fondamentale alla Repubblica federale di Germania di aderire a un eventuale Stato federale europeo.Questo tipo di decisione spetta, infatti, solo al potere costituente, ossia il popolo. I giudici sono tuttavia attenti a non porre il referendum come condizione, limitandosi invece ad accennare alle prerogative del potere costituente; rimangono dunque concepibili altri mezzi d'espressione della volontà di tale potere, anche ispirati alle origini della Legge fondamentale (che fu elaborata da una convenzione costituzionale sull'isola di Herrenchiemsee)".

NELL'INTERESSE ESCLUSIVO DELLA NAZIONE

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Questo post si compone solo di questo estratto dal sito di governo.it sotto linkato (il brano avrebbe dovuto essere collazionato più accuratamente...."in modo particolare"). Mi sono limitato ad aggiungere l'evidenziatura in giallo.

Il giuramento e la fiducia

Prima di assumere le funzioni, il Presidente del Consiglio e i Ministri devono prestare giuramento secondo la formula rituale indicata dall'art. 1, comma 3, della legge n. 400/88. Il giuramento rappresenta l'espressione del dovere di fedeltà che incombe in modo particolare su tutti i cittadini ed, in modo particolare, su coloro che svolgono funzioni pubbliche fondamentali (in base all'art. 54 della Costituzione). Entro dieci giorni dal decreto di nomina, il Governo è tenuto a presentarsi davanti a ciascuna Camera per ottenere il voto di fiducia, voto che deve essere motivato dai gruppi parlamentari ed avvenire per appello nominale, al fine di impegnare direttamente i parlamentari nella responsabilità di tale concessione di fronte all'elettorato. E' bene precisare che il Presidente del Consiglio e i Ministri assumono le loro responsabilità sin dal giuramento e, quindi, prima della fiducia.

Formula rituale

"Giuro di essere fedele alla Repubblica, di osservarne lealmente la Costituzione e le leggi e di esercitare le mie funzioni nell'interesse esclusivo della nazione"

L'€UROPA DEI NETWORK TECNOCRATICI TRANSNAZIONALI. LA MITOLOGIA DELLA PUREZZA ORIGINALE: STERILIZZARE I PARLAMENTI NAZIONALI (1)

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Vi propongo uno studio di Arturo che, mai come in questo momento, ha una forza chiarificatrice decisiva. 
Quello che ne emerge - come complemento e approfondimento del discorso svolto ne "La Costituzione nella palude"- è un punto sul quale non vi dovrebbero essere più incertezze, se si vuole, prima, capire e, poi, risolvere l'inesauribile crisi economica italiana, che sta minando irreversibilmente la democrazia della Repubblica fondata sul lavoro.
E il punto è che, diversamente da quanto implicano gli amici Giacchè e Cesaratto (con diverse sfumature), non c'è, - e non c'è mai potuto essere-, un "europeismo" diverso dall'Unione europea; cioè, diverso da un "internazionalismo dei mercati", liberoscambista, che non sia legato ad una rigida pianificazione della rivincita del capitale sul lavoro. In nome di una pace ab orgine contraddittoriamente brandita, ma solo, e sempre, "contro" gli scenari naturali della democrazia (come persino Togliatti aveva ben chiaro), fondati sugli Stati-nazione. 
L'Unione europea non ha "tradito"alcuna originaria purezza del disegno federalista, ma ne è solo il punto di approdo di una fase: per passare poi, in assoluta coerenza col disegno originario, alle ulteriori fasi che stiamo vivendo. 
Quelle fasi dalle quali la democrazia, e la Costituzione su cui essa si fonda in Italia, usciranno definitivamente "distrutte", per usare le parole di Calamandrei (ex multis, fra i Costituenti che avevano fatto avvertimenti fin dagli anni '40 del secolo scorso).
Lo pubblicazione dello studio procederà in tre parti, ciascuna da meditare e interiorizzare (speriamo) con la dovuta attenzione.

PRIMA PARTE

Ci siamo lasciati dicendo che la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha svolto un ruolo fondamentale nel processo di integrazione.

Per vederci un po’ più chiaro e poter comprendere nel loro contesto le due decisioni spartiacque (Van Gend en Loos e Costa vs. Enel) occorre seguire un percorso di carattere storico.

Perché?

