
Se qualcuno avesse dei dubbi sull'effetto combinato di flessibilità in uscita e sussidio di disoccupazione nel determinare la deflazione salariale, ovvero lo stabile impoverimento della quota di ricchezza del lavoro, anche allorquando questi strumenti siano inseriti in una ripresa effettiva della crescita del PIL - e non è il caso dell'eurozona- cosa c'è di meglio del mercato del lavoro"ideale", almeno per i nostri smemoratie confindustriali vari, cioè quello degli Stati Uniti?
Adottando tale modello in concomitanza con il mantenimento di quello bancario-finanziario post Glass-Steagall Act (e che il Frank-Dodd non corregge in modo sostanziale e, specialmente, tempestivo), questa è la realtà emergente dalle vicende del post-crisi.
Ne emerge il reale effetto redistributivo (verso l'alto) che, provoca (persino) una politica di deficit spending ciclicamente circoscritta all'emergenza - e al welfare bancario- e poi subito sedata dal deficit-cap imposto dai tea-party. E ovviamente, questi gli effetti di una politica espansiva lasciata poi quasi esclusivamente al Quantitative easing e quindi a interventi monetari della banca centrale. Quand'anche non indipendente "pura" e collocata in un'area valutaria "ottimale" (come ci rammenta Stiglitz).
E questo ci spiega perchè non basta superare la follia conclamata dell'austerità fiscale UEM, che follia è perchè è uno strumento che serve esclusivamente al fine "supremo" di mantenere la moneta unica "disfunzionale", e dunque è una scelta politico-sociale camuffata da soluzione di una crisi...deliberatamente provocata.

Dalla dura realtà degli Stati Uniti, infatti, emerge che il modello attuale di gestione delle crisi economiche, basato sul duplice e connesso binario del limitato intervento pubblico (cioè solo emergenziale, supply side, e con pronto pentimento di governi incalzati dai "mercati" finanziari, come è "costretto" a notare Blanchard), nonchè della piena flessibilità salariale verso il basso, non possa portare altro che a "stagnazione secolare" (sempre Stiglitz, quando però si occupa degli USA. Tanto che anche di fronte al nostro Senato "ha...affermato che la flessibilità nel mercato del lavoro non evita la disoccupazione e non porta occupazione e come esempio ha portato quello degli Stati Uniti che nonostante avessero un mercato del lavoro flessibile in seguito alla crisi del 2008 hanno raggiunto una disoccupazione del 10%.".)
E, difatti, gli effetti sono quelli che vedremo nell'inchiesta i cui risultati vi riportiamo di seguito:
"A new survey (inchiesta) della Rutgers University’s (John J. Heldrich Center for Workforce Development), ha evidenziato che un quinto dei lavoratori -ovvero quasi 30 milioni di persone- riportano di essere stati licenziati da un posto di lavoro negli ultimi 5 anni, "risalendo, cioè, alla fine della recessione, datandola al giugno 2009".
Quasi il 40% di questi lavoratori licenziati ha detto di aver cercato lavoro per più di 7 mesi prima di trovarne un altro; il 20% dei licenziati negli ultimi 5 anni non ha mai trovato un altro lavoro.
E i lavori trovati dai fortunati spesso erano peggiori di quelli perduti. Circa il 44% ha detto che il nuovo posto è risultato inferiore a quello perso, un riflesso della ripresa economica in cui il lavoro "impiegatizio" di medio reddito, è scomparso dopo il collasso finanziario, poichè come l'economia ha ripreso vigore, i nuovi posti sono venuti prevalentemente dal settore dei servizi a bassa retribuzione.
Anche tra coloro che sono riusciti a mantenere il posto, più del 25% ha detto che la recessione ha condotto a un grande cambiamento dello standard di vita. Un terzo di coloro che sono considerati disoccupati di lungo termine, dichiarano che le loro finanze sono state "devastate" con un "notevole e permanente cambiamento nello stile di vita", con molti non in grado di pagare i mutui e i canoni di affitto, e costretti a prendere in prestito da amici e parenti, nonchè a vendere le proprietà per raccogliere liquidità.
Per tutti gli Americani, quelli che hanno mantenuto come quelli che hanno perso il lavoro, più del 40% ha detto di avere meno reddito e risparmio adesso rispetto a 5 anni fa. Solo il 30% ha dichiarato di averne di più. Molti dati raccolti dall'inchiesta indicano una generale mancanza di fiducia, estesa a circa la metà degli intervistati, circa la prospettiva di avere mai un miglioramento della propria situazione economico-finanziaria.
Cosa pensano gli intervistati su chi dovrebbe guidarli fuori da questa situazione?
Circa il 45% ha detto che il governo dovrebbe agire piuttosto che attendere le iniziative del settore privato; e ciò sia attravero l'allentamento delle restrizioni sui prelievi utilizzati per programmi di retraining e di formazione (sebbene sia discutibile la saggessa del prelevare dal fondo pensioni), sia offrendo crediti di imposta ai datori per creare lavoro.
E' interessante vedere come solo un terzo sia in favore di un più alto e più duraturo sussidio di disoccupazione, sebbene la percentuale di approvazione di tale misura di sostegno salga sopra la metà degli intervistati che avevano potuto contare su tali benefici."
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