1. La storia è nemica di tutti i regimi, che ne hanno giustamente timore. 
Un esempio di casa nostra, fra i tanti possibili: durante "il regime mussoliniano""la letteratura sulla Prima guerra mondiale assunse caratteri prevalentemente retorici. Quanto accadde a Gioachino Volpe, il maggiore storico di orientamento fascista, o al colonnello Angelo Gatti, che durante il conflitto mondiale aveva diretto l'ufficio storico del Comando supremo, sta a dimostrarlo. 
A Gioacchino Volpe, che nel 1923 iniziava a comporre una storia del popolo italiano durante la guerra per conto della Fondazione Carnegie, fu improvvisamente sbarrato l'accesso agli archivi, poiché ci si era accorti che egli si interessava troppo di operai, di scioperi e di disfattismo. 
Angelo Gatti, che nel 1925, era stato incoraggiato da Mussolini a scrivere una storia di Caporetto, fu poco tempo dopo convocato dallo stesso Mussolini il quale lo invitò a interrompere le sue ricerche perché - come il dittatore gli spiegò - il regime"aveva bisogno di miti e non di storia" (P. Melograni, Storia politica della grande guerra, Mondadori, Milano, 1998, pagg. VI-VII).

1.1. Non si può dire che l’Europa non condivida bisogni analoghi, come dimostra l’edificante storiella, che ci viene regolarmente propinata, di illuminati e coraggiosi padri fondatori impegnati, soli, contro l’egoismo e la ristrettezza di vedute degli Stati nazionali, a edificare uno splendido monumento alla pace e amicizia fra i popoli. 
Come colgono benissimo gli autori di una sintesi della storia comunitaria di cui non posso che raccomandare la lettura integrale ai francophones, ossia François Denord e Antoine Schwartz ("L’Europe social n’aura pas lieu", Éditions Raison d’agir, Paris, 2009, pag. 8):
Riscritto, il passato europeo si libera di ogni connotazione ideologica e, più in generale, di tutti gli aspetti scomodi: fallimenti di possibilità storiche non realizzate, influenze imbarazzanti, personaggi torbidi, manovre diplomatiche incerte, ecc. Della costruzione europea non resta allora altro che un progetto universale e positivo, che si pretende apolitico, un metro su cui poter giudicare gli ulteriori sviluppi dell’integrazione e incoraggiarne i “progressi”. E’ questa pretesa “purezza” del disegno originale che autorizza i rimpianti sul carattere incompiuto della costruzione, sulle “deviazioni” e sulle “lacune” (deficit democratico, Europa sociale, ecc).” 

1.2. Lo abbiamo visto nella discussione con Andor: è la mitologia della purezza originale che consente di interpretare il disastro presente come deviazione, o addirittura “tradimento”, di cui sarebbe non solo possibile, ma addirittura doveroso, tentare correzioni (potenzialmente rimandando la soluzione fino all’indefinito tempo in cui queste ultime si rendano possibili).

Anche il pur pregevole libro di Stiglitz è infiorato di considerazioni analoghe.

Chi invece ritiene che gli attuali sviluppi non rappresentino che “un irrigidimento di una via seguita fin dai primi passi” (Ibid., pag. 80), avrà una visione assai meno ottimista circa i possibili margini di correzione, ma anche decisamente meno imbarazzata davanti alla prospettiva di rotture radicali.

1.3. Sono convinto che pochi aspetti della costruzione comunitaria abbiano più urgente bisogno di quest’opera di demistificazione della storia della Corte di Giustizia dell’Unione Europea e della sua giurisprudenza. 
D’altra parte, solo attraverso un esame storico espressioni apparentemente contraddittorie come “constitutionalism without constitution” oppure “féderalisme furtif” (federalismo di nascosto), usate dagli studiosi per descrivere l’esperienza giuridica europea, diventano comprensibili.

Ora, sarà un caso, o forse no, ma la Corte di Giustizia, benché mantenga degli archivi (esiste un regolamento, il numero 1700/2003, che la obbliga a farlo), non ha la minima intenzione di indicare una qualsiasi data in cui questi saranno consultabili. 
Nel frattempo, i documenti lì custoditi (che non si sa nemmeno quali siano) si trovano convenientemente al riparo da tutte le norme che consentono l’accesso agli atti comunitari (dettagli in For History’s Sake, Editorial in European Constitutional Law Review, 2014, 10, pag. 196. Ringrazio Sergio Govoni per la segnalazione dell’articolo), costringendo gli storici a lavorare su fonti secondarie, con limitatissime eccezioni (che riguardano un giudice italiano e che vi fornirò: tutto materiale pubblico e strapubblico, sia chiaro :-)). Come dicevo, la storia fa paura.

Cerchiamo di capire perché.

2. In un pregevole paper  gli stessi Denord e Schwartz, trattando delle origini neoliberali del trattato di Roma, hanno colto efficacemente un punto sociologico fondamentale: 
il suo carattere neoliberale [del Trattato di Roma] proviene dalla preesistenza di un gruppo transnazionale, unito da tempo dal suo attaccamento al liberalismo e all’impegno europeo, i cui rappresentanti occupano posti chiave all’interno dei differenti Stati membri (compresa la Francia) al momento delle negoziazioni.

Per chiarire: i contenuti del Trattato non sono un prodotto lineare dei politici, ma risultano notevolmente influenzati dall’operato di questi network tecnocratici transnazionali, che hanno saputo abilmente inserirsi nel processo di negoziazione prima e di interpretazione poi.

Il fil rouge di questa operazione è consistito nell’attribuzione al processo di integrazione un significato “costituzionale”. Per intenderne il senso occorre necessariamente allargare il quadro.

2.1. La logica del ragionamento è abbastanza lineare e sen’è già parlato: per chi interpreta il crollo dell’ordine internazionale dei mercati avvenuto dopo la crisi del ‘29, e la seconda guerra mondiale, come frutto un eccesso di interventismo statalista e totalitario, anziché una ribellione delle società gestita autoritariamente, sterilizzare l’unica possibile sede politicamente rilevante di espressione del disagio sociale, cioè i parlamenti statali, tanto più pericolosi se costituzionalmente obbligati all’attuazione di un modello di democrazia sociale, appare sensato
Sia chiaro: lo stesso senso che avrebbe, volendo ridurre la fuoriuscita di vapore da una pentola a pressione, eliminare la valvola, anziché spegnervi la fiamma sotto. 

Non è un caso che varie associazioni e progetti di unificazione europea, come quella del nostro vecchio amico Kalergi, si affaccino proprio durante gli anni fra le due guerre.
Tuttavia il “primo progetto d’integrazione istituzionale dell’Europa che abbia superato lo stadio di semplice proposta intellettuale e sia stato effettivamente vagliato dai governi degli Stati europei” fu il piano Briand, proposto dalla Francia: 
Briand prospetta l’estensione del sistema di garanzie di Locarno a tutto il sistema degli Stati europei, subordinando così la sicurezza della “Comunità” al bilanciamento di potere e alle garanzie bilaterali. Il terzo punto definisce l’organizzazione economica dell’Europa come indirizzata alla creazione di un mercato comune, per incrementare il livello del benessere, da realizzarsi tramite l’abbattimento delle barriere doganali, tema cardine nella politica di Briand. Era quindi prospettato un mercato unico privo di limiti di circolazione di merci, capitali e persone, con la sola riserva dei “bisogni della difesa nazionale di ciascuno Stato”, e che subordinava così l’unione economica all’esercizio della sovranità degli Stati nella materia della sicurezza.

2.2. L’esigenza del piano nasceva da quella che gli storici definiscono l’incapacità americana di assumersi “le responsabilità connesse al ruolo di potenza egemone sul piano economico, in primis la difesa della stabilità del sistema finanziario internazionale.”, come si esprime Mascherpa nel saggio sopra linkato.

Più che di cattiva volontà, è forse più corretto dire che furono le ripercussioni interne della fragilità del sistema economico-finanziario occidentale a rendere impossibile agli USA lo svolgimento di quel ruolo imperiale di stabilizzazione (“La drammatica recessione obbligava a concentrare energie e forze sul piano interno e qualsiasi altra problematica era subordinata alla risoluzione della crisi economica. Fare altrimenti avrebbe comportato delle pesanti conseguenze elettorali, come Hoover aveva potuto verificare.” (M. Del Pero, Libertà e impero, Laterza, Roma-Bari, 2014, s. p.)).
Dal canto loro, i leader europei, oltre a non poter contare sulle medesime risorse americane, non godevano certo di una situazione interna più stabile né della reciproca fiducia necessaria a portare a termine i negoziati.
E’ sintomatica la reazione dell’Italia fascista, e in particolare di quell’autentico campione della stabilizzazione politico-finanziaria di marca anglosassone che era il ministro degli esteri italiano, Dino Grandi
Come riporta il saggio di Mascherpa, Grandi temeva, probabilmente non senza fondamento, che la proposta francese nascondesse una manovra aggressiva ai danni dell’Italia nei Balcani. 
D’altra parte, l’anno successivo, Grandi rivolgeva queste parole al ministro del tesoro americano Mellon
Insistendo io sulla necessità che gli Stati Uniti non abbandonino la politica iniziata nel mese di giugno u.s., che d’altra parte oggi la stretta connessione dei fenomeni finanziari ed economici con quelli politici non permette all’America di seguire una politica diintervento finanziario cui l’obbliga la sua stessa potenza finanziariain tutti i paesi del mondo, dichiarando tuttavia nello stesso tempo la sua astensione da ogni collaborazione sul terreno politico, che l’America sarà obbligata a uscire da questa contraddizione che non regge più, Mellon mi ha risposto che di tutto ciò i leaders della politica americana sono già persuasi ma che l’opinione pubblica americana deve essere abituata a poco a poco, soprattutto l’opinione pubblica del centro e dell’Est dell’Unione. Ma non è che questione di tempo”.  (D. Grandi, Il mio paese. Ricordi autobiografici, Il Mulino, Bologna, 1985, pag. 332. Significativo che, come da lui stesso dichiarato, Grandi ritenesse il nostro paese pronto a un giudizio equanime sul suo operato solo negli anni Ottanta).

Negli anni Trenta non si “fece in tempo”, ma quale migliore occasione della guerra fredda per riprendere i fili del discorso europeo? 
E infatti Mascherpa, che scrive sul solito, e prezioso, Federalista, ossia la rivista del MFE, osserva: 
Se, due decenni dopo, la Dichiarazione Schuman, che diede origine alla CECA, poté essere accolta, in gran parte fu grazie all’ombrello della sicurezza atlantica e al beneplacito degli Stati Uniti d’America, fortemente interessati alla realizzazione del progetto.”
(1- segue)

LA MITOLOGIA DELLA PUREZZA ORIGINALE: LA RIVINCITA ANTILABURISTA TRA KALERGY, LIPPMANN E SPAAK- 2

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http://image.slidesharecdn.com/paulhenrispaak-130407064704-phpapp01/95/paul-henri-spaak-8-638.jpg?cb=1365317267
(notare che nella medaglia commemorativa, sull'obverse side, nessuno ha proposto di inserire Spinelli)

Questa è la seconda parte del lavoro di Arturo sulla genesi dell'€uropa federalista. Un caso, se vogliamo unico, di coerenza e visibilità dei suoi scopi effettivi. Il "pieno impiego" e la "giustizia sociale" sono sempre, e senza alcuna esitazione, stati concepiti come obiettivi irrilevanti e sacrificabili a un futuro meraviglioso che non arriverà mai. Fino all'inevitabile catastrofe: come predissero i laburisti inglesi (quando esistevano ancora).

SECONDA PARTE
3. Ecco quindi, a guerra conclusa, puntualmente rispuntare Kalergi, pronto ad approfittare del nuovo propizio contesto per riprendere il filo interrotto: era negli Usa dal ’43 a cercare appoggi per il suo progetto di unificazione europea (Aldrich, OSS, CIA and European Unity: The American Committee on United Europe, 1948-60, Diplomacy and Statecraft, vol 8, n. 1, March 1997, pagg. 189 e ss.), ospitando “bei nomi”, quali Charles Rist, Jacques Rueff (futuro giudice europeo) e il nostro amico Röpke nella commissione monetaria della sua Paneuropa (Denord, Schwartz, L’Europe social cit., pag. 54). 
E infatti fonda quella che sarebbe diventata la principale organizzazione americana di “sostegno” al federalismo, ossia l’ACUE (American Committee on United Europe).

I sogni di gloria del povero Kalergi sarebbero, ahilui, durati poco: considerato dagli americani “a rather prickly and awkward character” (Aldrich, op. cit., pag. 190), e quindi non finanziato a vantaggio di altri gruppi federalisti, fu pure escluso, insieme ai suoi, dall’ACUE che, come ebbe a esprimersi uno dei suoi più autorevoli membri, Allen Dulles, doveva restare “wholly American” (in A. Cohen, "Constitutionalism Without Constitution: Transational Elites Between Political Mobilization and Legal Expertise in the Making of a Constitution for Europe" (1940s-1960s), Law & Social Inquiry, Vol. 32, Issue 1, Wiinter 2007, pag. 116).

3.1. Il principale beneficiario degli aiuti americani fu quindi il Movimento Europeo, fondato su iniziativa di Duncan Sandys, genero di Churchill, e Jozéf Retinger, futuro fondatore pure del Gruppo Bilderberg.

Se il Movimento poteva contare su nomi prestigiosi - questi i cinque presidenti onorari: Winston Churchill, Léon Blum, Adenauer, Paul-Henri Spaak e De Gasperi-, i fondi però scarseggiavano: 
Verrà qui sostenuto che il versamento discreto di più di tre milioni di dollari fra il 1949 e il 1960, per lo più da fonti del governo americano, fu centrale nello sforzo di sollecitare supporto di massa per il Piano Schuman, la Comunità Europea di Difesa e una Assemblea Europea con poteri sovrani. Questi contributi segreti non costituirono mai meno della metà del budget del Movimento e, dopo il 1952, probabilmente i due terzi. Contemporaneamente, si impegnò a minare la dura resistenza del governo laburista britannico alle idee federaliste” (Aldrich, op. cit., pag. 185).

I risultati in termini di coinvolgimento dell’opinione pubblica furono però assai modesti, anche dopo la nomina a presidente di “Mister Europe”, vale a dire Paul-Henri Spaak un’area di libero scambio con una moneta unica e libero movimento di lavoratori” (Ibid., pag. 198). 
Questo con buona pace dei teorici dello “sviamento”.

3.2. Spaak è però una figura talmente rappresentativa dei curricula dei “padri nobili” che merita dirne ancora due parole.
Nonostante l’etichetta di “socialista” “Spaak aveva abbandonato le convinzioni che potevano inquietare l’establishment, prima di diventarne una colonna. Nominato primo ministro nel 1938, era stato sostenitore di una politica di appeasement e conciliazione con le potenze fasciste. Dopo la guerra, si trasforma in apostolo della costruzione europea e delle difesa dell’Occidente. Un antibolscevismo ossessivo lo induce a indicare alla pubblica collera l’insieme dei comunisti occidentali, accusati di “indebolire gli Stati in cui vivono” e di agire come “una quinta colonna a confronto della quale la quinta colonna hitleriana non era che un’organizzazione di boy scout”. (Denord, Schwarz, op. ult. cit., pag. 25). 
Il coronamento della carriera atlantista di Spaak arriverà nel ’57, con la nomina a segretario della NATO, naturalmente dopo aver partecipato alle negoziazioni del Trattato di Roma.

4. Sulla questione dell’anticomunismo bisogna però fare un poco di chiarezza: da parte dei circoli europeisti neoliberali l’ostilità non era certo confinata al bolscevismo: il bersaglio era *ogni forma* di politica economica alternativa al neoliberismo stesso, in primis il laburismo inglese, considerate tutte quali “strade” verso il totalitarismo.

4.1. Ci si dimentica spesso in effetti che il bersaglio polemico concreto di The Road to Serfdom di Hayekè il laburismo britannico.

Sulla stessa linea il buon Spinelli, che nel suo Politica marxista e politica federalista (1942-43 ora in A. Spinelli, E. Rossi, Il Manifesto di Ventotene, RCS Quotidiani su licenza Mondadori, Milano, 2010, pp. 73 e ss.), così si esprimeva: 
L’ostinazione con cui i socialisti si attengono all’ideale collettivista, è l’espressione dell’inconscia dipendenza delle forze progressiste dall’idolo nazionale e militarista. Anche le forze che credono di combatterlo, in realtà lavorano per lui.” (pag. 106); 
e, poi, a pag. 112: “Passando dal campo degli interessi economici a quello delle tendenze politiche, scorgiamo che le tendenze socialiste democratiche sono molto sensibili ad impostazioni di carattere antimilitarista, internazionalista e popolare, e potranno quindi fornire molte forze all’opera federalista. Ma tendono anche a deviare da questa direttiva, se si presenta loro la possibilità, magari illusoria, di realizzazioni più immediate, socialiste o democratiche su ridotta (ed avvelenata) scala nazionale.” 

La prima citazione ha una nota, la numero 11 (pag. 121), presso la quale leggiamo: 
L’esempio del socialismo inglese è caratteristico. L’Inghilterra, paese poco militarista, è stata sempre un campo poco fruttuoso per le idee marxiste, quantunque abbia eseguito molte singole collettivazioni. [sic] Ma l’ideale della statizzazione vi ha preso piede parallelamente al crescere delle esigenze militariste. Oggi che il conflitto le impone un collettivismo di guerra, i laburisti, pur invocando per l’indomani una federazione di popoli, dichiarano che intendono mantenere e sviluppare l’economia pianificata. 
Se faranno ciò, faranno senz’altro fallire la federazione, poiché la loro economia pianificata non potrà che essere inglese, autarchica, sezionale, nazionalista. Si potrà far aderire l’Inghilterra alla federazione pur nazionalizzando molte sue imprese. Non c’è contraddizione insuperabile. Ma non si potrà fare una federazione vitale ed una economia nazionale pianificata”.

Sia chiaro che qui per “economia nazionale pianificata” ci si riferisce non al bolscevismo, ma al piano Beveridge, a cui proprio in quegli anni Caffè tributava il proprio apprezzamento su Cronache Sociali e Giorgio La Pira, con la collaborazione dello stesso Caffè, avrebbe indicato come via per soddisfare l’“attesa della povera gente".
Più in generale, parliamo di uno dei modelli fondamentali di riferimento per i costituenti(punto 9).

Medesimo refrain presso un altro architetto neoliberale, Walter Lippman (punto 6), che così scriveva sulla Gazzetta di Losanna (9 settembre 1948): 
Non bisogna cullarsi nell’illusione: l’unione politica delle nazioni libere d’Europa è incompatibile con il socialismo di Stato di tipo britannico”. (Denord, Schwarz, op. ult. cit., pag. 20).

4.2. Non è che gli stessi laburisti fossero ignari della minaccia rappresentata dall’europeismo neoliberale. Eloquente a questo proposito risulta il manifesto del comitato esecutivo del Partito Laburistadel maggio 1950 sulla questione dell’unità europea.

Il documento conserva spunti di grande attualità, e meriterebbe pertanto lettura integrale; qui ve ne traduco alcuni dei passaggi più significativi, che dimostrano, tra l’altro, l’assoluta malafede di un attacco al laburismo in nome dell’anticomunismo:
L’atteggiamento del Partito Laburista verso i problemi dell’unità europea, come verso ogni altro problema di politica interna o internazionale, è determinato dai principi del socialismo democratico e dagli interessi del popolo inglese come membro del Commonwealth e della comunità mondiale.

I principi del socialismo democratico
I socialisti credono che un’economica capitalista non controllata possa funzionare solo al costo di conflitti fra nazioni e classi che possono risultare fatali per la civiltà nell’epoca atomica. […]Giustizia sociale, pieno impiego e stabilità economica dovrebbero essere fra gli obiettivi di ogni governo democratico. Non possono essere mantenuti in un’economia deregolata [free market economy] senza deliberati interventi pubblici per correggere le tendenze dannose e stimolare quelle benefiche. Senza questi interventi, gli aggiustamenti avvengono a spese dei lavoratori e si crea una frattura sociale suscettibile di distruggere la democrazia.

Il disastro economico e la guerra hanno sempre punito l’incapacità di conseguire questi obiettivi. In questo momento tale incapacità risulta doppiamente pericolosa. Una gran parte del mondo è controllata da uomini che hanno rifiutato la libertà come principio del progresso umano. 
Essi affermano che la giustizia sociale, il pieno impiego e la stabilità economica possono essere conseguiti solo al prezzo di una rigida tirannia sui corpi e le menti degli individui. Ovunque la democrazia non sia riuscita a soddisfare questi bisogni, la dottrina comunista ha trovato terreno fertile. Questa dottrina è oggi un’arma fondamentale nella politica espansionista dello Stato Sovietico. Quindi l’imperialismo russo minaccia il mondo libero sia con le armi che con la penetrazione ideologica.
Il socialismo è quindi un elemento fondamentale nella lotta della democrazia contro il totalitarismo. Il Partito Laburista non potrebbe mai accettare nessun impegno che limiti la propria o l’altrui libertà di realizzare il socialismo democratico e di applicare i controlli economici necessari per conseguirlo.”

Aperta parentesi: in effetti combattere il comunismo a colpi di liberismo (cioè di disoccupazione) non sembra proprio un’idea geniale
Difficilmente può essere considerata casuale la relativa modestia, almeno in termini quantitativi, nell’avanzamento del processo di unificazione europeo a comunismo esistente, e la sua accelerazione galoppante a comunismo defunto. Chiusa parentesi.

Benché l’interdipendenza politica imponga la cooperazione, non ci si può aspettare che tale cooperazione produca ulteriori vantaggi all’Europa nel suo insieme. 
Le economie nazionali dell’Europa occidentale sono parallele e competitive più che complementari: gran parte della possibile specializzazione ha già avuto luogo. 
 […]
 Alcuni ritengono che la richiesta unità d’azione non possa essere ottenuto attraverso la cooperazione fra Stati sovrani, dev’essere imposta da un apparato sopranazionale con poteri esecutivi. Ritengono che i paesi europei debbano formare un’unione sia nella sfera politica che economica cedendo intere aree di intervento pubblico a un’autorità sopranazionale.
[…]
I popoli europei non vogliono un’autorità sopranazionale che imponga accordi. Hanno bisogno di un sistema di attuazione di accordi che sono stati raggiunti senza imposizioni.

Un’unione economica o politica?
Possono essere concepiti diversi tipi di unione. Di recente c’è stato grande entusiasmo per un’unione economica volta a rimuovere tutti gli ostacoli interni al commercio, come i dazi doganali, i controlli dei cambi e le quote. 
Molti sostenitori di questa politica ritengono che il libero gioco delle forze economiche all’interno del mercato continentale così creato produca una migliore distribuzione della forza lavoro e delle risorse. Il Partito Laburista rifiuta recisamente questa teoria. Le forze economiche di per sé possono operare solo al prezzo di instabilità economica e tensioni politiche che aprirebbero la strada dell’Europa al comunismo.

L’improvvisa rimozione delle barriere interne al commercio condurrebbe a significativi squilibri, disoccupazione e perdita di produzione. Produrrebbe anche reazioni sociali molto pericolose. Interi rami e distretti industriali fallirebbero e sparirebbero. L’Europa non è abbastanza forte per sopportare una simile terapia shock, anche se fosse possibile dimostrare che alla fine potrebbe risultare benefica, il che è altamente discutibile.
[…]
I socialisti darebbero ovviamente il benvenuto a un’unione economica europea che fosse basata sulla pianificazione internazionale per il pieno impiego e la stabilità: ma la pianificazione internazionale può operare solo sulla base di quella nazionale e molti governi europei non hanno ancora dato prova della volontà o della capacità di pianificare le loro economie. […]

Il fatto è che un’unione economica richiederebbe un grado di uniformità nelle politiche interne dei paesi membri che al momento non esiste e che è improbabile esista nel futuro prossimo.  
[…]
Una completa unione economica dell’Europa occidentale dev’essere quindi esclusa, dal momento che richiederebbe un impossibile grado di uniformità nelle politiche interne degli Stati membri. 
Se essa fosse basata sul “laissez-faire” non solo impedirebbe di risolvere il problema della scarsità di dollari ma causerebbe anche pericolosissimi turbamenti sociali. Se una completa unione economica è impossibile, una completa unione politica è di conseguenza esclusa.”

4.2.1. Per apprezzare la linearità del ragionamento, si legga la contrapposta miope, o truffaldina (certo finanziata dalla CIA), posizione avanzata dai “socialisti” europeisti: 
In risposta agli argomenti dei laburisti inglesi, l’economista André Philip, delegato generale del Movimento Europeo incaricato della propaganda, denuncia il loro “isolazionismo nazionalista”, sostenendo che se la Gran Bretagna volesse veramente unirsi all’Europa, “si accontenterebbe di chiedere che fosse democratica”. 
Per lui come per certe frange del socialismo parlamentare, la causa socialista si trova posta in secondo piano […]: prima l’Europa, poi il socialismo. “Non siamo d’accordo su tutti i punti” spiega André Philip, “ma io, socialista, preferirei un’Europa liberale che nessuna Europa, e penso che i miei amici liberali preferirebbero un’Europa socialista a nessuna Europa”. Questa reciprocità i suoi “amici liberali” non gliela resero mai.” (Denord, Schwarz, op. ult. cit., pagg. 21-22).

4.2.2. Naturalmente più si esaltano i presunti pregi del fine, o si enfatizzano le minacce di un suo abbandono o anche solo di una sua riconsiderazione - per esempio sostenendo che l’unificazione europea sarebbe l’unico antidoto alla guerra - più il ragionamento si presta a rilanci verso il basso: “prima l’Europa, poi la democrazia (formale)”, tanto per dire. 
Il concetto di “deficit democratico” costituisce in effetti una eufemistica razionalizzazione di questo esito nefasto. 
Ma che cosa impedisce ulteriori rilanci? Qual è il limite? (Chiaramente il riferimento alla Costituzione ha, fra i molti, il pregio di fornire una risposta chiara e sicura a questa domanda).

4.2.bis. Un momento, però: l’accusa di assolutizzare i fini e separarli dai mezzi non è stata ripetutamente rivolta ai comunisti dai tanti maestri di prudenza e realismo liberali
In effetti, secondo Isaiah Berlin: “schiacciare gli individui in nome di una “vaga felicità futura che non può essere garantita, riguardo alla quale non sappiamo niente, che è semplicemente il prodotto di un qualche enorme costrutto metafisico” costituiva “prova sia di cecità, perché il futuro è incerto” sia “di malvagità perché calpesta i soli valori morali che conosciamo”. 
In effetti “uno dei più gravi peccati che l’essere umano possa commettere è tentare di trasferire la responsabilità morale dalle proprie spalle a quelle di un imprevedibile ordine futuro”; tale subordinazione dei problemi odierni alle attese future era “una fatale dottrina diretta contro la vita umana”.” (J. Cherniss, A Mind and Its Time: The Development of Isaiah Berlin’s Political Thought, Oxford U. P., Oxford, 2013, pag. 121).

D’altra parte, se anche bonus Homerus quandoque dormitat, figuriamoci se pure il saggio realismo liberale non si farà qualche pisolino ogni tanto…

4.2.ter. Quel che mi pare vada ancora osservato è che tale separazione di mezzi e fini, ossia l’accettazione di un presente inaccettabile in nome di un meraviglioso ma molto teorico futuro, è ciò che i sostenitori della “deviazione” non fanno altro che riproporci oggi, con minime variazioni: è vero, ci dicono, l’UE e l’euro così come sono non vanno, ma continuiamo a tollerarne i difetti finché non siano attuabili le (di nuovo) molto teoriche correzioni, che ci schiuderanno il futuro radioso che l’Europa ha sempre avuto in serbo per noi o almeno ci eviteranno la catastrofe apocalittica che ci colpirebbe qualora volessimo intraprendere altre strade.

Quanto sia politicamente sensato e plausibile questo modo di ragionare, abbiamo ormai decenni alle spalle per valutarlo; sia chiaro però che applicarlo al piano costituzionale significa abolire il concetto stesso di costituzione rigida, che vieta questo genere di “lungimiranti” manifestazioni del “primato della politica”.

4.2.ter.1. Torniamo ai laburisti inglesi.
 […]
“La conferenza di Roma dei sindacati europei […] ha incluso la seguente dichiarazione nel suo comunicato finale: “L’importanza dell’unità è così vitale che debbono essere corsi alcuni rischi; ma dev’essere riconosciuto che, a meno che certe politiche, in particolare il pieno impiego delle risorse e una distribuzione più equa dei redditi nazionali, vengano seguite fin dall’inizio, l’unità non verrà costruita su fondamenta solide e, nel lungo periodo, verrà minata da instabilità sociale e politica.”

Ciò è senz’altro vero.  
Non c’è nessun vantaggio a unire i popoli europei attraverso le frontiere nazionali se sono profondamente divisi entro ogni nazione dal conflitto di classe [class war]”.

Ecco, questa mi pare lungimiranza vera.
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